La translatio judicii e le questioni rilevabili d’ufficio

Premessa

Con la decisione in commento, il giudice tributario ennese, fornisce alcuni spunti di riflessione per la soluzione di alcuni problemi applicativi che derivano dal rapporto tra la translatio judicii e l’eccezione di decadenza formulata per la prima volta in sede di riassunzione a seguito della translatio.

In particolare, se l’eccezione di decadenza – per essere preclusiva degli effetti sananti della translatio – debba essere eccepita avanti al primo giudice erroneamente adito o può essere sollevata, col medesimo effetto preclusivo, anche avanti al giudice adito in sede di translatio.

Sebbene la decisione ha affrontato la questione della translatio nel regime anteriore alla recente introduzione nel nostro ordinamento di tale principio, avvenuto con l’art. 59 del DLS 69/09,1 tuttavia merita di essere segnalata in quanto le preclusioni e le decadenze costituiscono, anche per la nuova norma introdotta dall’art. 59, il limite estremo oltre il quale la sanatoria della riproposizione della domanda per effetto della translatio non si può spingere, come recita chiaramente il comma 2 dell’art. 59, secondo il quale:

«1. Il giudice che, in materia civile, amministrativa, contabile, tributaria o di giudici speciali, dichiara il proprio difetto di giurisdizione indica altresì, se esistente, il giudice nazionale che ritiene munito di giurisdizione. La pronuncia sulla giurisdizione resa dalle sezioni unite della Corte di cassazione è vincolante per ogni giudice e per le parti anche in altro processo.

2. Se, entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia di cui al comma 1, la domanda è riproposta al giudice ivi indicato, nel successivo processo le parti restano vincolate a tale indicazione e sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe prodotto se il giudice di cui è stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito fin dall’instaurazione del primo giudizio, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute. Ai fini del presente comma la domanda si ripropone con le modalità e secondo le forme previste per il giudizio davanti al giudice adito in relazione al rito applicabile».

È allora di tutta evidenza l’importanza pratica di sapere in quale momento l’eccezione di decadenza2 deve essere sollevata per impedire la utile prosecuzione del giudizio in sede di translatio. A ben vedere, infatti, l’art. 59 non dice in quale momento le preclusioni e le decadenze sono da considerarsi intervenute: intervenute anteriormente al momento della prima domanda giudiziale avanti al giudice privo di giurisdizione o intervenute successivamente a tale momento?

Per meglio comprendere il percorso argomentativo sul punto della sentenza in commento, occorre sintetizzare i fatti di causa.

 

I fatti di causa.

La ricorrente aveva impugnato, avanti al Tribunale di Enna – Giudice del Lavoro, una cartella esattoriale notificatagli per omesso versamento dei contributi del SSN. Il processo veniva iscritto nel 2003.

L’INPS, quale ente impositore, nel costituirsi in giudizio eccepiva il difetto di giurisdizione in favore del giudice tributario.

Con sentenza depositata il 28.2.2008, il giudice del lavoro di Enna, accoglieva l’eccezione e dichiarava il difetto di giurisdizione.

La ricorrente, avvalendosi della sentenza della Corte Costituzionale nr. 77/20073 non essendo ancora in vigore l’art. 59 del DLS 69/09, riassumeva il giudizio avanti la Commissione tributaria di Enna, notificando il ricorso all’INPS il 9 aprile 2008.

Avanti al giudice tributario adito dalla ricorrente in sede di translatio, l’INPS eccepiva, per la prima volta, la decadenza dall’impugnazione della cartella esattoriale, per essere avvenuta oltre il termine previsto dall’art. 24, comma 5, DLS 46/1999 fissato perentoriamente in giorni 40 dalla notifica della cartella di pagamento.

Secondo l’ente, infatti, anche ammesso che nella cartella era stato indicato per errore il giudice del lavoro, comunque la ricorrente avrebbe dovuto adire il giudice tributario quantomeno a partire dalla data “di piena ed effettiva conoscenza dell’errore e della esatta indicazione, da parte dell’INPS, del giudice avente giurisdizione, depositando il ricorso nei termini di legge”. In pratica, secondo l’INPS, il giudice tributario avrebbe dovuto essere adito nel corso del processo avanti al giudice del lavoro di Enna, nel momento in cui la ricorrente in quel giudizio era venuta a conoscenza dell’errore per effetto dell’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dall’INPS nella sua memoria di costituzione.

