Nella prassi applicativa, in più occasioni, sono sorte problematiche circa l’esatta individuazione dei presupposti e dei limiti applicativi della norma di cui all’art. 27 del Testo Unico delle Disposizioni Concernenti l’Imposta di Registro, che, come è noto, disciplina i casi di registrazione degli atti sottoposti a condizione sospensiva. Si tratta, più nel dettaglio, di problematiche attinenti l’individuazione dei criteri – di natura prettamente ermeneutica – da utilizzare (in un contesto di norme fiscali) per qualificare una certa condizione contrattuale (rectius: contenuta in un contratto da sottoporre a registrazione, d’ufficio o volontaria, in caso d’uso o a termine fisso, poco importa ai nostri fini) come clausola “potestativa” ovvero per attribuire alla medesima la natura di clausola “meramente potestativa”.
Indice
- Il concetto di “sacrificio economico” nella individuazione della clausola potestativa
- I contratti cd “misti”
1. Il concetto di “sacrificio economico” nella individuazione della clausola potestativa
Brevemente, si ricorda che civilisticamente il tratto distintivo delle due fattispecie va rinvenuto non tanto nella correlazione (da intendersi come effetto teleologico) tra la volontà dell’obbligato e la realizzazione dell’evento (elemento che può essere rinvenuto in entrambe le fattispecie) ma nello spirito che sorregge l’intento del contraente. La condizione meramente potestativa consiste, infatti, in un fatto volontario il cui compimento non dipende da seri motivi (che rappresentano un giustificato interesse all’avverarsi o meno della condizione), ma dal mero arbitrio del debitore / obbligato. La sanzione della clausola meramente potestativa è la sua nullità ex art. 1355 cc.
In ambito fiscale, il distinguo non assume rilevanza ai fini della nullità della clausola (ovvero dell’intero contratto), ma solo ai fini della diversa tassazione cui soggiace il contratto nel cui interno è stata inserita la clausola sottoposta a condizione sospensiva (d’altronde il testo unico regola i rapporti tributari con i contribuenti; non avrebbe senso alcuno comminare la sanzione della nullità, aspetto di rilevanza prettamente civilistica). Ben potrebbe pertanto verificarsi l’ipotesi (stante il principio del “parallelismo” tra norme civili e tributarie) in cui l’Ufficio richieda la tassazione di un contratto, nonostante in esso sia stata inserita una clausola valutata come nulla da un Tribunale civile (in realtà il principio potrebbe incontrare dei limiti nel caso di nullità della clausola che infici l’intero negozio ex art. 1354 cc).
Ed, infatti, la regola generale – art.27 comma 1 – prevede la registrazione dell’atto sottoposto a condizione con il pagamento dell’imposta in misura fissa. Se questa si avvera – ai sensi del successivo comma 2 – si riscuote la differenza tra l’imposta dovuta (in base alla tipologia del negozio registrato vedere la relativa tabella) e quella pagata in occasione della registrazione. Se pertanto la clausola non si avvera, il contribuente è tenuto al pagamento soltanto dell’imposta in misura fissa stante i rilievi positivi che comunque derivano dalla registrazione dell’atto (opponibilità dell’atto alla pubblica amministrazione, apposizione data certa sul contratto, ecc…); se la clausola si avvera allora il contribuente è onerato al pagamento di imposta maggiore, ciò sul presupposto del presunto aumento della capacità contributiva del contraente (ricordiamoci che l’imposta di registro va annoverata tra le imposte indirette). Per prassi applicativa, la denuncia di avvera mento della condizione è onere che incombe (stante il principio della solidarietà passiva) a carico di ogni contraente. Essa va comunicata entro 20 giorni dall’avveramento ed il destinatario della comunicazione va individuato nell’Ufficio presso il quale è stato registrato l’atto.
Alternativamente – in presenza di clausola meramente potestativa, eventualità disciplinata dal comma 3 del citato art. 27 – il testo unico impone la registrazione del contratto in base alla natura e tipologia propria del negozio. Coerentemente con la materia trattata, il legislatore tributario non ha comminato la sanzione della nullità della clausola (come sopra già precisato); ma ha cercato di “sfavorire” l’utilizzo delle clausole meramente potestative imponendo al contratto una maggiore tassazione rispetto alle altre tipologie di clausole.
