In questo scritto, dalla prospettiva del Diritto Tributario, si analizzerà uno dei problemi presenti nel c.d. commercio elettronico o e-commerce[1]. Precisamente, e più in dettaglio, l’attenzione sarà indirizzata esclusivamente sulla tassabilità o meno dei c.d. ISP (Internet Service Provider), che sono stati oggetto di una recentissima risoluzione da parte dell’Agenzia dell’Entrate, la n. 119/E del 28.5.07 , che tanto clamore e dibattiti sta suscitando sulla rete ed è stata lo spunto per il presente breve saggio.
Internet, il c.d. futuro nuovo mondo virtuale, è fortunatamente abitato da soggetti che ne utilizzano i suoi frutti (come il denaro) nel mondo in cui viviamo tutti noi e dove c’è produzione di reddito, sorge il problema della sua tassazione. Lo Stato, qualsiasi Stato, non può rinunciarvi ed anzi ha l’obbligo costituzionalmente garantito (e dalle convenzioni internazionali riconosciuto) di tassarlo[2] per assolvere quegli scopi solidaristici su cui fonda la sua stessa esistenza[3].
Gli schemi interpretativi che i giuristi utilizzano, per analizzare tutti i fenomeni presenti nell’e-commerce, sono gli stessi che sono utilizzati nel mondo reale e, cioè : il bene oggetto della transazione, i soggetti protagonisti (e/o il rapporto che lega interdipendentemente questi fra loro) e, infine, la forma della transazione stessa. Questo perché, come sopra accennato, se pur “virtuali”, le varie transazioni producono i loro effetti nel mondo reale governato da leggi reali.
Questa sfaccettatura del fenomeno, ha indotto non pochi commentatori ad utilizzare differenti schemi classificatori. Un primo schema utilizza la prospettiva della transazione e dei suoi contenuti (e avremo le due differenti figure principali del c.d. commercio elettronico “diretto”, in cui sia l’ordine sia il pagamento e conseguente consegna del bene o servizio,per la natura degli stessi, avvengono tramite il web o il c.d. “indiretto” in cui se uno, o entrambi, i primi due momenti della transazione avviene sul web, l’oggetto della stessa, invece, è materialmente consegnato al compratore attraverso i normali canali distributivi); mentre un secondo schema analizza i fenomeni dalla prospettiva dei soggetti partecipanti alla transazione stessa (e allora avremo le classiche,definizioni di Business to business -B2B-[4] o Business to consumer -B2C-[5] o IB[6]C2C -Consumer to consumer-[7]).
CENNI SULLA STRUTTURA DELLA RETE
L’analisi abbisogna, però, qualunque sia lo schema interpretativo che si vuole utilizzare, di una preliminare e seppur succinta prospettazione del meccanismo stesso di funzionamento d’internet, per meglio comprenderne le implicazioni e, soprattutto, per determinarne il momento impositivo e, più in generale, le sue implicazioni giuridiche.
Internet, può essere rappresentata sia come un’enorme e complessa rete logica (o meglio l’insieme di tutte le reti[8] private, pubbliche ecc) d’interconnessioni, sia come l’insieme delle strutture fisiche e collegamenti di vario tipo su cui quelle informazioni viaggiano e sono prodotto ed elaborate. Materialmente, infatti, è formata da alcune centinaia di milioni d’elaboratori, che sono legati tra loro da interconnessi che, contemporaneamente, interconnettono un agente umano o automatico ad un altro agente tramite, praticamente, qualsiasi tipo di computer o elaboratore elettronico oggi o in futuro esistente o immaginabile.