Questi i fatti.

Con la sentenza in commento, il giudice tributario ennese, ha rigettato l’eccezione di decadenza formulata dall’INPS ed ha accolto il ricorso del privato annullando l’iscrizione a ruolo. Ed è qui, nella motivazione della decisione, che si colgono gli aspetti di rilievo che passiamo ad esaminare.

 

L’ambito temporale di operatività dell’eccezione di decadenza.

Secondo i giudici tributari di Enna, sulla premessa che:

«è pacifico e incontestato tra le parti che la cartella ha indicato erroneamente come giudice munito di giurisdizione il giudice del lavoro. Altrettanto deve dirsi che la materia oggetto di causa, ossia i contributi per il servizio sanitario nazionale, è attribuita alla cognizione del giudice tributario»,

e che

«l’INPS, mentre nel giudizio avanti al giudice del lavoro di Enna ha eccepito il difetto di giurisdizione in favore del giudice tributario, in questo giudizio ha eccepito la diversa questione della decadenza per violazione del termine di quaranta giorni dalla notifica per impugnare la cartella previsto dall’art. 24, comma 5, DLS 46/1999».

ne ha dedotto che

«il termine di quaranta giorni per impugnare la cartella non decorre dal momento in cui il ricorrente era venuto a conoscenza dell’eccezione di difetto di giurisdizione proposta dall’INPS nella sua memoria, ma dal passaggio in giudicato della sentenza del giudice del lavoro di Enna, che dichiara il proprio difetto di giurisdizione».

per concludere poi che

«il termine è stato rispettato, dato che la sentenza è stata depositata il 28.2.2008 e la riassunzione avanti questo giudice tributario è avvenuta il 9 aprile 2008 con la spedizione a mezzo raccomandata ar all’INPS, e, il successivo 11 aprile 2008, con il deposito del ricorso presso la segreteria della Commissione, quindi, nel pieno rispetto del termine».

 

La translatio impedisce la decadenza.

Con questi argomenti la commissione tributaria percorre un passaggio ermeneutico interessante ma certamente complesso e che proprio per questo offre alcuni spunti di riflessione.

In definitiva, la decadenza dall’impugnazione della cartella, decorrendo dal passaggio in giudicato della sentenza che dichiarava il difetto di giurisdizione in favore del giudice tributario, non era maturata proprio per effetto della translatio, operata dalla ricorrente nei termini a mezzo la riassunzione prima del passaggio in giudicato della sentenza del giudice del lavoro che era stato erroneamente adito dal privato. Vale a dire che, anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza del giudice del lavoro declinatoria della giurisdizione in favore del giudice tributario, il privato aveva a disposizione 40 giorni per riassumere la causa avanti al giudice tributario, impendendo così la decadenza. Nel caso di specie, il privato addirittura ha riassunto la causa prima del passaggio in giudicato della sentenza stessa. Ma, come detto, la sentenza apre la riflessione anche sotto altro punto di vista e nei termini che seguono.

 

Il problema delle decadenze “intervenute”. Le questioni rilevabili d’ufficio.

Infatti, anche se la decisione in commento è stata emessa nel regime previgente all’art. 59 del DLS 69/09, tuttavia dal complesso degli argomenti fin qui raggruppati ne emerge un dato assai interessante: siamo di fronte ad un effetto della translatio del tutto nuovo e non previsto nemmeno dall’art. 59 citato più volte. Vediamo in dettaglio.

Secondo l’art. 59, comma 2 del DLS 69/09,

Se, entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia di cui al comma 1, la domanda è riproposta al giudice ivi indicato, nel successivo processo le parti restano vincolate a tale indicazione e sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe prodotto se il giudice di cui è stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito fin dall’instaurazione del primo giudizio, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute.

