La successione delle leggi nel tempo ex art. 2 c.p. per le sanzioni amministrative “punitive”

Corte Cost. 20 febbraio 2019, n. 63

Art. 2, co. 3 e co. 4 c.p.: abolitio e abrogatio sine abolition

All’art. 2, co. 2 c.p. si fa riferimento al principio della retroattività della lex mitior, per cui dovrà sempre applicarsi la norma sopravvenuta che abbia abolito la precedente fattispecie incriminatrice, anche quando con riferimento alla stessa sia già intervenuta una sentenza di condanna passata in giudicato. Nel caso in cui, invece, non vi sia stata una vera e proprio abolizione della precedente norma ma una modificazione della stessa (si parla, in proposito, di abrogatio sine abolitione), vale l’art. 2, co. 4 c.p., per cui deve farsi valere retroattivamente la disciplina più favorevole al reo, salvo, in tal caso, lo sbarramento del giudicato.

Con riferimento al fondamento del principio di retroattività della norma più favorevole, si è osservato in giurisprudenza[1], che lo stesso non si ritrova -come accade, invece, con riferimento al principio dell’irretroattività della legge penale più sfavorevole, ex art. 2, co. 1 c.p.- nell’art. 25 co 2 Cost., bensì all’art. 3 Cost.. Ciò dal momento che la ratio del principio di retroattività della lex mitior non è la tutela dell’autodeterminazione, in quanto il soggetto, quando ha commesso il reato, non conosceva la norma penale più favorevole che sarebbe intervenuta. Da ciò deriva che eventuali deroghe al principio possono essere previste dalla legge ordinaria nel caso in cui ricorra una giustificazione oggettivamente ragionevole[2].

Successione delle leggi nel tempo in caso di depenalizzazione e applicabilità dell’art. 2, co. 4 c.p.

Ci si è a lungo chiesti in giurisprudenza se il principio di retroattività della lex mitior, del quale è stato riconosciuto anche il rango convenzionale dalla Corte EDU[3], possa farsi valere anche con riferimento alle sanzioni amministrative in caso di depenalizzazione dell’illecito penale. Ci si è, quindi, domandati se il giudice, nel dichiarare, a seguito di un’intervenuta depenalizzazione del fatto commesso, che il fatto non costituisce più reato, debba applicare la più lieve sanzione prevista per il nuovo illecito amministrativo, ai sensi dell’art. 2, co. 4 c.p. ovvero non debba applicare alcuna sanzione. La scelta per l’art. 2, co. 4 si giustificherebbe per il fatto che nell’ipotesi considerata non vi sarebbe una definitiva abolitio dell’illecito, ma soltanto la previsione di un trattamento sanzionatorio più favorevole, in conseguenza della conversione dell’illecito penale in illecito amministrativo.

All’art. 40 e 41 della Legge n. 689/81 è dettata un’apposita disciplina transitoria per cui,

l’autorità giudiziaria, in relazione ai procedimenti penali per le violazioni non costituenti più reato, pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, se non deve pronunciare decreto di archiviazione o sentenza di proscioglimento, dispone la trasmissione degli atti all’autorità competente” (art. 41).

Ai sensi della norma citata, dunque, nel caso in cui il procedimento penale iniziato per il fatto commesso anteriormente alla depenalizzazione non fosse stato ancora definito, si sarebbero dovute applicare per lo stesso le nuove sanzioni amministrative introdotte.

Se, quindi, non si è rilevato alcun problema con riferimento alla depenalizzazione operata dalla Legge n. 689/81, il problema si è colto con riferimento a tutti quei casi di conversione di illeciti penali in illeciti amministrativi disposti con leggi successive alla Legge n. 689/81, nel caso in cui le specifiche leggi di depenalizzazione non indicassero espressamente una disciplina transitoria[4].

