E’ Giudice tributario e Revisore Ufficiale dei Conti.
La tutela del Lavoro Minorile nell’evoluzione legislativa
Se lo Stato ha il dovere di emanare leggi tutelatici in favore dei lavoratori, in considerazione del loro stato di subordinazione e di inferiorità nei confronti dei datori di lavoro, tale dovere diventa obbligo quando si è in presenza di categorie più deboli di lavoratori quali: il lavoratore in giovane età, la lavoratrice madre, il disabile e/o l’invalido: costoro abbisognano di una particolare e più estesa protezione, per ovvie considerazioni di carattere biologico, etico e sociale.
Per i minori, le particolari condizioni d’inferiorità fisica e le speciali esigenze di tutela morale, dovute all’età, hanno indotto i legislatori dei vari paesi ad intervenire con l’emanazione di una serie di norme atte a disciplinare adeguatamente l’utilizzazione delle c.d. “mezze forze” che, se non disciplinate e controllate rigorosamente, diventano causa di depauperamento nel tempo della stessa forza lavoro.
Il ragazzo non può essere ritenuto un “uomo in miniatura”; non si possono ignorare i suoi particolari bisogni psicosomatici e le molteplici esigenze connesse ad un organismo in accrescimento, specie nella fase puberale, che può essere leso irreversibilmente dall’esposizione ai pericoli di una attività lavorativa, ovvero ad una fatica generatrice di danni, in quanto distruttiva dell’equilibrio fisico e psicologico.
Il primo intervento legislativo a favore dei fanciulli si ebbe in Inghilterra nei primissimi anni dell’ottocento, nonché in Francia, poi in Germania e via via in altre nazioni.
Intorno alla seconda metà dell’Ottocento anche in Italia, con lo sviluppo industriale, il fenomeno della partecipazione dei fanciulli al mondo del lavoro assunse rilevanti proporzioni: s’impiegavano bambini di età inferiore ai 9 anni, 8 e perfino ai 7 anni, soprattutto perché costavano meno di un terzo del salariodell’adulto e le famiglie lo accettavano, in quanto consentiva loro di incrementare, seppure in quantità minima, l’esiguo reddito familiare ed arginare, sia pure lievemente, la miseria.
Risale ad epoca anteriore all’Unità d’Italia la prima legge di tutela del lav0oro minorile: la legge Sarda del 20 gennaio 1859, con la quale fu vietato di adibire i fanciulli di età inferiore ai 10 anni al lavoro nelle miniere.
Con l’unità d’Italia vi furono tre tentativi di normazione della materia ( nel 1869, nel 1872 e nel 1876) che però fallirono per la forte opposizione, soprattutto degli industriali, i quali tentarono perfino di negare l’esistenza del problema, disconoscendone addirittura i dati statistici.
Le prime norme italiane di tutela del lavoro minorile furono le leggi 11 febbraio 1886, n.2657, 19 giugno 1902, n.242 e 7 luglio 1907, n.416, che riconobbero la legittimità dell’intervento statale nel campo del lavoro minorile e femminile e stabilirono che i problemi del lavoro e della produzione non potevano ignorare le esigenze scolastiche, l’analfabetismo e la salute del lavoratore e fissarono il limite minimo di età per l’occupazione dei fanciulli a 9 anni (inferiore perfino a quello già previsto dalla legge Sarda in 10 anni ) e fu stabilito in 8 ore giornaliere l’orario di lavoro per i fanciulli inferiori agli anni 12.
Il problema dell’età minima d’ingresso al lavoro fu affrontato in diverse conferenze internazionali ( vedi quella di Berlino del 1890 che la fissò a 12 anni, ad eccezione dei paesi meridionali in cui, su proposta italiana, fu fissata a 10 anni) .
Nel 1907 si pervenne al T.U., approvato con R.D. 10 novembre 1907, n.818 che stabilì e previde:
il campo di applicazione ai solo stabilimenti industriali con macchine non mosse da operai ed a quelli che, pur non avendo macchine, occupavano più di cinque operai;
l’età minima di ammissione al lavoro ai 12 anni, salvo età maggiore per determinati lavori pericolosi;
un attestato medico di idoneità al lavoro per i minori degli anni 15;
i lavori vietati o ammessi con particolari cautele;
la disciplina del lavoro notturno;
la durata del lavoro normale, i riposi intermedi e settimanali;
le denunce che gli imprenditori che occupavano fanciulli erano tenuti a presentare ai fini della vigilanza e delle relazioni periodiche del Governo al Parlamento.