Su questo comma, la celere dottrina a prima lettura ha giustamente rilevato i dubbi interpretativi che la norma suscita, precisando a tal proposito che:

«Rimane per il legislatore delegato, il compito di risolvere… i problemi aperti dalla formula del c. 2 dell’art. 59: poiché non si può pensare che la decadenza, destinata a rimare ferma ex art. 59, sia ineluttabilmente quella che si produce per il decorso del termine di impugnazione di un provvedimento (ché altrimenti la salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda originariamente proposta a giudice privo di giurisdizione risulterebbe per larga parte priva di significato), il legislatore delegato dovrà precisare se le preclusione e le decadenze che l’art. 59 sancisce rimangono ferme siano quelle che si siano eventualmente prodotte all’interno del processo sfociato nella declinatoria di giurisdizione, ovvero se a rimanere ferme siano anche le preclusioni e le decadenze che conseguono all’impossibilità di far salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda originariamente proposta a giudice privo di giurisdizione a causa della non scusabilità – che il giudice “riassunto” dovrebbe quindi valutare – dell’errore in cui la parte sia incorsa nel radicare innanzi a lui la controversia».4

Col che, in definitiva, si tratta di individuare, ancora oggi, l’oggetto della preclusione e l’oggetto della decadenza.

Come invero ha precisato *******, mentre il riferimento alle preclusioni:

«(di norma endo-processuali) è fuorviante e superfluo (infatti le preclusioni di allegazioni e prove scatteranno solo avanti al giudice con giurisdizione e in sintonia con il suo rito processuale)»;

diverso è il caso delle decadenze, dato che qui:

«deve invece necessariamente intendersi inerente ai poteri pre-processuali (segnatamente all’esercizio del potere di azione, ossia al rispetto del termine – ove fosse previsto – entro il quale la parte dovrà proporre l’azione specie avanti al giudice amministrativo o tributario), posta la esplicita salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda (e così il non verificarsi della decadenza di diritto sostanziale, ossia dal potere di esercitare il diritto fatto valere), sancita dal comma 2 dell’art. 59»,5

per concluderne che occorre fare riferimento alla proposizione “nei termini” della domanda originaria, per cui:

«Da ciò deriva che la sancita salvezza degli effetti processuali e sostanziali della domanda inizialmente proposta non si produrrà se questa, una volta individuato il giudice avente giurisdizione al riguardo, risulti – per le regole proprie di quella giurisdizione – tardivamente proposta allorché iniziò a pendere il processo. La domanda così proposta verrà dichiarata necessariamente inammissibile».6

Diversamente per il caso in cui la domanda originaria sia stata proposta nei termini, dato che qui:

«Se, al contrario, la domanda (ad es. di impugnativa di un provvedimento della p.a.) venga proposta nei termini perentori, ma innanzi ad un giudice privo di giurisdizione, nulla quaestio: qui opererà la translatio e la causa potrà fruttuosamente essere riassunta innanzi al giudice avente giurisdizione al riguardo».7

Ora, la riflessione della dottrina citata lascia comunque sul tappeto un problema: Cosa accade se la decadenza maturata prima della translatio non sia stata oggetto della cognizione del primo giudice sfornito di giurisdizione e venga posta per la prima volta avanti al giudice “riassunto”? A tenore dei commenti citati, la domanda sarebbe inammissibile, posto che la norma fa esclusivo riferimento alle decadenze “intervenute”, rimandando quindi a tutte quelle fattispecie di esercizio tardivo del “potere di agire in giudizio” rilevabili d’ufficio, siano esse state conosciute o meno dal giudice sfornito di giurisdizione.

Per cui, ne rimangono escluse tutte le fattispecie di decadenze “a rilievo di parte”, per le quali ne deriva la improponibilità nel giudizio riassunto.

Ora, se la decadenza ha ad oggetto la proponibilità della domanda per decorso del termine previsto dalla legge, ossia una tipica questione rilevabile d’ufficio, la translatio sarebbe sempre inutile: il giudice “riassunto” dichiarerebbe la improponibilità della domanda per decadenza “intervenuta”.

Ma questo risultato è incoerente con la natura della translatio la quale ha un senso soltanto se consente la riassunzione della causa su tutte e soltanto le questioni rilevate avanti al primo giudice, posto che:

«Si tratta sempre del medesimo rapporto processuale e dunque della medesima pendenza della causa quale instaurata dalla domanda inizialmente resa pendente innanzi ad un giudice “incompetente” e poi riassunta davanti a quello “competente”, senza poter essere mutata».8

Detto in altre parole, se “a passare” dal primo al secondo giudice è “lo stesso rapporto processuale”, quindi un rapporto che coinvolge tutte le questioni rilevate avanti al primo giudice, ne rimangono fuori:

  1. le questioni ad eccezione di parte ma non rilevate e

  2. le questioni rilevabili d’ufficio avanti al primo giudice, ma avanti a lui non poste o da lui non rilevate.

