Le concatenate operazioni che conducono un collegio amministrativo ad assumere le decisioni a cui è chiamato e tenuto vengono formalizzate in una forma di documentazione che, con espressione vieta ma ancor oggi utilizzata, viene denominata processo verbale (l’espressione rappresenta un retaggio storico, ed è riferita ai processi istruiti dai funzionari di polizia secondo l’antica procedura penale francese, che all’epoca erano necessariamente resi a voce, stante il modesto grado di cultura dei funzionari medesimi, al giudice). Il processo verbale rappresenta un’esternazione ad substantiam, nel senso che la stessa è necessaria per l’esistenza dell’atto.
Atto che, si precisa, è la deliberazione del collegio, la quale pertanto deve ritenersi a forma vincolata.
Il verbale è atto pubblico, ai sensi degli artt. 2699 del cod. civ., e fa fede fino ad impugnativa di falso.
La redazione del verbale compete al Segretario dell’ente di riferimento: su ciò concorda la più autorevole dottrina di settore (GALATERIA, VIRGA, GIANNINI); per la delicatezza della funzione la medesima dottrina ritiene che il Segretario possa essere sostituito da un componente del collegio amministrativo soltanto in casi di incompatibilità funzionale, e comunque in ipotesi di forza maggiore.
Ciò premesso, si passa di seguito ad esaminare in sintesi la disciplina della verbalizzazione dell’attività degli organi di amministrazione delle IPAB.
Ogni IPAB é retta da un organo di amministrazione istituito e disciplinato dalle tavole di fondazione e dallo statuto.
La legge si limita a prevedere i requisiti minimi d’accesso alla carica di amministratore, disciplinando altresì le ipotesi di incompatibilità ed ineleggibilità nonché quelle di decadenza (art. 10 della legge n. 6972 del 1890), e prevede precise norme sull’attività dell’organo (art. 46 e seg. del R.D. n. 99 del 1891, reg. amm.), il quale può essere collegiale o monocratico (art. 19 del R.D. n. 99 del 1891, reg. amm.) e sulle relative responsabilità (art. 29 e 30 della legge n. 6972 del 1890).
Quanto, invece, alla composizione dell’organo, nonché alla sua durata ed alla competenza alla nomina dei relativi amministratori, l’autonomia dell’IPAB acquista rilievo fondamentale per il tramite del rinvio alle tavole di fondazione ed allo statuto contenuto agli art. 4 e 9 della legge n. 6972 del 1890.
La legge n. 6972 del 1890 detta poi alcune precise prescrizioni in ordine alle modalità di funzionamento dell’organo di amministrazione dell’IPAB, nonchè, per quello che qui interessa, alla redazione dei verbali di deliberazione, che di regola “sono stesi dal segretario”, e “firmati da tutti coloro che vi sono intervenuti” (art. 32, co. 1, n. 2); tra i soggetti tenuti alla sottoscrizione del verbale figura, ovviamente, il Segretario, anche per l’espresso richiamo di legge (art. 32, co. 1, n. 5).
Il corpus normativo crispino contempla poi, tra le fonti disciplinanti l’attività di verbalizzazione, il regolamento amministrativo approvato con R.D. 5.2.1891, n. 99, che agli artt. 46 e segg. completa le prescrizioni di cui all’art. 32 della legge n. 6972 del 1890, operando peraltro un ulteriore rinvio agli statuti di ciascuna istituzione per la definitiva modellazione dell’attività in esame.
Rileva, in particolare, l’art. 50 del R.D. n. 99 del 1891, secondo il quale “i processi verbali (…) devono essere (…) trascritti in ordine cronologico nel registro di cui all’art. 21, lett. c) di questo regolamento”; trascrizione che deve quindi avvenire nel registro cronologico delle deliberazioni. Da tale ultima disposizione deriva che unico è l’atto che il Segretario è tenuto a redigere, ossia il verbale della deliberazione, il quale poi va soltanto trascritto e, quindi, in buona sostanza copiato o, grazie alle moderne tecnologie, comunque riprodotto nell’apposito registro (come confermato in giurisprudenza da Cass., sez. III, sent. 22.5.1973, n. 1493).
Unico è l’atto destinato a produrre effetti giuridici esterni, ossia il verbale: unico, pertanto, è il documento destinato ad essere sottoscritto da Presidente, Consiglieri e Segretario; se può (come nella prassi avviene) essere consigliabile, da parte del Segretario, appuntare nel corso della seduta consiliare i passi più significativi della discussione in quello che viene pacificamente ed univocamente definito brogliaccio, ciò non significa che lo stesso possa tenere luogo del vero e proprio verbale il quale, per comprensibili motivi, non potrà che essere elaborato in un momento (anche immediatamente) successivo dal Segretario, che avrà modo di conciliare la veridicità dei fatti emersi in corso di seduta con l’adempimento dei formalismi richiesti per la validità e l’efficacia del verbale (motivazione, indicazione degli intervenuti, votazioni, etc.).
Pertanto, se la contestualità della verbalizzazione è coessenziale ad una corretta attività del Segretario, la stessa non richiede tuttavia la stesura per esteso del processo verbale nel corso della seduta, come testualmente evidenziato in giurisprudenza (Cons. Stato, sent. 31.5.1974, n. 337).
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