Alcuni consideravano che la disciplina transitoria prevista dalla Legge n. 689 avesse una portata generale e, quindi, potesse applicarsi a tutte le ipotesi di depenalizzazione. Ciò sul fondamento che la ratio della depenalizzazione con contestuale conversione di una fattispecie in illecito amministrativo non è quella di eliminare la precedente sanzione, ma soltanto di attenuarla.

Rileverebbe, in caso contrario, anche una violazione all’art. 3 della Cost., in quanto, colui che ha commesso il fatto nel momento in cui lo stesso costituiva illecito penale non incorrerebbe in alcuna pena, mentre chi lo ha commesso quando già rappresentava un illecito amministrativo si vedrebbe inflitta la sanzione amministrativa. In tal senso si sono espresse le Sezioni unite con sentenza n. 1327/2005[5].

Tuttavia, le Sezioni Unite, con sentenza n. 25457/2012[6], sono tornate a sostenere che l’operatività degli artt. 40 e 41 della Legge n. 689 deve intendersi limitata agli illeciti da essa depenalizzati, senza poter riguardare altri casi di depenalizzazione. I Giudici di Piazza Cavour hanno, in tale occasione, considerato che non è possibile applicare analogicamente i principi penali -tra cui quello della retroattività del trattamento penale più favorevole ex art. 2, co. 4 c.p.- alla disciplina delle sanzioni amministrative.

La presa di posizione della Corte Costituzionale

Recentemente, la Corte Costituzionale è intervenuta segnando una svolta in materia[7].

La questione su cui il Giudice delle Leggi si è trovato a pronunciare ha preso avvio dall’ordinanza della Corte d’Appello di Milano del 19 marzo 2017, n. 87 che è stata emessa in occasione di un giudizio di opposizione avverso una sanzione amministrativa irrogata da Consob ex art. 187-bis del TUF e pari a 100.000 €.

Il ricorrente, con la propria opposizione, tra le altre ragioni, aveva addotto anche la violazione da parte della Consob dell’art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 72/2015, che escludeva la quintuplicazione delle sanzioni previste dal TUF in forza dell’art. 39, comma 3, della L. 28 dicembre 2005, n. 262. Se, infatti, si fosse applicata la più recente disposizione del 2015, in assenza della quintuplicazione, la sanzione sarebbe stata di 20.000€ e non, invece, come è stato, di 100.000€. In particolare, il ricorrente osservava che, nonostante il comma 2 dello stesso art. 6, in tema di diritto transitorio, avesse escluso l’operatività del successivo comma 3 (circa il divieto di quintuplicazione) in relazione alle violazioni commesse prima dell’emanazione dei regolamenti, in virtù dei principi generali del diritto penale, la Banca d’Italia e la Consob avrebbero dovuto applicare retroattivamente la disposizione più favorevole al reo.

In tale occasione, allora, dopo aver riconosciuto la natura penale della sanzione di cui all’art. 187-bis per il tramite dell’utilizzo dei criteri di Engel e richinandosi alla celebre sentenza Grande Stevens del 2014 in tema di doppio binario sanzionatorio, la Corte d’Appello ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, co. 2, del d.lgs. 72/2015, nella parte in cui esclude la retroattività della normativa più favorevole prevista dal successivo comma 3, in riferimento agli artt. 3 e 117, co. 1 della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 7 CEDU.

Con la pronuncia del 2019 la Corte ha ripreso la differenza di fondamento dei principi di irretroattività della legge penale più sfavorevole e di retroattività della legge penale più favorevole, riconoscendo, quindi, per quest’ultimo eventuali deroghe quando possa operarsi “un vaglio positivo di ragionevolezza” non essendo sufficiente che “non siano manifestatamente irragionevoli[8].

La Corte ha, poi, espressamente affermato- e in ciò sta l’importanza della pronuncia- l’applicazione del principio anche alle sanzioni amministrative che “abbiano natura e finalità punitiva”, quali, appunto, quelle concernenti gli abusi di mercato.