La conclusione, non ortodossa, non deve stupire.

Infatti, non si capisce per quale motivo se il primo giudice non rileva (o avanti a lui non è posta) una questione rilevabile d’ufficio, a seguito della translatio tale questione dovrebbe essere “resuscitata”. Se per questioni rilevabili d’ufficio si intendono quelle che possono essere sollevate in ogni stato e grado (del medesimo) processo avanti a quel giudice, questo principio implica che la questione non “passa” tra processi diversi poiché appartenenti a diverse giurisdizioni.

Diversamente ragionando la translatio non servirebbe a nulla poiché avremmo il “fantasma” della questione d’ufficio “rilevabile ma non rilevata” che potrebbe (ri) presentarsi in qualsiasi momento avanti al giudice della riassunzione, magari a distanza di alcuni anni dalla riassunzione stessa, con evidente spreco di risorse.

Sono i principi regolatori del giusto processo che impongono al giudice di pronunciarsi subito sulla questione rilevabile d’ufficio.

Un argomento a conferma lo si trova nella lettura di *******, sopra citata. L’Autore, precisa infatti cosa accade nel passaggio da un giudice ad un altro, affermando che:

«Una volta riassunto il processo innanzi al potere giurisdizionale “competente”, il procedimento sarà retto dalle norme dettate per lo svolgimento del processo innanzi a quella giurisdizione (come emerge da quanto sancito dall’ultima parte del comma 2 – sempre un po’ equivoco nella sua formulazione – che recita “ai fini del presente comma la domanda si ripropone con [recte: la causa si riassume secondo] le modalità e secondo le forme previste per il giudizio davanti al giudice adito in relazione al rito applicabile”). Fin qui la norma non pone invero molti problemi purché sia chiaro che di vera riassunzione si tratterà».9

Facendo proprie le conseguenze di questo ragionamento, ne consegue che la questione rilevabile d’ufficio ma non rilevata avanti al giudice sfornito di giurisdizione, perirà a seguito della translatio. Solo una concezione metafisica del processo potrebbe salvare la questione “rilevabile d’ufficio” ma non rilevata anche nel passaggio tra diverse giurisdizioni, come un “universale” del quale francamente non si sente proprio il bisogno. Tanto è vero che lo stesso Autore, ha proposto una riscrittura della norma, precisando, significativamente che:

«Se la riassunzione della causa innanzi al giudice individuato avviene nel termine perentorio di tre mesi dalla pubblicazione o comunicazione del provvedimento, il processo continua innanzi al nuovo giudice. La tempestiva riassunzione fa salva l’efficacia delle prove già raccolte. Restano però ferme le decadenze dal potere di azione intervenute…».10

Ed è proprio in un passaggio della decisione in commento che tale questione viene rettamente posta. Vediamo il passaggio della motivazione:

«L’INPS, mentre nel giudizio avanti al giudice del lavoro di Enna ha eccepito il difetto di giurisdizione in favore del giudice tributario, in questo giudizio ha eccepito la diversa questione della decadenza per violazione del termine di quaranta giorni dalla notifica per impugnare la cartella previsto dall’art. 24, comma 5, DLS 46/1999»,

per concluderne che:

«L’eccezione è infondata per i seguenti motivi. Come eccepito dalla ricorrente nelle memorie depositate in atti, l’eccezione è tardiva, posto che l’INPS si è costituita il 26/6/2008, quindi, oltre il termine previsto ai sensi dell’art. 23 del DLS 546/92, di sessanta giorni dalla notifica del ricorso, a pena di decadenza dalla facoltà di proporre eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio».

Siamo consapevoli che l’art. 59 del DLS 69/09 citato non autorizza l’interpretazione qui adottata poiché va contro alcuni miti del processo civile (come la rilevabilità d’ufficio di alcune questioni in qualunque stato e grado del processo). Ma questo divieto è irrazionale tanto quanto il mito che vuole preservare.11

 

 

*****************

 


La sentenza per esteso.

