E’ circostanza pacifica quella per la quale, ferme restando le necessarie maggioranze, l’assemblea condominiale può disporre dei diritti relativi alle parti comuni, ma non certo di quelli dei singoli condòmini, pertanto, la delibera che approva l’accordo transattivo, non può impedire che il singolo condomino difenda in giudizio la sua proprietà privata.
E’ quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2444, pubblicata in data 8 febbraio 2016.
Ed invero accadeva che alcuni condòmini convenivano in giudizio un altro partecipante alla comunione, chiedendo la demolizione del ballatoio e della canna fumaria edificati dal convenuto nell’appartamento di proprietà, ubicato nello stabile in condominio, contiguo a quello degli attori
Costituendosi in giudizio, lo stesso resisteva alla domanda attorea e, in riconvenzionale, chiedeva la condanna dei medesimi al risarcimento del danno a cagione di alcune infiltrazioni d’acqua riscontrare nel suo appartamento, asseritamente provenienti da quello degli attori.
In primo grado la domanda veniva integralmente accolta, con declaratoria di inammissibilità della spiegata riconvenzionale.
A seguito di appello proposto dal soccombente, la Corte di Appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda relativa alla demolizione della canna fumaria, confermando per il resto la sentenza gravata.
Il giudizio, pertanto, perveniva alla seconda sezione civile della Suprema Corte, alla quale veniva chiesta la cassazione della sentenza sulla scorta di cinque motivi di ricorso, tra cui: “il vizio di motivazione della sentenza impugnata, con riferimento alla eccepita cessazione della materia del contendere; si deduce, in particolare, che la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare cessata la materia del contendere, per avere i coniugi (omissis) votato in sede di assemblea condominiale — senza operare alcuna riserva — una delibera di approvazione di un accordo transattivo in forza del quale il Tirelli avrebbe acquisito il diritto di mantenere il ballatoio realizzato”.
Come detto, la Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, non condivide affatto l’assunto di parte ricorrente e, pertanto, rigetta il ricorso, condannando lo stesso al pagamento delle spese di lite.
Per motivare il rigetto sul punto, la stessa riferisce come: “l’assemblea condominiale, se può disporre — con le prescritte maggioranze — dei diritti relativi alle parti comuni dell’edificio, non può disporre dei diritti relativi alle parti di proprietà esclusiva dei singoli condomini. Pertanto, la delibera dell’assemblea condominiale di approvazione dell’accordo transattivo non poteva in alcun modo vincolare gli attori nella disposizione e nella tutela dei loro diritti”.
Pertanto, la circostanza relativa alla approvazione da parte dei condòmini, parti nel successivo giudizio, di un accordo transattivo tendente a sanare l’illegittima realizzazione di un’opera edile (nella specie un ballatoio), edificata a ridosso della loro proprietà, non preclude agli stessi – successivamente – di chiedere giudizialmente la rimozione della stessa.
Ed invero, tra le attribuzione dell’assemblea, delineate dall’art. 1135 c.c., sicuramente non rientrano le opere ovvero gli interventi afferenti le proprietà o porzioni della stessa, di pertinenza dei singoli condòmini, pertanto, secondo la sentenza in commento, la volontà assembleare, quand’anche formatasi con il consenso dei condòmini interessati all’intervento edilizio, non preclude agli stessi di agire a posteriori in giudizio per la tutela dei propri diritti individuali.
Per la verità, detto orientamento della Suprema Corte, sembrerebbe porsi in contrasto, con un altro orientamento, risalente nel tempo, per il quale: “In materia di condominio degli edifici l’autonomia privata consente alle parti di stipulare convenzioni che limitano il diritto dominicale di tutti o di alcuni dei condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà nell’interesse di tutto il condominio o di una sua parte. Tali convenzioni, che possono essere anche inserite nei regolamenti condominiali, i quali nella relativa parte assumono natura contrattuale, richiedono per la loro validità l’approvazione scritta da parte di tutti i condomini, sia mediante accettazione del regolamento eventualmente predisposto dall’originario unico proprietario dell’edificio, sia mediante il consenso manifestato in seno all’assemblea dal singolo condomino, nel caso di regolamento formato con l’approvazione dell’assemblea dei condomini” (Cass. civ. Sez. II, 19/10/1998, n. 10335. Nello stesso senso: Cass. civ. Sez. II, 21/05/1997, n. 4509).
Ciò posto, premesso che non è dato sapere, nel caso concreto, se la transazione fosse stata deliberata e sottoscritta da tutti i partecipanti al condominio, nulla si dice in merito nella sentenza in commento, tuttavia, il dato certo è quello per cui i condòmini attori avevano regolarmente approvato l’accordo transattivo con la propria controparte.
Pertanto, particolarmente severo si appalesa il principio odiernamente espresso dalla Suprema Corte, il quale mette in dubbio lo stesso concetto di transazione, per come delineato dall’art. 1965 c.c., ma anche l’autonoma iniziativa delle parti.
Ed invero: “La transazione è il contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro. Con le reciproche concessioni si possono creare, modificare o estinguere anche rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e della contestazione delle parti” (art. 1965 c.c.).
I condòmini attori, con la approvazione della transazione avevano comunque deciso di fare una concessione di un diritto di loro esclusiva pertinenza, proprio al fine di prevenire una eventuale lite, ritenere legittimo un successivo giudizio nel quale, di fatto, gli stessi mettono in discussione proprio quella concessione e, pertanto, il contenuto della transazione sottoscritta, sembrerebbe minare la certezza del diritto in merito alle obbligazioni legittimamente assunte dalle parti.
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