L’elaborato prende le mosse dall’attenta elaborazione dell’art. 32 della Carta Costituzionale; infatti, la Costituzione italiana recita, al primo comma dell’art. 32, “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Già dalla formula adottata si evince l’obiettivo finale dell’ordinamento alla tutela del bene-salute, il quale viene considerato, in primis, interesse individuale del singolo ma, soprattutto, interesse della collettività.
In generale, la salute costituisce lo stato di benessere fisico, mentale e sociale, oggetto di specifica tutela da parte dell’ordinamento, che consente all’individuo di integrarsi nel suo ambiente naturale e sociale, quindi è una situazione soggettiva che deve essere tutelata contro tutti gli elementi nocivi ambientali e da qualsiasi attacco da terzi che possa, in qualche modo, ostacolarne il godimento. Il contenuto del diritto che la Costituzione riconosce a tutti gli individui è complesso: la situazione di benessere psico-fisico, intesa in senso ampio, con cui s’identifica il bene “salute” si traduce nella tutela costituzionale dell’integrità psico-fisica, del diritto ad un ambiente salubre, del diritto alle prestazioni sanitarie e della cosiddetta libertà di cura (in altri termini, diritto di essere curato e di non essere curato).
Oltre che quale diritto soggettivo e individuale, la tutela della salute costituisce anche un interesse per la collettività, in quanto strumento di elevazione della dignità individuale. In maniera speculare lo Stato si impegna “negativamente”, ossia si astiene da azioni che comporterebbero la lesione dei relativi diritti.
Tuttavia, il diritto offre ampi spazi di studio che hanno condotto gli approfondimenti in materia di tutela della salute fino al livello normativo internazionale. In proposito, da ultimo, dottrina accreditata, prendendo in considerazione la sovrapposizione dei diversi regimi convenzionali applicabili associata alla mancanza di una formulazione univoca del diritto alla salute, ha definito la tutela internazionale della salute «a geometria variabile», seppure evidenziando il contrasto con l’esigenza di garantire la realizzazione di un diritto universale. In realtà, le diverse disposizioni contenute nei Trattati e nelle Convenzioni internazionali, nonostante facciano proprio il medesimo concetto astratto di diritto alla salute, sono caratterizzate da un approccio differente rispetto al contenuto del diritto che, se in alcuni casi si atteggia a indicazione delle misure statali necessarie a garantire la piena attuazione, in altri casi è il generico «diritto al godimento del più elevato standard di salute possibile». In tale pluralità normativa è, però, possibile ricavare un minimo comune denominatore sottratto alla tutela a geometria variabile, che corrisponde al diritto di accesso equo e non discriminatorio alle cure mediche e ai servizi sanitari e di riabilitazione.
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L’opera affronta le due fattispecie dell’omessa diagnosi e della diagnosi tardiva, delineando presupposti e conseguenze della responsabilità della struttura sanitaria che sia incorsa in tali inadempimenti, comportando l’aggravamento dello stato di salute del paziente e, nei casi peggiori, il decesso dello stesso. Il volume offre un’analisi sistematica e attenta della giurisprudenza più recente sul tema, fornendo al professionista una guida utile per affrontare la casistica in materia, sia dal lato del paziente che della struttura. In particolare, viene dedicato ampio spazio al tema del nesso di causalità (che riveste caratteristiche peculiari dovendo essere valutato con riferimento ad una condotta di carattere omissivo da parte del soggetto agente), nonché alla tipologia di danni che possono derivare da una ritardata o omessa diagnosi (con particolare attenzione al danno da perdita di chances e a quello per nascita indesiderata) ed ai soggetti che possono invocare la tutela giudiziaria per ottenere il risarcimento. Pier Paolo MuiàDopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato in Giurisprudenza, con 110 e lode, presso l’Università degli Studi di Firenze. Esercita la professione di avvocato tra Firenze, Prato e Pistoia, occupandosi in particolare di responsabilità medica, diritto di internet, privacy e IP. È autore di monografie e numerose pubblicazioni sulle principali riviste giuridiche nazionali e collabora stabilmente con il portale giuridico Diritto.it. È stato relatore in diversi convegni, anche per ordini professionali medici.
Pier Paolo Muià | 2020 Maggioli Editore
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Il diritto alla salute: art. 32 Cost.
La Costituzione italiana riconosce il diritto alla salute definendolo un diritto fondamentale dell’individuo[1]. Così recita il primo comma dell’art. 32, ad esso interamente dedicato: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.
La formula adottata dalla Costituzione sembrerebbe, a prima vista, generica e insoddisfacente. In realtà, stante il tenore della norma, si evince un interesse obiettivo dell’ordinamento alla tutela del bene-salute.
La diseguaglianza tra i diritti di libertà e i diritti sociali si fondava su due argomenti: il primo faceva capo alla tesi del diverso valore dei principi su cui poggiavano le categorie di diritti. Se i diritti di libertà si fondavano sul principio di libertà, i diritti sociali poggiavano sul principio di eguaglianza e quest’ultimo, in uno stato liberale di diritto, era cedevole rispetto al primo. In secondo luogo, l’altro argomento teneva in considerazione l’origine storico-politica dello stato di diritto: nato come mero servitore della società[2].