Però la mancanza di mezzi adeguati di ispezione e di controllo, la poca chiarezza e l’approssimazione delle stesse norme, la forte opposizione di chi pretendeva l’abbassamento dell’età minima a 9/10 anni e minacciava l’espulsione dal mondo del lavoro con tutte le conseguenze economiche sulla produzione e sul reddito delle famiglie di 105 mila ragazzi che, stando alla nuova legge, dovevano lasciare il lavoro per adempiere all’obbligo scolastico, spinsero il legislatore a concedere delle proroghe.
Nell’agricoltura, l’occupazione dei minori non era affatto controllata e raggiungeva elevate proporzioni: dei fanciulli si faceva addirittura mercimonio nelle fiere e si dava vita alla tratta dei monelli o dei calzoni corti, al garzonato, al caporalato e via dicendo.
Altre conferenze internazionali si occuparono del lavoro minorile e precisamente quelle del 1906 e 1913 che si tennero a Berna.
A Washington fu firmata una convenzione internazionale con la quale fu stabilito il limite di quattordici anni per il lavoro dei fanciulli e fu posto il divieto del lavoro notturno. Seguirono le convenzioni di Genova del 1920 e quella di Ginevra del 1921.
L’adesione dell’Italia all’OIL, le predette convenzioni internazionali ratificate il 10 aprile 1923, nonché quella del 1932, sollecitarono l’Italia alla riforma dell’intera legislazione in favore del lavoro minorile e all’emanazione della legge 26 aprile 1934, n. 653.
Tuttavia, la tutela accordata in Italia con la legge 653/34 divenne subito obsoleta rispetto sia al progresso economico e tecnologico verificatosi nel dopoguerra, sia ai nuovi principi dettati dalla Costituzione (artt. 37, u.c.,32, 33, 34) sia, infine, agli impegni assunti dall’Italia stessa in sede internazionale.
Notevoli discrepanze venivano quotidianamente alla ribalta, specie in rapporto all’età minima di ammissione al lavoro, tra la disciplina predisposta dalla legge del 1934 e le Convenzioni Internazionali: In particolare quelle adottate dalle Conferenze del 1937 di Ginevra e del 1946 di Montreal, ratificate dall’Italia il 22 ottobre 1952.
Si cercò di trovare dei correttivi con la legge n.1325 del 1961 che elevò il limite di età per l’ammissione al lavoro da 14 anni a 15 anni e con il D.M.272 del 9 marzo 1964, che individuò i lavori leggeri ove potevano essere adibiti i minori di età compresa fra i 14 e i 15 anni.
Nonostante ciò, negli anni del dopoguerra e del boom economico il fenomeno dell’occupazione abusiva e precoce dei minori, sottratti oltretutto alla istruzione obbligatoria, che costituiva una delle principali conquiste sociali,. era divenuto preoccupante.
Fenomeno che, pur se tollerato da tutta una politica basata sulla ricostruzione del paese e sul cosiddetto boom economico che accentuava il sistema edonistico, veniva quotidianamente denunciato da più parti (sindacati, partiti, mondo cattolico ) specie in occasione degli infortuni sul lavoro, molti dei quali mortali, cui incorrevano i minori.
Si avvertiva, perciò, la necessità di una nuova e sistematica disciplina della tutela del lavoro minorile.
A tanto provvide la legge 17 ottobre 1967, n. 977 che, in armonia con i dettati costituzionali, ha inteso assicurare una tutela rispondente al rapido progresso economico e tecnologico ed armonizzare la legislazione nazionale agli impegni assunti con la ratifica delle convenzioni dell’OIL che disciplinano:
l’età di immissione dei fanciulli nei lavori agricoli (convenzione n. 10);
il divieto del lavoro notturno dei fanciulli e degli adolescenti nelle attività industriali (convenzione n. 90) e non industriali (convenzione n. 79);
gli esami medico- attitudinali per l’impiego dei fanciulli e degli adolescenti nelle attività industriali (convenzione n. 77) e non industriali (convenzione n. 78);
il riposo settimanale (convenzione n. 14).
La nuova legge infatti, nel definire il proprio ambito di applicazione, riduce al minimo le categorie dei minori e delle attività non soggette alla sua disciplina ed estende, altresì, la tutela anche ai minori addetti ai lavori agricoli e ai servizi domestici
Un’altra notevole innovazione ha riguardato l’estensione della tutela anche alla categoria dell’adolescente, intendendosi per tale, il minore di età compresa tra i 15 e 18 anni compiuti, mentre per “fanciullo” ha continuato ad intendere il minore degli anni 15.
Ha fissato quindi, a 15 anni, l’ingresso nel mondo del lavoro del minore, anche se per l’agricoltura, i servizi familiari e nei lavori leggeri, ha previsto un abbassamento dell’età minima a 14 anni, semprechè l’occupazione non comporti trasgressioni dell’obbligo scolastico e sia tutelata adeguatamente la salute psicofisica del minore stesso, subordinando, altresì, l’eventuale attività lavorativa al favorevole esito di una visita medica preventiva e la sua permanenza al lavoro, all’accertamento periodico mediante opportune visite mediche.
La legge de qua ha, inoltre, vietato la adibizione dei fanciulli e degli adolescenti ai lavori di trasporto e sollevamento pesi che superano una certa misura, al lavoro notturno, ai lavori faticosi ed insalubri; ha subordinato la partecipazione del minore e/o dell’adolescente alle rappresentazioni di spettacoli e alle riprese cinematografiche all’autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro; ha, infine, disciplinato l’orario di lavoro, i riposi intermedi e settimanali e le ferie.
Però l’innovazione di maggior interesse introdotta dalla stessa è quella riflettente la tutela economica e previdenziale dei fanciulli di qualsiasi età.
I minori, pur se occupati contra- legem, hanno diritto non solo alla retribuzione contrattuale ma anche a tutte la prestazioni assicurative previste delle vigenti norme in materia di assicurazioni obbligatorie.
Infine dà a tutte le norme poste a tutela del lavoro minorile, il carattere della inderogabilità, con conseguente indisponibilità negoziale ( né per volontà unilaterale e né su accordo delle parti ) e nullità di eventuali clausole contrattuali che non tengano conto dei divieti e limiti imposti dalla norma .
Considera quindi l’inosservanza ai divieti come reato e prevede per la loro inosservanza una contravvenzione.
Ha affidato il controllo del rispetto della legge al Ministero del Lavoro che lo esercita tramite gli Ispettorati del lavoro, ora Servizio Ispezione lavoro.
E’ insomma una buona legge.
La stessa però deve essere vista in uno con :
il D. Lgs. 9 settembre 1994, n. 566 ( in vigore dal 5.10.1994 e superato comunque dal 23.10.1999 dalla vigenza del D.Lgs. n.349/99 ) che, all’art.1 ha inasprito le ammende fino a dieci milioni ed ha aggiunto anche l’arresto, fino a sei mesi , pur se per altre inadempienze , ( riposi, orari di lavoro e ferie) è ricorso alla depenalizzazione, prevedendo sanzioni amministrative, anche se di non modeste entità.
Il capo II del D. Lgs. 19 dicembre 1994, n. 748 ( in vigore dal 26.aprile 1995) che ha modificato il sistema sanzionatorio, ed ha previsto all’ allegato I per le pene di cui ai commi 2 e 3 dell’ art. 26 della legge 17 ottobre 1967, la prescrizione obbligatoria, che 41 che è cosa ben diversa della diffida ex art. 9. del D.P.R. n. 528//55, unitamente alla contestuale notizia di reato, la verifica dell’adempimento, l’ammissione al pagamento di una somma pari ad 1/4 del massimo dell’ammenda, la successiva comunicazione al P.M. ai fini dell’estinzione del reato contravvenzionale.
il D.Lgs. 4 agosto 1999, n.345 ( in vigore dal 23.10.1999) che, in attuazione della direttiva CE/ 94/33 del Consiglio del 22.6.18994 relativa alla protezione dei giovani sul lavoro, il legislatore ha emanato dopo aver esaminato il D.Lgs. 626 del 16 settembre 1994 riguardante il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro e quindi anche dei minori e la Legge 20 gennaio 1999, n. 9 recante ” disposizioni urgenti per l’elevamento dell’obbligo dell’istruzione.”
Tale decreto reca diverse modifiche ed integrazioni alla legge 17 ottobre1967, n. 977 al fine di adeguarla ai principi ed alle prescrizioni della direttiva CE/ 94/33, cioè ai i nuovi standards europei.
Per prima cosa sostituisce la parola ” fanciullo ” con quella di ” bambino “e la parola ” Ispettorato provinciale del lavoro” con quella di ” Direzione provinciale del lavoro” e abolisce ogni deroga all’età di ingresso, proponendosi di adeguare gradualmente la realtà lavorativa dei giovani di età inferiore ai diciotto anni agli standards europei, quali:
privilegiare l’istruzione;
assicurare l’inserimento professionale mediante la formazione, considerando che un’esperienza di lavoro appropriata può contribuire all’obiettivo di preparare i giovani alla vita professionale e sociale di adulti;
promuovere il miglioramento dell’ambiente di lavoro per garantire un livello più elevato di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori minorenni, trattandosi di lavoratori soggetti a rischio particolarmente sensibili.
il D.Lgs. 18 agosto 2000, n.262 ( in vigore dal 10.10.2000 che ha congelato sino al 20.10.2000 taluni precetti introdotti dal D.Lgs. n. 345/99 ).
Nei suoi quattro articoli reca disposizioni integrative e correttive al D.Lgs. n.345/1999, rivedendo alcune rigidità, che al primo impatto ha presentato la nuova normativa sulla tutela del lavoro dei minori.
In specie rivede le problematiche applicative scaturenti da una stretta osservanza, per i datori di lavoro, delle disposizioni relative alle numerose lavorazioni vietate ai minori, tenuto conto sia dei rapporti già in atto che delle esigenze di formazione degli apprendisti minori.
E’ pur vero comunque che, in mancanza di una normativa che affrontasse in maniera “morbida ” tale impatto era già intervenuta la circolare del Ministero del lavoro n. 1 del 5 gennaio 2000.
L’inasprimento delle pene di cui al D.Lgs. 9 settembre 1994, n. 566, rivisitato dall’art. 14 del D.Lgs. n. 345 /99, è stato sancito anche a carico dei genitori.
L’ art. 26 , u.co., della legge n.977/67 che prevedeva per ” chi rivestito di autorità o incaricato della vigilanza sopra un minore, ne consentiva l’avvio al lavoro in violazione delle norme di legge, una contravvenzione punita con l’ammenda da £ 4.000 a £ 36.000, stabilisce ora pene di gran lunga più severe ed anche l’arresto per i genitori che preferiscono per i propri figli il lavoro alla scuola ponendo, così, a repentaglio la loro educazione, ovvero nuocendo alla loro salute ed al loro sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale,
A queste sanzioni si aggiungono quelle previste dall’art. 731 del C.P. integrato dall’art. 12 del R.D. 18. Giugno 1931, n. 733 di P.S. e dell’art. 8 della legge 31 dicembre 1962, n. 1859 che ha reso obbligatoria anche la scuola media e che prevedono l’ammenda fino a £ 60.000 per il genitore che non avvia il minore alla scuola d’obbligo.
Inoltre, il nuovo diritto di famiglia che ha introdotto la pari potestà fra i due coniugi, fa si che le forti sanzioni e l’arresto ricadano su entrambi i coniugi e non solo sul padre.
E’ opportuno evidenziare, comunque, che il genitore che manda a lavorare il proprio figlio invece che a scuola, spesso non è persona snaturata o immorale e quindi da punire, ma è uno che nel misero salario che il figlio si guadagna con immensi ed inestimabili sacrifici, intravede un sostentamento al magro o inesistente reddito familiare o tenta di sottrarre il minore alle devianze ed insidie della strada.
Ciò evidenzia come è importante una norma sanzionatoria mirata a colpire il maggiore responsabile del reato che, nel caso di specie, è ravvisabile solo ed esclusivamente nel datore di lavoro.
A chi trasgredisce e specula sui bambini, infatti, si dovrebbero irrogare misure aggiuntive concrete, ovvero addirittura la requisizione delle aziende ove si sfruttano i minori o dove, in nome del Dio profitto, si calpestano le leggi sociali.
Di contro, sarebbe auspicabile abolire le sanzioni a carico dei genitori in quanto ciò scoraggiano le denunce, anche da parte delle OO.SS., di sfruttamento dei fanciulli e dei minori in genere, specie quando il mancato versamento dei contributi previdenziali connessi all’attività lavorativa non incide sul godimento di alcuna prestazione assicurativa.
Sarebbe più produttivo, infatti, non perseguire i genitori ma ricercare ed arginare le cause che li hanno spinti ad una connivenza con i datori di lavoro che impiegano manodopera minorile contra-legem.
Ed è per questo motivo che il Servizio Ispezione del Lavoro ogni qual volta reperisce un minore, oltre ad adottare i provvedimenti sanzionatori nei confronti del datore di lavoro e purtroppo anche del genitore (e non può farne a meno, pena la denuncia per omissione di atti di ufficio- dura lex, sed lex), dovrebbe informare del caso sia il Sindaco del Comune di residenza del minore che il Tribunale dei minorenni, affinché costoro, attraverso i lori servizi sociali, accertino le vere cause che hanno indotto il genitore ad avviare il minore al lavoro e provvedano, se possibile, ad eliminarle, o nel caso del tutore, il Tribunale adotti i provvedimenti del caso..
Però, spesso non la indigenza economica e sociale della famiglia spinge i genitori a ” mandare al lavoro” il proprio figlio, ma la necessità di sottrarlo alla devianza e alle insidie sociali.
Quindi è indispensabile che la scuola abbia un ruolo più incisivo nella lotta allo sfruttamento minorile, controllando con maggiore puntualità la partecipazione dei bambini e degli adolescenti all’istruzione, e creando attività parascolastiche (recite, cori, gite, corsi di sostegno, doposcuola, periodo pieno, etc.) che impegnano il minore e/o l’adolescente anche nelle ore pomeridiane.
Alle segnalazioni dei Presidi e/o i direttori didattici ai CC ed ai Vigili Urbani dei minori che evadono l’obbligo scolastico, gli organi di polizia non dovrebbero limitarsi alla sola contravvenzione a carico dei genitori inadempienti ma, attraverso i lori servizi informativi e/o gli addetti sociali del Comune, dovrebbero acquisire informazioni sulla effettiva attività extra scolastica del minore, cioè se delinqua o lavori e dove lavori.
Se dovesse delinquere, non sta a me suggerire il da fare; se invece dovesse lavorare, è necessario, anche con l’ausilio del Servizio Ispezione del Lavoro, non solo adottare i provvedimenti sanzionatori nei riguardi dei datori di lavoro e dei genitori o di chi esercita la potestà genitoriale, ma anche accertare le motivazioni che lo hanno indotto a lavorare abbandonando la scuola.
Solo con un’analisi approfondita di ogni caso, si può intervenire adeguatamente sul fenomeno in essere e, favorendo il raccordo tra scuola e lavoro, rendere praticabile il diritto allo studio dei minori .
Però la scuola deve essere più collegata con il territorio e quindi più vicina al mondo del lavoro e non creare solo futuri disoccupati, ma giovani preparati con un bagaglio culturale, specialmente tecnico, capaci e pronti quindi ad inserirsi immediatamente nel mondo del lavoro; bisogna anche meglio valorizzare e incentivare l’apprendistato e la formazione professionale, così come sembra orientarsi la nuova riforma dei cicli scolastici .
E’ necessario anche un maggior coordinamento fra le istituzioni ed i vari servizi sociali
E’ molto importante creare strutture adeguate e più idonee per il tempo libero del minore e dell’adolescente, con il coinvolgimento delle associazioni sportive ed in primo luogo della chiesa con i suoi circoli parrocchiali, gli oratori e le associazioni cattoliche.
Lo stesso dicasi per il lavoro minorile degli extracomunitari, anche se, almeno finora non rappresenta un fenomeno rilevante. Viceversa si assiste impotenti all’accattonaggio, ai furti e a borseggi da parte di piccoli room ( zingarelli) per i quali la scuola non è un valore.
Anche il lavoro minorile legale, cioè quello prestato dagli adolescenti o dai minori di anni 16 che hanno adempiuto all’obbligo scolastico, in alcune attività consentite, deve essere oggetto di maggiore attenzione
Non si può sottacere che fra i minori, purtroppo, più volte, si sono verificati vari infortuni sul lavoro.
E’ necessario che il Servizio Ispezione del Lavoro e le OO.SS vigilino con assiduità sull’esatta applicazione della legge n.977/67 e sue modifiche ed integrazioni, non solo nella parte che vieta il lavoro minorile, ma anche nella parte che nel consentirlo lo regolamenta e quindi sulle condizioni di lavoro (orario di lavoro, riposi , trasporto pesi , ferie e principalmente sulla sicurezza del lavoro ).
E’ necessario che gli adolescenti vengano sempre sottoposti prima di essere ammessi al lavoro alla visita medica preventiva e successivamente a quella periodica e non vengano adibiti a lavori pericolosi e comunque non consentiti, fermo restando l’obbligo prevalente di assoggettarli alla sorveglianza sanitaria di cui all’art. 16 del D.Lgs. 626/94,ove specificatamente prevista ( art. 8 comma 8 modificato dal’ art. 9 del D.Lgs.345/99 ).
E’ necessario che anche le A.S.L .intensifichino la vigilanza sulla prevenzione infortuni specie nelle aziende che occupano minori, sia pure legalmente.
Il minore infatti, è più a rischio dell’adulto in quanto inesperto e quindi più soggetto agli infortuni sul lavoro, per cui devono essere informati sui rischi i suoi genitori o chi rivesta la patria potestà .
Il lavoro nero minorile contra -legem , anche se non in enormi dimensioni, nel nostro paese esiste ed è un problema che deve preoccuparci.
In confronto ad altri paesi , forse è poco, ma quel poco va combattuto con la forza delle leggi e con interventi politico-sociali
Sarebbe auspicabile, quindi che i nostri governanti iniziassero una seria politica di potenziamento dell’organico del Servizio Ispezione del Lavoro, assumendo personale in possesso di specifica professionalità e valorizzando ed incentivando quello già in servizio, spesso mortificato sia sotto l’aspetto economico, che morale e sociale, in quanto l’attività del S.I.L. non si limita alla sola ricerca dei bambini o adolescenti occupati contra-legem , che ogni organo di polizia potrebbe effettuare ,ma anche ad accertamenti tecnici finalizzati :
al rilascio delle varie autorizzazioni ( l’impiego dei minori nelle manifestazioni di carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario e nel settore dello spettacolo, specie nelle riprese cinematografica; impiego degli adolescenti alle lavorazioni ed ai processi ed ai lavoro vietati di cui all’ allegato I all’ art 7 del D.Lgs. 4.agosto 1999 n.345 e alle lavorazioni effettuate con il sistema dei turni a scacchi, ove consentito dai contratti collettivi di lavoro; alla riduzione della durata dei riposi intermedi );
all’emanazione di disposizioni, concernenti il divieto di permanere nei locali durante i riposi intermedi e nell’osservare un orario di lavoro più ridotto nei casi in cui il lavoro presenta caratteri di pericolosità o gravosità
alla valutazione, anche se a posteriori, delle condizioni costituenti la forza maggiore ed il tempo strettamente necessario, nell’impiego in via eccezionale di adolescenti che hanno compiuto 16 anni in lavori notturni.
Onde conoscere e studiare il fenomeno del lavoro minorile anche nella parte che la legge lo consente è necessario che il numero dei minori iscritti nelle Circoscrizioni del lavoro nelle liste dei disoccupati o in attesa di prima occupazione, sia quello reale e rispecchi il vero problema occupazionale e non sia il frutto di una mentalità furbesca a danno di famiglie meno furbe.
Molti genitori, infatti appena il proprio figliolo termina la scuola dell’obbligo, “lo iscrivono al Collocamento” e, pur continuando a fargli frequentare la scuola e forse anche l’Università, gli fanno timbrare annualmente il tesserino che attesta lo stato di disoccupazione, consentendo di acquisire un’anzianità d’iscrizione a danno di chi non conosce questo marchingegno.
E’ necessario quindi rivedere il meccanismo della compilazione delle liste dei disoccupati o in attesa di occupazione, che tanta attività impiegatizia e mezzi del Ministero del Lavoro, e ora degli enti locali, sottrae a compiti ben più seri quali: l’Ispezione del lavoro.
E’ necessario che tutte le Sezioni .Circoscrizionali del Lavoro osservino l’art.25 della legge 977/67 che prescrive agli Uffici del lavoro di sollecitare i “bambini ” che hanno superato i 14 anni e che non proseguono gli studi e quindi sono veramente in cerca di prima occupazione, a frequentare i corsi di formazione professionale, pena la loro cancellazione dalle liste dei disoccupati.
Ma oltre alla attività repressiva e amministrativa a livello periferico, il Ministero del Lavoro, nell’ambito delle sue funzioni istituzionali, esercita anche un’attività amministrativa propulsiva in materia di tutela del lavoro dei fanciulli e degli adolescenti sia in campo nazionale. che internazionale.
In campo internazionale cura particolarmente l’attuazione delle direttive UE e delle convenzioni OIL attraverso un apposito ufficio, nel cui ambito opera uno specifico Comitato nazionale tripartito OIL che ha ribadito più volte la priorità della lotta al lavoro dei bambini a livello internazionale, attesi anche gli impegni assunti in occasione .dei vertici dell’ONU. e la partecipazione, unitamente all’ufficio italiano dell’OIL ed alla Unicef, alle varie conferenze internazionali contro lo sfruttamento dei bambini che lavorano nel mondo .ed alla sottoscrizione della Carta di impegni.
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