Ogni dispositivo connesso direttamente ad Internet si chiama host o end system mentre la struttura che collega i vari host si chiama link di comunicazione. Questi dialogano tra loro grazie ad uno standar unico di comunicazione o protocollo di comunicazione (c.d. il TCP/IP). E’ proprio questo standar unico, che consente di scambiare informazioni a prescindere sia dal proprietario dei vari host (o dai computer utilizzati e dai vari software) sia dal luogo in cui questi si trovano od operano sia dai vari linguaggi o strumenti di comunicazione e questo al fine di realizzare quell’universalità del linguaggio cui miravano i suoi ideatori. Questo è possibile per il modo, a livelli[9], in cui le informazioni viaggiano nella rete e che non è il caso qui di affrontare.
L’utenza, qualunque, che vuole accedere ad Internet mediante l’uso di un computer, lo fa (attraverso i dialoghi mediati dai protocolli e, quindi, attraverso l’invio e la ricezione dei pacchetti d’informazioni) connettendosi ad un fornitore di servizi o Internet Service Provider o ISP[10] che, a loro volta, sono connessi ad ISP di livello superiore. Proprio da questa sua “complessa interconnessione senza centro alcuno” [11]che internet viene anche definita come una ragnatela. Come questa, infatti, è composta di un’ossatura molto veloce e potente a cui si connettono sottoreti, le c.d. intranet, a volte più deboli (ma protetti da firewall) e lente che consentono però anch’esse l’accesso ad Internet (e viceversa) anche se solo in maniera condizionata.. I punti in cui s’intersecano queste varie autostrade dell’informazioni sono i vari nodi d’internet (i punti critici, voluti dai suoi creatori a mò di cellula terroristica[12] che, peraltro, sono tra loro collegati a loro volta e in modi diversi affinché la perdita di un nodo non comporta la perdita di tutti i nodi.) attraverso cui, secondo la disponibilità di quel momento, consentono a tutte le informazioni (sotto la forma di pacchetti dati) di raggiungere la destinazione.
Da quanto appena esposto, appare chiaro, quindi, che mentre il semplice utilizzatore della rete ha bisogno solo di un punto d’accesso che è messo a disposizione del provider, fin ad oggi senza alcun costo per i collegamenti normali (tranne quelli dovuti per l’utilizzo della rete di comunicazione, il più delle volte di proprietà di qualcun altro), chi è proprietario o possessore di un sito web, invece, può aver bisogno di acquisire spazio per le proprie pagine web (c.d. hosting) sia attraverso la fruizione dello spazio di memoria del server del provider sia attraverso l’utilizzo dell’infrastruttura di telecomunicazione del provider stesso o di vedere ospitato (c.d. housing) materialmente e fisicamente il proprio server, presso un provider con ulteriore possibilità anche di mettere a disposizione le risorse di hardwaer o softwaer del provider stesso
IL DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE : La risoluzione n. 119/E del 28.5.07
Il problema che tutte le legislazioni nazionali si sono poste sin dalla prima comparsa del fenomeno del commercio su internet, è sia come tutelare gli utilizzatori e frequentatori di questa nuova realtà sia di come tassare ora i redditi prodotti tramite tale strumento ora le singole operazioni che in tale contesto si realizzano senza, nel contempo, far morire sul nascere questo nuovo mercato che, invece, deve divenire nuova linfa vitale per il mercato c.d. tradizionale.
I primi strumenti giuridici utilizzati sono stati quelli del c.d. commercio a distanza[13] ben presente nelle legislazioni nazionale sin dalla nascita del capitalismo stesso. Ma il problema, proprio per la natura stessa d’internet (che presuppone l’impossibilità di imbrigliarlo in confini e barriere nazionali e può rendere del tutto immateriale le possibili transazioni e virtuali gli stessi soggetti coinvolti) non può essere demandato alle sole legislazioni nazionali.