Oggi queste posizioni non sono più sostenibili. Nello stato di diritto si è aperto un varco molto largo per affiancare ai diritti di libertà i diritti sociali, come nuovo oggetto di protezione da parte dell’ordinamento[3].
Il riconoscimento al diritto alla salute della qualifica di diritto fondamentale comporta precise conseguenze giuridiche, quali l’inalienabilità, l’intrasmissibilità e l’irrinunciabilità[4], oltre che l’indisponibilità[5] e dal punto di vista della titolarità, spetta sia ai cittadini che agli stranieri, in quanto, fa parte di quei diritti strettamente inerenti alla persona, che già la sent. n. 104 del 1965 aveva svincolato dal godimento della cittadinanza italiana.
In generale, la salute costituisce lo stato di benessere fisico, mentale e sociale, oggetto di specifica tutela da parte dell’ordinamento, che consente all’individuo di integrarsi nel suo ambiente naturale e sociale, quindi è una situazione soggettiva che deve essere tutelata contro tutti gli elementi nocivi ambientali e da qualsiasi attacco da terzi che possa, in qualche modo, ostacolarne il godimento[6]. Il contenuto del diritto che la Costituzione riconosce a tutti gli individui è complesso: la situazione di benessere psico-fisico, intesa in senso ampio, con cui s’identifica il bene “salute” si traduce nella tutela costituzionale dell’integrità psico-fisica, del diritto ad un ambiente salubre, del diritto alle prestazioni sanitarie e della cosiddetta libertà di cura (in altri termini, diritto di essere curato e di non essere curato).
Il diritto alla salute, come diritto sociale fondamentale, viene tutelato, poi, anche dall’art. 2 Cost.; essendo, inoltre, intimamente connesso al valore della dignità umana (diritto ad un’esistenza degna) rientra nell’ulteriore previsione dell’art 3 Cost.
Dalla lettura in combinato disposto degli articoli 32, 2 e 3 Cost., può, dunque, dedursi che il diritto alla salute possiede una valenza erga omnes, quale situazione soggettiva assoluta che merita protezione contro qualsiasi aggressione ad opera di terzi. Esso comporta una pretesa positiva nei confronti dello Stato (estesa anche alle Regioni, dopo la modifica del titolo V della Costituzione[7]), chiamato a predisporre strutture, mezzi e personale idonei ad assicurare una condizione di salute ottimale alla singola persona, nonché ad attuare una efficace politica di prevenzione, cura e intervento sulle possibili cause di turbativa dell’equilibrio psico-fisico della popolazione in generale.
Il diritto alla salute viene quindi inteso come diritto soggettivo, protetto contro ogni aggressione ad opera di terzi e suscettibile di una tutela risarcitoria immediata, indipendente da qualsiasi altra conseguenza dannosa giuridicamente apprezzabile, nonché come diritto sociale la cui pratica attuazione è essenziale per la realizzazione di quel principio di libertà-dignità che è intrinseco nella Carta Costituzionale[8]. Dottrina accreditata, superando la concezione che si limitava a cogliere nella norma costituzionale una “direttiva programmatica circa la funzione di tutela sanitaria assunta dallo Stato”[9] ha riconosciuto il significato innovativo dell’art. 32 Cost. e il suo ruolo di principio fondamentale nel quadro della tutela civile della persona umana[10], infatti, già dalla trattazione, che precede quella dedicata ai rapporti patrimoniali, non può che dedursi l’indubbia priorità del diritto alla salute rispetto ad altri diritti che di tale posizione privilegiata non godono.
Ad ogni modo, non può sottacersi che dall’analisi sistematica della disciplina costituzionale, nonché delle norme civilistiche, il concetto di salute emerge in maniera più netta e va delineandosi come condizione per l’esplicazione della personalità del singolo[11] e come fenomeno che non può esclusivamente piegarsi alle necessità e alle pretese dell’individuo[12].
La salute, quindi, ridefinita nella dimensione privatistica, si colloca come valore suscettibile di reintegrazione, conservazione, promozione e incremento, individuando tre fondamentali aree di rilevanza della stessa nei rapporti tra privati: in relazione alla condizione del soggetto come persona e come membro di una comunità, in relazione alle determinazioni dell’individuo stesso che possono arrecare pregiudizio alla propria o all’altrui salute, nei confronti dei fatti lesivi dei terzi[13].
Oltre che quale diritto soggettivo e individuale, la tutela della salute costituisce anche un interesse per la collettività, in quanto strumento di elevazione della dignità individuale. In maniera speculare lo Stato si impegna “negativamente”, ossia si astiene da azioni che comporterebbero la lesione dei relativi diritti.
Come ampiamente detto, poiché la Carta costituzionale sancisce inequivocabilmente il diritto dei cittadini a vedere tutelata la propria salute, lo Stato deve assumersi il compito di realizzare tutte le condizioni affinché ciò avvenga; questo equivale a dire che il servizio sanitario nazionale (SSN) è l’esplicazione dei doveri costituzionali a carico dello Stato e a favore della comunità. La Costituzione garantisce la gratuità del servizio per gli “indigenti”; per quanto riguarda tutti gli altri soggetti non rientranti in quella categoria è prevista una forma di compartecipazione dell’utente con lo Stato (es. il ticket sanitario) per la copertura delle spese relative alle prestazioni sanitarie erogate dal SSN.