Nel confermare la natura sostanzialmente penale della sanzione amministrativa ex art. 187-bis T.U.F, la Consulta, ha osservato che la stessa debba essere soggetta “alle garanzie che la Costituzione e il diritto internazionale dei diritti umani assicurano alla materia penale, ivi compresa la garanzia della retroattività della lex mitior[9].

Con specifico riferimento alla deroga all’applicazione del principio prevista dall’art. 6, co. 2 del Decreto del 2015, la Corte, riprendendo le sue precedenti considerazioni, ha statuito che la stessa non possa superare il vaglio positivo di ragionevolezza.

In definitiva, con la pronuncia in discorso, si è disposto che tutte le volte in cui ad una sanzione, anche formalmente amministrativa, possa riconoscersi natura sostanzialmente penale, andranno estesi alla stessa tutti “i principi enucleati dalla Corte di Strasburgo a proposito della materia penale”. Ciò deve valere, secondo quanto statuito dalla Corte, anche nei casi in cui la Corte EDU non abbia ancora avuto occasione di pronunciarsi circa la natura sostanzialmente penale di determinate sanzioni amministrative, la quale risulti, comunque, tale, alla luce dei principi illustrati dalla stessa giurisprudenza della CEDU.

In definitiva, se in passato si escludeva, per lo più, l’applicazione del diritto intertemporale penalistico ai fenomeni di successione tra illeciti penali ed amministrativi in conseguenza derivanti dai processi di depenalizzazione, oggi, a seguito della pronuncia in commento, sembra potersi affermare che tutte le sanzioni formalmente amministrative e sostanzialmente penali debbano soggiacere alle garanzie previste in materia penale, tra ci la retroattività della lex mitior. Le regole della successione delle leggi nel tempo sembrano, quindi, applicabili in modo analogo nel campo del diritto penale e del diritto amministrativo punitivo. Ciò in quanto, anche a prescindere dalle considerazioni che contrapponevano i summenzionati orientamenti giurisprudenziali, alla luce degli insegnamenti europei e della nuova considerazione della sanzione in termini sostanziali, non potrebbe più cogliersi una secca dicotomia, con riferimento alla disciplina della successione delle norme nel tempo, tra le norme penali e le norme che, pur formalmente amministrative, mostrano una natura sostanzialmente punitiva.

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Note

[1] Corte Cost., sentenza 23 novembre 2006, n. 393, al sito: http://www.giurcost.org/decisioni/2006/0393s-06.html

[2] I. M. Gallo, Diritto penale italiano. Appunti di parte generale, Vol. I, Giappichelli, Torino, 2014, p. 84.

[3] Se con il caso Scoppola del 2009 la Corte EDU aveva interpretato l’art. 7CEDU nel senso di farvi rientrare anche il principio di retroattività della lex mitior, non sono mancate le voci in dottrina per cui resterebbe aperta la strada dei “controlimiti” che consentirebbe di considerare la lettura dell’art. 7 fornita da Strasburgo  in contrasto con la Costituzione italiana, rigettando, così, le questioni di legittimità costituzionale dedotte in caso di violazione del principio (così si veda, F. Viganò, Sullo statuto costituzionale della retroattività della legge più favorevole, in Dir. Pen. contemp., 6 settembre 2011, p. 7.

[4] S. Pallotta, Manuale delle sanzioni amministrative ambientali, Maggioli editore, Santarcangelo di Romagna, 2016, p. 246.

[5] G. Romeo, Le Sezioni Unite sulla successione tra reato e illecito amministrativo, in Dir. Pen. contemp., 2 lugio 2012.

[6] Corte Cass., Sez. Un., sentenza 29 marzo 2012, n. 25457 , Campagne Rudie, Rv. 252694.

[7] Corte Cost., sentenza 20 febbraio 2019, n. 63, al sito: http://www.giurcost.org/decisioni/2019/0063s-19.html

[8] Cfr. sentenza, par. 6.1.

[9] Cfr. sentenza, par. 6.3

Avv. Alice Cometto

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