La premessa (determinazione e successiva tassazione del reddito prodotto dai c.d. ISP) entro cui si è delimitato il campo d’indagine di questo breve saggio, può essere sinteticamente rappresentata con la questione: se e quando un’attività commerciale svolta attraverso un server è produttiva di reddito e come e se deve essere tassata o, per dirla con l’Agenzia delle Entrate (risoluzione n. 119/E del 28 maggio 2007) “..la ricognizione degli elementi che caratterizzano l’attività esercitata ..(attraverso).. apparecchiature informatiche e, quindi, la sussistenza di una stabile organizzazione”
Nella risoluzione, il principio affermato è che se un soggetto non residente svolge la propria attività commerciale attraverso un server di suo utilizzo esclusivo, installato per un tempo indefinito in Italia, allora si è alla presenza di una stabile organizzazione e, quindi, i suoi eventuali proventi devono essere tassati dallo Stato Italiano.
L’istituto della stabile organizzazione[14] è lo strumento giuridico attraverso cui l’ordinamento ha inteso assoggettare a tassazione i redditi d’impresa prodotti da parte di un soggetto non residente e la cui definizione riveste un ruolo cruciale (e per questo l’OCSE è più volte intervenuta, tanto nell’ambito dell’e-commerce quanto nel settore tradizionale, attraverso il continuo aggiornamento al commentario all’articolo 5 e all’articolo 7 del trattato c.d. Modello di Convenzione contro le doppie imposizioni e relativo Commentario) nell’ambito dei trattati contro le c.d. doppie imposizioni.
I principi generali che regolano la soggettività passiva ( cioè l’assoggettamento al potere impositivo dello Stato Italiano[15]) li troviamo nella Carta Costituzionale[16], ma è poi la Legge che ne individua i presupposti soggettivi ed oggettivi. In linea generale e semplificando, tutti coloro che si trovano sul territorio dello Stato Italiano sono assoggettati al suo potere impositivo. Mentre per i residenti (la base imponibile) e per il c.d. principio del world wide taxation, l’imposta si applica su tutti i redditi, ovunque prodotti, per i non residenti trova limitazione nel c.d. principio della territorialità[17] secondo il quale sono sottoposti a tassazione solo e soltanto quei redditi prodotti nel territorio italiano.
Per le persone fisiche gli elementi che ne determinano l’assoggettabilità fiscale sono, per come prescritto[18] all’art. 2 del TUIR, il domicilio, ossia la sede principale degli affari e interessi (art. 43, 1° comma, c.c.) e la residenza, ossia la dimora abituale (art. 43 2° comma, c.c.).
È sufficiente che sussista uno solo dei requisiti previsti dalla norma affinché un soggetto sia considerato fiscalmente residente. Quanto alla residenza, s’intende la dimora stabile, che presuppone l’elemento oggettivo della permanenza nello Stato con una certa abitualità e stabilità.
Per le persone giuridiche, invece, individuare la "residenza fiscale" è più complesso[19]. La nostra legislazione fa riferimento alle nozioni di "sede legale", di "sede dell’amministrazione" e di "oggetto principale" e si considerano residenti le società e gli enti commerciali che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato (art. 87, 3° comma) e tralasciamo tutta la complessa problematica su quali significati dare a questi vari istituti e la loro differente incidenza in campo tributario e civilistico[20].
La "stabile organizzazione", nell’ordinamento italiano, è definita nell’articolo 162 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi come “…sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita (…) la sua attività sul territorio dello Stato.”che, in linea di massima, riprende la struttura e la definizione di cui all’articolo 5 del Modello di Convenzione OCSE[21] contro le doppie imposizioni ed è lo strumento attraverso cui l’ordinamento realizza quel collegamento diretto, sufficiente e necessario, con il territorio dello Stato per cui “..l’imprenditore estero assume, nell’ordinamento giuridico italiano, una presenza fiscale significativamente qualificata, sostanziale e permanente in grado di collocarlo operativamente su un piano di astratta parità con le imprese residenti[22]” e quindi soggetto passivo d’imposta.
DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE DELL’E-COMMERCE : La Stabile Organizzazione Telematica
Alla luce di tali considerazioni, appare di tutta evidenza la difficoltà di reinterpretare l’istituto della Stabile Organizzazione[23] nato, per l’appunto, con il precipuo scopo di realizzare un legame, quasi attrattivo, tra il soggetto imprenditore o meglio la sua attività ( e/o i suoi frutti) e il territorio dello Stato, alla luce del fenomeno internet[24] che, invece, ha nella sua immaterialità (perciò detto mondo virtuale o cyberspazio) la sua caratteristica peculiare.
In considerazione della normativa esistente occorre individuare, allora, quali elementi della stabile organizzazione, allo stato dell’arte ed in attesa di nuove regole fiscali specifiche e autonome, possono essere presenti nella Stabile Organizzazione Telematica[25]. L’art. 162 del TUIR, al comma 5, e in parziale difformità del citato articolo 5 del Modello OCSE[26], stabilisce che [27]"…non costituisce di per sé stabile organizzazione la disponibilità a qualsiasi titolo di elaboratori elettronici e relativi impianti ausiliari che consentano la raccolta e la trasmissione di dati ed informazioni finalizzati alla vendita di beni e servizi".
Definizione che sembra considerare neutri (o come parte della dottrina ha interpretato secondo i canoni del diritto tributario: strumentali), dal punto di vista della produzione del reddito, il solo possedere computer. Null’altro dice la norma.
Eppure, abbiamo descritto più sopra come internet è una struttura “complessa ed interdipendente” in cui, in realtà i computer (siano server o semplici punti privati d’entrata alla rete), nonché l’insieme dei collegamenti materiali tra questi (i collegamenti telefonici, via satellite ecc) e le informazioni che vi viaggiano (WEB) sono un tutt’uno inscindibile.
Di tale complessità, purtroppo, il Nostro Legislatore (e per la verità anche quello d’altri Paesi) non riesce a dare una risposta complessiva.
Alla luce della normativa, quindi, ciò che rileva ai fini dell’imposizione non è tanto lo strumento in sé, quando l’uso che di questi si fa in seno all’impresa. In altri termini la normativa prevede la possibilità che un server (non il semplice host) può costituire stabile organizzazione (e quindi essere soggetto passivo d’imposizione) soltanto nel caso in cui, attraverso gli "elaboratori elettronici e relativi impianti ausiliari", è produttrice di reddito direttamente, perché oggetto dell’atto costitutivo dell’impresa, o indirettamente (perché strumento di scambi di beni tra soggetti) afferenti il business dell’impresa stessa sempre ché, però, utilizzati nel territorio dello Stato e, quindi, in un dato luogo e per un determinato periodo di tempo, così da identificare una sede fissa d’affari.
A questi limiti e a queste condizioni, quindi, per l’Ordinamento Italiano un server può essere ricompreso nel concetto di stabile organizzazione ed essere, quindi, soggetto passivo d’imposta.
Ed in quest’ottica, allora, nulla di nuovo dice la risoluzione n. 119/E del 28.5.07 che è solo la conferma, esplicita, dei principi fin qui utilizzati dall’ordinamento per la tassazione dell’e-commerce; con tutti i limiti che la più attenta dottrina ha più volte evidenziato.
Nella risoluzione, si ribadisce il principio[28] che se le apparecchiature sono di proprietà e/o d’utilizzo pieno ed esclusivo del soggetto non residente (siamo cioè in presenza di una consistenza fisica materialmente accertabile che “attrae” il server secondo il principio proprio della territorialità art 5 OCSE ), che siano stati installati per un lasso di tempo consistente e sufficiente, tale cioè, da fa scattare il principio ex art. 162 TUIR e che, attraverso i medesimi, detto soggetto svolga la propria attività commerciale, è da ritenere che i servizi garantiti ai clienti italiani debbano essere considerati prestati da una stabile organizzazione in Italia e, come tali, assoggettati ad imposta nel territorio dello Stato, come nel caso di e-commerce c.d. diretto.