L’art. 32 comma 2 Cost. individua ulteriori profili del diritto alla salute che possono essere ricondotti da un lato al concetto di libertà di scelta terapeutica e di rifiuto delle terapie, dall’altro al campo dei c.d. trattamenti sanitari obbligatori. Il diritto di rifiutare le terapie altro non è se non il risvolto in negativo del diritto pretensivo alla salute, che si estrinseca nel proprio perché “nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge”; anche in tal caso la legge non potrebbe “violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Viene così attribuita assoluta priorità al diritto all’autodeterminazione individuale in campo medico[14]: salvo i casi tassativi ed eccezionali prescritti dalla legge, il medico non può intervenire senza il consenso o malgrado il dissenso del paziente[15].
La tutela internazionale “a geometria variabile” del diritto alla salute
L’ordinamento internazionale mostra, per la salute, un interesse evidente dato dalla creazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, competente per l’adozione di appositi regolamenti in materia, tuttavia, il diritto internazionale non si è mostrato, in sé, strumento sufficiente a dimostrare l’esistenza di un diritto alla salute e a predicarlo quale “fondamentale”.
Infatti, non è agevole trovare, nella normazione contemporanea, previsioni che tutelano direttamente il bene-salute. Già le Carte internazionali dei diritti, comprese quelle che l’Italia è impegnata a osservare, sono, in proposito, scarne.
La prima enunciazione del diritto alla salute è contenuta nel preambolo della Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità come diritto fondamentale al godimento «del più elevato standard di salute possibile», che a sua volta è definita quale «stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplice assenza di malattia o infermità»[16].
L’art. 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, presumibilmente di applicazione obbligatoria, impiega una formula talmente ampia da risultare, per questo, vaga del riconosciuto diritto alla salute[17], ponendo l’accento sull’accesso alle cure mediche e agli altri fattori determinanti della salute e del benessere, quali alimentazione, vestiario, abitazione e servizi sociali:
“…Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari…”.
In contemporanea con la Dichiarazione universale del 1948, la Dichiarazione americana dei diritti e doveri dell’uomo afferma invece che ogni persona ha diritto alla preservazione della salute mediante adeguate misure sanitarie e sociali che lo Stato deve adottare, in ragione delle risorse pubbliche disponibili, per garantire cibo, vestiario, alloggio e assistenza medica[18].
Il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, all’art. 12, fornisce, invece, una definizione più precisa e allo stesso modo l’art. 11 della Carta Sociale Europea, dalle quali definizioni sembra non possano farsi derivare situazioni soggettive attive in capo ai singoli.
Ancora, il diritto alla salute viene enunciato in tantissimi accordi internazionali a vocazione generale, ma anche a presidio dei diritti di particolari categorie di soggetti vulnerabili, nonché in regimi convenzionali settoriali che impongono obblighi di tutela della salute umana in contesti specifici. È bene precisare, che nella prospettiva dell’appena richiamato diritto pattizio, la pluralità delle fonti applicabili delinea un quadro giuridico abbastanza frammentario e complesso, frutto evidente della regionalizzazione e della settorializzazione dei diritti umani[19]; quindi, la sovrapposizione dei diversi regimi convenzionali applicabili associata alla mancanza di una formulazione univoca del diritto alla salute, fa sì che si diffonda l’idea di una tutela internazionale «a geometria variabile», in contrasto con l’esigenza di garantire la realizzazione di un diritto universale[20].
Solo considerando le scelte operate dalle diverse convenzioni per definire il “diritto alla salute” si può comprendere il senso di quanto appena affermato; le diverse disposizioni, nonostante facciano proprio il medesimo concetto astratto di diritto alla salute, sono caratterizzate da un approccio differente rispetto al contenuto del diritto che, se in alcuni casi si atteggia a indicazione delle misure statali necessarie a garantire la piena attuazione, in altri casi è il generico «diritto al godimento del più elevato standard di salute possibile». In tale pluralità normativa è, però, possibile ricavare un minimo comune denominatore sottratto alla tutela a geometria variabile, che corrisponde al diritto di accesso equo e non discriminatorio alle cure mediche e ai servizi sanitari e di riabilitazione[21].
I vari comitati delle convenzioni e delle associazioni preposte alla tutela dei diritti sociali (quali a titolo meramente esemplificativo il Comitato dei diritti sociali europei e il Comitato per i diritti economici sociali e culturali) hanno offerto un contributo importante all’affermazione del diritto alla salute in ambito internazionale e alla sua interpretazione univoca, nel rispetto del principio della non discriminazione, rimanendo fedeli al paradigma dell’universalità, indivisibilità, interdipendenza ed interconnessione dei diritti umani e ponendo le basi per una tutela uniforme del diritto alla salute, basata sulla interpretazione sistematica ed estensiva delle norme e sulla cross-fertilization[22].
