La vicenda della nave “aquarius” e la questione migratoria sotto la lente del diritto internazionale e dell’ue

Sommario: 1. L’incidente della nave “Aquarius” nelle sabbie mobili del diritto internazionale e del diritto UE; 2. L’Italia e i suoi porti chiusi in contrasto con le norme di diritto internazionale?; 3. Etica dei diritti umani quale rafforzamento del diritto migratorio; 4. Il caso “Aquarius” nell’ottica dell’applicazione del Regolamento di Dublino III nelle operazioni di ricerca e soccorso in mare, c.d. SAR.

1. L’incidente della nave “Aquarius” nelle sabbie mobili del diritto internazionale e del diritto UE

 Nella prima decade del mese di giugno 2018, oltre 600 persone, id est i migranti provenienti gran parte dall’Africa del nord, sono state soccorse da navi stracolme nelle acque centrali del Mediterraneo, nelle operazioni di soccorso e ricerca – c.d. operazione SAR (Search and Rescue), che pone a carico delle Parti il vincolo di prestare assistenza agli individui in pericolo in mare[1] – poste in atto dalle imbarcazioni delle organizzazioni non governative (ONG) e dalla marina militare italiana[2]. Questo ampio gruppo di immigrati è stato fatto salire a bordo dell’imbarcazione denominata Aquarius, nave di soccorso dell’ONG tedesca SOS Méditeranée e battente bandiera di Gibilterra[3]. Questa nave si era avviata verso le coste italiane, da dove la Centrale operativa di Roma della Guardia Costiera, organismo che funge da Centro di coordinamento italiano del soccorso marittimo (IMRCC – Italian Marittime Rescue Coordination Centre), ai sensi della Convenzione di Amburgo del 1979, dopo aver ricevuto le richieste di soccorso e informato le autorità libiche, ha coordinato le operazioni. A circa 35 miglia nautiche dall’Italia e a 27 da Malta, il governo italiano, presieduto dal Primo Ministro Giuseppe Conte, in concerto con il Ministero degli Interni e quello delle infrastrutture, disponeva la chiusura dei porti e ordinava all’imbarcazione Aquarius di non entrare nel territorio italiano. Le autorità di Roma, quindi, manifestavano il divieto alla nave dell’ONG, con a bordo migranti, di entrare nei porti italiani e inibivano lo sbarco di esseri umani, che avevano ricevuto il primo soccorso sul suolo dello Stato italiano[4]. Il vice Primo Ministro e Ministro degli Interni Matteo Salvini comunicava che «…l’Italia comincia a dire no al traffico di esseri umani, al business dell’immigrazione clandestina…[5]», come monito a tutte le navi delle ONG che prestano soccorso ai migranti nel mare Mediterraneo.

Ormai, con i social, si può avere ogni notizia e intervento o il botta e risposta di tutti i tipi e a ogni livello. Difatti, la severa risposta contro il governo italiano non si è fatta attendere da parte del Primo ministro di Malta Jospeh Muscat, mercé twitter, il quale ha sottolineato che «…le indicazioni istruttive date ai membri dell’Aquarius vanno manifestamente contro le norme di diritto internazionale…[6]»; tuttavia, proprio il Premier maltese ha respinto l’attracco della nave Aquarius nel porto della capitale La Valletta. Il governo di Malta, a sua volta, come asserito sempre dal suo Premier, stava agendo nel piano rispetto al diritto internazionale. Per quasi un intero giorno, l’imbarcazione dell’ONG Aquarius è rimasta in mare aperto, navigando fra l’Italia e Malta.

Dopo ore di incertezza e stallo, dove la sicurezza a bordo della nave della ONG era stata assicurata dall’assistenza di rifocillamento e di fornitura medica, la soluzione al problema veniva formalizzata dalle autorità spagnole mercé lo sbarco dei migranti nel porto sicuro di Valencia[7]. Dal momento in cui è apparso il fatto che tale viaggio fosse stato ampiamente pericoloso non solo per i migranti che erano a bordo, ma anche per i membri dell’equipaggio del naviglio Aquarius e il piano Valencia sembrò arenarsi ex novo, le autorità italiane mettevano a disposizione le proprie navi per rendere più sicuro il passaggio verso la penisola iberica.

Entrando nel merito circa la possibilità di un’eventuale violazione da parte dell’Italia e di Malta del diritto internazionale nel concedere l’ingresso della nave Aquarius nelle loro rispettive aree portuali, è d’uopo inquadrare la questione attraverso due filoni giuridici: il diritto internazionale del mare e il diritto della persona.

Com’è ben noto ai tanti studiosi del diritto internazionale del mare, i mari e gli oceani sono divisi in contesti regionali e di soccorso per ciascuno dei quali uno Stato costiero ha la piena responsabilità. La Convenzione di Amburgo sulla ricerca e il salvataggio marittimoConvenzione SAR, ratificato dall’Italia con la legge n.147 del 1989, individuando nel Ministero dei Trasporti e della Navigazione – ora Infrastrutture e Trasporti[8] – l’Autorità nazionale responsabile e nel Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di porto, l’organismo nazionale che deve assicurare il coordinamento dei servizi di soccorso marittimo ed i contatti con gli altri Stati[9], emendata nel 1998 e 2004 – richiede a ciascuno Stato costiero di determinare i servizi di ricerca e soccorso nel contesto di salvataggio e ricerca regionale, nel senso che gli Stati devono stabilire delle aree di dimensioni definite associate a un centro di coordinamento del soccorso, non solo, ma pone a carico delle Parti il vincolo di prestare assistenza agli individui in pericolo in mare[10].

Va aggiunto, inoltre, che la Convenzione del 1979 impone agli Stati contraenti di adottare ogni necessaria misura al fine di fornire adeguati servizi, per l’appunto, di ricerca e salvataggio di individui in pericolo in mare, costituendo appositi centri di coordinamento e di soccorso[11]. Ancora, devono garantire che il coordinamento e la cooperazione avvengano al fine di procedere allo sbarco di persone salvate in un luogo sicuro[12].

L’ulteriore norma fu inserita nella Convenzione SAR del 2004, a seguito dell’incidente di Tampa, dove le autorità australiane avevano inibito al comandante della nave Tampato, battente bandiera del Regno di Norvegia, di attraccare nel porto cioè di entrare nelle acque territoriali dell’Australia, per avviare, successivamente, la procedura di sbarco di oltre quattrocento migranti richiedenti asilo, che erano stati salvati nel mare internazionale[13].

Con l’emendamento del capitolo 3.1.9 della Convenzione SAR[14], avvenuto nel 2004 dall’Organizzazione Marittima Internazionale, ratificato anche dall’Italia, che statuisce «l’obbligo per il comandante di soccorrere chiunque venga trovato in difficoltà in mare e per gli Stati responsabili delle rispettive zone SAR di adottare tutte le misure necessarie affinché le operazioni di soccorso e salvataggio vadano a buon fine», gli Stati devono attenersi alla prevenzione di un altro incidente Tampa[15]. Pertanto, nessuna norma generale potrebbe essere concordata su ciò che predeterminerebbe lo specifico porto di sbarco per ogni incidente. Quindi, l’unico chiarimento, apportato dell’emendamento del 2004, si poneva sulla ragione che lo Stato, nell’ambito del soccorso e ricerca regionale, in cui è in atto un’operazione di salvataggio, doveva adottare l’iniziativa nel cercare uno Stato che manifesti la propria disponibilità ad accettare lo sbarco di individui nei suoi porti. Malta si è opposta sempre all’emendamento del 2004 e, pertanto, non si sente vincolata ad esso per il fatto che la sua ridotta consistenza territoriale non le consente di mantenere obblighi di protezione e di accoglienza che ne conseguono[16], anche dopo che l’Italia ha tentato di trasferire la responsabilità su Malta che si è rifiutata di soccorrerli[17].

I migranti a bordo della nave dell’ONG tedesca, Aquarius, sono stati salvati in una zona del mare Mediterraneo, in cui nessuno Stato si è assunto de jure la responsabilità di coordinare il sistema SAR. La Libia, lo Stato più vicino, che in un primo momento non aveva ancora statuito la propria area regionale di ricerca e soccorso, come pure un Centro di coordinamento di soccorso marittimo, ha inserito delle informazioni rilevanti nel GISIS Global SAR Plan, secondo quanto riportato dall’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni[18]. L’Italia aveva colmato già de facto questa lacuna, coordinando eventi SAR nella regione di soccorso e ricerca libica. Anche se ciò ha reso l’Italia responsabile , ai sensi della Convenzione SAR, ne consegue che doveva adottare l’iniziativa nel reperire un punto di approdo sicuro per lo sbarco ossia un porto che desse garanzie di sicurezza per le persone. Non parrebbe, tuttavia, l’Italia sotto il vincolo di consentire lo sbarco sul proprio territorio.

È ben noto il fatto che il diritto internazionale del mare non è lex divina, ma ha i suoi limiti, con ciò si potrebbe sottolineare che i migranti salvati dalla nave Aquarius possono ricorrere a quella sfera di norme che concernono la tutela e il diritto della persona umana, asserendo che il diniego di farli accedere ai porti italiani e/o maltesi porta i due soggetti di diritto internazionale, per l’appunto l’Italia e Malta, a violare il valore imperativo che concerne il loro diritto alla vita. Gli Stati, dunque, sono vincolati ad onorare e a rispettare i diritti dell’essere umano verso solo quei soggetti che sono presenti nella giurisdizione di quello Stato. Gli Stati, in acque internazionali o mare aperto, che non può essere sottoposto alla sovranità di alcuna entità statale[19], possono esercitare la giurisdizione nel momento in cui gli organi statali erano fisicamente presenti a un particolare incidente e, in tal modo, esercitano il controllo effettivo sui migranti richiedenti protezione. In proposito va segnalata, a titolo di esempio, l’affare Hirsi Jamaa e altri c. Italia che concerneva l’intercettazione in acque internazionali, da parte di navi militari dello Stato italiano, a seguito del rifiuto delle autorità di Malta di intervenire, malgrado la competenza della La Valletta per la ricerca e il salvataggio di essere umani, su tre imbarcazioni che provenivano dallo Stato libico, che avevano a bordo persone di Stati terzi: spostati sulle navi battenti bandiera italiana, i medesimi erano stati riaccompagnati in Libia[20]. In tale ottica, le navi degli Stati di Malta e dell’Italia erano in navigazione in alto mare al fine di prevenire materialmente che l’imbarcazione Aquarius avesse tentato di avvicinarsi ai porti dei rispettivi territori, con gli immigrati a bordo della nave ONG Aquarius, che si sarebbe trovata nella loro giurisdizione.

Determinare l’ambito giurisdizionale dei diritti dell’essere umano comporta una certa complessità, nel momento in cui gli organi ufficiali dello Stato costiero non sono e sul piano personale e sul piano concreto nella zona delle acque internazionali, dove maggiormente è tangibile e presente il pericolo. Non è chiaro, pertanto, se tale controllo poteva essere soddisfacente per concretizzare l’ingresso della nave Aquarius, con a bordo i migranti, nella giurisdizione di pertinenza dello Stato italiano. Delle indicazioni o suggerimenti possono essere reputate alla pari di richieste di collaborazione, che, tuttavia, non devono essere – punto importante da sottolineare – considerati come meri ordini de iure vincolanti[21]. In aggiunta, la stessa Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali – che indico con l’acronimo Corte EDU –, la quale esercita la giurisdizione per tutte le materie all’interpretazione ed applicazione della Convenzione EDU e dei suoi Protocolli aggiunti[22], è stata disposta ad osservare oltre la rigorosa riserva giuridica di una misura e, inoltre, prendere in considerazione la misura in cui fornire a un determinato Stato de facto l’autorità e il potere di controllo su una singola situazione.

