I gruppi nell’organizzazione sociale e il suo mutamento
Ogni sistema sociale umano è intrinsecamente dinamico e non può essere pensato in forma separata dalla storia, l’equilibrio che in esso vi deve essere al fine di una sua durata sono da Braudel, secondo la Scuola delle Annales, individuati nelle dimensioni:
- Ecologica;
- Economica;
- Sociale;
- Politica
Tutte queste dimensioni interagiscono fra loro, diventando volta per volta, a seconda delle epoche, prevalenti a turno all’interno del sistema in equilibrio congiunturale. Il mutare di uno dei sistemi trasforma gli scenari, in un riequilibrio conflittuale, variamente rinegoziato.
Conflitti fra popoli che si traducono in guerre; conflitti fra gruppi sociali, teorizzati quali conflitti di classe; conflitti tra sistema politico e società civile, guerre civili; conflitto fra il sistema umano e ambiente naturale, dissesti ecologici; conflitti di modernizzazione, tecnologici, fra equilibri passati e futuri equilibri di sistema non ancora consolidati.
Attualmente è proprio quest’ultimo conflitto, nascente dall’accelerazione tecnologica, che nell’espandere attraverso il progresso scientifico le basi produttive e le comunicazioni, viene a prevalere nel causare gli attriti tra sistemi. Processi di modernizzazione indotti dall’esterno, senza una adeguata trasformazione culturale e dei rapporti sociali, creano forme di sfruttamento selvaggio delle risorse umane e naturali da parte di gruppi elitari, ponendo le premesse per i futuri conflitti sia interni che esterni tra sistemi confinanti che ne subiranno i contraccolpi.
Luhman ci ricorda che nel preciso momento in cui un sistema non riesce a relazionare tutti i suoi elementi procede in modo selettivo, creando dei sottosistemi che si relazionano differentemente con l’ambiente esterno, si crea una complessa rete auto replicante formata da sottosistema e ambiente sia interno che esterno.
I limiti della crescita sono dati dalla necessità di una gerarchizzazione delle diseguaglianze interne, ma con il ricorso ad una differenziazione funzionale, come avvenuto nelle società moderne di matrice europea, si supera la limitazione alla crescita e sviluppo del sistema. Si ottiene così una complessità maggiore rispetto alle società semplicemente stratificate, con la rinuncia ad una “stretta e vincolante” regolamentazione dei rapporti che vengono lasciati in parte liberi, con una maggiore adattabilità alle prospettive di successo e al tempo stesso cambiando il senso dell’esistere.
Omeostasi, retroazione o autoregolazione, informazione selettiva, sono tutti elementi che intervengono nella trasmissione dell’informazione nei sistemi complessi, in cui vi è un rapporto variabile tra gerarchia e differenziazione funzionale, l’insieme del sistema nel suo interagire acquista un significato maggiore della semplice somma delle sue parti (Simon).
L’evoluzione dei sistemi è facilitata dal formarsi di strutture interne stabili che facilitano la gerarchizzazione tra sottosistemi, in previsione dell’ulteriore passo della differenziazione funzionale.
Nella “teoria dei sistemi quasi scomponibili” vi sono interazioni deboli ma non trascurabili tra sottosistemi, vi sono a riguardo alcuni sistemi gerarchici che si avvicinano a tale tipologia, in cui a “breve termine” esiste una quasi indipendenza tra sottosistemi, mentre a “lungo termine” ciascun sottosistema dipende dagli altri solo in termine di “aggregato”.
Un punto critico è l’interazione tra due o più sistemi che viene ad escludere l’interazione con tutti gli altri sottosistemi, in quello sociale l’essere umano procede per elaborazione delle informazioni in termini seriali più che paralleli, essendo limitata a poche persone l’interazione diretta o verbale, a cui deve aggiungersi il tempo necessario che il ruolo comporta in compiti e responsabilità.
Vi è un continuo passaggio da “descrizioni di stato” a “descrizioni di processo” nella ricerca di soluzioni ai problemi di sistema, che nella consapevolezza diventa una analisi di mezzi-fini, dobbiamo tuttavia considerare che la complessità o la semplicità dipendono fortemente dal modo in cui si descrive la struttura stessa.
