Tale principio è tornato di attualità anche alla luce della recente sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione seconda quater, del 9 maggio 2022 n. 5717 resa in ordine alla legittimità delle dichiarazione di interesse storico-artistico particolarmente importante ai sensi dell’art. 10, co. 3, lett. d), d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 di un bunker risalente alla seconda guerra mondiale in Fiumicino. La sentenza offre interessanti spunti di riflessione anche con particolare riguardo al profilo dell’istruttoria che deve accompagnare l’apposizione del vincolo.
Indice
- La tutela dei beni storici connessi alle vicende militari e il regime della proprietà
- Il regime della proprietà e l’incidenza sulle iniziative di riconoscimento e tutela dell’interesse culturale
- Le complessità nella valutazione del valore culturale con riferimento a beni interessati da conflitti storici recenti
- Il caso oggetto della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione seconda quater, del 9 maggio 2022 n. 5717: il bunker della seconda guerra mondiale
- La vexata quaestio del parziale deterioramento del bene culturale
- Il principio della necessaria tutela del “residuo pregio” in triplice prospettiva: conservazione, manutenzione e valorizzazione
- Il limite esterno del principio del “residuo pregio”: la definitiva dispersione del valore culturale
- Riflessi del principio del residuo pregio nell’istruttoria per l’apposizione del vincolo: la valutazione dell’attuale stato di conservazione del bene
1. La tutela dei beni storici connessi alle vicende militari
La tutela dei beni storici connessi alle vicende belliche si realizza, nell’ordinamento italiano e in particolare nel quadro normativo del Codice dei beni culturali e del paesaggio ai sensi dell’art. 10 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, anche in forza dei commi primo e terzo[2], con differenze non insignificative in ragione del regime della proprietà.
I beni connessi ai conflitti bellici rientrano nel comma primo in quanto presentano interesse “storico” e sono specificamente riconducibili al comma terzo, nella lettera d, per il loro «riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte, della scienza, della tecnica, dell’industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose» in particolare quanto al riferimento alla storia militare.
2. Il regime della proprietà e l’incidenza sulle iniziative di riconoscimento e tutela dell’interesse culturale
Soffermandosi sulla rilevanza del regime della proprietà, valga rammentare che ai fini della dichiarazione di interesse culturale ex art. 13 del Codice dei beni culturali e del paesaggio è richiesto l’accertamento di un interesse tendenzialmente più intenso (“particolarmente importante”) rispetto al diverso caso di verifica ex art. 12 per i beni appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti.
Ciò in quanto nel primo caso il provvedimento interferisce con la sfera di un privato, producendo effetti limitativi e conformativi, di talché l’ordinamento richiede quindi un requisito più severo per l’attivazione della tutela, nell’ottica di una più bilanciata ponderazione tra le esigenze contrapposte[3]. Dunque, l’ordinamento non considera irrilevante la proprietà del bene culturale, valorizzando già implicitamente a livello normativo l’interesse oppositivo del privato nel bilanciamento con quello pubblicistico alla tutela, di talché è richiesto un valore culturale di particolare rilevanza e pregio perché possa procedersi all’attivazione della dichiarazione di interesse culturale.
3. Le complessità nella valutazione del valore culturale con riferimento a beni interessati da conflitti storici recenti
Il caso esaminato dal Tribunale amministrativo Regionale del Lazio nella recente e già citata sentenza del 9 maggio 2022 n. 5717 è particolarmente rilevante anche perché concerne un bene storico connesso a una vicenda bellica non particolarmente remota (la Seconda Guerra Mondiale). In effetti, se è di piana e immediata percezione la rilevanza culturale di beni mobili e immobili collegati a conflitti militari risalenti nel tempo e collocati in epoche remote, ben più complessa è la valutazione in ordine alle vicende storiche del passato recente.
Il decorso di un tempo non particolarmente significativo, infatti, come principio generale[4] rende di minore immediatezza la percepibilità del valore culturale, imponendo una valutazione più approfondita nel metodo e meno scontata negli esiti. Nel particolare caso in esame, tale valutazione deve tener conto anche dello specifico rilievo assunto dal bene nell’evolversi delle vicende storiche e dunque deve comportare un più puntuale esame delle sue relazioni con gli accadimenti bellici.
A ciò deve aggiungersi, ovviamente, una valutazione delle caratteristiche intrinseche del bene, al fine di individuarne se del caso caratteri ed elementi propri, tali da denotare una peculiarità[5] meritevole di conservazione e protezione quale memoria del conflitto e, più in generale, della storia umana.
4. Il caso oggetto della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione seconda quater, del 9 maggio 2022 n. 5717: il bunker della seconda guerra mondiale
Nel caso specificamente oggetto della vicenda contenziosa qui in commento, il bunker assumeva particolare rilievo come testimonianza delle postazioni militari realizzate a difesa costiera nel corso della Seconda Guerra mondiale, in quanto, per la sua posizione, si collocava in un cordone protettivo di notevole rilevanza strategica.
Tra l’altro la relazione tecnica dei competenti organi ministeriali aveva rilevato anche il pregio culturale della struttura in sé, come «interessante esempio di architettura bellica» trattandosi di un bunker con una struttura originale, peculiare, rara e diversa rispetto alla maggior parte di quelle coeve. Nel caso specifico, dunque, il bunker assumeva particolare importanza per la sua unicità anche strutturale, tale da differenziarlo rispetto ad altri analoghi.
5. La vexata quaestio del parziale deterioramento del bene culturale
Ciò premesso, nel corso dell’istruttoria processuale era emerso che, rispetto alla descrizione recata dalla relazione di accompagnamento alla dichiarazione di interesse culturale, il bunker appariva in realtà parzialmente compromesso, con conseguente potenziale depauperamento del suo valore culturale.
In effetti, il bunker oggetto di tutela appariva parzialmente «alterato dal tempo e dall’assenza di manutenzione», come pure sovente accade in relazione alle testimonianze immobiliari di epoche passate. La relazione tecnica ministeriale si determinava invece per l’esistenza dell’interesse culturale, in quanto si evidenziavano «ancora ben distinguibili i suoi caratteri tipologici e la sua consistenza».
Nel caso qui in analisi, viene dunque in rilievo la storica questione del parziale deterioramento del bene culturale, occorrendo verificare se all’esito comunque l’interesse culturale del bene risultasse soltanto in parte compromesso e non definitivamente disperso, idoneo a essere conservato e – mediante interventi di manutenzione anche attiva – ripristinato.
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6. Il principio della necessaria tutela del “residuo pregio” in triplice prospettiva: conservazione, manutenzione e valorizzazione.
La giurisprudenza in materia paesaggistica e culturale ha affermato a tal proposito il principio della necessaria tutela del “residuo pregio”[6].
In materia di tutela paesaggistica di un’area, si è affermato che l’avvenuta edificazione o le condizioni di degrado non costituiscano ragione sufficiente per recedere dall’intento di proteggere i valori estetici o culturali, in quanto l’imposizione rappresenta proprio opzione preferibile[7] perché – mediante le cautele imposte – consente sia la conservazione della quota residuale del valore culturale del bene ancora persistente, sia la cessazione degli usi incompatibili con l’integrità dello stesso, sia infine l’attivazione di una possibile rigenerazione attraverso attività di ripristino.
Dunque, quando ancora sussista in capo al bene un “residuo” interesse culturale, l’esigenza di apporre un vincolo di tutela diviene semmai più intensa e avvertita, con una triplice prospettiva: a) tutelare il valore residuo; b) impedire una ulteriore compromissione[8]; c) avviare un procedimento di rigenerazione che ripristini parte del valore perduto.
Tra l’altro tale principio del “residuo valore” appare anche necessario al fine di prevenire la definitiva compromissione dell’interesse pubblico, in una prospettiva di logica sistematica: non è infatti concepibile che un colpevole scadimento della qualità culturale di un bene o di un’area assuma effetti sostanzialmente estintivi dell’esigenza di tutela[9].
7. Il limite esterno del principio del “residuo pregio”: la definitiva dispersione del valore culturale.
Applicando logica e ratio di tale principio trasversalmente al settore die beni culturali, risulta evidente come un bene culturale mobile o immobile, anche ove danneggiato, compromesso o deteriorato, possa – e anzi debba – essere assoggettato alla tutela affinché ne sia preservato, conservato e valorizzato il residuo pregio.
L’esatta analisi del principio del “residuo pregio” consente di individuare la sua perimetrazione e, in particolare, il limite estrinseco alla sua applicabilità nel caso concreto. Se è vero che, affinché possa attivarsi la tutela, è necessario che un pregio, anche se «residuo» vi sia, la definitiva e irreversibile dispersione del pregio stesso rende superflua ogni esigenza di protezione.
In altri termini, ove lo stato di compromissione del bene sia tale da averlo ormai deprivato in modo profondo, radicale e irreversibile dell’interesse culturale che lo caratterizzava, il principio troverà applicazione, ma con effetti opposti, validando un recesso dalle necessità di tutela. Se ciò è evidente in alcuni casi limite[10], l’indagine si appalesa assai più complessa quando il valore culturale sia profondamente compromesso, ma non sia effettivamente chiaro se vi sia ormai una consumata deprivazione definitiva del valore o se possa residuare un qualche interesse protettivo.
8. Riflessi del principio del residuo pregio nell’istruttoria per l’apposizione del vincolo: la valutazione dell’attuale stato di conservazione del bene.
Nel caso specificamente qui in disamina, il Tribunale Amministrativo regionale ha valorizzato proprio l’intervenuta “parziale” demolizione del bene, che tra l’altro sconfessava l’attualità della documentazione fotografica allegata al provvedimento di apposizione del vincolo.
Il giudice amministrativo, avvedutosi dunque che proprio la documentazione fotografica considerata dalla relazione ministeriale si riferiva a uno stato diverso alla parziale demolizione, ha ritenuto che l’apposizione del vincolo non avesse adeguatamente valutato la intervenuta parziale compromissione del bene culturale.
Il che nella specie particolarmente rileva perché, come supra accennato, il bene è stato tutelato anche come esempio di una particolare architettura bellica meritevole di conservazione e protezione quale memoria del conflitto e, più in generale, della storia umana. Se tale architettura risulta definitivamente compromessa, tale capo motivazionale ne viene vulnerato.
Dunque, l’inattualità dello stato dei luoghi posto a base della relazione ne denota l’illegittimità e impone una rinnovazione dell’istruttoria.
In conclusione, può affermarsi che il principio della necessaria tutela del “residuo pregio”, con il limite esterno della definitiva dispersione del valore culturale, impone in sede di istruttoria per la dichiarazione (o la verifica) di interesse culturale un’attenta considerazione dello stato dei luoghi, con particolare riferimento all’attualità. Ciò perché l’intervenuta parziale compromissione del bene richiedano di verificare che persistano le ragioni di tutela, nel senso che sussista ancora un residuo pregio da conservare e valorizzare.
Note:
[1] L’espressione si rinviene in particolare nella giurisprudenza in materia paesaggistica con riferimento all’intervenuta edificazione di un’area protetta o allo scadimento del contesto urbanistico (di recente, ad esempio, in Cons. di Stato sez. VI, 30 giugno 2021, n. 4923), ma ha una logica estensibile trasversalmente anche ai beni culturali.
[2] Ai sensi del comma primo «Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico», mentre ai sensi del terzo «Sono altresì beni culturali, quando sia intervenuta la dichiarazione prevista dall’articolo 13: […] d) le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte, della scienza, della tecnica, dell’industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose. […]»
[3] Cons. di Stato, sez. I, adunanza del 30 novembre 2020, parere n. 1958: «Emerge […] la differenza tra la verifica di culturalità ai sensi dell’articolo 12 del codice e la dichiarazione ai sensi del successivo articolo 13 perché […] la motivazione del provvedimento di tutela non deve dar conto della presenza di un interesse particolarmente importante, interesse questo che deve invece caratterizzare la cosa oggetto di dichiarazione di bene culturale che appartiene a privati.»
[4] Pur non privo di comprensibili eccezioni.
[5] Ad esempio, nel caso di immobili, se vi sia una particolare modalità architettonica rara e caratteristica.
[6] L’espressione ricorre ad esempio in Cons. di Stato sez. VI, 30 giugno 2021, n. 4923
[7] Cons. di Stato, sez. IV, 4 aprile 2022, n. 2462; id., 31 marzo 2022, n. 2371.
[8] L’esigenza di evitare l’ulteriore degrado, cristallizzata espressamente ad esempio nella sentenza Cons. di Stato, sez. VI, 20 ottobre 2000, n. 5651, ma anche 30 giugno 2021, n. 4923.
[9] Cons. di Stato, sez. II, 22 novembre 2021, n. 7817.
[10] Ad esempio distruzione o demolizione del bene.
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