Figura giuridica che io definirei positionig, perché nettamente differente sia dell’ hosting[29] sia dell’ housing[30].
Si è al cospetto, cioè, di una sistemazione temporalmente significativa di un’installazione materiale (server[31] nella sua componente sia hardware che software) nel territorio dello Stato (e a questo punto non è significativo dove ha sede il provider) che deve però avere la caratteristica di essere la struttura necessaria alla produzione del reddito e/o dell’attività propria dell’impresa. Non siamo alla presenza di un semplice acquisto o affitto (ecc.) di spazio per le proprie pagine web (c.d. hosting) o della semplice fruizione dello spazio di memoria del server del provider attraverso o l’utilizzo dell’infrastruttura di telecomunicazione del provider stesso o della semplice locazione (c.d. housing) materiale e fisica del proprio server presso un provider (anche se realizzata attraverso l’ulteriore utilizzo delle risorse di hardwaer o softwaer del provider stesso). Tale situazione, praticamente, soddisfa entrambe le condizioni affinché si possa definire stabile una tale organizzazione elettronica. Si è alla presenza di una materiale collocazione spazio – temporale e, inoltre, gli elaboratori non sono semplicemente ausiliari all’attività d’impresa.
Elaborazione, allo stato dell’arte, che discende direttamente dal principio che lega, seppure nel c.d. mercato reale, il "luogo di produzione del reddito" all’istituto della "stabile organizzazione", perché fondato sulla presenza di strutture personali e/o materiali dell’impresa. Idea e principio impositivo che, però, mal si conciliano con il processo di spersonalizzazione e di delocalizzazione dei rapporti commerciali tramite Internet.
Ma questa è la situazione a norme date.
I problemi, poi, attengono agli aspetti elusivi e/o al fenomeno dell’armonizzazione fiscale tra stati e, nello stesso tempo, alla capacità accertativa degli organi ispettivi.
La rivoluzione d’internet, ancora non pienamente compresa, costringerà a rivedere i vecchi istituti, anche se non può essere compito del singolo Stato ma frutto d’indirizzi che devono discendere dalle organizzazioni mondali, quale quella per il Commercio ed il Libero Scambio o, visto che corre il pericolo di incidere direttamente sulle libertà individuali, dell’ONU stessa.
Le soluzioni trovate dai vari organismi e dai singoli stati riescono solo a cogliere singoli aspetti del problema, come nella soluzione prospetta dall’OCSE a cui si richiama la legislazione italiana, in parte[32], o quella CEE[33] o quella, ancora, della legislazione di Spagna e Portogallo[34].
Le difficoltà di accertare e, quindi, tassare il reddito prodotto dagli utilizzatori della “rete” e dalla facilità con cui questa rende invisibili sia i soggetti sia i redditi ivi prodotti, devono indurre a maggiormente armonizzare i vari sistemi tributari o a prevedere accordi specifici di convenzioni che, come quelle contro la doppia imposizioni, prevedano però quando e come procedere alla tassazione dei redditi prodotti attraverso l’uso d’internet o quando e se internet stesso deve essere considerato fonte di reddito.
Unico limite entro cui procedere a tali accordi è dato da internet stesso che è ormai diventato sinonimo di libertà. L’evoluzione del cyberspazio deve indirizzare tutte le strutture e i soggetti coinvolti a rendere libero e gratis (perchè gestita, per esempio, da enti no profit in mano ad organizzazioni internazionali) l’uso della rete e, quindi, indirizzarsi verso la tassazione delle operazioni commerciali e non della struttura telematica che ne consente l’uso.
Perché il limite di considerare luoghi fisici alternativamente ora i server ora i siti web è che, alla fine, la territorialità dell’imposta non seguirà il Paese in cui il sito o il server opera e/o dove è effettivamente prodotto il reddito, bensì dove deciderà, per il miglior trattamento fiscale offerto[35], di posizionarsi fisicamente il fruitore d’internet; con il duplice fallimento di vedere elusa la propria potestà impositiva (da parte dei singoli stati) e favorire le differenze sociali tra chi sarà in possesso degli strumenti per predisporre al meglio le proprie strategie “fiscali” d’elusione e chi no !.