Una vicenda a cui è possibile entrare sia a titolo di esempio sia in modo minuzioso concerne la sentenza Women on Waves e altri c. Portogallo del 3 febbraio 2009[23], emessa dalla Corte EDU, che ha espresso alcune questioni di diritto in particolar modo in merito alla libertà di navigazione, classica problematica del diritto internazionale del mare[24]. Difatti, la Corte EDU ha considerato che l’invio da parte delle autorità del Portogallo di una nave da guerra che, operando fuori dalle proprie acque territoriali, avesse ostacolato alla nave ONG di poter fare ingresso nel mare territoriale dello Stato, comportasse una violazione delle disposizioni sostanziali della Convenzione EDU[25]. Anche se, in un certo senso, la questione della giurisdizione non fu, in modo specifico, affrontata, la Corte EDU parve assumere la ragione che una nota verbale del governo, inviata al comandante della nave ONG in questione, che la inibiva di fare ingresso nel mare territoriale dello Stato portoghese, così come posizionare una nave da guerra nelle vicinanze, bastò ad assicurare applicabile la CEDU. Quantunque l’impatto delle direttive del SAR, con lo scopo di determinare la giurisdizione, debba essere stabilita dalla Corte EDU, credo che sia d’uopo dover menzionare la questione del coinvolgimento dell’Italia nella politica libica di respingimento attraverso l’accordo o memorandum d’intesa tra il governo italiano e il governo libico per frenare il flusso di migranti verso l’Europa[26]. Questo Memorandum, sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani e via discorrendo, è stato firmato a Roma il 2 febbraio 2017, dal Primo Ministro Paolo Gentiloni e da Fayez Mustafa Serraj, capo del governo di riconciliazione nazionale. Consultando il contenuto di esso, si ha la chiara sensazione che sia l’Italia, sia la Libia abbiano scelto di essere indifferenti circa la complessità del fenomeno migratorio che interessa lo Stato libico e le condizioni dei migranti illegali in questo Paese[27]. L’esempio tipico è possibile evincerlo da quello che è accaduto il 6 novembre del 2017, quando un motoscafo con i migranti a bordo in difficoltà, prima della costa libica, è stato intercettato simultaneamente dalla guardia costiera libica e da una nave di salvataggio dell’ONG tedesca Sea-Watch[28]. Almeno 20 persone, fra cui due bambini, persero la vita durante un controverso salvataggio che aveva visto fronteggiarsi la Guardia costiera libica, addestrata e finanziata dal governo italiano, e la nave di soccorso della ONG tedesca Sea-Watch. Altre decine di persone furono riportate in Libia. Diciassette dei sopravvissuti (tutti nigeriani, tra cui due genitori dei bambini morti durante il naufragio) hanno presentato un ricorso alla Corte di Strasburgo contro il governo italiano, accusato di aver messo in pericolo la loro vita, affidando i soccorsi ai libici e di aver “respinto per procura” quelle 47 persone, in violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. I migranti sono stati riportati in Libia su una motovedetta donata dall’Italia in ossequio al Memorandum d’intesa firmato dai due Paesi nel febbraio del 2017. Proprio in conseguenza di quell’accordo, secondo i ricorrenti, il governo italiano ha supportato e coordinato l’intervento libico in mare nella gestione dei flussi migratori[29].

Dunque, posso evidenziare che la decisione da parte sia delle autorità governative italiane, sia di quelle maltesi di non consentire l’ingresso nei loro rispettivi porti all’imbarcazione Aquarius non è in contrasto con le disposizioni del diritto dei diritti umani. Di conseguenza, né il diritto internazionale del mare, né il diritto dei diritti umani fornisce molta chiarezza in merito all’incidente della nave Aquarius. L’insuccesso dell’Italia, come pure di Malta, di offrire un place of safety ossia un rifugio che sia provvisto di ogni dovuta sicurezza all’imbarcazione Aquarius è stato deplorevole, come minimo, ma non necessariamente illegale. Da qui si può dedurre come il diritto internazionale generale, così pure l’intero mondo del diritto, «non è una scienza esatta» e che «l’emigrazione, da fenomeno relativamente modesto e controllabile, è diventata un’invasione, gestita da criminali»[30].

Il modo in cui l’incidente dell’Aquarius si è svolto è emblematico della penuria di solidarietà tra gli Stati membri dell’UE nell’affrontare l’arrivo delle persone che migrano verso luoghi più sicuri. È stata dura la posizione del governo italiano, guidato dal Primo Ministro Giuseppe Conte, nel concedere l’apertura dei propri porti, che è risuonato attraverso il mare Mediterraneo, come lo era il silenzio verso l’interno delle cancellerie europee.

Infatti, l’intero peso di affrontare gli arrivi via mare di persone che lasciano i loro Paesi d’origine resta assieme all’Italia, alla Grecia, a Malta e alla Spagna che sono Stati membri  posizionati alle frontiere esterne nell’area Schengen dell’UE. La vicenda dell’imbarcazione Aquarius può essere un promemoria delle potenziali conseguenze che ha cagionato l’assenza del «principio di solidarietà» e «equa tripartizione» tra gli Stati membri dell’UE, che implica che ogniqualvolta necessario gli atti dell’UE prevedano misure appropriate. Va anche evidenziato il fatto che la solidarietà comporta la fiducia reciproca tra gli Stati membri ed il principio di leale cooperazione, in vista della realizzazione dell’interesse comune e condiviso[31]. Infatti, c’è un articolo del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, c.d. Trattato di Lisbona, che è espressamente dedicato al principio di solidarietà, che dovrebbe ispirare non soltanto i rapporti fra Stati membri , ma anche il testo degli atti legislativi che l’UE adotta. Tale principio è contenuto nell’articolo 80 che statuisce che «le politiche dell’Unione di cui al presente capo e la loro attuazione sono governate dal principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri, anche sul piano finanziario. Ogniqualvolta necessario, gli atti dell’Unione adottati in virtù del presente capo contengono misure appropriate ai fini dell’applicazione di tale principio[32]». Questo è particolarmente interessante per la ragione che è un principio ispiratore dell’intera politica, come pure nell’interpretazione delle regole del TFUE e degli atti adottati dall’UE e a cui si aggiunge, poi, visto che la solidarietà di sovente deve essere anche leggermente forzata dove molti Stati non sono così solidali come dovrebbero esserlo ossia sono allergici, un’altra disposizione, contenuta nel Trattato di Lisbona, costituito dall’articolo 78, paragrafo 3[33], norma che dà applicazione al principio di solidarietà emergenziale in materia d’asilo[34] e che attribuisce – cosa abbastanza rara nel diritto UE – al Consiglio il potere di adottare misure urgenti in caso di afflussi particolarmente intensi di persone che migrano dai loro Paesi d’origine verso un determinato territorio, imponendo agli Stati delle misure che possono arrivare pure all’imposizione di quote di ricollocamento di migranti. Vero è che, in seguito, alcuni Stati membri dell’UE, come la Slovacchia e l’Ungheria, hanno impugnato la decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio del 22 settembre 2015 contenente misure temporanee a beneficio dell’Italia e della Grecia, che ha cagionato la spaccatura, su tematiche migratorie, fra alcuni Stati membri dell’Europa orientale, davanti alla Corte di Giustizia dell’UE, la quale ha respinto il ricorso asserendo che senz’altro il Consiglio ha il potere di adottare misure che impongono in casi specifici – per rispondere evidentemente a situazioni delicatamente complesse – la ricollocazione obbligatori di massa di cittadini che migrano da Stati terzi[35]. Da qui si desume come tale principio costituisca l’elemento ontologico, ma, aggiungerei, anche la linfa vivificante del processo d’integrazione europea[36]. Due fondamentali elementi della condivisione di responsabilità possono aiutare gli Stati più esposti agli arrivi migratori, come l’Italia, Malta, Grecia e Spagna, affrontando la questione degli sbarchi sui loro territori. In primo luogo, una lista flessibile di porti sicuri lungo le coste dell’UE di città portuali che accettano di far sbarcare i migranti pare per adesso un’opzione politica che, a parere dello scrivente, merita di essere tenuta in seria considerazione. In secondo luogo, con il caso Aquarius si è potuto assistere al fatto che l’UE deve risolvere una volta per tutte la questione inerente il funzionamento del sistema del Regolamento di Dublino III, ancora in vigore e di cui si sta dibattendo per una sua revisione, che purtroppo pone un onere eccessivo sulle spalle degli Stati a ridosso del mare Mediterraneo. L’inconcepibile regola del sistema Dublino III, che assegna quasi il compito di protezione al primo Stato in cui arriva il rifugiato è inaccettabile e spregiudicata, per non aggiungere anche l’espressione crudele[37].

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2. L’Italia e i suoi porti chiusi in contrasto con le norme di diritto internazionale?

Nel precedente paragrafo, ho già evidenziato l’atteggiamento dell’Italia di diniego nei riguardi della nave Aquarius di entrare nel porto italiano per, in seguito, avviare lo sbarco dei migranti sul proprio territorio nazionale. Tale rifiuto, da parte del governo italiano del Primo Ministro Giuseppe Conte, ha suscitato una serie di dure critiche sia da alcuni Stati membri dell’UE[38], sia dalla dottrina internazionalistica[39]. In questo paragrafo, mi accingo ad usare la lente del diritto internazionale applicabile, in particolar modo della branca giuridica internazionalistica che si occupa del diritto internazionale del mare, in merito alla ben discussa e delicata vicenda Aquarius, che ha creato molto interesse e dibattito a livello internazionale sulle scelte fatte e non fatte da alcuni Stati, compresa l’Italia, su questioni attinenti alle decisioni che sono state adottate dalle autorità governative italiane di serrare ossia di chiudere i propri porti, al divieto di procedere allo sbarco di persone che migrano da Paesi terzi e, infine, all’ordine, come pure all’avvertimento delle navi private di non entrare nel mare territoriale.

Già in passato, circa l’ingresso ai porti degli Stati, è stato posto in risalto che la presunzione ovvero la congettura sta nettamente a favore del diritto dello Stato costiero di negare l’ingresso[40] e che viene reputato come un’attenta e minuziosa rappresentazione del diritto contemporaneo o del XXI secolo. Gli Stati, com’è già ben noto, godono la sovranità piena sul mare territoriale, compresi i porti. Ciò sta a indicare che nessuno soggetto di diritto internazionale, id est gli Stati, è obbligato a permettere a navi che battono bandiera di altri Stati di fare ingresso nel proprio mare territoriale, come pure nei suoi porti, tranne in casi di pericolo o di forza maggiore[41] o dove è previsto nei trattati bilaterali o multilaterali, come, ad esempio, nella Convenzione di Ginevra del 9 dicembre 1923 sul regime internazionale dei porti marittimi, resa esecutiva in Italia, con Regio decreto l’8 maggio 1933 n.1270, (quest’ultimo, con Decreto legislativo n.212 del 13 dicembre 2010, è stato abrogato) e in vigore dal 14 gennaio 1934[42]. Per mare territoriale, pertanto, s’indica lo spazio marittimo compreso tra il territorio e le acque interne, da una parte, e lo spazio su cui si esercita la sovranità dello Stato rivierasco, dall’altra, ovvero quella zona di acque marine che costeggia il territorio dello Stato e sulle quali, per l’appunto, si estende la sovranità dello Stato[43].

Nella vicenda dell’imbarcazione Aquarius, il terreno netto su cui, in un certo senso discutibile, l’ordine di entrare nel porto italiano fosse stato dato all’imbarcazione con a bordo i migranti è stato davvero angoscioso, sebbene molte persone a bordo manifestassero segni di traumatizzazione e bisognose di immediate cure mediche. Una nave che si trovi nel reale e tangibile pericolo, tradizionalmente, ha il diritto di ricevere il semaforo verde per poter far ingresso verso un porto, un terminale al largo o un altro luogo di rifugio, anche se, in assenza di concreto pericolo, tale diritto verrebbe meno. La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare stabilisce all’articolo 19 paragrafo 1, che il passaggio di una nave nelle acque territoriali di uno Stato è permesso «fintanto che non arreca pregiudizio alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello Stato costiero». Si aggiunga anche l’articolo 98, paragrafo 1, della CNUDM che determina che «Ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri :a) presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo; b) proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa; c) presti soccorso, in caso di abbordo, all’altra nave, al suo equipaggio e ai suoi passeggeri e, quando è possibile, comunichi all’altra nave il nome della propria e il porto presso cui essa è immatricolata, e qual è il porto più vicino presso cui farà scalo»[44]. Questa disposizione, quindi, non prevede un obbligo di intervento diretto da parte dello Stato. Quest’ultimo deve garantire che le navi battenti la propria bandiera, qualora si trovino in presenza di un’imbarcazione in pericolo, intervengano tempestivamente per prestare assistenza[45]. Chiaramente, l’obbligo di prestare soccorso non è assoluto, ma è condizionato dalla circostanza che la nave soccorritrice, il suo equipaggio e i suoi passeggeri non siano posti in pericolo[46].

Lo status di pericolo viene di solito reclamato da navi nel mare territoriale dello Stato costiero e non in mare aperto, come era per l’imbarcazione Aquarius, tuttavia è plausibile la ragione che tale diritto valga pure per le navi che si trovano al largo delle acque internazionali.

