(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 99)
1. La questione
La Corte di Appello di Torino confermava una sentenza emessa dal Tribunale della medesima città, resa in esito a giudizio abbreviato, in forza della quale l’imputato era stato condannato alla pena di mesi due giorni venti di reclusione ed euro seicento di multa per il reato di cui all’art. 73, comma 5 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, con riconoscimento delle attenuanti generiche in prevalenza sulla contestata recidiva e con confisca e distruzione di quanto in sequestro.
Avverso il provvedimento summenzionato era proposto ricorso per Cassazione da parte del difensore dell’imputato che, con un unico motivo, contestava l’errata interpretazione dell’art. 99 cod. pen., laddove era stata riconosciuta la recidiva in virtù della mera reiterazione del reato, senza alcuna verifica circa l’eventuale incremento della pericolosità sociale dell’imputato mentre, al contrario, sempre ad avviso del ricorrente, la condotta posta in essere rappresentava semmai indice del perdurare di una difficile condizione sociale, che non consentiva diverse soluzioni di vita.
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2. La soluzione adottata dalla Cassazione
Il ricorso summenzionato era ritenuto fondato.
Difatti, una volta postulato, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che, ai fini della rilevazione della recidiva, intesa quale elemento sintomatico di un’accentuata pericolosità sociale del prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell’esistenza di precedenti penali per delitto a carico dell’imputato, la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto ad esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se ed in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto, che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice (Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016) posto che è compito del giudice quello di verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia sintomo effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualità e al grado di offensività dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello di omogeneità esistente tra loro, all’eventuale occasionalità della ricaduta e a ogni altro parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero e indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali) (cfr. altresì Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010), gli Ermellini ritenevano come, nel caso di specie, tale indagine fosse stata assente, avendo la Corte territoriale – (ritenendosi) contrariamente ai principi richiamati – limitata ad affermare che il reato commesso dall’imputato sarebbe stato indice indubbio di una sua maggiore pericolosità sociale, sì che la recidiva, tenuto anche conto del suo precedente specifico recente, non poteva essere esclusa.
La motivazione in questione, quindi, ad avviso dei giudici di piazza Cavour, aveva inteso solamente porre in automatica connessione le condotte ascritte all’odierno ricorrente, omettendo qualsivoglia considerazione circa la persona dell’imputato e in ordine all’incidenza dei pregressi comportamenti sull’eventuale inclinazione al delitto dell’imputato.
3. Conclusioni
La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito che valutazione è tenuto a compiere il giudice in materia di recidiva. Difatti, in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso orientamento interpretativo elaborato sempre dalla Cassazione in subiecta materia, si afferma che, ai fini della rilevazione della recidiva, la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto ad esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se ed in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto, che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice.
Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si debba appurare se il giudice abbia correttamente applicato (o meno) la recidiva.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il profilo giurisprudenziale, dunque, non può che essere positivo.
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