Il mutamento sociale non è da considerarsi una tappa logica ineluttabile dell’evoluzione umana, né può considerarsi un nuovo modello razionalmente migliore, esso è piuttosto la trasformazione di un sistema di azione, in cui non sono le regole a cambiare bensì le relazioni umane, con nuove forme di controllo e modelli di governo nuovi ma efficaci, sostanzialmente una nuova forma culturale (Crozier).
La circolarità ricorsiva risulta essere l’origine della semplicità di una logica complessa, Morin considera la complessità come la capacità di elaborare contemporaneamente diversi livelli, mettendoli in relazione tra loro, riducendo pertanto ciò che appare complicato in complesso, ossia un vincolo in una risorsa.
Mutamenti culturali e sociali sono collegati tra loro mediante una relazione complessa di carattere circolare, vi è un trattamento dell’informazione che passa attraverso gli “agenti della modernizzazione”, ovvero coloro che elaborano le informazioni e le socializzano.
Il mutamento crea simboli in quanto ogni struttura sociale ne ha bisogno per identificarsi e consolidare le relazioni, esso è qualcosa di più del semplice significato convenzionale, nel rapporto con la mente crea scintille di idee poste al di là delle semplici capacità razionali. I simboli vengono quindi a rappresentare la parte inconscia di una organizzazione e del sistema che essa rappresenta, in uno stretto intreccio tra profilo funzionale-razionale e simbolico – affettivo. Si è discusso se esiste una “mente di gruppo”, mentre Allport nega tale evenienza, rifacendosi interamente alla psicologia individuale, Lewin e Asch ne sostengono l’esistenza nel momento in cui le persone hanno una percezione di sé come membri di un gruppo, l’esternalizzazione avverrà con una produzione culturale di gruppo, quali parole d’ordine, regole e valori.
Naturalmente occorre distinguere tra comportamenti individuali e di gruppo, questi sussistono nel momento in cui differisce il rapportarsi a seconda se gli altri siano appartenenti o meno al gruppo, si manifestano così due identità una personale e l’altra sociale, costituita da una uniformità di comportamento. Nella realtà anche nell’identità sociale restano elementi dell’identità individuale, come non deve confondersi la folla con il gruppo, dove non vi è una identità sociale ma una semplice e momentanea interazione intergruppo, senza che vi sia una perdita dell’ identità individuale.
Con l’entrata nel gruppo l’individuo modifica la percezione di se stesso e quindi della sua autostima, ma anche il gruppo deve adattarsi, nell’entrare può verificarsi una “dissonanza cognitiva” tra aspettative e difficoltà d’accesso, la quale viene ricomposta modificando la percezione del gruppo. L’interdipendenza all’interno del gruppo è fondata su due elementi:
- l’interdipendenza del destino, in cui i singoli membri identificano il proprio destino con quello del gruppo;
- l’interdipendenza del compito, possedere degli scopi comuni i cui risultati dipendono dagli effetti delle azioni dei singoli membri.
Con il diminuire dell’interdipendenza la produttività diminuisce, prevalendo all’interno del gruppo rapporti interpersonali, base per la realizzazione di interessi del tutto personali. L’attenzione rivolta al compito fa emergere la rilevanza dei “contenuti”, che possono essere strumentali, diretti al compito, o espressivi, socio-emozionali, questi ultimi hanno la funzione di ridurre le tensioni interne al gruppo.
Nella condivisione dei “valori” interviene sia la comunicazione che la formazione, quest’ultima è tra i più importanti fattori nei processi di gruppo, determinando la scala dei valori su cui si poggia il gruppo e quindi le reciproche aspettative tra i membri del gruppo. Le norme rappresentano elementi essenziali per interpretare il mondo, essendo un sistema di concetto a cui sono associati dei valori, al fine di creare ordine e prevedibilità di azione nel contesto in cui vive il singolo.
Essendo le norme punti di riferimento, l’individuo trascorrerà un periodo di attesa prima di agire nel gruppo per poter apprendere e così orientarsi tra le norme, le quali tra l’altro riducono l’ansia nei momenti di destrutturazione del gruppo stesso.