Avv. Francesco Molinari
Socio di Avvocati & Avvocati[1]
[1]Definito come l’insieme delle transazioni per l’acquisto di beni o servizi che avvengono attraverso lo strumento della “rete” a cui possono accedere sia singoli cittadini che imprese, così nelle Linee Guida per la Tutela dei Consumatori nel Contesto del Commercio Elettronico, approvate il 9 dicembre del 1999 dal Consiglio dell’ OCSE, che non si discosta da quella intesa dal nostro Ministero della Attività Produttive per cui, con e-commerce,“..si intendono i servizi della società dell’informazione, vale a dire qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi..(intendendo per servizi)… a distanza un servizio fornito senza la presenza simultanea delle parti; per servizio per via elettronica un servizio inviato all’origine e ricevuto a destinazione mediante attrezzature elettroniche di trattamento, compresa la compressione digitale e di memorizzazione di dati. Così descritto all’indirizzo : http://www.attivitaproduttive.gov.it/pdf_upload/documenti/phpgrzHlO.pdf
[2] Osserva W. Maccario in www.filodiritto.com/diritto/pubblico/tributario/tassazioneecommercemaccario.htm come “..L’ analisi dei profili fiscali di Internet rende necessario riconsiderare alcuni dei capisaldi del diritto fiscale internazionale, per valutare se e in quale misura siano ancora validi e significativi alla luce del nuovo scenario tecnologico .. in particolare.. il principio della sovranità fiscale, il principio della residenza del contribuente e quello della fonte del reddito.”
[3] Fedele : “ Appunti dalle lezioni di diritto tributario”Giappichelli,Torino,2003.
[4] Con questo si vuole descrivere, quando i soggetti sono due o più imprese che utilizzano la rete elettronica per le più disparate attività di tipo economico-commerciale che si possono effettuare. L’ aspetto peculiare di tale tipologia di commercio elettronico è dato proprio dalle relazioni economiche che consentono alle singole imprese di integrare la propria attività commerciale e di inserirla in un contesto di reciproco e vantaggioso successo per meglio sfruttare uno degli aspetti salienti dal punto di vista commerciali della rete, l’eliminazione delle barrire spazio temporali nelle transazioni.
[5] Quando la commercializzazione dei prodotti di un’impresa avviene mediante l’utilizzo della rete ed è rivolta direttamente ai consumatori. In pratica il consumatore o utilizzatore finale accede, tramite la rete ad un negozio senza confini e illimitato nelle possibilità di fruibilità.
[6]Quando la trattativa avviene all’interno della stessa azienda o dello stesso gruppo d’aziende – c.d. Intranet;
[7] Quando descrive la semplice gestione di quelle operazioni commerciali che vedono come protagonisti due consumatori, come succede, ad esempio, nelle ipotesi d’aste tra privati.
[8] Per questo è definita la “ ..rete delle reti..”
[9] In pratica un pacchetto che parte da un host attraversa, e secondo uno schema non deterniministico ma probabilistico, i diversi strati protocollari che aggiungono informazioni al pacchetto. Quando questo raggiunge la destinazione, avviene uno spacchettamento inverso e ogni livello legge le sue informazioni.
[10] Detto comunemente in gergo provider ovvero fornitore d’accesso ad internet.
[11] Luccio F., Pagli L. “Storia matematica della rete. Dagli antichi codici all’era di Internet” B. Boringheri , 2007
[12] E in questo risente della sua progenie militaristica.