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Va ribadito che non è la clausola ad essere tassata; ma è il negozio che la contiene che viene registrato e sconta la differente tassazione a seconda della “natura” della clausola. Viene conseguente meno ogni problema di identificazione della condizione nella ipotesi in cui il negozio non debba essere registrato “a termine fisso” (come nel caso di contratto concluso per posta). Eventuali problematiche di giusta qualificazione della condizioni verrebbero comunque in essere in ipotesi di registrazione in “caso d’uso”.
Per prassi consolidata, nel caso in cui il contratto sia sottoposto solo parzialmente a condizione sospensiva, l’imposta di registro si applica in misura proporzionale per la parte di contratto immediatamente efficace (la base imponibile di riferimento è data dal valore della parte del contratto di riferimento). Se il contratto contiene sia clausole potestative che meramente potestative (ipotesi non poi così distante dalla realtà), l’imposta di registro si applica in misura fissa (per la prima) e proporzionale (per la seconda).
In più occasioni la giurisprudenza ha dovuto affrontare e risolvere situazioni nelle quali i Giudicanti, al cospetto di un negozio sottoposto a condizione sospensiva, dovevano dirimere la controversia circa la natura da attribuire alla medesima condizione (potestativa ovvero meramente potestativa). Nella prassi giurisprudenziale si rinviene un canovaccio di ricorrenti e tipiche situazioni il cui dato storico / fattuale può essere così sommariamente riassunto: le parti condizionano gli effetti di un negozio ad un certo evento; l’evento non si realizza per il diniego dell’acquirente / creditore di adempiere alla propria obbligazione; segue l’emissione di un accertamento dell’Ufficio con la richiesta di registrazione dell’atto in misura proporzionale sulla base della qualificazione della condizione come clausola meramente potestativa, cui si oppone il contribuente che chiede la registrazione dell’atto in misura fissa.
In relazione ai criteri da utilizzare per attribuire la giusta natura alla condizione sospensiva, la giurisprudenza tributaria – pressocchè nella sua completa unitarietà – individua il discrimen al ricorrere dell’elemento del sacrificio economico cui sarebbe sottoposto il contraente in caso di stipula del contratto, da intendersi come sopravvenuta mancanza della convenienza economica alla stipula del contratto per sopraggiunti elementi fattuali. In tal senso si è espressa recentemente Ctr Lombardia n.609/22 [1] e Cass. 6288/22 [2]. Ciò che conta ai fini della classificazione della condizione sospensiva non è, quindi, tanto l’ esistenza di una solida ponderazione circa la decisione di non stipulare l’atto (come in chiave civilistica); ma – ai fini della esatta tassazione dell’atto – occorre valutare l’aspetto della antieconomicità (e quindi convenienza) che investirebbe la sfera patrimoniale del contraente in caso di stipula del contratto.
2. I contratti cd “misti”
In relazione – infine – ai contratti misti (ossia i contratti che dipendono anche da condizioni causali), varranno le stesse considerazioni fin qui fatte (quindi, in riferimento alla clausola potestativa, si dovrà valutare l’aspetto della antieconomicità nella scelta del contraente di non adempiere le proprie obbligazioni) [3].
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Note:
[1] E’ stato escluso il ricorrere della clausola meramente potestativa in relazione alla scelta del promissario acquirente di non concludere un preliminare di vendita in quanto il prezzo dell’immobile era stato “rideterminato” in misura maggiore a seguito di un giudizio civile rispetto a quanto pattuito originariamente.
[2] I contraenti avevano subordinato gli effetti di un contratto alla realizzazione di un certo manufatto. La parte decide di non concludere il contratto in quanto la realizzazione del manufatto (tra gli altri gli oneri urbanistici) porterebbe ad un notevole esborso di denaro. La Cass. ha escluso che potesse trattarsi di clausola meramente potestativa.
[3] Tipico caso è la concessione del mutuo. La Banca ha la facoltà di concedere il mutuo previa consegna dei documenti da parte del mutuatario
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