La tutela giuridica della fede pubblica e del patrimonio: la rilevanza della condotta del pubblico funzionario

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Il pubblico dipendente che si allontana dal luogo di lavoro senza alcun permesso o autorizzazione (e cioè clandestinamente) e senza timbrare il cartellino-orario pone in essere una condotta significativa e rilevante per l’ordinamento giuridico interno, segnatamente per il diritto penale.

La valutazione del comportamento dell’agente va effettuata sotto vari aspetti: la natura giuridica della situazione soggettiva, di cui è titolare il pubblico dipendente, e del cartellino orario; la qualificazione degli elementi di fatto; l’individuazione delle fattispecie cui ricondurre l’azione-omissione dell’autore del fatto; la sussistenza degli elementi di diritto, richiesti dalla norma incriminatrice, e di eventuali circostanze aggravanti e/o attenuanti (1).

In merito al primo punto, è da dire che il pubblico dipendente possa rivestire la qualità di pubblico ufficiale (art. 357 c.p.) o di incaricato di pubblico servizio (art. 358): il pubblico ufficiale è colui che esercita una pubblica funzione legislativa, giudiziaria, amministrativa (disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi, caratterizzata dalla formazione e manifestazione della volontà della P.A.) alle dipendenze di un ente autarchico istituzionale di diritto pubblico e titolare di poteri autoritativi e certificativi mentre l’incaricato di p.s. è chi, a qualunque titolo, presta un pubblico servizio (senza poteri tipici) che non consista nello svolgimento di semplici mansioni di ordine e di prestazioni di opera meramente materiale.

Diversamente, è stato sostenuto che, nella fase di formazione della richiesta di retribuzione, il dipendente agisca in una logica privatistica, essendo controparte della P.A. (Cass. sez. un. 10-05-2006 n. 15983, Cass. sez. quinta 7-12-2005 n. 44689) (2).  

In riferimento al cartellino orario (ed alla scheda magnetica), può sostenersi che esso abbia natura giuridica di atto pubblico (art. 2699 c.c.) in quanto documento da ritenersi già formato dallo stesso dipendente (autorizzato a ciò) nell’esercizio delle sue funzioni e riproducente un fatto sostanzialmente nuovo (l’attestazione dell’attività prestata) e non già altrimenti accertato, suscettibile di produrre effetti giuridici per la P.A. (Cass. n. 9075/1989, n. 8423/1992, n. 9192/1996) (3).

Segnatamente, per atti pubblici vanno intesi gli atti destinati ad assolvere una funzione attestativa o probatoria esterna, con riflessi diretti ed immediati nei rapporti tra privati e P.A., e gli atti interni: in altri termini, quegli atti destinati ad inserirsi nel procedimento amministrativo, offrendo un contributo di conoscenza o di valutazione, e  quelli che si collocano nel contesto di una complessa sequela procedimentale, ponendosi come necessario presupposto di momenti procedurali successivi.

Dalla formazione dell’atto, dipende, ad es., la possibilità di provvedere, da parte dell’Ente-datore, alle necessarie eventuali sostituzioni onde assicurare la continuità del pubblico servizio e/o della pubblica funzione.

Si ricordi, inoltre, che trattasi di dipendente tenuto a fornire, con regolarità e puntualità, una prestazione di lavoro subordinato, implicante, tra gli altri obblighi da adempiere, anche quello del rispetto dell’orario (Cass. sez. seconda 10-09-2008 n. 3505) (4).

Ciò premesso e dall’esame degli elementi di fatto della condotta (5), può affermarsi che il soggetto agente abbia commesso i reati di falsità ideologica in atti pubblici (art. 479) e di truffa (art. 640), uniti in continuazione (Cass. sez. quinta 17-01-2005 n. 5676, Trib. Nola 13-07-2005) (6), il primo rubricato nei delitti contro la fede pubblica disciplinati nel libro II- titolo VII (artt. 453/498), il secondo incluso tra i delitti contro il patrimonio puniti nel libro II – titolo XIII (artt. 640/649).

Si ravvisano, infatti, le molteplici azioni-omissioni, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, con cui il soggetto ha violato, (anche) in tempi diversi, diverse disposizioni di legge (art. 81 co. 2).   

In merito al primo illecito, trattasi di fattispecie a dolo generico (art. 43): è, cioè, richiesta la coscienza e la volontà dell’evento (mutare il vero) come conseguenza della propria condotta (art. 40 co. 1), indipendentemente da qualsiasi fine specifico di profitto o di danno. Il dolo generico, peraltro, sarebbe compatibile con un atteggiamento di mera leggerezza dell’autore del reato.

L’interesse giuridico alla tutela della pubblica fede implica, cioè, che l’atto non sia leso nel suo contenuto ideale ovvero inficiato nella sua veridicità per la fiducia nutrita dai consociati nei confronti degli atti pubblici.

Può ritenersi, invece, esclusa la configurabilità del falso materiale (art. 476) in quanto può affermarsi che non sia stato formato un atto falso o alterato uno vero: il soggetto, cioè, ha omesso di fornire informazioni ovvero ha attestato falsamente fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, “limitandosi” a ciò. 

La truffa, invece, è configurabile per l’idoneità dell’azione a trarre in inganno (induzione in errore) e far percepire un ingiusto profitto (con altrui nocumento patrimoniale, Cass. n. 179203/1988) (7) ed, in linea generale, non soltanto nella fase di conclusione del contratto ma anche, come nel caso in esame, in quella dell’esecuzione: l’agente, cioè, trae in inganno la P.A. di appartenenza circa la propria effettiva presenza continuativa sul posto di lavoro.

La truffa è reato istantaneo e di danno che si perfeziona nel momento in cui alla realizzazione della condotta tipica segua la deminutio patrimonii dell’altro soggetto-offeso.

Trattasi, in particolare, di truffa aggravata in quanto commessa da pubblico funzionario con abuso di poteri- violazione dei doveri (art. 61 n. 9) ed a danno dell’Ente pubblico (art. 640 co. 2 n. 1): persona offesa dal reato (art. 90 c.p.p.) è, quindi, la P.A.

Il dipendente sarà, altresì, tenuto a risarcire il danno erariale anche per lesione del danno all’immagine (Corte dei Conti- Umbria n. 100/2009) (8).

Potrebbe, invece, riconoscersi la circostanza attenuante per la ridotta entità del danno patrimoniale arrecato (art. 62 n. 4) o l’eventuale integrale riparazione del danno prima del giudizio (art. 62 n. 6).

Va precisato che il reato non possa ritenersi insussistente se si riscontri l’inefficienza della P.A. nello svolgimento dei dovuti controlli e, quindi, nello scoprire l’artificio: all’uopo, potrebbe, invece, affermarsi la non configurabilità dell’illecito soltanto se l’artificio fosse di una grossolanità ed abnormità tali da poter essere immediatamente constatato e, quindi, da rivelarsi inidoneo a produrre l’errore. 

 

NOTE AL TESTO

1- Per approfondimenti, S. D. MESSINA- G. SPINNATO, Diritto penale. Manuale breve, Milano, 2010; C. FIORE, Manuale di diritto penale. Parte generale, Torino, 2008.

2- Reperibile su www.overlex.com.

3- Reperibile su www.ilmiotg.it e www.altalex.com.

4- Reperibile su www.overlex.com.

5- Per approfondimenti, R. GAROFOLI, Giurisprudenza penale. I singoli reati, Roma, 2010.

6- Reperibile su www.ilmiotg.it

7- Reperibile su www.ilmiotg.it

8- Reperibile su www.ilmiotg.it

Prof. Avv. Basso Alessandro Michele

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