La tutela del diritto universale alla salute, dunque, si muove sul rispetto del principio di non discriminazione[23]. Già il sopracitato Patto internazionale, all’art. 2, impone alle parti di garantire che ciascuno dei diritti ivi enunciati venga esercitato senza discriminazione di nessun genere; ancora, i principi di uguaglianza e non discriminazione sono richiamati plurime volte nel testo dell’accordo, nonché nella Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne e nella Convenzione sui diritti del fanciullo, sui diritti delle persone con disabilità e sui diritti dei lavoratori migranti. Pertanto, i Comitati, attraverso il palese utilizzo della cross-fertilization, hanno evidenziato l’inderogabilità del principio, altresì, nel campo della tutela della salute, sottolineando l’importanza di adottare normative e politiche sanitarie attente al rispetto di questo principio, ai fattori di discriminazione multipla, alle cause di discriminazione diverse da quelle espressamente previste dalle convenzioni, come quella basata sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sullo stato di salute.
La cross-fertilization, quindi, ha creato un dialogo tra le varie convenzioni, favorendo un certo grado di omogeneità nell’interpretazione ed applicazione delle norme; questo dialogo tra i regimi pattizi posti a tutela del diritto alla salute crea un sistema di interazioni tra essi e un quadro giuridico coerente e adatto a garantire a tutti indistintamente «il più elevato standard di salute possibile», contribuendo alla trasformazione graduale della tutela a geometria variabile in geometria uniforme[24].
In ogni caso deve evidenziarsi che la protezione accordata al diritto alla salute dalle fonti di derivazione pattizia è sempre di livello inferiore a quello costituzionale e necessita di un idoneo e volontario adattamento da parte dell’ordinamento interno. La dottrina moderna maggioritaria, sostenuta dalla giurisprudenza costituzionale, afferma costantemente che alle norme pattizie spettano il rango e il trattamento che sono propri della fonte che le immette nell’ordinamento, dunque quelli tipici della legge ordinaria[25].
La stessa difficoltà di affermazione del diritto in oggetto può riscontrarsi nelle Costituzioni contemporanee dei Paesi stranieri: non è agevole, infatti, trovare la previsione di una tutela diretta di una situazione soggettiva di vantaggio avente ad oggetto il bene-salute. Vi sono casi di completa assenza del riconoscimento esplicito del diritto alla salute, come anche sono comuni i casi in cui non è accordata alcuna protezione del diritto alla salute in sé ma, banalmente, quella dell’uomo dalle conseguenze dell’eventuale lesione della salute che possono derivargli. Le carte fondamentali, tra le più recenti, che riconoscono esplicita e adeguata protezione alla salute sono la Costituzione Spagnola, risalente al 1978 (Art. 43 co. 1) e la Costituzione Portoghese del 1976 (Art. 64).
La tutela della salute i diritti umani
Dottrina europea recente[26] e americana dell’ultimo ventennio[27] hanno ampiamente evidenziato gli aspetti relazionali, di interdipendenza e conflittualità che caratterizzano il rapporto tra la salute e i diritti umani. Infatti, se è acclarato che la realizzazione del diritto alla salute è direttamente proporzionale al godimento di altri diritti fondamentali, che in alcuni casi sono considerati fattori determinanti della salute, è altrettanto vero che possono verificarsi situazioni nelle quali esigenze di tutela della salute pubblica richiedano il sacrificio di alcuni diritti fondamentali posti a base di un regime democratico[28].
Questo contemperamento di diritti risulta tanto più difficile quanto più elevati sono gli standards di sicurezza sanitaria che le autorità nazionali sono indotte a fissare in condizioni di emergenza sanitaria dichiarata, sia nazionale che internazionale. Nel caso di massima allerta pandemica, ovvero in presenza di importanti focolai di infezioni e di malattie trasmissibili, l’adozione di misure di sanità pubblica (ad es. quarantena, isolamento, chiusura di luoghi pubblici, etc.) mettono in pericolo l’equilibrio tra salute e diritti umani, ed è proprio in tali condizioni che si rende necessario un equo bilanciamento tra interesse individuale al pieno esercizio dei diritti della persona e interesse collettivo alla salvaguardia del bene-salute.
Il diritto internazionale offre la possibilità di limitare i diritti umani, in quelle situazioni, espressamente in numerose convenzioni in materia, le quali legittimano gli Stati a comprimere alcuni diritti in nome della salvaguardia della salute pubblica e di altri interessi generali, come l’ordine pubblico, la sicurezza nazionale, la morale pubblica, il benessere economico dello Stato e il rispetto dei diritti e libertà altrui.
Queste clausole limitative[29] poste dalle convenzioni devono soddisfare precise condizioni di legalità e legittimità affinché il diritto interessato non sia completamente svuotato di contenuti o del tutto vanificato, infatti, le ragioni poste alla base delle restrizioni poste in essere dalle autorità statali devono essere chiaramente definite e rispondere a precise esigenze sociali corrispondenti a un interesse generale. Tali azioni limitative devono anche avere un fondamento normativo certo e devono rispettare i principi di non discriminazione, proporzionalità e necessità. Il tutto è garantito da organi di controllo e dalla presenza di rimedi effettivi cui gli individui colpiti dalla misura restrittiva possano ricorrere in caso di violazione ingiustificata dei loro diritti[30].