Con ricorso depositato avanti a questa Commissione il 11.4.2008, la ricorrente premetteva che con ricorso al giudice del lavoro di Enna, iscritto al nr. 383/03, aveva impugnato la cartella di pagamento notificata il 13 maggio 2003, nr. 294 2003 00101695 00 e il ruolo 2003/81, con la quale l’INPS aveva chiesto il pagamento della somma di Euro 11.555,08 per omessi versamenti di contributi del S.S.N. aziende, nonché per sanzioni ed accessori. Contro l’atto impugnato chiedeva al giudice adito di “annullare ed indi disporre la cancellazione dell’iscrizione nel ruolo impugnato nr. 2003/81 delle somme pretese dall’INPS ed indi revocare o con qualsivoglia pronuncia porre nel nulla l’impugnata cartella dichiarando non dovute le somme pretese ed ingiunte dall’INPS, dalla società per azioni S.C.C.I. e dal Concessionario con la cartella impugnata; condannare l’INPS al risarcimento dei danni nella misura di € 11.555.08 o in quell’altra misura che il giudice riterrà equa; condannare l’INPS al pagamento di spese e compensi del giudizio».

Nel giudizio così instaurato avanti al giudice del lavoro, si costituiva l’INPS con comparsa 8.1.2004 eccependo il difetto di giurisdizione.

Con sentenza nr. 78/08 del 26.2.2008 in atti, il giudice adito dalla ricorrente dichiarava il difetto di giurisdizione in favore del giudice tributario.

A seguito di tale decisione, la ricorrente adiva questa Commissione tributaria, riproponendo, a mezzo trascrizione, l’intero contenuto del ricorso proposto avanti al giudice del lavoro di Enna ed inoltre, deduceva che sulla scorta della sentenza della Corte Costituzionale nr. 77/2007 che ha stabilito che gli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione si conservano, a seguito di declinatoria di giurisdizione, nel processo proseguito davanti al giudice munito di giurisdizione, per effetto della sentenza del giudice del lavoro che ha declinato la giurisdizione in favore del giudice tributario, il giudizio doveva proseguire avanti questa commissione e chiedeva, nelle spiegate conclusioni di:

« preliminarmente, sussistendone i gravi motivi, sospendere inaudita altera parte l’esecuzione del ruolo ed indi la esecuzione della cartella impugnata nr. 294 2003 0010169500;

fatta salva la sospensione di cui al punto 1, sempre in via preliminare nel rito, sospendere per pregiudizialità, il presente giudizio in attesa della definizione della causa 489/00; o, in via subordinata,

nel merito: per tutti i motivi sopra esposti, annullare ed indi disporre la cancellazione dell’iscrizione nel ruolo impugnato nr. 2003/81 delle somme pretese dall’INPS ed indi revocare o con qualsivoglia pronuncia porre nel nulla l’impugnata cartella e il ruolo dichiarando non dovute le somme pretese ed ingiunte dall’INPS, dalla società per azioni S.C.C.I. e dal Concessionario con la cartella impugnata;

condannare l’INPS al risarcimento dei danni nella misura di € 11.555.08 o in quell’altra misura che il giudice riterrà equa.

condannare l’INPS al pagamento di spese e compensi del giudizio».

Si costituiva in giudizio l’INPS con memoria del 25.6.2008 la quale, preliminarmente deduceva che la ricorrente era incorsa nella decadenza prevista dall’art. 24, comma 5, DLS 46/1999 fissato perentoriamente nel termine di giorni 40 dalla notifica della cartella di pagamento. Termine che, a giudizio dell’INPS, avrebbe dovuto essere rispettato anche nel caso, come quello di specie, che la cartella indicava come giudice competente erroneamente il giudice del lavoro. Secondo l’INPS, infatti, la ricorrente avrebbe dovuto comunque adire il giudice tributario quantomeno a partire dalla data (pag. 2/3 memoria dell’INPS) “di piena ed effettiva conoscenza dell’errore e della esatta indicazione, da parte dell’INPS, del giudice avente giurisdizione, depositando il ricorso nei termini di legge”. Si costituiva la SERIT SICILIA S.p.a. di Enna con memoria depositata il 12/5/2008, la quale deduceva la propria mancanza di legittimazione passiva, e la legittimità del proprio operato, chiedendo il rigetto del ricorso.

Non si costituivano: la S.C.C.I. S.p.A. (società di cartolarizzazione dei crediti) con sede in Roma; la Montepaschi SERIT. s.p.a. concessionario del servizio nazionale di riscossione, sede centrale di Palermo; e la Montepaschi SERIT, sportello di Nicosia.

