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Introduzione: la trasparenza amministrativa.
La trasparenza è uno dei principi dell’azione amministrativa e una delle finalità che la stessa persegue ai sensi dell’art. 1 c. 1 l. 241/1990. Si tratta di un riferimento introdotto a seguito della riforma del 2005, al quale si attribuisce il significato di conoscibilità esterna dell’attività amministrativa. La trasparenza amministrativa consente, quindi, di effettuare un controllo sulla rispondenza dell’attività amministrativa agli interessi pubblici e ai canoni normativi. La previsione di tale principio, nell’ambito della l. 241/1990, segna una rottura rispetto al passato, in quanto contrappone alla segretezza dell’attività amministrativa la necessità di rendere la P.A. una casa di vetro[1]. Oggi, grazie alla l. 190/2012 e al D. Lgs. 33/2013, è stata introdotta una prospettiva ulteriore: la trasparenza viene, infatti, definita come una forma di prevenzione della corruzione, in quanto consente di porre in essere un controllo generalizzato e diffuso[2].
Le applicazioni del canone di trasparenza sono numerose: è possibile, in proposito, fare riferimento all’obbligo di motivazione, all’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento, alla partecipazione del privato al procedimento stesso e, soprattutto, all’accesso ai documenti amministrativi.
Il diritto di accesso, disciplinato dagli articoli 22 ss. l. 241/1990, costituisce uno dei “livelli essenziali delle prestazioni” di cui all’art. 117 c. 2 lett. m) Cost. e consiste nel diritto di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi al ricorrere degli specifici presupposti previsti dalla legge[3]. Le disposizioni in materia di diritto di accesso mirano a coniugare le esigenze di trasparenza e imparzialità dell’azione amministrativa con gli interessi contrapposti, inerenti non solo alla riservatezza di altri soggetti coinvolti, ma anche al buon andamento della P.A. stessa, al fine di evitare l’instaurazione di forme di controllo atipiche. A tutela di tale diritto, sulla cui natura giuridica si è a lungo discusso, il codice del processo amministrativo prevede, all’art. 116, un’apposita azione che si caratterizza per diverse specificità: il termine di impugnazione previsto è di trenta giorni e decorre dal diniego o dall’inerzia della P.A.; è necessaria la notifica ai controinteressati; si svolge con rito camerale e può concludersi con una sentenza di condanna al rilascio dei documenti; è ammessa la possibilità di presentare un’istanza di accesso direttamente al giudice in pendenza del giudizio.
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La natura, la funzione e i liniti dell’accesso civico.
Una forma peculiare di accesso è costituita dal cd. accesso civico, il quale trova, nell’art. 5 D. Lgs. 33/2013, una compiuta disciplina, integrata e completata dal D. Lgs. 97/2016[4]: si tratta del cd. accesso di “terza generazione”[5]. Il D. Lgs. 33/2013, nell’ambito del riordino della disciplina riguardante gli obblighi di trasparenza, pubblicità e diffusione delle informazioni da parte della P.A., codifica un diritto di accesso più ampio e generalizzato. L’accesso civico si sostanzia, infatti, nel diritto di chiunque di richiedere documenti, informazioni o dati che le pubbliche amministrazioni abbiano omesso di pubblicare, pur avendone l’obbligo.
Tuttavia, contrariamente a quanto previsto negli ordinamenti di stampo anglosassone, dove devono essere pubblicati tutti gli atti della P.A. ad eccezione di quelli espressamente vietati dalla legge, il D. Lgs. 33/2013 individuava inizialmente l’obbligo per la P.A. di pubblicare sul proprio sito internet atti riconducibili a tre categorie: atti sul personale e sull’azione della P.A.; atti di responsabilità, quali per esempio i bilanci; atti per la semplificazione dei rapporti con il cittadino (per esempio, la carta dei servizi). Tale elencazione veniva, però, considerata esemplificativa e non tassativa: restavano, in ogni caso, esclusi tutti quegli atti prodotti nel corso di una procedura di evidenza pubblica, per i quali doveva farsi riferimento ai più stringenti parametri previsti dall’art. 13 del D. Lgs. 163/2006[6], in quanto l’eventuale pretesa conoscitiva non riguardava documenti di interesse generale e per i quali appariva possibile lamentare l’omessa pubblicazione. Con le modifiche introdotte dal D. Lgs. 97/2016, la prospettiva è considerevolmente cambiata grazie alla previsione dell’accesso civico generalizzato sul modello del FOIA (Freedom of Information Act).