Le condizioni di legittimità appena descritte sono oggi ampiamente condivise dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, che in più occasioni si è pronunciata sulla legittimità delle limitazioni ai diritti garantiti dalla Cedu per ragioni di sanità pubblica. Operando un bilanciamento tra interesse collettivo alla tutela della salute pubblica e gli interessi dei ricorrenti, la Corte ha ritenuto legittimo, in deroga alla libertà di manifestazione della religione (art. 9 Cedu), il rifiuto delle autorità francesi di autorizzare un’associazione liturgica israelita a effettuare sacrifici rituali di animali secondo modalità contrarie alle leggi sanitarie pertinenti[31].
Anche se, ad oggi, il caso emblematico è stato quello Testimoni di Geova di Mosca v. Russia, deciso dalla Corte nel 2014. Il provvedimento restrittivo si fondava su una molteplicità di accuse mosse ai Testimoni di Geova, inclusi il danno alla salute, l’incoraggiamento al suicidio e al rifiuto, per motivi religiosi, di assistenza medica anche in condizioni di pericolo di vita. La Corte ha stabilito che il rifiuto di trasfusioni, liberamente acconsentito dai Testimoni di Geova, è in linea di principio una questione che riguarda l’autonomia personale dell’individuo e, dunque, è coperto dalla disciplina dettata dagli articoli 8 e 9 della Cedu; in questa ottica, la Corte ha osservato che il rifiuto di trasfusione non può essere equiparato al suicidio, perché i Testimoni di Geova non rifiutano le altre cure mediche ma solo quelle emotrasfusionali, quindi, la libertà della persona di condurre la propria vita secondo scelte esclusivamente personali include la libertà di svolgere attività percepite come fisicamente dannose o pericolose, includendo anche la libertà di rifiutare una trasfusione assolutamente essenziale per la salvezza della vita. La Corte ha concluso che in un’ottica di protezione e garanzia per la libertà di scelta dei pazienti, il divieto di trasfusioni non vale a giustificare lo scioglimento forzato dell’organizzazione.
Come è evidente la comunità internazionale, in special modo nel XXI secolo, è stata messa a dura prova da consistenti emergenze sanitarie. Il Regolamento sanitario internazionale del 1969, in tale contesto, si è da subito mostrato inadeguato, in quanto applicabile alle sole malattie “quarantenarie” (colera, peste e febbre gialla), ragion per cui l’OMS ha cercato di accelerare i tempi di revisione del Regolamento e, nel frattempo, ha risposto tempestivamente con raccomandazioni, linee guida e progetti operativi ad hoc[32].
L’attuale e nuovo Regolamento sanitario internazionale (2005) coniuga esigenze di tutela della salute pubblica e rispetto dei diritti fondamentali, così come enunciato dal primo paragrafo dell’art. 3 che parla di «pieno rispetto per la dignità, i diritti umani e le libertà fondamentali delle persone» quale principio fondamentale sotteso all’attuazione del Regolamento. Una delle principali innovazioni introdotte dallo stesso è il concetto di “emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale”[33], che l’art. 1 definisce come «evento straordinario» che si ritiene possa costituire un rischio transnazionale e che richieda una risposta internazionale coordinata.
La responsabilità di determinare se un evento costituisca un’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale spetta al Direttore Generale dell’OMS, dopo la valutazione delle informazioni e delle prove scientifiche disponibili. Ritenuto che sia in corso un’emergenza sanitaria di tal fatto il Direttore Generale consulta lo Stato interessato e formula dichiarazione dell’art. 12 del Regolamento.
Infine, è istituito il Comitato di Emergenza che può emanare raccomandazioni temporanee o permanenti, indirizzate ai singoli Stati Membri dell’OMS, che hanno ad oggetti misure sanitarie riguardanti persone, viaggiatori, bagagli, trasporti et similia che devono essere implementate al fine di evitare o ridurre la diffusione internazionale di malattie ed evitare interferenze con i traffici internazionali.
. L’interpretazione costituzionalmente orientata del diritto alla salute
Ritornando su un punto di vista strettamente pratico-giuridico proprio del nostro ordinamento, la questione salute si pone in tali termini: è compito della Repubblica creare quelle condizioni affinché le persone possano esercitare il diritto ad ottenere la tutela della propria salute, che si concretizza nell’accesso all’assistenza sanitaria generale e specialistica, diritto ad esse attribuito dalla Costituzione e che essa qualifica come fondamentale.
Nella realizzazione del dettato costituzionale, però, i decisori politici devono contemperare gli interessi connessi alla salute con quelli legati alla sostenibilità finanziaria del sistema. Il diritto alla salute, quindi, deve essere bilanciato con il principio della regolarità dei conti pubblici, anch’esso costituzionalmente previsto nell’art. 81 e anche implicito nell’art. 97; i principi costituzionali devono funzionare in maniera “relazionale”, sia perché tra interessi costituzionalmente protetti non può attribuirsi assolutezza a uno a scapito degli altri, ma anche perché, da un punto di vista pratico, è chiaro che lo Stato deve mirare ad avere i conti in ordine per potersi “permettere” di spendere nei settori di rilievo sociale. Il rispetto della regolarità finanziaria è, perciò, anche funzionale alla continuità dell’impegno dello Stato nel settore sanitario.