All’udienza del 19/5/2008 veniva accolta la richiesta di sospensione dell’atto impugnato e fissata l’udienza per la trattazione del ricorso. All’udienza del 3/12/2008 la causa veniva trattata e posta in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

In via preliminare deve essere delibata l’eccezione di decadenza sollevata dalla resistente.

L’eccezione è infondata per i seguenti motivi.

Come eccepito dalla ricorrente nelle memorie depositate in atti, l’eccezione è tardiva, posto che l’INPS si è costituita il 26/6/2008, quindi, oltre il termine previsto ai sensi dell’art. 23 del DLS 546/92, di sessanta giorni dalla notifica del ricorso, a pena di decadenza dalla facoltà di proporre eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio.

In ogni caso, l’eccezione di decadenza è infondata nel merito.

Invero, è pacifico e incontestato tra le parti che la cartella ha indicato erroneamente come giudice munito di giurisdizione il giudice del lavoro. Altrettanto deve dirsi che la materia oggetto di causa, ossia i contributi per il servizio sanitario nazionale, è attribuita alla cognizione del giudice tributario.

La ricorrente ha riassunto nei termini il giudizio a seguito della declinatoria di giurisdizione, avvalendosi della pronuncia della Corte Costituzionale 12/3/2007 n.77, secondo la quale «gli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione si conservano, a seguito di declinatoria di giurisdizione, nel processo proseguito davanti al giudice munito di giurisdizione».

Occorre allora confrontare il principio della translatio con l’oggetto dell’eccezione di decadenza mossa dall’INPS per verificare se e in che misura tale eccezione possa impedire o meno la conservazione degli effetti processuali e sostanziali della riassunzione avanti al giudice munito di giurisdizione.

L’INPS, mentre nel giudizio avanti al giudice del lavoro di Enna ha eccepito il difetto di giurisdizione in favore del giudice tributario, in questo giudizio ha eccepito la diversa questione della decadenza per violazione del termine di quaranta giorni dalla notifica per impugnare la cartella previsto dall’art. 24, comma 5, DLS 46/1999.

Nel caso che ci occupa, la ricorrente si rivolse al giudice del lavoro, per effetto della erronea indicazione nella cartella del giudice da adire, ma ciò è avvenuto nei termini di legge.

Così operando, ha conservato gli effetti sostanziali e processuali della domanda erroneamente proposta avanti al giudice del lavoro, nella successiva fase di riassunzione avanti a questo giudice tributario.

Dalla errata indicazione del giudice da adire contenuta nella cartella, non ne deriva – come invece ritiene l’INPS ­ – l’obbligo della ricorrente di adire il giudice tributario non appena venuta a conoscenza leggendo la memoria di costituzione dell’INPS avanti al giudice del lavoro.

Il termine di quaranta giorni per impugnare la cartella non decorre dal momento in cui il ricorrente era venuto a conoscenza dell’eccezione di difetto di giurisdizione proposta dall’INPS nella sua memoria, ma dal passaggio in giudicato della sentenza del giudice del lavoro di Enna, che dichiara il proprio difetto di giurisdizione.

Il termine è stato rispettato, dato che la sentenza è stata depositata il 28.2.2008 e la riassunzione avanti questo giudice tributario è avvenuta il 9 aprile 2008 con la spedizione a mezzo raccomandata ar all’ INPS, e, il successivo 11 aprile 2008, con il deposito del ricorso presso la segreteria della Commissione, quindi, nel pieno rispetto del termine.

La ricorrente, al punto 1 del ricorso ha dedotto che la cartella impugnata non è altro che la prosecuzione “esecutiva ed attuativa” del verbale del 21.9.1998, con il quale il 21 settembre 1998 gli ispettori di vigilanza dell’INPS di Enna avevano redatto il verbale di accertamento rilevando a carico della ricorrente alcune violazioni legate agli obblighi contributivi e di retribuzione.

A tale verbale, aveva fatto seguito una prima cartella di pagamento notificata il 24.10.2000 con la quale veniva chiesto il pagamento della somma di L. 207.346.907 per contributi previdenziali.

Avverso detta cartella la ricorrente deduce di aver proposto ricorso, (allegato in copia agli atti del fascicolo di parte) al Giudice del Lavoro di Enna, il quale con ordinanza del 29.11.2000 sospendeva l’esecuzione del provvedimento opposto.