Il nocciolo della questione, certamente, è intendere se la nave Aquarius fosse concretamente nell’ambito del reale pericolo. Per comprendere ciò, è sufficiente la lettura della Convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo – Convenzione SAR o di Amburgo del 1979 – dove viene enunciata l’espressione fase di pericolo che è definita «quale situazione nella quale vi è luogo di pensare che una persona, una nave o altro congegno sono minacciati e che hanno bisogno di soccorso immediato»[47]. Evitando di soffermarsi sulla questione il quadro a bordo dell’imbarcazione Aquarius fosse classificato adeguatamente come pericoloso, si ritiene che anche in questo caso lo Stato italiano poteva ancora porre il diniego nei riguardi dell’imbarcazione di procedere al suo ingresso nel proprio mare territoriale per raggiungere il primo porto italiano, qualora avesse fornito l’assistenza sanitaria immediata e i primi interventi agli individui che si trovavano a bordo di essa. Lo Stato costiero non è strettamente vincolato a concedere il permesso di ingresso alla nave come tale se la vita delle persone che si trovano a bordo non sia concretamente e totalmente in serio pericolo. L’Italia, dunque, è nel pieno diritto, ai sensi del diritto internazionale generale, di regolare, come pure inibire, l’ingresso nei suoi porti, soggetto all’eccezionalità di navi che sono in situazioni di scarsa sicurezza oppure in pericolo. Pure in questi casi, quindi, può ancora negare l’accesso, a condizione che le dovute misure siano adottate direttamente nei confronti degli individui che sono a bordo al termine della situazione di pericolo. Gli Stati non hanno quindi l’obbligo di portare direttamente soccorso, ma sono vincolati da un obbligo di due diligence. Quest’obbligo permane anche qualora essi agiscano sotto l’egida di un ente sovranazionale, quale la NATO o l’Unione Europea[48].

Nel precedente paragrafo, ho posto in rilievo che anche se lo Stato italiano si sia reso responsabile, in virtù della Convenzione di Amburgo del 1979, doveva provvedere, tuttavia, a reperire un luogo sicuro – c.d. place of safety (POS) –, espressione quest’ultima non presente nella Convenzione SAR, che resta controversa a livello internazionale[49]. Ciò non posizionerebbe l’Italia nel dover sentirsi vincolata a concedere lo sbarco sul proprio suolo. Da qui, si può dedurre che una delle principali carenze dei trattati in materia sta nella ragione che formalmente non vincola lo Stato rivierasco, responsabile dell’area di ricerca e salvataggio, a provvedere nella procedura di sbarco nei propri porti sicuri, che sono nel suo territorio, individui provenienti da Paesi terzi, ma impone un obbligo di condotta, nel senso che lo Stato deve sempre garantire uno sbarco rapido in un luogo che sia totalmente sicuro, cioè a dire stabilendo l’obbligo di sbarcare i naufraghi in un porto nel quale la loro sicurezza non sia più minacciata. Difatti, con l’espressione inglese place of safety s’intende «un luogo in cui si ritiene che le operazioni di soccorso debbano concludersi e in cui la sicurezza per la vita dei sopravvissuti non è minacciata, dove possono essere soddisfatte le necessità umane di base e possono essere definite le modalità di trasporto dei sopravvissuti verso la destinazione successiva o finale tenendo conto della protezione dei loro diritti fondamentali nel rispetto del principio di non respingimento»[50].

Una interpretazione, tuttavia, della norma considerata contenuta nella Convenzione di Amburgo[51], che si poggia sul c.d. principio dell’efficacia, prontamente sosterebbe per un obbligo non rispettato di sbarco nella zona di ricerca e salvataggio dello Stato responsabile, la divergente prassi degli Stati considerati giustifica che si tratti di questione contesa. Ergo, tale norma predefinita di procedura di sbarco vige per lo Stato italiano in relazione alle operazioni marittime coordinate da FRONTEX – Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne, istituita nel 2004 ed operativa dal 2005, con funzioni di analisi, coordinamento e supporto tecnico-operativo ai controlli di frontiera e all’eventuale rimpatrio dei migranti compiuti dagli Stati membri per la difesa dei confini esterni dello spazio Schengen [52] – per le quali lo Stato italiano è reputato membro ospitante. Difatti, il Regolamento UE n.656/2014, relativo alla sorveglianza delle frontiere marittime esterne, viene sottolineato, ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, il punto in base al quale «se non è possibile disporre che l’unità partecipante sia liberata dal vincolo di cui all’articolo 9, paragrafo 1, non appena plausibilmente possibile, tenendo presente la sicurezza delle persone soccorse e di quella unità partecipante, deve essere autorizzato a sbarcare gli individui soccorsi nello Stato membro ospitante». Questo Regolamento collega nettamente l’attività di soccorso in mare all’attività di sorveglianza e pattugliamento e richiama il c.d. principio di non refoulement[53]. Questo principio sottolinea il divieto di respingere un richiedente asilo o un rifugiato verso le frontiere di uno Stato, in cui la sua vita e/o la sua libertà siano minacciate. Tale principio, inoltre, è stato considerato non solo di natura consuetudinaria, oltreché convenzionale, ma anche principio che si applica sia a chi è in possesso dello status di rifugiato, sia a chi chiede tale status[54]. Si aggiunga anche che, con l’espressione indicata, si indica l’inibizione per gli Stati di espellere, di estradare, di accompagnare senza formalità alla frontiera, chi si trovi nel territorio dello Stato, nel caso in cui tali atti abbiano per conseguenza di far ritornare la persona nel Paese d’origine dove la sua vita o la libertà personale sarebbero poste in pericolo[55].

Ora, per quanto concerne l’operazione congiunta Triton, tesa non solo a fronteggiare i flussi migratori irregolari, nonché contrastare la criminalità transfrontaliera, ma anche estendere le operazioni Hermes ed Aeneas[56], e la nuova operazione congiunta Themis, lanciata dall’Agenzia FRONTEX per assistere l’Italia nell’attività di controllo delle frontiere, che è finalizzata ad incrementare la sicurezza delle frontiere esterne all’UE mercé il controllo dei flussi migratori irregolari nel Mare Mediterraneo ovvero con tale operazione,  FRONTEX si concentra sulla  funzione istituzionale della sorveglianza contro gli ingressi irregolari nelle frontiere marittime  dell’Ue (nel caso, le acque territoriali italiane) e le  connesse attività illecite transnazionali, terrorismo fondamentalista compreso[57]; non solo, ma sempre lo Stato italiano è tenuto in definitiva ad accettare lo sbarco sul proprio suolo, come Stato membro ospitante. In aggiunta, va anche evidenziato che il Paese Italia viene designato o indicato come Stato di sbarco in tutte le operazioni di ricerca e salvataggio, facendo riferimento alle corrispondenti disposizioni della Joint Operation Triton –dell’operazione Triton –, condotte nell’ambito  dell’operazione EUNAVFORMED II o SOPHIA al largo delle coste libiche[58].

Da tutto ciò, ne consegue che nei casi in cui l’Italia sia responsabile dell’area di soccorso e ricerca ovvero nel momento in cui assuma la responsabilità nella veste di Centro di coordinamento generale dei servizi di primo soccorso marittimoMaritime Rescue Coordination Centre –   di essere avvisato di un’imminente pericolo e, in assenza di altri Centri di ricerca e soccorso disponibili di intraprendere l’azione o l’iniziativa nei casi di Malta e Libia, è lo Stato italiano  che ha la principale responsabilità di coordinare lo sbarco, invece è accaduto che la nave Aquarius è stata fatta entrare nel territorio iberico, grazie al governo spagnolo che comunicava che dava la propria disponibilità allo sbarco dei 629 migranti presso il porto di Valencia[59]. Salvo casi in cui l’Italia agisca come Stato membro ospitante delle operazioni UE, in tutte le altre situazioni SAR, il nostro Paese resta vincolato alla diligenza – c.d. due diligence – ovvero alla messa in atto di quelle misure atte ad assicurare lo sbarco in un luogo sicuro e non un dovere assoluto, cioè a dire un obbligo di risultato di provvedere allo sbarco nei porti italiani. Detto ciò, l’onere dipenderà dall’Italia per sostenere che nel non accettare le persone soccorse nel suo territorio sia conformemente con il vincolo della dovuta diligenza, che va commisurato a standard internazionali di comportamento[60].

Come ho già scritto nel precedente paragrafo, nel momento in cui la nave Aquarius, che aveva soccorso un gruppo consistente di migranti, si trovava a circa 35 m. n. al largo delle coste sud italiane, il governo italiano, presieduto dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, emetteva l’ordine all’imbarcazione dell’ONG di fermarsi e di non tentare di entrare nelle acque territoriali italiane. Altre fonti riportavano che l’Italia ribadiva la sua ben nota posizione: il fatto che non avrebbe consentito all’imbarcazione con a bordo i 629 persone di approdare a un qualsiasi porto italiano, anche se l’Aquarius si trovava a 35 m. n. dalle coste italiane e a 27 m. n. da quelle di Malta[61].

Nel caso in cui il primo punto sia concreto e reale, allora è d’uopo delineare qualche osservazione seguendo un certo ordine: le autorità italiane non hanno il diritto di emettere l’ordine di arresto o di fermo a qualsiasi nave che si trovi a navigare in alto mare o acque internazionali. Difatti, in base al diritto internazionale marittimo, in particolar modo alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare – abbreviato con l’espressione Convenzione di Montego Bay – si sottolinea nero su bianco che qualora una nave straniera si stia dirigendo verso il mare territoriale dello Stato straniero, questi potrà intraprendere, a partire dal momento in cui la nave in questione si trovi nelle acque interne, le misure necessarie per prevenire le violazioni delle disposizioni che disciplinano l’ingresso delle navi battenti bandiera di Stati terzi nelle proprie acque interne[62]. In altre parole, l’eventuale ingresso contra legem nel mare territoriale dello Stato costiero può essere prevenuto per il tramite di strumenti adeguati esercitabili non solo nelle acque interne stesse ma già a partire dal momento in cui la nave sia entrata nel mare territoriale[63]. Mentre, se ha dichiarato una zona contigua[64], che si estende per le 12 miglia successive, fino a 24 miglia della linea di base, e che deve necessariamente essere proclamata con atto unilaterale dallo Stato costiero[65] – dato che non esiste ipso iure –, può adottare delle rispettive misure al fine di prevenire la violazione delle sue leggi e norme inerenti l’immigrazione[66]. Oltre questo limite, il diritto internazionale non dice nulla ossia non offre alcun motivo per interferire con la navigazione di navi battenti bandiera di altro Stato ai fini migratori.

In considerazione del fatto che lo Stato italiano non ha ancora ufficialmente promulgato una zona contigua. In Italia, difatti, l’estensione del mare territoriale a 12 m. n. ha assorbito la zona contigua; antecedentemente, aveva un mare territoriale di 6 m. n. ed una zona contigua adiacente di altre 6 miglia[67]. Ergo, lo Stato italiano si è astenuta finora dal proclamare un zona contigua di 24 m. n.[68], che, tuttavia, risulta esistente nell’ordinamento italiano, pur in assenza di normativa attuativa, nel senso che l’Italia ha decretato  la presenza di questa zona nel seguente modo, c’est à dire che «la nave italiana in servizio di polizia che incontri nel mare territoriale o zona contigua una nave di cui si ha fondato motivo di ritenere che sia adibita o coinvolta nel trasporto illecito di migranti, può fermarla e ispezionarla e, se sono rinvenuti elementi che confermino il coinvolgimento della nave in traffico di migranti, sequestrarla, conducendo la stessa in un porto dello Stato»[69]. Da quanto riportato, si dedurrebbe che l’ordinamento italiano contempli la zona contigua ratione materiae, vale a dire che la preveda ai soli fini dell’immigrazione e non pure a quelli di polizia doganale e via discorrendo[70]. Se si consulta, a titolo di chiarezza e di esempio, il sito del Dipartimento delle Nazioni Unite, che si occupa del diritto del mare e delle questioni degli Oceani, non vi è traccia di registrazione di tale zona dell’Italia, con cui gli Stati non obbligatoriamente registrano la proprie legislazioni interne circa le aree marittime[71]. È evidente, dunque, il fatto che non ha il diritto di rivendicare o reclamare alcuna giurisdizione esecutiva su tali navi di salvataggio, al di là del suo mare territoriale, tranne nei casi in cui lo Stato di bandiera ha espresso il proprio consenso. L’ordine impartito dalle autorità italiane al comandante della imbarcazione Aquarius di non entrare nelle acque territoriali e di rimanere a 35 m. n. al largo dalle coste italiane e ogni ulteriore ordine è privo o assente di fondamento giuridico. Va anche inquadrato un altro punto, vale a dire se l’ordine tassativo o imperativo del governo italiano equivaleva ad una vera e propria ingerenza con la libertà di navigazione in alto mare, come enucleato dalla Convenzione di Montego Bay del 1982, che sancisce il regime della libertà di ciascuno Stato, siano essi costieri o privi di litorale, di svolgere la loro attività come la navigazione, il sorvolo, la posa dei cavi e condotte sottomarini e via discorrendo[72]; nel mare internazionale o mare libero vige, pertanto, un regime di piena libertà da parte di ogni Stato, che deve essere compatibile con l’esercizio della medesima libertà da parte degli altri Stati[73], nel senso che tali libertà devono essere esercitate da ogni Stato in modo che ne sia consentito il godimento anche da parte degli altri Stati della comunità internazionale.