La Corte Costituzionale ha affermato più volte, nel corso degli anni, la necessità di effettuare il bilanciamento tra valori costituzionali sostenendo che «il diritto ai trattamenti sanitari necessari alla tutela della salute è garantito ad ogni persona come diritto costituzionalmente condizionato all’attuazione che il legislatore ne dà attraverso il bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti»[34]; ha sempre fatto presente però che questa operazione vuole la attenta ponderazione della rilevanza costituzionale dei valori in campo e, con riguardo specifico sempre al diritto alla salute, non è ammissibile che l’esito del bilanciamento sia un pregiudizio delle prerogative fondamentali derivanti dal diritto di cui siamo titolari. Si può individuare un “nucleo essenziale”[35] del diritto alla salute, che comprende gli aspetti di cui non si può, in nessun caso, essere privati, pena la violazione del dettato costituzionale, che viene sanzionata con l’illegittimità delle norme che si pongano in contrasto con esso[36].
In special modo, in un passaggio di particolare chiarezza espressiva si legge che «le esigenze della finanza pubblica non possono assumere, nel bilanciamento del legislatore, un peso talmente preponderante da comprimere il nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana. Ed è certamente a quest’ambito che appartiene il diritto dei cittadini in disagiate condizioni economiche, o indigenti secondo la terminologia dell’art. 32 della Costituzione, a che siano assicurate loro cure gratuite»[37]. Il caso preso in considerazione in questa decisione, riguardante il rapporto tra le esigenze di equilibrio dei conti pubblici e la tutela della salute, è molto importante perché negli ultimi tempi sembra che l’esigenza di risanare il bilancio dello Stato non abbia lasciato spazio neanche per la protezione del citato nucleo essenziale del diritto.
Nello stesso art. 32 Cost., viene dato spazio anche alle esigenze di tutela della salute collettiva, la quale, entro gli stretti limiti imposti dalla riserva di legge e dal rispetto imprescindibile della persona umana, può comportare il legittimo sacrificio della salute individuale, tramite l’imposizione di trattamenti sanitari obbligatori (è il caso ad esempio delle vaccinazioni)[38].
La qualifica di diritto fondamentale è stata attribuita al diritto alla salute in ragione dell’importanza che questo bene giuridico ha per l’individuo, nell’ottica della conduzione di un’esistenza degna, e per la collettività.
La Carta fondamentale del nostro ordinamento impone allo Stato, dunque, di trattarlo come tale nei momenti in cui è chiamato a fare le scelte politiche e la Corte Costituzionale, in definitiva, può giudicare conforme o non conforme alla Costituzione il modo in cui il legislatore ha dato e darà attuazione ai principi fondamentali che essa esprime.
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BIBLIOGRAFIA:
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Avvenuta con l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3.
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Op. cit. in Enc. Giur. Treccani, Vol. XXXII, 1992, Roma.
Art. 33 l. n. 833 del 1978 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, che dispone: “Gli accertamenti e i trattamenti sanitari sono di norma volontari”.
- Viganò, I presupposti di liceità del trattamento medico, in Corr. merito, 2009, pp. 345-349.
- Negri, Salute pubblica, sicurezza e diritti umani nel diritto internazionale, Torino, 2018 p. 62; G.L. Burci, C.H. Vignes, World Health Organization, Kluwer Law International, The Hague, 2004, pp- 107 – 113.
- Vitta, Introduzione, in Codice degli atti internazionali sui diritti dell’uomo, Milano, 1982.
Così S. Negri, op. cit., p. 63.
- Cassese, I diritti umani nel mondo contemporaneo, Roma – Bari, 1988, p. 61.
- Negri, op. cit. p. 65.
- Negri, op. cit. p. 67.
Si veda Dichiarazione e programma d’azione della Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sui diritti umani, Vienna, 14-25 giugno 1993, in S. Negri, op. cit., p. 97. Inoltre, per cross-fertilization si intende un fenomeno consolidato nella prassi delle corti internazionali, che sempre più di frequente ispirano le loro decisioni alle pronunce di altri organi giudiziari cui è riconosciuta un’autorevolezza indiscussa.
Art. 5, lett. e), sub IV, della Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale, adottata dall’Assemblea generale ONU con risoluzione n. 2106 del 21.12.1965, rettificata in 179 Stati.
- Negri, op. cit., p. 100.
- Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, IX Ed., Padova, 1975-1976; C. Lavagna, Istituzioni di diritto pubblico, VI Ed., Torino, 1985; B. Conforti, Diritto Internazionale, V Ed., Napoli, 1987. In Giur. Cost. Sent. n. 32 del 1960, n. 104 del 1969, n. 69 del 1976, n.188 del 1980, n. 96 del 1982.
- Harrington, M. Stuttaford, Global Health and Human Rights, Routledge, London – New York, 2010; B. Toebes, M. Hartlev, A. Hendriks, J. Rothmar Herrmann, Health and Human Rights in Europe, Intersentia, Antwerp, 2012; T. Murphy, Health and Human Rights, Hart Publishing, Oxfors, 2013.
