La vicenda
La pronuncia della Corte di Cassazione oggetto di commento scaturisce da un ricorso promosso dagli eredi di un medico i quali hanno impugnato una sentenza emessa dalla corte di appello di Bologna che aveva accolto il gravame promosso da una casa di cura locale e la relativa domanda di regresso e manleva nei confronti del medico, condannando quest’ ultimo a pagare l’importo di oltre €.70.000 alla casa di cura.
Nello specifico, una paziente aveva promosso un giudizio di primo grado dinanzi al Tribunale di Forlì nei confronti della casa di cura (resistente nel giudizio di Cassazione deciso con l’Ordinanza oggetto di commento), chiedendo il risarcimento dei danni subiti per la non corrotte esecuzione di un intervento chirurgico per l’inserimento di una protesi all’anca. L’operazione chirurgica era stata eseguita, presso la suddetta casa di cura, dal medico (di cui gli eredi, hanno promosso il ricorso in cassazione deciso con l’Ordinanza oggetto di commento).
In ragione di ciò, nel giudizio di primo grado, la casa di cura convenuta chiedeva la chiamata in causa del medico autore dell’intervento chirurgico, formulando nei suoi confronti una domanda di manleva e di regresso affinchè quest’ ultimo fosse condannato a rimborsare alla casa di cura quanto ella fosse eventualmente condannata a pagare alla paziente attrice.
Il giudice di prime cure accoglieva la domanda di risarcimento danni promossa dall’attrice e condannava la casa di cura e il medico, in solido tra di loro, a pagare alla paziente l’importo di €.122.000. Nonostante l’accoglimento della domanda attorea, però, il Tribunale di Forlì non si pronunciava sulla domanda di manleva svolta dalla casa di cura nei confronti del medico.
In considerazione di tale omissione di pronuncia su una domanda, la struttura sanitaria proponeva appello avverso la sentenza di primo grado, chiedendone la riforma proprio in quanto il giudice non si era pronunciato sulla domanda di manleva nei confronti del medico, nonostante dalla ricostruzione dei fatti risultasse che il medico era stato imperito nella esecuzione dell’intervento chirurgico cui si era sottoposta la paziente e che il danno risarcito a quest’ ultima fosse dipeso proprio dalla imperizia del medico. Pertanto, la casa di cura – che nel frattempo era stata costretta (in ragione della condanna solidale in primo grado) a pagare alla paziente l’intero importo oggetto di condanna – chiedeva che il medico fosse condannato a rimborsarle tutto quanto pagato in esecuzione della sentenza impugnata.
L’ appello veniva accolto dalla Corte bolognese ritenendo che, se la responsabilità solidale tra medico e struttura sanitaria – per il risarcimento dei danni causati da un intervento medico non correttamente eseguito – trova applicazione nei rapporti esterni nei confronti del paziente danneggiato (proprio in considerazione del fatto che deve essere riconosciuta una maggiore forma di tutela a favore del danneggiato), nei rapporti interni tra medico e struttura sanitaria, invece, la responsabilità deve essere ripartita a seconda della imputabilità del danno. In altri termini, secondo la Corte di Appello di Bologna, per distribuire tra medico e struttura sanitaria il quantum dei danni da risarcire, si deve andare a verificare a quale dei due soggetti sia riconducibile la condotta colposa che ha determinato il danno risarcito alla paziente ed eventualmente in quale differente misura (nel caso in cui entrambi i soggetti abbiano tenuto una condotta di tal genere). Pertanto, ben può verificarsi che la struttura sanitaria – che pure ha pagato l’intera somma al paziente, proprio in considerazione della responsabilità solidale esterna – nei rapporti interni con il medico possa avere diritto a esercitare l’azione di regresso per l’intera somma pagata (e quindi a ottenere dal medico la ripetizione di tutto l’importo pagato dalla struttura sanitaria alla paziente), qualora sia accertato che il danno subito dalla paziente e oggetto di risarcimento sia stato determinato unicamente dalla condotta colposa del medico.
Ebbene, nel caso di specie, la Corte di Appello di Bologna riteneva che fosse stata accertata in primo grado una responsabilità del medico nella causazione del danno alla paziente e che il medico non avesse neppure indicato quale fosse la condotta da cui deriverebbe una responsabilità della casa di cura. Pertanto, il giudice di appello condannava il medico – come detto – a rimborsare alla casa di cura l’importo di oltre €.70.000.
Gli eredi del medico – nel frattempo deceduto – hanno impugnato la sentenza di secondo grado sostenendo che il collegio abbia applicato in maniera erronea la regola sulla ripartizione dell’onere della prova nell’azione di regresso, in quanto ha posto a carico del medico, convenuto con l’azione di regresso dalla casa di cura, l’onere di provare la sussistenza di una corresponsabilità della struttura sanitaria (attrice in regresso) nella causazione del sinistro a carico della paziente.
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La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il motivo di doglianza esposto dai ricorrenti e ha accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata e rinviando la decisione nuovamente alla Corte di Appello di Bologna (in diversa composizione).
In particolare, gli Ermellini hanno ritenuto che l’azione svolta (come nel caso di specie) da una struttura sanitaria – convenuta in giudizio da un paziente, che ritiene di aver subito dei danni a causa di un non corretto intervento chirurgico eseguito presso la struttura stessa – nei confronti del medico che ha eseguito l’intervento e finalizzata a far accertare la esclusiva responsabilità del medico stesso nella causazione dei danni lamentati dal paziente e pertanto la sua condanna a tenere indenne la struttura sanitaria di quanto questa sia eventualmente condannata a pagare (al paziente), è un’azione di garanzia impropria.
La disciplina dell’onere probatorio relativamente a tale tipologia di azione, detta di regresso, impone all’attore di dimostrare che la responsabilità nella causazione dei danni sia imputabile tutta (o in parte) al soggetto convenuto con l’azione di regresso.
Conseguentemente, è erroneo richiedere al convenuto di provare che la causa dei danni sia imputabile all’attore che agisce in regresso.
In considerazione di ciò, la Cassazione ha ritenuto che nel caso di specie la sentenza impugnata ha errato nella misura in cui ha gravato il medico convenuto in regresso dell’onere di individuare le precise cause da cui fosse rinvenibile una co-responsabilità della casa di cura, idonee a far respingere la domanda di regresso.
La Corte di Appello di Bologna, quindi, dovrà decidere nuovamente la causa applicando il suddetto principio sulla corretta ripartizione dell’onere probatorio in tema di azioni di regresso.
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