Nel momento in cui l’allusione viene fatta all’interferenza, di solito s’indica un’ingerenza fisica con la nave, id est quello di interdire, imbarcare o dirottare l’imbarcazione dalla sua rotta. Nella vicenda della nave Aquarius, appartenente all’ONG tedesca, sebbene il comandante non era tenuto ad eseguire l’ordine imposto dalle autorità governative italiane, lo stesso comandante che ha deciso si è attenuto. Non è semplice, tuttavia, trarre qualche conclusione in maniera determinata, senza poter entrare nel merito concernente l’ordine imperativo emesso dall’Italia al comandante dell’Aquarius.

Nell’ipotesi in cui l’ordine, di cui si sta trattando, avesse comportato un certo aspetto coercitivo da parte delle autorità di Roma, nel senso che se fosse stato inquadrato come un avvertimento dai contorni minacciosi di inibire l’ingresso della nave Aquarius nelle acque territoriali italiane, mentre si trovava ubicata in mare aperto, allora si sarebbe potuto considerare tale modus operandi dell’Italia minaccioso e, aggiungerei, oltraggioso in violazione della CNUDM, con riferimento all’articolo 87 del quale si è già detto prima. Comunque, va oltre ogni incertezza che le autorità di governo nazionale italiano  non avessero in nessuna maniera il diritto di porre in essere tale ordine, nel senso che se, d’altra parte, il governo italiano abbia meramente emesso un formale avvertimento al comandante, come pure all’intero equipaggio dell’Aquarius, dal momento che essa si trovava in mare aperto – come molte volte ho posto in risalto –, di non procedere verso l’accesso del mare territoriale su cui l’Italia ha la piena sovranità, è possibile in tal caso asserire che non vi è stata alcuna violazione delle norme contenute nella Convenzione di Montego Bay. Gli Stati costieri hanno il diritto di avvertire le navi che si dirigono verso i loro porti sulle condizioni a cui l’ingresso di queste navi è dipeso, prima che facciano ingresso nelle acque territoriali di ciascuno Stato. Un analogo ammonimento ossia una nota d’attenzione, a titolo di esempio, come venne formulato, è riscontrabile nel ben noto caso Arctic Sunrise, che si è verificato nell’ottobre 2013, in cui le autorità russe avevano intimato all’imbarcazione dell’ONG Greenpeace, battente bandiera del Regno dei Paesi Bassi, di non fare ingresso nell’area di sicurezza della piattaforma Prirazlomnaya nel mare Artico, controllata dalla Società russa GazProm, in quanto, a parere del governo di Mosca, i sostenitori di Greenpeace erano intenti a manifestare contro le attività svolte dalla piattaforma petrolifera installata nell’Oceano artico e per tale ragione, sempre le autorità moscovite, contestavano il reato di pirateria posto in essere dal gruppo dell’ONG Greenpeace[74]. Su questa vicenda è intervenuto il Tribunale internazionale del diritto del mare, cui lo Stato di bandiera olandese si era rivolto. I giudici del Tribunale del mare ordinavano alla Federazione Russa – la cui Guardia costiera aveva sequestrato l’imbarcazione Arctic Sunrise – di rilasciare la nave e l’intero equipaggio. Inoltre, sempre il Tribunale ha reputato il comportamento della Russia una violazione della libertà di navigazione, puntualizzando in modo netto che l’istituzione di una zona di sicurezza di 3 (tre) miglia nautiche attorno alla piattaforma non aveva, infatti, alcuna base giuridica e le autorità di Mosca non potevano abbordare e sequestrare la nave con a bordo l’equipaggio senza il consenso dei Paesi bassi[75]. In aggiunta, una gamma di strumenti a livello internazionale prevede un preavviso d’ingresso nei porti, mentre le navi interessate si trovano ancora nelle acque internazionali, e ciò è possibile riscontrarlo nell’Accordo sulle misure di competenza dello Stato del porto di approdo, per vietare la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata – il c.d. Agreement on Port State measures to prevent, deter and eliminate illegal, unreported and unregulated fishing –, approvato dalla Conferenza di governo della FAO (Food Agriculture Organisation) il 22 novembre del 2009, in cui, nel contenuto dell’articolo 8, si enuncia che gli Stati di porto d’approdo devono ispezionare le imbarcazioni ed esaminare i documenti di bordo, il controllo delle attrezzature di pesca e del pescato, come pure il controllo dei precedenti dell’imbarcazione, sono ritenuti elementi che possono rivelare se la nave in questione è coinvolta e meno nella pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata. Non solo, ma questo Accordo del 2009 determina che lo Stato del porto di approdo potrebbe manifestare perplessità circa la liceità del carico di pesca e, pertanto, attuare il diritto di rifiutare alla nave l’accesso al porto. Similmente, lo Stato del porto d’approdo è nella titolarità di proibire l’ingresso all’imbarcazione nel porto se lo Stato di bandiera non abbia fornito le informazioni richieste[76]. Pertanto, si può sostenere che è una prassi comune degli Stati, parti alla vita sociale del pianeta e che compongono la comunità internazionale, interagire mercé lo strumento della comunicazione con le navi anche nelle acque internazionali, rispetto alle condizioni di accesso nei loro porti, come forse nella vicenda della nave Aquarius.

Per quanto inerente la ragione per la quale le autorità governative italiane non abbiano atteso che l’Aquarius facesse il suo ingresso nel proprio mare territoriale, sotto la sovranità italiana, per, poi, intraprendere le azioni necessarie, la risposta non risiede nell’ambito del  diritto internazionale marittimo, ma nel sistema comune europeo d’asilo – che indico con l’acronimo SECA –, che vincola il legislatore europeo ad adottare una politica comune in materia di asilo, e dei vincoli pertinenti previsti, sul piano del diritto internazionale, dalla Convenzione di Ginevra sullo Status del Rifugiato del 1951 e dal Protocollo del 1967 e dagli altri trattati rilevanti, e sul piano prettamente europeo, dalla legislazione UE[77]; inoltre, il sistema SECA si rifà al principio di solidarietà ed equa ripartizione delle responsabilità[78]. In tal modo, l’UE ha recepito i principi enunciati dai documenti internazionali in materia di protezione e di asilo, che impone il divieto di espellere o respingere i rifugiati e i richiedenti asilo verso luoghi in cui la loro vita o la loro libertà sarebbe in pericolo per ragioni di razza, religione e via discorrendo[79]. Si aggiunga anche un punto derivante dalla Direttiva 2013/32/UE, del 26 giugno 2013, del Parlamento europeo e del Consiglio, recante le procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, che determina i doveri degli Stati membri dell’UE per il trattenimento della richiesta di protezione internazionale, si applica a tutte le domande di richiesta di protezione internazionale presentate nel territorio, compreso alla frontiera, nelle acque territoriali o nella zona di transito degli Stati membri, nonché alla revoca della protezione internazionale[80]. Ancora, tale Direttiva precisa che la domanda di protezione internazionale è una richiesta di protezione rivolta a uno Stato membro UE da un cittadino di uno Stato terzo o da un’apolide, il quale intende ottenere lo status di rifugiato[81].

Infine, si potrebbe porre in rilievo il fatto che tale vincolo si possa applicare pure in mare aperto, alla luce del principio di non respingimento e della sentenza Hirsi Jamaa, che concerne proprio un’ipotesi di refoulement in alto mare[82], ma questo sembra non essere concreto nel caso del braccio di ferro tra l’Italia e la nave ONG Aquarius.

 3. Etica dei diritti umani quale rafforzamento del diritto migratorio

In precedenza, si è affrontato, sul piano prettamente giuridico, l’atteggiamento dell’Italia, come pure di Malta, intorno al problema dell’incapacità e della responsabilità di procedere all’accoglienza nei propri rispettivi porti come luoghi sicuri, dei migranti dell’imbarcazione Aquarius, sottolineando il fatto che il rifiuto da parte di entrambi gli Stati concedere l’ingresso della nave, gremita di persone di nazionalità diverse e che provenivano dai loro diversi Paesi d’origine, è stato deplorevole, ma non necessariamente illecito. I due Paesi, secondo qualche autore, non avrebbero violato e il diritto internazionale del mare e quello riguardante i diritti della persona[83]. La sorte della nave ONG Aquarius e dei migranti, che si trovavano a bordo, può essere reputato ancora un altro emblema di una serie di scenari in cui la gente, in prevalenza devastata da incresciosi scontri bellici nei loro Paesi di provenienza da dove fugge, repressa oppure il loro territorio depredato e reso povero, spesso tenta di attraversare illegalmente le frontiere terrestri e marittime o i confini internazionali; essa è in cerca di aiuto, di sicurezza e di una vita migliore. Questo e analoghi eventi delineano non solamente il fatto che la gestione dell’arrivo di individui, provenienti da Stati terzi, che fanno domanda d’asilo, in particolar modo nel vecchio continente europeo, ha cagionato una serie di profonde crisi, come pure da masse di cittadini che migrano irregolarmente da Paesi extra UE non subirà, almeno per ora, un arresto. Da ciò si comprende come sia necessario trovare delle soluzioni di lungo periodo a questo ormai fenomeno inarrestabile.

Per poter frenare l’emorragia di flussi migratori verso l’UE, è d’uopo avviare la riforma della governance e della gestione di masse migratorie, al fine di affrontare le sfide e le aspettative del XXI secolo. L’UE, inter alia, sta tentando di dare una svolta a questa situazione, che ha subito un’impasse, mercé la riforma della sua politica d’asilo e di migrazione, in particolare del Regolamento di Dublino III – regolamento UE 604/2013, adottato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio nel 2013, sulla base di un precedente regolamento del 2003, che a sua volta sostituiva un trattato intergovernativo concluso nella capitale irlandese nel 1990 –, cioè il cambiamento delle disposizioni che concernono l’insieme delle regole dell’UE per determinare lo Stato membro responsabile del trattamento di una domanda di protezione internazionale[84]; e le stesse Nazioni Unite dovrebbero adottare il c.d. Global Compact for Migration, che ha per oggetto le migrazioni, strumento internazionale di soft law cioè a dire il diritto morbido per sottolineare la scarsa vincolatività[85], primo accordo intergovernativo, preparato sotto l’egida dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, per gestire le dimensioni del fenomeno di flussi migratori internazionali e riconoscere che ogni individuo ha il diritto alla sicurezza, alla dignità e alla protezione[86]. Si può dire che, come ha sostenuto la Santa Sede, è uno strumento, incentrato sul multilateralismo, per sottolineare la centralità della persona umana, i cui diritti inalienabili non devono mai essere negati. Soprattutto in una condizione di estrema vulnerabilità come è, prevalentemente, quella dei migranti e dei rifugiati[87]. Ed ecco che da qui si può comprendere che anche il diritto ha i suoi limiti e, quindi, non è lex divina, per cui ci si trova dinanzi a un vuoto che, a parere dello scrivente, è possibile superare con riferimento a quelli che sono i limiti delle norme concernenti la protezione degli asilanti o richiedenti asilo.

Una delle tante soluzioni a tali limiti potrebbe essere rappresentato dall’intraprendere precetti e ideali di rango superiore, c’est à dire quei valori e principi fondamentali su cui è stata costruita la comunità politica e il suo ordinamento giuridico, che può concretizzarsi mediante i pilastri etici considerati veri e propri valori.

L’etica certamente è un’espressione filosofica che sta a indicare di come vivere e che determina ciò che si trova accettabile o viceversa, non solo, ma pure la concezione di ciò che è dovuto da noi, come pure il realizzarsi gli uni con gli altri. Si può dire che questo strumento, id est l’etica, ha l’ambizione di essere una specie di norma superiore, la quale  delinea quelli che sono i livelli di condotta comportamentale che vale sia per le persone sia per gli Stati, quali soggetti con capacità giuridica, eventualmente in contrasto con i loro interessi oppure  desideri[88].