Il citato ricorso, per cui pende la causa iscritta al nr. 489/2000 del Tribunale di Enna, ha avuto ad oggetto non solo l’iscrizione a ruolo portata dalla cartella impugnata, ma anche il merito della pretesa contributiva e la contestazione dell’accertamento ispettivo.

Sulla base di tale ricostruzione in fatto, è evidente che l’iscrizione a ruolo delle somme presuntivamente dovute per il SSN è stata eseguita in violazione dell’art. 24, comma 3 del DLT 26.2.1999 nr. 46 in quanto, ancora pendente la causa iscritta al nr. 489/2000 del Tribunale di Enna, avente ad oggetto la contestazione dell’accertamento ispettivo nessun “provvedimento esecutivo del giudice” era sopravvenuto.

Infondata, pertanto, è l’eccezione dedotta dall’INPS sulla tempestività dell’iscrizione a ruolo atteso che “nessun giudizio avente ad oggetto accertamento negativo sull’addebito ispettivo è mai stato proposto da controparte, la quale si è limitata ad opporsi ai ruoli ed alle conseguenti cartelle”.

Con la prima impugnazione nel merito della cartella avanti al Giudice del lavoro, fondata sulla asserita illegittimità del verbale ispettivo, l’intera pretesa accertativa è stata messa in discussione dalla ricorrente. Tale impugnazione ha esteso la sua efficacia impeditiva (ex art. 24, comma 3, DLS 46/1999) alle successive iscrizioni a ruolo fondate sul medesimo atto di accertamento.

E’ incontestato dalle parti che anche la cartella di pagamento oggetto del presente giudizio è scaturita dal medesimo verbale ispettivo del 21.9.1998. Di conseguenza, con l’impugnazione della prima cartella e col provvedimento di sospensione del giudice del lavoro, l’INPS non poteva procedere ad iscrivere a ruolo somme derivanti dal medesimo atto di accertamento.

Quanto alla domanda di condanna dell’INPS al risarcimento dei danni nella misura di € 11.555.08 o in quell’altra misura che il giudice riterrà equa, la Commissione osserva che, essendo la stessa fondata su un presunto comportamento illecito dell’ Istituto impositore, non sussumibile in nessuna delle fattispecie di cui all’art.2 del D.Lgs. n.546/1992 che rientrano nella giurisdizione tributaria .

Limitatamente a tale domanda deve pertanto essere dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice adito sussistendo la giurisdizione del giudice ordinario.

Per la natura della controversia, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di lite.

P. Q. M.

La Commissione, in parziale accoglimento del ricorso, annulla l’iscrizione a ruolo eseguita dall’INPS ufficio provinciale di Enna, di cui alla cartella di pagamento n. 29420030010169500 S.S.N. 2003 emessa nei confronti della ricorrente ************** con sede in Nicosia alla località San Paolo.

Limitatamente alla domanda di risarcimento del danno, dichiara il difetto di giurisdizione in favore del giudice ordinario. Compensa tra le parti le spese di giudizio.

Così deciso in camera di consiglio in Enna il 07.07.2009

1 La translatio introdotta nel 2009, si applica alle “riproposizioni” (per usare il termine della legge) della domanda da effettuarsi dopo il 4 luglio 2009, per il principio tempus regit actum codificato nell’art. 11 delle Preleggi al codice civile.

2 Per le “preclusioni” si veda appresso.

3 Secondo la quale «gli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione si conservano, a seguito di declinatoria di giurisdizione, nel processo proseguito davanti al giudice munito di giurisdizione».

4 Codice di procedura civile commentato, ******* – ************** (a cura di), IPSOA, 2009, 430.

5 C. *******, La legge di riforma 18 giugno 2009, n. 69: altri profili significativi a prima lettura, Corriere Giuridico, Ipsoa, 7/2009, 886.

6 Idem, 887

7 Idem.

8 Idem, 886.

9 Idem, 887.

10 Idem, 889/890, nota 12.

11 Mito che subisce una notevole eccezione nel caso di giudizio di rinvio: se la Cassazione non rileva una questione rilevabile d’ufficio, come noto tale errore non è emendabile in sede di rinvio (cfr. *******, Spiegazioni di diritto processuale civile, Cedam, 2006, tomo I, 254.

Avvocato Agozzino Giuseppe

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