Con riguardo alla natura dell’istituto in oggetto, numerosi sono stati i dibattiti in dottrina, soprattutto in merito alla identificazione della situazione giuridica sottostante. In particolare, alcuni autori ritengono che sia rinvenibile un diritto soggettivo e, nello specifico, un diritto di credito: si tratterebbe di un vero e proprio rapporto obbligatorio tra cittadino e P.A., per il quale, tuttavia, non si rinvengono né la possibilità di valutare in termini patrimoniali la prestazione della P.A. né la presenza di un interesse individuale del soggetto privato[7]. Per sfuggire a tali critiche, altri autori ritengono sussistente la figura dell’interesse legittimo, ma, anche in tale ipotesi, non è presente un elemento fondamentale e cioè la posizione differenziata rispetto al quisque de populo[8]. Una ulteriore corrente di pensiero ritiene che l’accesso civico costituisca un caso eccezionale di giurisdizione di diritto oggettivo, la quale si collega direttamente all’azione popolare prevista dal D. Lgs. 198/2009 e posta a tutela della legittimità e della legalità dell’azione della P.A.[9].
Si tratta, quindi, di una fattispecie più ampia rispetto al diritto di accesso disciplinato nella l. 241/1990, dal quale si differenzia sotto diversi profili.
Innanzitutto, l’accesso civico non presuppone un interesse qualificato in capo al soggetto richiedente e consiste nel chiedere e ottenere gratuitamente che le Amministrazioni forniscano e pubblichino le informazioni e i dati per i quali è prevista la pubblicazione obbligatoria, ma che non siano ancora presenti nei siti istituzionali. Contrariamente a quanto previsto dalla l. 241/1990 in materia di accesso, per l’accesso civico, non si richiede la sussistenza, in capo al soggetto richiedente, di un interesse diretto, concreto ed attuale, oltreché differenziato da quello degli altri consociati. All’opposto, è sufficiente l’omessa pubblicazione sui siti istituzionali della documentazione della P.A., la quale deve essere conosciuta dal pubblico: si tratta di dati di diversa natura, quali, per esempio, le informazioni inerenti alla pianta organica dell’ente o ai regolamenti dallo stesso previsti.
Tra l’altro, l’istanza riguardante l’accesso civico non deve essere motivata e può avere, quale obiettivo, quello di procedere a un controllo generalizzato dell’attività dell’Amministrazione, in contrapposizione alla ordinaria disciplina prevista in materia di accesso.
La richiesta del privato non è, quindi, sottoposta ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva e va presenta al responsabile della trasparenza dell’Amministrazione interessata, la quale dovrà provvedere alla pubblicazione sull’apposito sito istituzionale della documentazione de qua entro trenta giorni e alla contestuale trasmissione della stessa al richiedente anche attraverso un apposito collegamento ipertestuale. Nei casi di ritardo o di inerzia della P.A., il privato potrà rivolgersi al titolare del potere sostitutivo in conformità a quanto previsto nell’art. 2 commi 9 bis e 9 ter l. 241 /1990[10].
In ogni caso, la richiesta di accesso civico comporta, da parte del responsabile della trasparenza, l’obbligo di segnalare i casi di inadempimento o di adempimento parziale all’ufficio disciplina, al vertice politico dell’amministrazione e all’OIV, ai fini dell’attivazione delle procedure inerenti alla verifica di responsabilità di natura disciplinare o di altro genere.
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I risvolti processuali.