L’etica implica anche un’analisi di principi da tenere presente, che sono rappresentati dalla «dignità», dalla «giustizia», dalla «libertà» o dalla «tolleranza», e fornisce determinati spunti su come decidere la cosa giusta da mettere in opera. Nel pensiero filosofico, ergo, dell’area occidentale vi sono alcune posizioni o punti di vista di carattere etico come nel caso, a titolo esemplificativo, dei flussi migratori. Se coloro che manifestano il lato positivo a favore dei richiedenti asilo, essi asseriscono che accoglierli è del tutto lecito in quanto rientrante nella sfera della «dignità» della persona umana, essi, dunque, ritengono che tale dignità umana può rendersi concreto attraverso l’ausilio di chi si trova nel contesto della necessità o del bisogno. Coloro che sono a favore della «libertà», ritengono che gli individui hanno il totale diritto di  fare tutto ciò che desiderano con la loro vita e i loro beni materiali, purché siano tolleranti dei diritti degli altri di fare lo stesso. Nel caso di coloro che sono dalla parte dei richiedenti asilo, affermando che ciò favorirebbe il bene comune, essi, quindi, assumono una posizione favorevole che potrebbe superare le difficoltà degli asilanti. Infine, coloro che preferiscono che si percorra la via aretaica ossia dell’αρετή, cioè basata sull’etica della virtù dove un atto per essere morale non va reputato secondo i risultati, le azioni che vengono compiute, ma valutando l’individuo agente che dovrà accostarsi al comportamento ritenuto virtuoso[89], essi supporterebbero un richiedente asilo, sebbene ciò sarebbe un fatto positivo che davvero può realizzarsi.

In tale ambito, porre il proprio modus cogitandi sul tema dell’etica sta a indicare il delineare delle mere questioni su entrambi i contenuti e la prassi del diritto. Quest’ultimo termine fa soventemente riferimento allo strumento dell’etica, per cui il diritto stesso potrebbe essere sul piano morale imperfetto e, pertanto, il mezzo dell’etica potrebbe essere utilizzato per evidenziare delle critiche attorno alle norme giuridiche e reclamare il cambiamento delle norme stesse (come nel caso del Regolamento di Dublino III, dove si pensa a depennare le vecchie disposizioni, inserendo le nuove e approvando il nuovo Regolamento che dovrebbe chiamarsi Dublino IV).

Un’analisi di tipo etico ovviamente dovrebbe esaminare minuziosamente i contenuti e la prassi giuridica che debbono trovarsi sulla stessa onda di quei valori e principi fondamentali, di cui si è detto prima. Da ciò può sorgere una gamma di domande come, ad esempio, la correttezza di uno Stato dinanzi a chi lascia lo Stato d’origine per trovare una vita sicura e migliore; come quella della responsabilità che lo Stato d’accoglienza deve assumersi per il benessere di chi migra, senza essere a favore solo del proprio popolo, ma anche dell’intera umanità; come la questione se uno Stato debba essere vincolato o meno ad aiutare le persone che fuggono da Paesi terzi dove è in corso un conflitto bellico o perché oggetti del fumus persecutionis per ragioni razziali, di fede, per motivi politici; per non parlare pure del caso in cui lo Stato possa rifiutare di soccorrere tali persone, anche se queste ultime abbiano intrapreso un viaggio illegale e via discorrendo. Per dare delle risposte a quanto poc’anzi scritto, è d’uopo partire dalla posizione etica scelta.

Gran parte delle nazioni democratiche, che compone la comunità internazionale e vive nella vita società internazionale, ha scelto una particolare angolatura di posizione sul piano dell’etica. In base agli ordinamenti costituzionali, compreso quello italiano, si può notare come nelle loro Carte costituzionali sono presenti norme che contengono valori e principi democratici, come pure lo stato di diritto e il rispetto dei diritti umani, che sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo[90]. Queste norme fondamentali tendono ad essere centrate verso il concetto di dignità come valore morale che ha la sua origine dall’imperativo di Immanuel Kant: nel senso di non trattare mai gli esseri umani come mezzi ma sempre come fini, vale a dire che taluni valori fondamentali non sono negoziabili[91].

Per Kant la dignità è valore senza prezzo: il valore assoluto di ogni persona è la base dell’autostima ma anche della consapevolezza che la natura razionale è comune a noi e agli altri. Un esempio recente di questo concetto kantiano di dignità, come di valore non negoziabile, ci è offerto da una pronuncia della Corte Costituzionale tedesca: in seguito agli attacchi dell’11 settembre del 2001, il Parlamento tedesco passò una legge che consentiva alla Luftwaffe (aviazione militare) di abbattere un aereo in mano ai dirottatori quando era certo che stessero facendo saltare in aria il velivolo. La Corte tedesca ritenne incostituzionale questa legge sulla base dell’art.1 della Legge Fondamentale che afferma che la «dignità umana è inviolabile». Ne consegue che l’abbattimento volontario delle vite di innocenti non è mai consentito rilevando che quelle vite siano destinate tristemente a cessare in un breve lasso di tempo. E cioè anche quando esse sono per altri motivi spacciate. La Consulta tedesca ricordò infatti che la dignità umana esige la medesima protezione costituzionale a prescindere dalla durata dell’esistenza fisica del singolo essere umano[92]. Le scelte sul piano etico sono state rese tangibili e successivamente intessute nei loro ordinamenti interni. Ergo, queste scelte sono state anche garantite mediante l’adozione di disposizioni vincolanti erga omnes a partire dal Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 16 dicembre del 1966, in cui si evince che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali e inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo[93]; come non fare qualche accenno al Trattato sull’Unione Europea in cui viene enucleato che «l’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze[94]».Tali valori vengono posti a fondamento dell’UE e, inoltre, sono dichiarati comuni agli Stati membri, per cui l’espressione dignità umana, invero, appare come il fondamento dell’intero complesso dei diritti umani, così come l’uguaglianza, per un verso, costituisce essa stessa un diritto fondamentale, per altro verso si collega allo stato di diritto, e anche la libertà, termine che non va riferito alle numerose libertà riconosciute dai Trattati, ma alla sua dimensione politica, quale garanzia di tolleranza di una sfera di autonomia dei cittadini rivendicata nei confronti di entità pubbliche e sottratta alla loro interferenza[95]. Come non va non menzionata la Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea, che dal 2009 ha lo stesso valore giuridico dei Trattati, in cui viene difatti enunciato che la dignità umana è inviolabile, nel senso che la dignità della persona non è soltanto un diritto fondamentale in sé, ma costituisce la base stessa dei diritti fondamentali[96], su questo punto persino la Corte di Giustizia UE ha confermato il diritto fondamentale alla dignità umana come parte integrante del diritto dell’UE[97].

Anche il diritto internazionale generale spesso e ampiamente abbraccia tali scelte etiche, come nel caso del diritto internazionale del mare in concerto con la Convenzione SAR emendata, concernente la ricerca e il salvataggio di persone in mare, di cui ho già in larga misura trattato in precedenza, che richiede di prestare assistenza agli individui in pericolo di vita quando si trovano in mare aperto; potrei dire vincolo che si ritrova anche in altri strumenti internazionali marittimi come, ad esempio, nella Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare[98]. Il riconoscimento della dignità umana nell’ambito del diritto internazionale generale, tuttavia, è maggiormente avvertito nel terzo millennio, ma che può essere rintracciato già nel secolo ormai trascorso, in particolar modo all’indomani del secondo conflitto mondiale con l’affacciarsi, per la prima volta nella storia dell’umanità, di una giustizia penale internazionale spinta dalla necessità di punire coloro che commisero atrocità inaudite, grazie alle scoperte agghiaccianti del 1945, dando così prova di quanto fosse stato preveggente il comportamento delle Parti che, in seguito, uscirono vittoriose dall’immane belligeranza, nel momento in cui sancirono la necessità di punire gli autori di quei disumani massacri[99]. I crimini commessi all’indomani della World War II, perpetrati dall’asse nazifascista, portarono all’istituzione dei Tribunali ad hoc di Norimberga e di Tokyo, prime istituzioni giudiziarie penali, e all’emergere di una giustizia penale internazionale, istituiti dagli Alleati, rispettivamente nel 1945 e 1946, per giudicare sui crimini commessi durante nella seconda guerra mondiale[100]. Da qui, si comprese l’importanza dell’individuo nell’ambito della Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con risoluzione 260 A (III) il 9 dicembre 1948, dove è stato posto in risalto che il genocidio è un atto criminoso vietato dal diritto internazionale, che la sua perpetrazione può far scaturire sia la responsabilità internazionale dello Stato, sia la responsabilità penale degli individui[101], come pure nello Statuto di Roma del 1998, che istituisce una Corte Penale Internazionale a carattere permanente, in cui viene ripreso la definizione di genocidio quale atto compiuto per distruggere un gruppo di individui[102], nel senso di come si è voluto che la persona umana diventasse «l’unità suprema di tutto il diritto» e la dignità di ciascun singolo essere umano vada fatta rientrare direttamente nell’interesse del diritto internazionale[103].

Seguirono ulteriori importanti evoluzioni, da quello del diritto internazionale umanitario[104], come quello della nascita di organismi giudiziari internazionali e regionali che si occupano esattamente dei diritti dell’uomo[105], ai trattati internazionali che hanno come scopo quello di proteggere le persone, i rifugiati[106] e le minoranze[107]. Va ricordato anche il summit delle Nazioni Unite, in cui gli Stati membri hanno accettato di impegnarsi in larga misura ad applicare la dottrina della responsabilità di proteggere, che qualcuno ha definito una di sorta di astuzia giuridica che tenta di inserire il diritto di ingerenza nel diritto internazionale, mentre i principi del diritto internazionale respingono con fermezza le interferenze[108], e la responsabilità di ciascuno Stato di proteggere le proprie popolazioni dal genocidio, dai crimini di guerra, dalla pulizia etnica e dai crimini contro l’umanità per il tramite di strumenti necessari ed appropriati, ma anche della responsabilità della comunità internazionale di assicurare la massima protezione[109].

Tuttavia, la teoria può differire senza alcun dubbio da quella che è la prassi su due differenti parametri. Il primo si basa sulla ragione che il diritto ha i suoi limiti, come è stato già delineato con il c.d. criterio de lege lata. Per quanto inerente la questione migratoria, la vicenda della nave Aquarius evidenzia che sia fattibile o possibile che gli Stati possano non accettare nel loro territorio marittimo ossia nel proprio mare territoriale un’imbarcazione con a bordo gli individui che migrano, nel senso che i cittadini di Paesi terzi non hanno alcun diritto generale a fare ingresso e a poter soggiornare nel territorio degli Stati membri dell’UE, e solo la presenza di nette esigenze di protezione, non legate a motivi di carattere economico, vincola a consentire il soggiorno[110]. Tuttavia, vi è la possibilità di puntare il j’accuse nei riguardi di coloro che favoriscono l’immigrazione clandestina, supportando il soggetto migrante richiedente asilo e, quindi, considerarli responsabili di favoreggiamento all’immigrazione illegale. Si veda, a titolo di esempio, il caso dell’Ungheria, in cui il Parlamento ha approvato una legge di restrizione alle ONG che aiutano i richiedenti asilo[111]. Il secondo si fonda sulla ragione che l’aderenza alla posizione etica scelta, lascia sovente perplessi, se si punta l’occhio sui comportamenti che alcuni Stati hanno espresso come nel caso del Segretario di Stato francese per le questioni d’asilo e migratorie Theo Francken, il quale ha dichiarato che l’immigrazione illegale deve cessare[112]; Matteo Salvini, vice Primo Ministro e Ministro dell’Interno del governo italiano, che vuole che si faccia un censimento per verificare quanti immigrati sono irregolari per poi espellerli[113], che gli fa eco il Presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump, il quale sottolinea la necessità di applicare il criterio della tolleranza zero con il diritto penale per ogni immigrato che attraversa la frontiera illegalmente[114]. Da tutto ciò si può dire che vale ancora oggi il broccardo non omne quod licet honestum est, una massima del giurista Paolo, del III secolo d.C., che osservava che ciò che è giuridicamente lecito può essere diverso da ciò che è moralmente buono, nel senso che si delinea una dicotomia fra il parametro dell’etica e quello del diritto, sebbene entrambi mettono delle prescrizioni e delle norme da cui in questi due ambiti possono sorgere dei conflitti[115].

In conclusione si può asserire che gli Stati membri assieme all’UE, organizzazione alla pari delle altre organizzazioni internazionali, ma a carattere regionale, hanno preferito una netta posizione sul piano etico, in virtù del fatto che tali entità statali sono stati edificati su valori e principi della democrazia, dello stato di diritto e della necessità del rispetto del diritto internazionale dei diritti della persona.

4. Il caso “Aquarius” nell’ottica dell’applicazione del Regolamento di Dublino III nelle operazioni di ricerca e soccorso in mare, c.d. SAR.