Ex multis: J.M. Mann, L. Gostin, S. Gruskin, T. Brennan, Z. Lazzarini, H.V. Fineberg, Health and Human Rights, in HHR, 1994, pp. 6-23; V.A. Leary, The right to Health in International Human Rights Law, pp. 26-56, S. P. Marks, Health and Human Rights: The Expanding International Agenda, in ASIL Proceeding, 2001, pp. 64-70; L. Gostin, Public Health Law. Power, Duty, Restraint, II Ed., Harvard University Press, Berkeley – Los Angeles, London, 2008, Part III.
- Negri, op. cit., p. 102.
Queste condizioni limitative corrispondo agli standards internazionali che si trovano nei Siracusa Principles on the Limitation and Derogation Provisions in the International Covenant on Civil and Political Rights.
- Zanghì, La protezione internazionale dei diritti dell’uomo, II Ed., Torino, 2006, pp. 89 e ss., p. 182 e ss.
Caso Cha’are Shalom Ve Tsedek v. France, n. 27417 del 1995.
- Poulain, Revision du reglement sanitaire international, reseau «alert et reaction»: l’efficacité del outils de reaction de l’OMS à l’epreuve du SRAS et de la grippe aviaire, in Mehdi, Maljean-Dubois (a cura di), La societé internationale et les grandes pandemies, Pedone, Paris, 2007, pp. 101-118.
PHEIC – Public Health Emergency of International Concern.
Corte Cost., sent. del 20 novembre del 2000, n. 509.
Tuttavia secondo N. Aicardi, La sanità, in S. Cassese (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, I, Milano, 2000, p. 383: “Dalla giurisprudenza costituzionale- che ha accertato il rispetto del nucleo essenziale del diritto alle prestazioni sanitarie caso per caso, con riferimento alle singole questioni dibattute- non sembra possibile estrapolare un criterio o parametro in base al quale definire in termini generali la soglia della indispensabilità, la quale, perciò, resta piuttosto evanescente”; L. Chieffi (a cura di), Il diritto alla salute alle soglie del terzo millennio, Torino, 2004, p. 26.
Corte Cost., ex plurimis sent. n. 309 del 1999, n. 252 del 2001, n. 354 del 2008.
Corte Cost., Sent. del 16 luglio 1999, n. 309.
Corte Cost. sent. 14 giugno 1990, n. 307 con nota di A. Giardina, in Giur. Cost., 1990, p. 1880 ss.
Note
[1] R. BIN, G. PITRUZZELLA, Diritto costituzionale, 2018, p. 485 e ss.
[2] C. cost., 12.7.1979, n. 88; C. cost., 1.7.1983, n. 212; C. cost., 10.12.1986, n.267; C. cost., 27.11.1987, n. 549; Cass., S.U., 21.3.1973, n. 796; Cass., S.U., 6.10.1975, n. 3164; Cass., S.U., 6.10.1979, n. 5172; in dottrina v. M. Luciani, Salute: I) Diritto alla salute (Diritto costituzionale), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1992, p. 2.
[3] P. Haberle, Die Wesensgehalt-garantie des art. 19 Abs. 2 Grundgesetz, Karlsruhe, 1962; R. Dworkin, Taking Rights Seriously, Cambridge (Mass.), 1978, ed. it. a cura di G.Rebuffa, Bologna, 1982; F. Pergolesi, Alcuni lineamenti dei diritti sociali, Milano, 1953; G. Cicala, Diritti sociali e crisi del diritto soggettivo nel sistema costituzionale italiano, Napoli, 1967.
[4] A. Baldassarre, Diritti sociali, in Enciclopedia Treccani Giuridica, XI, Roma, 1992.
[5] “[…] l’indisponibilità dei diritti fondamentali non è da intendere come assoluto divieto della facoltà di disporre, ma come presenza della «necessariamente costante volontarietà» della disposizione”, così A. Pace, Libertà personale (dir. cost.), in Enc. Dir., XXIV, Milano, 1974, p. 287.
[6] F. SACCO, Articolo 32 della Costituzione Italiana. Diritto alla salute: come sono state e continuano a realizzarsi le riforme nella sanità, www.dirittosanitario.net.
[7] Avvenuta con l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3.
[8] F. De Ferrari, C.A. Romano, Manuale di medicina legale, 2013, p. 771.
[9] S. Lessona, La tutela della salute pubblica, in Comm. Calamandrei – Levi, I, Firenze, 1950, p. 333.
[10]F. D. Busnelli, Note introduttive in L. Bruscaglia, F.D. Busnelli, A. Corasaniti, Commentario della l. 23 dicembre 1978 n. 833, in Nuove leggi civ., 1979, p. 1189 ss.
[11] M.C. Cherubini, Tutela della salute e cd. atti di disposizione del corpo, in (a cura di) F.D. Busnelli e U. Breccia, Tutela della salute e diritto privato, Milano, 1978; Id, in Digesto delle discipline privatistiche, VI Sez. Civ., Torino, 1990, p. 77 e ss.