Il rimedio processuale posto a tutela del diritto all’accesso civico è il medesimo previsto in materia di accesso. In particolare, si tratta dell’art. 116 c.p.a., come modificato dal D. Lgs. 33/2013. Sarà, di conseguenza, necessario proporre il ricorso principale nel termine (ridotto) di trenta giorni, il quale si applica anche ai ricorsi incidentali e ai motivi aggiunti. Tale termine decorre dalla conoscenza del diniego o dalla formazione del silenzio significativo, a pena di decadenza: di conseguenza, la mancata impugnazione del diniego nel termine non consente la reiterabilità dell’istanza e la conseguente impugnazione del successivo diniego laddove a questo possa riconoscersi carattere meramente confermativo del primo; viceversa, quando il cittadino reiteri l’istanza di accesso in presenza di fatti nuovi non rappresentati nell’istanza originaria o prospetti in modo diverso la posizione legittimante all’accesso ovvero l’amministrazione proceda autonomamente ad una nuova valutazione della situazione, è certamente ammissibile l’impugnazione del successivo diniego, perché a questo non può attribuirsi carattere meramente confermativo del primo.
L’atto introduttivo del giudizio deve essere notificato all’Amministrazione interessata e ad almeno un controinteressato, restando salva la possibilità per il giudice di procedere alla integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 49 c.p.a. La P.A. può stare in giudizio per il tramite di un proprio funzionario e il giudice decide con sentenza in forma semplificata[11].
Le differenze rispetto al diritto di accesso tradizionale si rinvengono con riguardo all’oggetto del ricorso e con riguardo alle conseguenze dell’azione: nel caso di accesso ex l. 241/1990, il giudice ordina l’esibizione dei documenti richiesti; nell’ipotesi di accesso civico, invece, lo stesso ordina la pubblicazione dei documenti de quibus secondo modalità definite[12].
In ogni caso, l’istituto costituito dal diritto di accesso civico è applicabile anche ai procedimenti avviati prima dell’entrata in vigore del D. Lgs. 33/2013, pur restando invariato il diverso ambito di azione del tradizionale diritto di accesso. Tuttavia, nell’ipotesi in cui venga in esame una questione inerente ad atti compresi negli obblighi di pubblicazione di cui al D. Lgs. 33/2013 e in cui il soggetto richiedente sia, al contempo, titolare di una posizione giuridica differenziata, appare possibile che operino cumulativamente tanto il diritto di accesso ex l. 241/1990, quanto il diritto di accesso civico ex D. Lgs. 33/2013.
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Note
[1] Restano ferme, in ogni caso, le disposizioni in materia di protezione dei dati personali e, in particolare, gli articoli 4 e 5 del G.D.P.R. e gli articoli 59 e 60 del Codice della Privacy.
[2] Cfr. il parere dell’Adunanza Generale della prima sezione consultiva del Consiglio di Stato del 6 maggio 2020.
[3] Cfr., tra le tante, Ad. Plen. 6/2006; Consiglio di Stato 5111/2015; Consiglio di Stato 4903/2015.
[4] Il D. Lgs. 97/2016 ha introdotto il comma 2 dell’art. 5 D. Lgs. 33/2013, che prevede l’accesso civico generalizzato, sul modello del FOIA (Freedom of Information Act).
[5] Cfr. Ad. Plen. 10/2020.
[6] Cfr., sul punto, l’attuale art. 53 del Codice dei contratti pubblici e la sentenza del Consiglio di Stato, III sez., n. 8501/2019.
[7] Cfr. Consiglio di Stato n. 5515/2013.
[8] Cfr. Lopilato V, Manuale di diritto amministrativo, Giappichelli Ed., 2020, p. 218.
[9] Cfr. Colapietro C., La terza generazione della trasparenza amministrativa, Editoriale Scientifica, Napoli, 2019.
[10] Cfr. Consiglio di Stato 5513/2013.
[11] Cfr. TAR Campania, Napoli, sez VI, n. 2486/2019; TAR Lazio, Roma, sez. III quater, n. 2174/2020.
[12] Cfr. TAR Lazio, Roma, n. 11391/2015.
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