In precedenza, si è avuto modo di narrare i fatti riguardanti l’imbarcazione Aquarius, con a bordo seicentoventinove migranti, quando le autorità italiane annunciavano la chiusura dei propri porti, dopo aver contestato il comportamento delle autorità maltesi che avevano sviato l’operazione di accoglienza spettante a loro. Il governo maltese, al contrario, asseriva che le relative operazioni SAR (di ricerca e soccorso) ebbero luogo in alto mare, dunque, la nave dell’ONG SOS Mediteranne e MSF (medici senza frontiere), Aquarius, avrebbe dovuto attraccare al porto più vicino, come quello dell’isola di Lampedusa.

È ben noto che, in questi ultimi anni, gran parte degli Stati sta adottando l’iter politico di restrizione di non ingresso sotto forma di controllo dei flussi migratori, cagionando problemi di garanzia e salvaguardia dei diritti della persona, come pure si sta mettendo in discussione la tradizione e gli usi marittimi che hanno una lunga storia circa il salvataggio in mare e persino il principio di non respingimento. Quello che mi preme, in questo paragrafo intorno al caso Aquarius, è analizzare la questione della responsabilità per l’esame della richiesta d’asilo in base a quanto predisposto dal Regolamento di Dublino III nel caso in cui sia necessario l’intervento di salvataggio di individui, che si trovano in pericolo di vita nelle acque internazionali.

Il Regolamento di Dublino III, che sostituisce il c.d. Regolamento Dublino II (Regolamento n.343 del 2003)[116], e che rappresenta lo strumento principale dell’intero impianto europeo in materia d’asilo[117], stabilisce il criterio del c.d. primo ingresso, statuito dall’articolo 13, paragrafo 1, in base al quale viene enunciato che quando è accertato – attraverso prove o circostanze indiziarie, inclusi ovviamente i dati di cui al Regolamento Eurodac, sistema per il confronto dei dati relativi alle impronte digitali[118]– che il richiedente ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un Paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in questione è competente[119]. Tale articolo pare che sia molto controverso, nel senso che sembra che un’ipotesi implicita appaia prevalere in virtù del fatto che i potenziali candidati, per l’ottenimento della sfera protettiva internazionale, che giungono sul suolo di uno Stato membro UE, che hanno dovuto fare una traversata via mare, devono in ogni modo aver attraversato illegalmente, non rispettando le regole, la frontiera esterna di tale Stato membro ai sensi dell’articolo di cui si sta trattando del Regolamento di Dublino.

Ma è sempre così? In realtà, nessuno può negare il luogo ove una persona, in seguito ad una traversata via mare, sbarchi illesa e senza essere individuata per poi presentarsi alle autorità di detto Stato membro o di un altro Stato membro allo scopo di chiedere protezione internazionale, si può tuttalpiù ragionevolmente presumere che abbia varcato il confine del primo Stato membro «illegalmente»: una simile ipotesi sarà infatti pressoché certamente corretta. Tuttavia, nel momento in cui una persona viene soccorsa in mare aperto, facendola sbarcare in un luogo sicuro, inteso come luogo in cui le operazioni di soccorso si considerano concluse e la sicurezza dei sopravvissuti, ovvero la loro vita non è minacciata, nell’ambito dell’operazione SAR, la sua situazione giuridica è molto complessa[120]. Qualche punto di domanda viene in mente, c’est à dire se si può ritenere il fatto che in questo particolare caso l’individuo sia entrato illegalmente nel territorio del pertinente Stato, nel momento in cui gli organi centrali di quel determinato Stato lo hanno condotto nel proprio mare territoriale a seguito di un’operazione di ricerca e salvataggio conformemente ai vincoli internazionali sanciti dal diritto internazionale del mare. Su questo punto, si considera l’aspetto riguardante l’obbligo di prestare soccorso, sancito dall’articolo 98, paragrafo 1, della CNUDM, in base al quale ciascuno Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri, inter alia, di procedere quanto più velocemente possibile al soccorso delle persone in pericolo, articolo che reputa la necessità vincolante da parte degli Stati di prestare assistenza alle persone in pericolo o in emergenza in mare aperto[121]. Ancora, se ciò non è così coerente, allora si dovrebbe sostenere che il luogo di sbarco sia necessariamente determinato dal Centro di coordinamento del soccorso marittimo. La problematica è sempre più attorcigliata qualora uno Stato, diverso dallo Stato rivierasco, approvi l’attracco nel proprio porto, come è accaduto nel caso dell’imbarcazione Aquarius con a bordo i migranti, che sono stati fatti scendere sul suolo spagnolo, su cui si dovrebbe considerare che siano entrati illegalmente.

All’inizio della causa C‑670/16, Tsegezab Mengesteab contro Bundesrepublik Deutschland, la questione è stata posta in rilievo dall’Avvocato generale presso la Corte di Giustizia UE, che ha rilevato che l’intersezione fra diritto internazionale del mare, diritto internazionale umanitario (come previsto dalla convenzione di Ginevra del 1951) e diritto dell’UE[122] non fornisce una risposta rapida e manifesta alla domanda se debba ritenersi che le persone soccorse durante una traversata del Mediterraneo e sbarcate in uno Stato membro costiero dell’UE (generalmente, ma non soltanto, la Grecia o l’Italia) abbiano varcato «illegalmente» le frontiere di detto Stato membro ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, del Regolamento Dublino III[123]. Ora, è d’uopo comprendere se la decisione adottata da uno Stato membro UE di porre in atto i soccorsi in mare possa conseguentemente regolarizzare l’ingresso dei migranti sul suolo UE e, se così fosse, quale sarebbe la netta base sul piano prettamente giuridico; ad esempio, se tale decisione possa essere reputata sullo stesso livello del problema dei visti, secondo il codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere degli individui, c.d. codice delle frontiere Schengen, che prevede l’assenza del controllo di frontiera sulle persone che attraversano le demarcazioni interne fra gli Stati membri dell’Unione Europea[124]. In tale ambito, questo codice consente allo Stato membro UE di derogare ad alcune condizioni, come determinante dall’articolo 5, paragrafo 1, riguardante l’attraversamento delle frontiere e condizioni d’ingresso, per motivi di carattere umanitario o per i suoi vincoli internazionali, dando l’autorizzazione alla persona proveniente da uno Stato terzo a fare il proprio ingresso nel suo territorio[125].

Ovviamente, non può mancare il parere della Corte di Giustizia UE, la quale ha espresso non positivamente a un identico problema inerente l’attraversamento delle frontiere via terra di persone, provenienti da Stati terzi che hanno attraversato la rotta balcanica in due casi, come è accaduto per un cittadino siriano che ha viaggiato dalla Siria attraverso la rotta dei Balcani occidentali per arrivare in Slovenia; al confine di Stato fra Serbia e Croazia, le autorità croate gli permisero di entrare in Croazia e ne organizzano il trasferimento verso il confine sloveno[126]; e per una madre afghana con i suoi due figli entrati inizialmente in Grecia, dove hanno trascorso tre giorni, prima di lasciare il territorio dell’Unione Europea e farvi nuovamente ingresso in Croazia[127]. Le due sentenze chiariscono che la nozione di attraversamento irregolare di una frontiera prevista dal Regolamento Dublino III ricom-prende anche la situazione in cui uno Stato membro ammetta nel proprio territorio cittadini di un Stato non UE invocando ragioni umanitarie e derogando ai requisiti di ingresso in linea di principio imposti ai cittadini di Paesi non UE: la circostanza che l’attraversamento della frontiera abbia avuto luogo in occasione dell’arrivo di un numero eccezionalmente elevato di cittadini di Stati non UE intenzionati ad ottenere una protezione internazionale non è determinante[128].

Inoltre, va fatto presente che la Corte di Giustizia UE ha posto in risalto il fatto che l’ammissione di un cittadino di uno Stato terzo, che non è membro dell’Organizzazione dell’UE, nel territorio di uno Stato membro non può essere equiparato al rilascio di un visto, pure se ci si trovi difronte ad arrivi di flussi migratori verso l’UE quali circostanze eccezionali e che l’espressione attraversamento irregolare di una frontiera concerneva anche la situazione dove uno Stato membro UE ammetta sul proprio territorio persone che provengono da Stati extra UE per ragioni prettamente d’umanità, in deroga alle condizioni di accesso che sono di solito imposte a soggetti di Stati terzi. Chiaramente, leggendo le due sentenze poc’anzi citate, la stessa Corte di Giustizia UE era maggiormente propensa a reputare lo Stato membro di primo ingresso (in tal caso lo Stato croato) responsabile circa l’esame delle domande d’asilo, anziché la corretta interpretazione delle disposizioni contenute nel Regolamento di Dublino, non solo, ma i giudici non dovevano ritenere il reclamo del ricorrente come illecito al fine di attuare le norme stesse del Regolamento (UE) n. 604/2013 ed evitare che alla Croazia, Stato membro UE, venisse inflitta l’assoluzione dalle proprie responsabilità, nel senso che la stessa Corte ha escluso che la condotta dello Stato croato legittimi una deroga alle regole di competenza. A parere dei giudici di Lussemburgo, un ingresso privo di autorizzazione per motivi d’umanità nel territorio di uno Stato membro non è equiparabile al rilascio di un visto[129]. D’altronde, il problema con gli attraversamenti via mare è molto complicata e, pertanto, i punti primari delle due sentenze citate non possono nell’immediato essere rese concrete.

Nella vicenda Aquarius, invece, la Spagna, nella sua decisione di accogliere le seicentoven-tinove persone, non si è trovata dinanzi allo tsunami imprevedibile e massiccio di flussi migratori, rispetto alla Croazia nel 2015, come pure non ha agevolato e tollerato l’ingresso di questi individui nella sua terraferma. Le stesse autorità di Madrid, in maniera netta e rispettando la forma, approvavano l’ingresso della nave Aquarius nel porto di Valencia, dopo il rifiuto dell’Italia e di Malta di acconsentire all’accesso dell’imbarcazione nei loro rispettivi porti. Sul piano giuridico, si nota il fatto che il governo iberico ha usato l’opzione a disposizione degli Stati membri, in concerto col codice delle frontiere di Schengen, al fine di autorizzare le persone extracomunitarie che non rispettano i parametri d’accesso a recarsi sul loro territorio per ragioni di carattere umanitario, tollerando così i vincoli internazionali pertinenti dello Stato iberico. Su quest’ultimo aspetto mutatis mutandis ritorna il parere dell’Avvocato generale, il quale ha asserito che Dublino non è applicabile quando si verifica una situazione di grande afflusso di richiedenti asilo da Paesi terzi nel territorio dell’Unione Europea durante il quale il Paese di primo ingresso (nei 2 casi la Croazia) deve necessariamente aprire le sue frontiere per permettere alle persone di attraversare il proprio territorio verso altri Stati membri (nei suddetti casi Slovenia e Austria) che diventano responsabili per l’esame della richiesta d’asilo, aggiungendo anche che se gli Stati membri di confine, quali la Croazia, fossero ritenuti competenti per accogliere e gestire numeri eccezionalmente elevati di richiedenti asilo, vi sarebbe il rischio concreto che semplicemente non saranno in grado di far fronte alla situazione. Inoltre, lo stesso Avvocato generale UE osservava che nelle circostanze assolutamente eccezionali di ingresso in massa di cittadini di Paesi terzi, il fatto che taluni Stati membri abbiano concesso alle persone interessate di varcare la frontiera esterna dell’UE e, successivamente, di transitare verso altri Stati membri per presentare una domanda di protezione internazionale, non equivale al rilascio di un visto[130]. Dopotutto, alcuno può contradire il fatto che l’obbligo di prestare assistenza agli individui, le cui vite sono in forte pericolo in mare, rappresenta una delle caratteristiche di lungo tempo e fondamentale del diritto marittimo[131].

In conclusione, i migranti che si trovavano sulla nave Aquarius arduamente potevano essere viste come persone entrate irregolarmente nel territorio della penisola spagnola, secondo i dettami del Regolamento di Dublino III, per cui, questo non stava a indicare che lo Stato iberico dovesse essere esentata dalla propria responsabilità circa l’esame di eventuali domande d’asilo.  Difatti, come ho avuto già modo di sottolineare, l’articolo 14 del Regolamento (UE) n. 604/2013 prevede che lo Stato membro – in questo caso la Spagna – sia competente per l’esame delle domande conformi alle richieste d’asilo nei casi in cui una persona che proviene da uno Stato terzo o un’apolide entri nel territorio di uno Stato membro, dove ha il bisogno di ottenere un visto.