[12] P. Rescigno, La tutela della salute ed il danno della persona. Considerazioni sulla raccolta e un contributo specifico, in (a cura di) F.D. Busnelli e U. Breccia, Tutela della salute e diritto privato, Milano, 1978.
[13] Op. cit. in Enc. Giur. Treccani, Vol. XXXII, 1992, Roma.
[14] Art. 33 l. n. 833 del 1978 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, che dispone: “Gli accertamenti e i trattamenti sanitari sono di norma volontari”.
[15] F. Viganò, I presupposti di liceità del trattamento medico, in Corr. merito, 2009, pp. 345-349.
[16] S. Negri, Salute pubblica, sicurezza e diritti umani nel diritto internazionale, Torino, 2018 p. 62; G.L. Burci, C.H. Vignes, World Health Organization, Kluwer Law International, The Hague, 2004, pp- 107 – 113.
[17] E. Vitta, Introduzione, in Codice degli atti internazionali sui diritti dell’uomo, Milano, 1982.
[18] Così S. Negri, op. cit., p. 63.
[19] V. Cassese, I diritti umani nel mondo contemporaneo, Roma – Bari, 1988, p. 61.
[20] S. Negri, op. cit. p. 65.
[21] S. Negri, op. cit. p. 67.
[22] Si veda Dichiarazione e programma d’azione della Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sui diritti umani, Vienna, 14-25 giugno 1993, in S. Negri, op. cit., p. 97. Inoltre, per cross-fertilization si intende un fenomeno consolidato nella prassi delle corti internazionali, che sempre più di frequente ispirano le loro decisioni alle pronunce di altri organi giudiziari cui è riconosciuta un’autorevolezza indiscussa.
[23] Art. 5, lett. e), sub IV, della Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale, adottata dall’Assemblea generale ONU con risoluzione n. 2106 del 21.12.1965, rettificata in 179 Stati.
[24] S. Negri, op. cit., p. 100.
[25] C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, IX Ed., Padova, 1975-1976; C. Lavagna, Istituzioni di diritto pubblico, VI Ed., Torino, 1985; B. Conforti, Diritto Internazionale, V Ed., Napoli, 1987. In Giur. Cost. Sent. n. 32 del 1960, n. 104 del 1969, n. 69 del 1976, n.188 del 1980, n. 96 del 1982.
[26] J. Harrington, M. Stuttaford, Global Health and Human Rights, Routledge, London – New York, 2010; B. Toebes, M. Hartlev, A. Hendriks, J. Rothmar Herrmann, Health and Human Rights in Europe, Intersentia, Antwerp, 2012; T. Murphy, Health and Human Rights, Hart Publishing, Oxfors, 2013.
[27] Ex multis: J.M. Mann, L. Gostin, S. Gruskin, T. Brennan, Z. Lazzarini, H.V. Fineberg, Health and Human Rights, in HHR, 1994, pp. 6-23; V.A. Leary, The right to Health in International Human Rights Law, pp. 26-56, S. P. Marks, Health and Human Rights: The Expanding International Agenda, in ASIL Proceeding, 2001, pp. 64-70; L. Gostin, Public Health Law. Power, Duty, Restraint, II Ed., Harvard University Press, Berkeley – Los Angeles, London, 2008, Part III.
[28] S. Negri, op. cit., p. 102.
[29] Queste condizioni limitative corrispondo agli standards internazionali che si trovano nei Siracusa Principles on the Limitation and Derogation Provisions in the International Covenant on Civil and Political Rights.
[30] C. Zanghì, La protezione internazionale dei diritti dell’uomo, II Ed., Torino, 2006, pp. 89 e ss., p. 182 e ss.
[31] Caso Cha’are Shalom Ve Tsedek v. France, n. 27417 del 1995.
[32] M. Poulain, Revision du reglement sanitaire international, reseau «alert et reaction»: l’efficacité del outils de reaction de l’OMS à l’epreuve du SRAS et de la grippe aviaire, in Mehdi, Maljean-Dubois (a cura di), La societé internationale et les grandes pandemies, Pedone, Paris, 2007, pp. 101-118.
[33] PHEIC – Public Health Emergency of International Concern.
[34] Corte Cost., sent. del 20 novembre del 2000, n. 509.
[35] Tuttavia secondo N. Aicardi, La sanità, in S. Cassese (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, I, Milano, 2000, p. 383: “Dalla giurisprudenza costituzionale- che ha accertato il rispetto del nucleo essenziale del diritto alle prestazioni sanitarie caso per caso, con riferimento alle singole questioni dibattute- non sembra possibile estrapolare un criterio o parametro in base al quale definire in termini generali la soglia della indispensabilità, la quale, perciò, resta piuttosto evanescente”; L. Chieffi (a cura di), Il diritto alla salute alle soglie del terzo millennio, Torino, 2004, p. 26.
[36] Corte Cost., ex plurimis sent. n. 309 del 1999, n. 252 del 2001, n. 354 del 2008.
[37] Corte Cost., Sent. del 16 luglio 1999, n. 309.
[38] Corte Cost. sent. 14 giugno 1990, n. 307 con nota di A. Giardina, in Giur. Cost., 1990, p. 1880 ss.
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