[13] Uno dei primi tentativi, infatti, lo si trova nel rapporto, datato 1978, del Comité à l’Egard des Consumateurs dell’OCDE
[14] Art. 162 TUIR – DPR n. 917/86-
[15] Che G.A. Micheli nel suo “ Corso di Diritto Tributario” ed. UTET pp. 106 e ss. Definisce come”..complesso d’attività che..rappresenta la concreta espressione dell’esercizio di una potestà amministrativa ..vincolata….tipica espressione del potere di supremazia dello Stato”.
[16] L’art. 53 della Costituzione dispone che "tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva"..La legge, poi, specifica chi sono i soggetti passivi delle imposte
[17] Non ha nel nostro ordinamento un contenuto univoco, ma è definito, di volta in volta, in specifiche disposizioni che identificano i "presupposti dell’imposizione" e con criteri stabiliti differenti per ciascuna categoria di reddito imponibile. In linea generale il collegamento insorge tutte le volte che si manifesta un rapporto di fatto che costituisce il presupposto dell’imposizione e che può derivare:
• dall’appartenenza economica del soggetto, o del reddito, al territorio italiano perché qui è stata svolta l’attività produttiva
• dall’appartenenza territoriale del cespite produttivo del reddito o che garantisce il reddito stesso
• dal fatto che il reddito è dovuto da soggetto domiciliato o residente nello Stato.
[18] Cioè la cittadinanza deve essere attuale e, quindi, sussistere al momento in cui si deve verificare l’esistenza fiscale. Con l’espressione "per la maggior parte del periodo d’imposta", si tende a ritenere che equivalga a 6 mesi più un giorno, ossia 183 giorni.
[19] Mentre per le persone fisiche, semplificando, la norma della residenza fiscale mira a rappresentare il "collegamento effettivo" di un soggetto, con le persone giuridiche i fattori che possono rappresentare il collegamento sono numerosi perchè le attività produttive di reddito delle società possono essere dislocate in Stati differenti
[20] Utile indicazioni sulle complessità dell’argomento si può trovare nel recente scritto di F. Nanetti : “ Riflessioni in tema di oggetto principale ai fini dell’art. 73 comma 3 TUIR” in Fisco n. 26/2007 pp 9074.
[21] La riforma attuativa della L D. n. 80 del 7/4/2003( D.Lgs n. 544 del 12/12/03 art. 4, comma 1, lett. a, con cui si è introdotto la definizione di stabile organizzazione nel nuovo art. 162 TUIR), fa proprio riferimento, per una definizione di stabile organizzazione, al modello OCSE.
[22] Così D. T. Giangaspare in “La stabile organizzazione:alcune problematiche d’interesse risolte dalla giurisprudenza tributaria” articolo pubblicato in D&D., rivista giuridica on-line all’indirizzo diritto.it; nonché VALENTE, Stabile organizzazione e Modello OCSE, in Corriere tributario, 1997, 2337. Per un approfondimento dei concetti di trading within e trading with, si veda Jeffcote-Kroon, UK/Netherlands double taxation treaty, Deventer, 1992, 52.
[23] Che realizza una forma di “attrazione giuridica” dell’attività imprenditoriale al territorio dello stato quando si è alla presenza del concorso di taluni elementi costitutivi fondamentali che si possono così schematizzare in :
a) esistenza di un complesso di beni materiali situati in un determinato luogo e con un certo grado di permanenza ( c.d. sede d’affari o installazione)
b) esercizio dell’attività da parte dell’impresa mediante l’utilizzo dei beni di cui al punto a);
c) eventuale, autonomia funzionale rispetto alla casa-madre in caso di raggruppamenti d’impresa o altra strutturazione a gruppo della società (quest’ultimo elemento è stato teorizzato dall’Amministrazione finanziaria con la risoluzione n. 460196 del 13 dicembre 1989), così anche la tesi di B. Bidona sul sito Fisconelmondo all’indirizzo : http://www.fisconelmondo.it/modules/news/article.php?storyid=835
[24] L’Agenzia delle entrate, con la R.M. n. 133 del 15/11/2004, definisce Internet come "un canale alternativo d’offerta " il cui mero utilizzo “non è sufficiente a far rientrare l’operazione tra i servizi prestati tramite mezzi elettronici e quindi assoggettabile alla disciplina dell’e-commerce".