[1] T. SCOVAZZI, Il respingimento di un dramma umano collettivo e le sue conseguenze, in L’immigrazione irregolare via mare nella giurisprudenza italiana e nella esperienza europea, A. ANTONUCCI, I. PAPANICOLOPULU, T. SCOVAZZI (a cura di), GIAPPICHELLI, Torino, 2016, p.67 ss.

[2] “la Guardia Costiera Italiana ha salvato 629 persone ed ha chiesto alla nave Aquarius di imbarcarli e portarli in Sicilia. L’operazione è stata gestita dall’Italia sin dal primo momento, quindi ci sono pochi dubbi su chi fosse il responsabile di accogliere queste persone. Disperati o meno, migranti economici o potenziali rifugiati, le persone in mare prima si salvano e poi si parla delle cause che le hanno portate a galleggiare in mezzo al mare. Qualsiasi scelta abbiano fatto nella loro vita, quindi anche quella di affrontare un viaggio e dei rischi, non può essere pagata con la morte. Altrimenti non siamo umani e questo non ce lo possiamo permettere”. F. GIUMELLI, Sei considerazioni sull’Aquarius, in http://www.giumelli.org/sei-considerazioni-sul-caso-aquarius/, 15/06/2018.

[3] Tra sabato e domenica la nave Aquarius, dedicata al salvataggio dei migranti e appartenente a SOS Méditerranée e Medici Senza Frontiere, salva 629 migranti. Tra questi ci sono 123 minori non accompagnati e 7 donne incinte. La nave fa quindi rotta verso la Sicilia, ritenendola il primo “porto sicuro” disponibile per far sbarcare le persone tratte in salvo. Il governo italiano nega il permesso di attraccare ai propri porti, chiedendo poi al governo di Malta di occuparsi della vicenda. Quest’ultima rifiuta, motivando la propria decisione dicendo che deve essere l’Italia a occuparsene anche in base al diritto internazionale. Nel mentre la nave continua a navigare in circolo nel tratto di mare tra Malta e Sicilia, con 629 persone a bordo (ben oltre le sue capacità di trasporto). Il ministro Salvini, forse per testare il consenso degli elettori, lancia su Twitter l’hashtag #chiudiamoiporti, confermando così la sua volontà di assumere un approccio più duro nei confronti dell’immigrazione clandestina: «Nel Mediterraneo ci sono navi con bandiera di Olanda, Spagna, Gibilterra e Gran Bretagna, ci sono Ong tedesche e spagnole, c’è Malta che non accoglie nessuno, c’è la Francia che respinge alla frontiera, c’è la Spagna che difende i suoi confini con le armi, insomma tutta l’Europa che si fa gli affari suoi», ha scritto su Facebook, sottolineando che «da oggi anche l’Italia comincia a dire NO al traffico di esseri umani, NO al business dell’immigrazione clandestina». La posizione assunta dal Governo non è cambiata, tanto da scatenare sia il dibattito sia interno (a mezzo radio, tv, stampa e social media) sia esterno tirando in ballo gli Stati membri dell’Unione; quest’ultimo, due giorni fa, culmina con l’intenzione della Spagna di accollarsi tutti i migranti a bordo dell’Aquarius, scatenando, nei nostri confronti, reazioni di sdegno da parte di alcuni leader europei. E. SECCO, L’Aquarius e le violazioni italiane al diritto internazionale, del 14/06/2018, consultabile in https://www.avvocatoflash.it/blog/attualita/aquarius-violazioni-italiane-diritto-internazionale.

[4] D. VITELLO, Il diritto di cercare asilo ai tempi dell’Aquarius, 29/06/2018, in www.sidiblog.org.

[5] Twitter di Matteo Salvini: https://twitter.com/matteosalvinimi/status/1005855205156642816.

[6] Twitter di Joseph Muscat: https://twitter.com/JosephMuscat_JM/status/1005918671297024002.

[7] Cfr. l’articolo pubblicato sul quotidiano spagnolo El Pais, Spain to offer “safe port” for ‘Aquarius’ migrant rescue ship in Valencia, 11/06/2018, https://elpais.com/elpais/2018/06/11/inenglish/1528720717_398244.html.

[8] Lo svolgimento del servizio di ricerca e soccorso è disciplinato in Italia dal DPR n. 662/1994 con cui è stata recepita la Convenzione di Amburgo e rientra nella competenza primaria del Ministero delle infrastrutture e trasporti che si avvale del Corpo delle Capitanerie di Porto/Guardia costiera che comunque risulta anche alle dipendenze della Marina militare.

[9] M. BERNADIS, Tutela e diritti dei migranti in mare, 11/02/2010, in https://www.diritto.it/tutela-dei-diritti-dei-migranti-in-mare/.

[10] T. SCOVAZZI, op.cit., in L’immigrazione irregolare via mare nella giurisprudenza italiana e nell’esperienza europea, A. ANTONUCCI, I. PAPANICOLOPULU, T. SCOVAZZI (a cura di), GIAPPICHELLI, Torino, 2016, p.68.

[11] A. L. D’OVIDIO, G. PESCATORE, L. TULLIO, Manuale di Diritto della Navigazione, GIUFFRÉ, Milano, 2011, p.177; U. LEANZA, F. CAFFIO, L’applicazione della convenzione di Amburgo del 1979 sul SAR, in Rivista del Diritto della Navigazione, 2015, p. 420 ss.

[12] C. FOCARELLI, Trattato di Diritto Internazionale, UTET-GIURIDICA, Torino, 2015, p.778.

[13] M. FORNARI, Soccorso di profughi in mare e diritto d’asilo: questioni di diritto internazionale sollevata dalla vicenda della nave Tampa, in La Comunità Internazionale, 2002, p.61 ss.

[14] In base al punto 3.1.9 della Convenzione Sar (Search and rescue) di Amburgo del 1979 dispone: «Le Parti devono assicurare il coordinamento e la cooperazione necessari affinché i capitani delle navi che prestano assistenza imbarcando persone in pericolo in mare siano dispensati dai loro obblighi e si discostino il meno possibile dalla rotta prevista, senza che il fatto di dispensarli da tali obblighi comprometta ulteriormente la salvaguardia della vita umana in mare. La Parte responsabile della zona di ricerca e salvataggio in cui viene prestata assistenza si assume in primo luogo la responsabilità di vigilare affinché siano assicurati il coordinamento e la cooperazione suddetti, affinché i sopravvissuti cui è stato prestato soccorso vengano sbarcati dalla nave che li ha raccolti e condotti in luogo sicuro, tenuto conto della situazione particolare e delle direttive elaborate dall’Organizzazione marittima internazionale (Imo). In questi casi, le Parti interessate devono adottare le disposizioni necessarie affinché lo sbarco in questione abbia luogo nel più breve tempo ragionevolmente possibile

[15]«Consci della problematica dello sbarco delle persone soccorse, gli Stati hanno cercato di risolvere i problemi sorti tramite modifiche alle Convenzioni SAR e SOLAS nel 2004. La SAR, come modificata nel 2004, prevede che gli Stati devono coordinarsi e cooperare al fine di assicurare che i comandanti delle navi che forniscono assistenza prendendo a bordo persone in pericolo possano essere liberati dai propri obblighi con la minor deviazione possibile dalla rotta programmata, a condizione che questo non pregiudichi la sicurezza della vita umana in mare. A tale riguardo, lo Stato nella cui zona SAR è avvenuto il salvataggio avrà la responsabilità primaria (primary responsibility) di assicurare che il coordinamento e la cooperazione avvengano, in modo tale che i sopravvissuti siano sbarcati presso un luogo sicuro». I. PAPANICOLOPULU, Immigrazione irregolare via mare, tutela della vita umana e organizzazioni non governative, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 3/2017, p.20.

[16] F.V. PALEOLOGO, Controlli e diritti fondamentali, in Immigrazioni e Diritti Fondamentali, fra costituzioni nazionali, Unione Europea e diritto internazionale, S. GAMBINO, G. D’IGNAZIO (a cura di), GIUFFRÉ, Milano, 2010, p. 41 ss.

[17] J. C. HATHAWAY, D. GHEZELBASH, Mediterranean Stand-Off: why we need to move beyond crisis thinking

on refugees, 20/06/2018, consultabile in https://www.justsecurity.org/58120/mediterranean-stand-off-why-move-crisis-thinking-refugees/.

[18] Cfr. quanto riportato sulla seguente pagina: http://www.vita.it/it/article/2018/06/28/la-libia-ha-dichiarato-la-sua-zona-sar-lo-conferma-limo/147392/.

[19] T. SCOVAZZI, Elementi di Diritto Internazionale del mare, GIUFFRÉ, Milano, 1994, p.69 ss.; L. SCICO, L’Alto Mare, GIAPPICHELLI, Torino, 1999, p.2 ss.

[20] G. CELLAMARE, Brevi note sulla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nell’affare Hirsi Jamaa e altri c. Italia, in Studi sull’Integrazione Europea, 2-3 (2012), p.491 ss.; S. ZIRULIA, I respingimenti nel Mediterraneo tra Diritto del Mare e Diritti fondamentali, 26 giugno 2012, consultabile nella seguente pagina, in http://www.rivistaaic.it/i-respingimenti-nel-mediterraneo-tra-diritto-del-mare-e-diritti-fondamentali.html; G. CARELLA, Il divieto di respingimenti in mare, il caso Hirsi Jamaa e l’isola che non c’è, in Sud in Europa, 2012, p.5 ss.; A. LIGUORI, La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo condanna l’Italia per i respingimenti verso la Libia del 2009: caso Hirsi, in Rivista di Diritto Internazionale, 2012/2, p.415 ss.; F. LENZERINI, Il principio del non-refoulement dopo la sentenza Hirsi della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Rivista di Diritto Internazionale, 2012/3, p.721 ss.; R. PALLADINO, La tutela dei migranti irregolari e dei richiedenti protezione internazionale, in CEDU e Ordinamento Italiano. La giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e l’impatto nell’ordinamento interno, A. DI STASI (a cura di), CEDAM-WOLTERS KLUWER, Milano, 2016, p.178 ss.; M. R. MAURO, Il divieto di espulsioni collettive dei migranti irregolari: i casi di Hirsi e Khlaifia, in Dialoghi con Ugo Villani, E. TRIGGIANI, F. CHERUBINI, I. INGRAVALLO, E. NALIM, R. VIRZO (a cura di), CACUCCI, Bari, 2017, Tomo I, p.461 ss.

[21] K. GOMBEER, M. FINK, Non-Governmental Organisations and Search and Rescue at Sea, in Maritime Safety and Security Law Journal, 4/2018, p.1 ss.

[22] A. DI STASI, Introduzione alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, CEDAM-WOLTERS KLUWER, Milano, 2016, p.55 ss.

[23] Le ricorrenti sono tre associazioni per la tutela dei diritti delle donne, attive in campagne a favore della libertà di interruzione della gravidanza. Nel 2004, l’associazione olandese Women on Waves fu invitata dalle altre due associazioni ricorrenti a tenere alcune iniziative in località marittime portoghesi. Allo scopo, essa organizzò, come di consueto, delle iniziative da tenere a bordo di un battello. L’attracco ai porti portoghesi fu tuttavia vietato dalle autorità nazionali, per ragioni di sanità e di sicurezza pubblica, ed il battello fu costretto a cambiare rotta, anche grazie all’intervento di una fregata della marina militare. Il divieto fu ritenuto legittimo dalle autorità giurisdizionali adite, anche argomentando sulla base della legislazione nazionale che vieta l’interruzione della gravidanza. La Corte di Strasburgo ritiene il divieto di attracco imposto al battello dell’associazione ricorrente un mezzo sproporzionato di restrizione della libertà di espressione. Dopo aver rammentato la propria dottrina sull’ampio margine di tolleranza da manifestare nei confronti delle opinioni minoritarie e dissenzienti, ricorda che la scelta delle modalità di diffusione delle proprie opinioni non può essere rimessa alla valutazione dello Stato, e può essere contestata e contenuta solo quando sfocia in azioni illegali. Cfr. Sentenza Women on Waves e altri c. Portogallo, del 3 febbraio 2009, consultabile nella seguente pagina: https://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22itemid%22:[%22001-91046%22]}.

[24] I. PAPANICOLOPULU, Donne sulle onde: libertà di espressione, libertà di navigazione  libertà di circolazio-ne?, in Diritti Umani e Diritto Internazionale, vol.4, n.1, 2010, p.205 ss.

[25] I. PAPANICOLOPULU, La nozione di giurisdizione ai sensi dell’articolo 1 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo nella recente giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in I Diritti Umani difronte al giudice internazionale, T. SCOVAZZII. PAPANICOLOPULUS. URBINATI (a cura di), GIUFFRÉ, Milano, 2009 , p.123.

