La tutela del cittadino nei confronti delle sanzioni amministrative alla luce della disciplina della Corte EDU

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La CEDU, quale norma interposta ai fini del giudizio di costituzionalità ai sensi dell’articolo 117 Cost., assume un ruolo di rilievo nell’ordinamento nazionale e da tale rilevanza emerge l’esigenza di un’ampia attenzione ai principi da questa sviluppati in materia di potestà sanzionatoria della Pubblica Amministrazione.

Per quanto attiene alle sanzioni amministrative, queste sono state attratte nelle garanzie penalistiche sulla base di una nozione ampia e sostanziale del concetto di materia penale.

Nel nostro ordinamento si tende a favorire una nozione formale di reato, mentre la Corte EDU ha accolto una nozione sostanziale.

Tale distinzione è rilevante, poiché il riconoscimento del carattere penale di un illecito comporta l’applicazione dei principi di civiltà giuridica in materia penale.

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L’opposizione alle sanzioni amministrative

L’opera, redatta da professionisti della materia, costituisce insieme una guida pratica e una sintesi efficace del sistema delle sanzioni amministrative, affrontando la disciplina sostanziale e quella processuale, nonché le novità giurisprudenziali recentemente emerse.Dopo una prima analisi della Legge 24 novembre 1981, n.689, il testo passa in rassegna il procedimento sanzionatorio e la successiva fase dell’opposizione alla sanzione, con attenzione particolare alla fase istruttoria e alla portata dell’onere probatorio da assolvere.Una trattazione ad hoc è infine riservata all’opposizione alle sanzioni amministrative per violazione delle regole in materia di circolazione stradale, nonché all’opposizione alle cartelle esattoriali.Silvia Cicero, È avvocato e funzionario ispettivo presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Modena.Attenta osservatrice dell’evoluzione del sistema amministrativo sanzionatorio, da anni presiede anche il Collegio di conciliazio- ne e arbitrato costituito ai sensi dell’art. 7 dello Statuto dei lavoratori. (Legge 20.05.1970, n.300).Massimo Giuliano, È avvocato del Foro di Catania iscritto presso il consiglio dell’ordine dal mese di ottobre 2004 – Cassa- zionista dal 2017. Esperto in diritto e contenzioso tributario, Master di Specializzazione in Diritto Tributario – UNCAT – Unione Nazionale Camera Avvocati Tributaristi. Esperto in materia di Diritto Assicurativo – Idoneità Iscrizione Registro Intermediari Assicurativi – IVASS – Istituto di Vigilanza Sulle Assicurazioni – Idoneità Iscrizione alle Sezioni A e B del RUI.

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I criteri Engel e la prospettiva sostanzialistica

La Corte europea dei diritti dell’uomo, Plenaria 8 giugno 1976, caso 5100/71 Engel and Others v. th Netherlands ha elaborato i criteri per qualificare i provvedimenti come penali “Se agli Stati contraenti fosse concesso di classificare a loro discrezione un illecito come disciplinare invece che penale, o di perseguire l’autore di un illecito di carattere misto sul piano disciplinare invece che penale, l’applicabilità di disposizioni fondamentali quali gli artt. 6 e 7 risulterebbe subordinata alla loro volontà sovrana. Una tale ampia possibilità di scelta risulterebbe incompatibile con gli obiettivi e il contenuto della Convenzione. La Corte dunque, ai sensi degli artt. 6 nonché 17 e 18, ha competenza a stabilire da sé se la materia disciplinare non invada in realtà la sfera del penale. In breve, l’autonomia del concetto di penale opera a senso unico […] In tale prospettiva, occorre anzitutto sapere se le previsioni che definiscono l’illecito in questione appartengono, secondo il sistema legale dello Stato resistente, alla sfera del diritto penale, disciplinare o entrambi assieme. Ciò, tuttavia, non rappresenta che un punto di partenza. Le indicazioni così fornite hanno solo un valore formale e relativo e vanno esaminate alla luce di un comune denominatore ricavabile dalle legislazioni dei vari stati contraenti. La natura intrinseca dell’illecito è un fattore di maggior importanza. Quando un militare si ritrova accusato di un atto o di un’omissione che in tesi violano le regole che governano l’attività delle forze armate, lo Stato può in linea di principio impiegare contro di lui il diritto disciplinare invece che quello penale. Sotto questo profilo, la Corte concorda con il Governo. Tuttavia, il sindacato della Corte non si ferma qui. Tale sindacato risulterebbe in linea generale illusorio se non prendesse anche in considerazione il livello di severità della sanzione che l’accusato rischia di subire. In una società conformata al principio di legalità, appartengono alla sfera del diritto penale tutte le privazioni della libertà che siano applicate quali sanzioni, con l’eccezione di quelle che per natura, durata o modalità di esecuzione non siano significativamente afflittive[…]”.

Pertanto, non è il solo valore formale, ed in un certo senso “il nome del provvedimento” o l’etichetta nazionale a definire l’illecito, bensì la natura del provvedimento, ovvero lo scopo deterrente della sanzione applicate e la severità della sanzione.

Il principio di legalità in materia di sanzioni amministrative

L’articolo 7 CEDU disciplina il principio di legalità in materia penale. Con il caso Scoppola del 2009, le garanzie di legalità dell’articolo 7 CEDU sono state intese non solo come principio di non retroattività della legge penale più severa, ma anche come applicazione della pena più sfavorevole al reo.

La Corte europea dei diritti dell’uomo, Scoppola c. Italia, 17 settembre 2009 ha affermato l’obbligo di retroattività in bonam partem “Agli occhi della Corte, è coerente con il principio della preminenza del diritto, di cui l’articolo 7 costituisce un elemento essenziale, aspettarsi che il giudice di merito applichi ad ogni atto punibile la pena che il legislatore ritiene proporzionata. Infliggere una pena più severa solo perché essa era prevista al momento della perpetrazione del reato si tradurrebbe in una applicazione a svantaggio dell’imputato delle norme che regolano la successione delle leggi penali nel tempo. Ciò equivarrebbe inoltre a ignorare i cambiamenti legislativi favorevoli all’imputato intervenuti prima della sentenza e continuare a infliggere pene che lo Stato e la collettività che esso rap- presenta considerano ormai eccessive. La Corte osserva che l’obbligo di applicare, tra molte leggi penali, quella le cui disposizioni sono più favorevoli all’imputato, si traduce in una chiarificazione delle norme in materia di successione delle leggi penali, il che soddisfa a un altro elemento fondamentale dell’articolo 7, ossia quello della prevedibilità delle sanzioni”.

Tale principio richiede che l’illecito sia chiaramente definito dalla legge e che la legge sia prevedibile e trova applicazione in materia sostanzialmente penale. Pertanto, il diritto amministrativo sanzionatorio nazionale dovrebbe essere sottoposto ai principi dell’articolo 7 CEDU.

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Dott.ssa Laura Facondini

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