[25] Con questa intendendo quell’insieme di elaboratori elettronici, sia computer che mainframe, e/o reti di collegamento le più varie (telefoniche o a fibre ottiche ecc) sia uomini operanti e/o informazioni operate, che utilizzano internet, in maniera più o meno prevalente, per la loro attività d’impresa.
[26] che, invece, ed in estrema sintesi e schematizzando, stabilisce che :
1) un sito web non costituisce una stabile organizzazione;
2) un web-site hosting arrangement normalmente non configura una stabile organizzazione;
3) un Internet Service Provider di norma non costituisce una stabile organizzazione e che l’ubicazione d’attrezzature informatiche Edp (Electronic Data Processing), che si può ravvisare nel caso di un server, può individuare una stabile organizzazione a condizione che un’impresa ivi svolga funzioni significative, fondamentali e centrali del proprio business.
[27] In questo, con chiaro riferimento anche se non diretto ai paragrafi dal 42.1 al 42.10 dell’ultima versione del Commentario al predetto Modello OCSE
[28] D’accordo si dicono sia il B. Santacroce in il Sole 24 Ore del 30/5/07 pp. 31, sia A. Lucarelli in “ Quando un Server è davvero stabile “ articolo apparso all’indirizzo http://www.fiscooggi.it
[29] Così definito l’acquisto o affitto ( ecc.) di spazio di un provider per le proprie pagine web da parte di un possessore o proprietario di uno sito web.
[30] Così viene definita la fruizione, da parte di un possessore o proprietario di un sito web, dello spazio di memoria del server del provider attraverso o l’utilizzo dell’infrastruttura di telecomunicazione del provider stesso o della semplice locazione materiale e fisica del proprio server presso un provider (anche se realizzata attraverso l’ulteriore utilizzo delle risorse di hardwaer o softwaer del provider stesso).
[31] Cioè la componente informatica che fornisce servizi ad altre componenti (tipicamente chiamate client) attraverso una rete. Pertanto è comune riferirsi ad un computer di alte prestazioni ed alta affidabilità dedicato primariamente a fornire servizi chiamandolo server. È altrettanto comune usare lo stesso termine per riferirsi ad un processo (ovvero un programma software in esecuzione) che fornisca servizi ad altri processi (es. Server FTP).
[32] che stabilisce, all‘art. 5 della Convenzione Modello OCSE, come il server dovrà essere considerato come "stabile organizzazione" solo nel momento in cui l’impianto automatizzato server-sito web costituisce un’installazione fissa, cioè l’impianto automatizzato deve avere una presenza fisica che curi il funzionamento e la manutenzione dell’impianto (cfr. punto 10 del commentario all’art. 5 della Convenzione).;
[33] che, con la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2000, n. 31/CE, rubricata "direttiva sul commercio elettronico", ha stabilito l’esclusione della stabile organizzazione soltanto quando l’operatore non residente sia titolare, in un Paese membro, di un sito web e non anche quando lo stesso abbia invece la disponibilità di un server.
[34] Che tassano il sito Web, riconoscendogli la qualità di stabile organizzazione, se presente nel loro territorio
[35] Si veda, per esempio, Corte di Giustizia UE Sent. 12/9/06 ,causa C-196/04 Cadbury-Schweppes in cui è stabilito il principio secondo cui rientra tra le libertà da tutelare da parte della Corre stessa, quello di sfruttare, per la scarsa o nulla armonizzazione fiscale tra stati, le asimmetrie tra le disposizioni fiscali tra gli stessi che consentono ai cittadini europei di minimizzare l’impatto dell’imposta.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento