A proposito di un libro di parte, ma non troppo.
Qualunque trattazione che abbia ad oggetto il diritto di famiglia, non può essere soltanto una esposizione del succedersi di regimi normativi, ma è innanzitutto una storia del fenomeno sociale famiglia. In questo campo, infatti, gli aspetti giuridici si intrecciano con la natura degli interessi coinvolti e con le continue trasformazioni del substrato sociale sul quale vengono a incidere, costringendo il legislatore prima e l’interprete poi, ad un continuo confronto con sollecitazioni e valutazioni di tipo extra-giuridico. L’applicazione della norma, allora, risente sempre dell’influenza del bagaglio culturale – e talvolta emotivo – di colui che quella norma deve applicare.
Sappiamo che, storicamente, la figura maschile è sempre stata centrale. Di conseguenza, subalterna e di quasi nessuna incidenza decisionale, si è configurata nel tempo la condizione femminile, in primis all’interno della famiglia.
Com’è potuto accadere, negli ultimi anni, un così radicale rovesciamento delle parti nella famiglia italiana, per cui oggi, senza neppure stupirci, ci si trova a scrivere di “tutela del marito nella crisi della famiglia”?
In questa nuova dimensione, si assiste sempre più di frequente ad una singolare inversione di ruoli: si tende cioè a privilegiare la donna a scapito dell’uomo, la moglie a scapito del marito, la madre a svantaggio del padre. Paradossalmente, ciò si verifica proprio in una contingenza temporale in cui l’uomo è tornato ad essere “più padre” e ”meno padrone”. Vale la pena sottolineare, a questo proposito, che, all’interno dell’Unione Europea, l’Italia è statisticamente il Paese con il picco numericamente più negativo dei matrimoni, cui fa riscontro un esponenziale aumento di convivenze. Non è questa la sede per una approfondita disamina del fenomeno, le cui cause sono molte e di diversa natura, tuttavia è giusto rilevare che sull’andamento del grafico incide il timore del maschio di precipitare, a fronte di una separazione conflittuale, in una condizione di quasi povertà e di deprivazione di ruolo e di immagine nei confronti dei figli.
Da qui un’opera esplicitamente “di parte”, un testo finalizzato ad essere un utile strumento per il legale preposto alla miglior tutela da garantire al suo assistito: marito e/o padre, quando si trova ad essere parte debole.
Sia ben chiaro: nessuna nostalgia, nessun rimpianto per il “buon tempo andato” quando l’uomo decideva e la donna eseguiva, nessun pregiudizio di “genere”. Soltanto la presa d’atto di una realtà effettuale con la consapevolezza che, nelle separazioni conflittuali, emergono pur sempre due tipi di prospettive: quella di chi cerca di approfittare della propria posizione di privilegio, cercando di ostacolare, ad esempio, l’esercizio della genitorialità “dell’altro”, e quella di chi cerca di scrollarsi di dosso qualsiasi responsabilità, anche economica o, peggio, di chi tenta di ricorrere alla pas (alienazione genitoriale) come strumento per sovvertire gli attaccamenti e i legami del minore all’altro genitore.
Senza nulla togliere alla valenza di una posizione in favore dell’altra, e riservando ad altra opera l’analisi dell’altra delle due prospettive sopra delineate, abbiamo oggi scelto il tema dei padri che rivendicano i propri diritti ad essere padri, ma ai quali non è più concesso di “fare i padri”, a fronte di madri che temono di essere spodestate, deposte dalla loro nuova e gratificante posizione di rilievo e di riconoscimento.
Così si è deciso di improntare l’analisi sistematica ed istituzionale, unitamente alla ricerca giurisprudenziale del Volume, a temi quali: la tutela del patrimonio del marito; il risarcimento del danno a seguito di infedeltà coniugale; la tutela del rapporto del padre con i figli in caso di ostacolo alla sua genitorialità, ma anche in caso di condotte “mobbizzanti” da parte dell’altro coniuge e della sua famiglia d’origine; la punibilità delle condotte illegittime della moglie nei confronti del marito anche sotto il profilo penale, ad esempio in caso di sottrazione del figlio.
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