Regolazione sociale e codifica dei comportamenti per le azioni necessarie agli scopi del gruppo, non possono comunque eliminare la “latitudine di accettazione” della norma, questa è più o meno elastica a seconda se riguarda aspetti centrali o periferici della vita del gruppo, elastica all’interno, rigorosa su attività fondamentali e verso l’esterno, pena la delegittimazione.
Antropologia culturale, estetica, tecnologia, interpretazione
L’estetica è la fonte delle emozioni che viene a sostituire la nozione antica di passione, nella nostra vita spirituale viene ad affiancarsi all’intelletto e alla volontà, radicandosi nell’esperienza sociale dell’arte. Nel mondo virtuale l’estetica viene a fondersi con la grafica della scrittura, vi è un recupero della concezione amanuense della scrittura come riportata nei codici.
La grafica industriale e quindi freddamente razionale della stampa, così come si è sviluppata dalla rivoluzione industriale stessa, viene ad essere reinterpretata in termini estetici e artistici, secondo un modello che si avvicina alla street art.
D’altronde, come afferma Guyan, l’arte è anche un’attività comunicativa, di cui bisogna avere la consapevolezza del suo valore sociale; la perfezione armonica costituisce, per Souriau, la fonte della “perfezione razionale” che diventa una “bellezza intellettuale”, un fine in sé, in quanto funzione essenziale dell’essere (Guyan).
La scrittura nel mondo virtuale tende a creare emozioni estetiche, acquisendo per tale via un ulteriore senso storico sociale, inserendo nel segno grafico l’immaginazione simbolica della vita interiore, come atto diretto che supera la mediazione del binomio grafema-vocale, annullando in sé ogni distinzione tra razionalità ed emozione.
La realtà informatica tende ad aumentare la capacità creativa, il desiderio di cambiare, ricomponendo il contrasto tra tecnica ed estetica, (Dufrenne) fino ad impegnarsi nell’azione politica per orientarla, ma la realtà informatica è anche creatrice di una utopia che nel contrastare l’ideologia diventa ideologia lei stessa.
Vi è un forte desiderio nell’utopia tecnocratica che si viene a creare, l’essere tende ad identificarsi con le potenzialità generatrici del possibile nella realtà maturata, è l’irraggiamento di un ideale che conquista a una nuova idea morale, l’ammirazione per il nuovo eroe (Souriau).
Per Weber l’azione si trasforma in un comportamento solo nel momento in cui l’individuo vi annette un “significato” questi è peraltro il risultato di una relazione dell’azione con altri eventi o azioni, si hanno quindi “azioni sociali” in riferimento a comportamenti passati, presenti o futuri di uno o più individui e “azioni non sociali” in cui non si bada alle conseguenze. Nelle relazioni dialettiche tra personalità interviene la cultura nella quale le relazioni stesse sono immerse, occorre quindi anche considerare la relazione dialettica tra le stesse relazioni e la società, questo comporta l’impossibilità di comprendere una relazione isolandola dal contesto sociale.
Nelle relazioni vi sono due tipologie, le relazioni “di ruolo”, in cui prevale la posizione occupata nella società, e le relazioni “personali” nelle quali prevale la conoscenza personale dell’individuo, queste variano al variare della comunicazione nel contesto.
Analogamente si possono distinguere comportamenti diretti ad uno scopo ma guidati da regole esplicite, comportamenti diretti ad uno scopo ma senza regole esplicite, comportamenti diretti ad uno scopo non coscientemente, comportamenti diretti ad uno scopo a seguito di precisi piani, indipendentemente dalle regole, spesso le varie tipologie si mescolano fra loro.
Se degli scemi di rappresentazioni cognitive dell’esperienza sono condivisi da altri e fungono quali vincoli nei giudizi, si hanno delle “norme” e come tali creano delle “aspettative comportamentali” presso terzi. Le norme possono arrivare non solo ad influenzare il comportamento ma anche i valori e le emozioni, fino ad influenzare altre norme.
Sia il percepire che il vedere sono attività che dipendono in gran parte dalle nostre abitudini, una molteplicità di sistemi simbolici e linguaggi viene a filtrare le nostre esperienze, costruendo la descrizione non della verità ma di una delle verità, fornendo per tale via un significato al mondo in cui viviamo. Ne consegue che un fatto risulta determinato solo in relazione ad uno schema concettuale, costruito all’interno di una determinata cultura umana.
Dobbiamo quindi definire il concetto di cultura quale complesso di atteggiamenti, di istituzioni, idee, tecniche ed oggetti concreti, elaborati da una società per soddisfare i bisogni dei suoi componenti, esistono a riguardo bisogni primari, relativi all’autoconservazione e bisogni secondari di carattere derivato. Il consolidamento del patrimonio di conoscenze utili alla conservazione e sopravvivenza di un sistema sociale diventa “tradizione”.
Malinowcki individua i bisogni primari in quelli di:
- sussistenza, istituzioni di natura economica;
- sessuali e di riproduzione, istituzioni di natura sociale;
- difesa, istituzioni di natura economica, tecnologica e sociali;
- associazione, istituzioni di natura sociale;
- diporto, istituzioni di natura sociale;
- culturali o secondari, derivano dagli altri.
Entro ogni cultura vi sono due movimenti che si contrappongono, uno conservativo di accumulazione della tradizione e trasmissione alle future generazioni, l’altro di trasformazione delle strutture e delle funzioni.
Fattori dinamici di trasformazione culturale, quali le innovazioni tecnologiche, la diffusa immigrazione, la selezione-integrazione culturale, l’acculturazione, con la trasformazione radicale di una cultura a contatto con altre culture, devono essere fonte di una reinterpretazione e adattamento così da doversi trovare in equilibrio con la tradizione, se non si vuole rischiare di travolgere l’ordine ed i valori sociali su cui si fonda.
Questa esigenza è tanto profonda che anche in Paesi di antica e radicata democrazia, come la Danimarca e la Svezia, innanzi a grossi flussi migratori non omogenei culturalmente, viste le tensioni createsi, è sorto il problema non solo dell’integrazione ma anche dell’assimilazione, come garanzia contro il rischio e la paura di una perdita di identità.
Il rapporto tra culture distanti tra loro è sempre stato fonte di tensione, tanto maggiore quanto grande è la differenza, ne risulta l’assenza di interazione e una incomprensione avente ad oggetto innanzitutto il linguaggio.
L’identità è la percezione che il gruppo ha di se stesso all’interno di una visione generale del mondo, essa si forma mediante un sistema di valori e conoscenze, sebbene di natura psicologica si deve riconoscerne la sua necessità biologica nella formazione della “personalità”, in cui il valore di verità dei costrutti cognitivi risulta del tutto relativo, una utilità peraltro funzionale alle relazioni sociali.
Il linguaggio deve essere quindi valutato non solo in termini strutturali, ma anche quale comportamento sociale, dove accanto alla “comprensibilità” vi è la “accettabilità”, esso diventa perciò modello comportamentale e della attività di categorizzazione sia della realtà sociale che fisica. Ciascuna lingua è solo apparentemente compatta e coerente a tal punto da formare interamente il comportamento, essa è piuttosto una comunità linguistica costituita al proprio interno da varie e differenti reti linguistiche.
Non esiste una coincidenza perfetta tra linguaggio e pensiero, nei rapporti interviene l’elemento culturale a cui si aggiunge il fattore biologico di una specifica situazione ambientale, la tecnologia è pertanto interpretata nel suo quotidiano nel rapporto cultura-biologia, da cui ne consegue la differente visione tra diverse culture degli stessi sviluppi tecnologici, di cui ne è un esempio l’informatica.
In Cina e Giappone vi è un approccio all’informatica del tutto positivo, con una identificazione totale con il mezzo, i bambini vengono lasciati a interloquire con degli umanoidi senza preoccuparsi delle eventuali conseguenze, tanto lessicali che comportamentali.
Studi condotti in Inghilterra dalla dottoressa Richardson alla De Monfort University di Leicster (vedere anche Vittorio Saradin, Generazione Z. Se i bambini si comportano come i robot, 30, in La Stampa del 3 luglio 2018) , sembrano confermare la perdita della capacità di comunicare quale essere umano, d’altronde il sistema di scrittura per ideogrammi e la struttura sociale fortemente gerarchica facilita l’acquisizione e l’adattamento ai codici informatici.
Secondo McLuhan tutto quello che l’uomo fa è interpretabile quale forma di linguaggio, dobbiamo infatti considerare il comunicare elemento fondamentale della società, in quanto indispensabile per qualsiasi forma di relazione sociale.
Il progresso tecnico non comporta di per sé un miglioramento nella comunicazione, molte volte può risolversi più semplicemente in un accumulo progressivo e disordinato in termini quantitativi e non qualitativi delle informazioni stesse, si tratta in definitiva di “rumore” che nel sovrapporsi ai messaggi ne riduce notevolmente sia la qualità che la fruibilità.
Finora nella comunicazione di massa il modello è stato unidirezionale, con l’era informatica diventa bidirezionale, questo di per sé non garantisce la qualità dell’informazione, in quanto il feed-back potrebbe essere organizzato ai soli fini del controllo sull’efficacia dell’informazione trasmessa. Valgono quindi sempre i tre livelli individuati da Shannon:
- livello tecnico,qualità e fedeltà dei “segnali”;
- livello semantico, accuratezza dei “segnali” nel trasmettere l’informazione;
- livello di efficacia, influenza sul destinatario.
Ogni linguaggio si contraddistingue per unicità e condivisione di un codice omogeneo e globale, esistono peraltro più codici essendovi più medium, in questa evenienza vi è un codice organizzatore a fronte degli altri sussidiari, tanto che Antinucci parla di “ separatezza”e “dominanza”.
L’individuo nella società di massa tende ad essere isolato con legami sociali e tradizionali allentati, l’isolamento ne favorisce la manipolazione e il controllo, egli non fa più parte di un gruppo definito da una propria identità, bensì di un pubblico indefinito nello spazio e scollegato su cui creare una realtà. La lotta per il controllo della realtà che si vuole creare e pertanto dell’uso del medium, come afferma Mannhein vi è un condizionamento costante e pervasivo che fa sì che non sia corretto dire che l’individuo pensa.
L’informatica con le possibilità relazionali che crea appare volere superare questo isolamento, ma rischia di creare una apparenza, ancor più grave in quanto non evidente nelle potenziali manipolazioni, in cui è lo stesso individuo che viene inconsapevolmente a partecipare attivamente al suo controllo con la collaborazione nella creazione dei codici espressivi e livellandosi al minimo comune denominatore.
Conformismo culturale e al contempo un particolare prestigio conferito a coloro che partecipano alla comunicazione, aumentano l’effetto dei messaggi, potenziando l’autorità morale sugli individui e gruppi sui quali si esercita il controllo manipolativo (Lazarsfeld e Merton).
Ogni strumento di comunicazione, per quanto tecnologicamente avanzato, ha in sé due grandi funzioni (Wright):
- funzioni manifeste;
- funzioni latenti;Inoltre possono distinguersi, a seconda dell’ampiezza della possibilità di partecipazione, in (McLuhan):
- medium freddi, ad ampia partecipazione;
- medium caldi, a limitata partecipazione, essendo ad alta definizione.
Nell’era informatica noi stessi nell’interagire diventiamo informazione attiva (McLuhan), si ha una configurazione di tutte le variabili sociali e individuali nel loro insieme, creando una serie di nuovi campi culturali e ridefinendo i vecchi con nuovi codici linguistici ed espressivi, fino a creare delle nuove realtà in cui sorge il dubbio se sono nella realtà i codici che guidano una mente apparentemente libera.
Note
- Manesco A., Arte e politica nell’ultimo Dufrenne, Clued, 1976;
- Dufrenne M., Fenomenologia dell’esperienza estetica, Lerici, 1969;
- Migliorini E., Introduzione all’estetica contemporanea, Le Monnier, 1980.
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