[26] Con il governo di Fayez Serraj, a Tripoli, l’Italia ha siglato a febbraio 2017 un Memorandum d’Intesa con cui è iniziato il supporto e la formazione della Guardia costiera locale. L. BAGNOLI, Italia-Libia: pioggia di ricorsi per violazione diritti migranti, 9 maggio 2018, in https://www.osservatoriodiritti.it/2018/05/09/italia-libia-ricorsi-violazione-diritti-migranti/.

[27] M. MANCINI, Il Memorandum d’intesa tra Italia e Libia del 2017 e la sua attuazione, in Conflitti in Siria e Libia. Possibili equilibri e le sfide al diritto internazionale, N. RONZITTI, E. SCISO (a cura di), GIAPPICHELLI, Torino, 2018, p.191 ss.

[28] M. BAUMGÄRTEL, High Risk, High Reward: Taking the Question of Italy’s Involvement in Libyan ‘Pullback’ Policies to the European Court of Human Rights, 24 maggio 2018, in https://www.ejiltalk.org/high-risk-high-reward-taking-the-question-of-italys-involvement-in-libyan-pullback-policies-to-the-european-court-of-human-rights/.

[29] C. TORRISI, Naufragio del 6 novembre: il ricorso dei superstiti contro l’Italia, 9 maggio 2018, consultabile in https://openmigration.org/analisi/naufragio-del-6-novembre-il-ricorso-dei-superstiti-contro-litalia/.

[30] C. NORDIO, Diritto e diritti. La lezione che nessuno può dare al nostro Paese, 13 giugno 2018, si veda in https://www.ilmessaggero.it/primopiano/politica/migranti_francia_italia_aquarius-3793319.html.

[31] G. CAGGIANO, Scritti sul diritto europeo dell’immigrazione, GIAPPICHELLI, Torino, 2015, p.57 ss.; P. MANZINI, La solidarietà tra Stati membri dell’Unione europea: un panoramacostituzionale”, in Étique globale, Bonne gouvernance et droit international économique, L. MANDERIEUX, M. VELLANO (sous la direction de), GIAPPICHELLI, Torino, 2017, p.153 ss.; U. VILLANI, Immigrazione e principio di solidarietà, in Freedom, Security & Justice: European Legal Studies, 2017/3, p.1 ss.; G. MORGESE, La solidarietà tra gli Stati membri dell’Unione Europea in materia di migrazione e asilo, CACUCCI, Bari, 2018, p.63 ss.

[32] B. NASCIMBENE, Unione EuropeaTrattati. Raccolta di testi e documenti, Giappichelli, Torino, 2016, p.43.

[33] «Qualora uno o più Stati membri debbano affrontare una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare misure temporanee a beneficio dello Stato membro o degli Stati membri interessati. Esso delibera previa consultazione del Parlamento europeo». Cfr. B. NASCIMBENE, op. cit., GIAPPICHELLI, Torino, 2016, p.42.

[34] G. MORGESE, op. cit., CACUCCI, Bari, 2018, p.54 ss.

[35] Il ricorso, basato su ben sedici motivi, è stato respinto dalla Corte di giustizia con sentenza del 6 settembre 2017 (cause riunite C-643/15 e C-647/15). Al di là di una serie di questioni di carattere procedurale, i ricorsi investivano il merito della decisione. Essi, in particolare, denunciavano la violazione del principio di proporzionalità (art. 5, par. 4, del Trattato sull’Unione europea – TUE) affermando, tra l’altro, che l’obiettivo della decisione poteva essere realizzato ricorrendo a misure meno restrittive per gli Stati membri e meno incidenti sul diritto “sovrano” di ciascuno di essi di decidere liberamente dell’ammissione nel proprio territorio di cittadini di Paesi terzi (nonché sul diritto, enunciato all’art. 5 del Protocollo n. 2, a che l’onere finanziario e amministrativo sia il meno elevato possibile) (punto 225). A questo riguardo la Corte, respingendo i motivi indicati, ha più volte richiamato il principio di solidarietà, in base al quale era stata assunta la decisione di aiutare la Grecia e l’Italia ad affrontare l’emergenza determinata da un afflusso improvviso di cittadini di Paesi terzi manifestamente bisognosi di protezione internazionale, alleggerendo la pressione considerevole sui rispettivi regimi di asilo (punto 212). La Corte ha affermato che, nell’adottare la decisione impugnata, il Consiglio era effettivamente tenuto a dare attuazione al principio di solidarietà (e di equa ripartizione della responsabilità) (punto 252); che, quando uno o più Stati membri si trovino in una situazione di emergenza, ai sensi dell’art. 78, par. 3, TFUE, gli oneri derivanti dalle misure adottate a loro beneficio devono essere ripartiti, in conformità del principio di solidarietà, fra tutti gli altri Stati membri (punto 291); che la stessa determinazione dello Stato membro di ricollocazione deve essere fondata su criteri connessi alla solidarietà tra gli Stati membri (punto 329). U. VILLANI, op. cit., in Freedom, Security & Justice: European Legal Studies, 2017/3, p.5.

[36] R. M. CREMONINI, Il principio di solidarietà nell’ordinamento europeo, in L’ordinamento europeo. I principi dell’Unione, S. MANGIAMELI (a cura di), GIUFFRÉ, Milano, 2006, p.435 ss.; A. GERACI, “There is not enough union in this Union”. Principio di solidarietà e Sistema di Dublino alla prova del più imponente esodo di profughi dal secondo dopo guerra, in www.federalismi.it, n.9/2016, p.11 ss.

[37] J. C. HATHAWAY, Refugees in Orbit – again!, dell’11 giugno 2018, in https://verfassungsblog.de/refugees-in-orbit-again/.

[38] In particolar modo da parte della Francia, in https://www.theguardian.com/world/2018/jun/13/italy-hits-back-at-french-criticism-over-turning-away-migrants-ship-aquarius, da parte di Malta, articolo consultabile in https://twitter.com/JosephMuscat_JM/status/1005918671297024002, e, infine, del Regno di Spagna, articolo consultabile in https://elpais.com/elpais/2018/06/11/inenglish/1528720717_398244.html.

[39] Lettera aperta del Gruppo d’interesse sul diritto del mare, in https://sidigimare.wordpress.com/.

[40] A. V. LOWE, The right of entry into maritime ports in international law, in San Diego Law Review, 1977, p.597 ss.

[41] R. CHURCHILL, V. LOWE, The Law of the Sea, MANCHESTER UNIVERSITY PRESS, 1999, p. 63 ss.

[42] S. CARBONE, F. MUNARI, La disciplina dei porti tra diritto comunitario e diritto interno, GIUFFRÉ, Milano, 2006, p.26 ss.; L. TULLIO, Codice della navigazione con le principali leggi complementari e convenzioni internazionali, GIUFFRÉ, Milano, 2012, p. 475 ss.

[43] A. D. LEFEBRVE, G. PESCATORE, L. TULLIO, Manuale di Diritto della Navigazione, GIUFFRÉ, Milano, 2011, p.48 ss.; G. PACCIONE, Un Mare di Abusi. La vicenda dell’Enrica Lexie e dei due Marò nel contesto del diritto internazionale, ADDA EDITORE, Bari, 2015, p.33 ss.

[44] United Nations Convention on the Law of the Sea, Montego Bay, 10 December 1982, entered into force on 16 November 1994. La Convenzione conta 166 Parti contraenti, di cui 155 Stati e l’UE.

[45] F. BATTAGLIA, Sugli obblighi internazionali in materia di salvataggio di migranti in mare e sulla necessità di adottare misure europee di solidarietà,  in Democrazia e Sicurezza, n.4/2015, p.125 ss.

[46] N. RONZITTI, Introduzione al Diritto Internazionale, GIAPPICHELLI, Torino, 2016, p.134 ss.

[47] Annesso alla Convenzione internazionale del 1979 sulla ricerca e salvataggio in mare emendato cap. 1.3.11, in http://www.asgi.it/wp-content/uploads/2014/09/271222.pdf.

[48] S. TREVISANUT,  Le operazioni di ricerca e salvataggio in mare: chi è competente e chi è responsabile?, 2 maggio 2013, si veda in http://www.sidiblog.org/2013/05/02/le-operazioni-di-ricerca-e-salvataggio-in-mare-chi-e-competente-e-chi-e-responsabile/.

[49] F. CAFFIO, Glossario di Diritto del mare. Diritto e Geopolitica degli Spazi marittimi, in Rivista Marittima, 2016, p.139 ss.

[50] Cfr. Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio, recante norme per quanto riguarda la sorveglianza delle frontiere marittime esterne nel contesto della cooperazione operativa coordinata dall’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea – PE-CONS 35/14 del 30 aprile 2014, p.18.

[51] International Convention on Maritime Search and Rescue (SAR), adottata ad Amburgo il 27 aprile 1979 ed entrata in vigore il 22 giugno 1985, in  https://treaties.un.org/doc/publication/unts/volume%201405/volume-1405-i-23489-english.pdf.

[52] G. PACCIONE, La falla dell’agenzia FRONTEX nel fronteggiare l’immigrazione nel Mediterraneo, 23 ottobre 2013, in www.diritto.it.; G. CAGGIANO, Scritti sul Diritto Europeo dell’immigrazione, GIAPPICHELLI, Torino, 2015, p.73 ss.; M. MAGRI, Potenziare FRONTEX?, 22 giugno 2018, consultabile nella pagina seguente: https://www.rivistailmulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:4407.

[53] E. DE CAPITANI, Politiche UE in materia di frontiere, migrazioni e asili sotto la presidenza del Consiglio dell’Unione, 20 gennaio 2015, in Rivista Eurojust.it; A. ANTONUCCI, P. CAIAZZA, M. FANTINATO, L’evoluzione delle norme di diritto internazionale in tema di interventi di polizia in alto mare…, in L’immigrazione irregolare via mare nella giurisprudenza italiana e nell’esperienza europea, A. ANTONUCCI, I. PAPANICOLOPULU, T. SCOVAZZI (a cura di), GIAPPICHELLI, Torino, 2016, p.149 ss.

[54] F. LENZERINI, Asilo e diritti umani. L’evoluzione del diritto d’asilo nel diritto internazionale, GIUFFRÉ, Milano, 2009, p.335 ss.; A. LANG, Il divieto di refoulement tra CEDU e Carta dei diritti fondamentali, in Le garanzie fondamentali dell’immigrato in Europa, S. AMADEO, F. SPITALERI (a cura di), GIAPPICHELLI, Torino, 2015, p.211 ss.

[55] G. CARELLA, Esodi di massa e diritto internazionale, in Rivista di Diritto Internazionale, 4/1992, p.903 ss.

[56] G. LICASTRO, La nuova operazione congiunta FRONTEX TRITON, dalla natura “gattopardesca”, del 16 novembre 2014, in http://www.forumcostituzionale.it/wordpress/wp-content/uploads/2014/12/licastro.pdf; Cfr. il documento Concept of reinforced joint operation tackling the migratory flows towards Italy: JO EPN-Triton è consultabile in http://www.statewatch.org/observatories_files/frontex_observatory/frontex-2014-08-28-jo-triton-proposal.PDF;

[57] F. CAFFIO, Migranti: Frontex da Triton a Themis, UE prova a regionalizzare, 5 febbraio 2018, consultabile in http://www.affarinternazionali.it/2018/02/migranti-frontex-triton-themis-ue/.

[58] G. PACCIONE, Inizio della fase 2 della missione militare EUNAVFOR MED, 19 ottobre 2015, consultabile in http://www.difesaonline.it/news-forze-armate/missioni/inizio-della-fase-2-della-missione-militare-eunavfor-med; ID, Operazione Eunavfor-Med II o Sophia e l’azione delle nazioni unite e dell’unione europea contro i trafficanti di esseri umani, 11 luglio 2016, in http://www.difesaonline.it/evidenza/diritto-militare/operazione-eunavfor-med-ii-o-sophia-e-lazione-delle-nazioni-unite-e; E. CARLI, Operation Eunavfor med Sophia in the framework of the European agenda on migration: practical aspects and questions of international law, in Freedom, Security & Justice: European Legal Studies, 2018/2, p.135 ss.

[59] Cfr. Informativa del Ministro dell’Interno sulla vicenda della nave Aquarius e conseguente discussione del 13 giugno 2018, in www.senato.it; M. PENNISI, Aquarius, la Spagna di Sanchez accoglie i migranti: «Ragioni umanitarie», 11 giugno 2018, in https://www.corriere.it.

[60] R. P. MAZZESCHI, “Due Diligence” e responsabilità internazionale degli Stati, GIUFFRÉ, Milano, 1989, p. 398 ss.

[61] Cfr. Italy shuts po.rts to Aquarius ship carrying over 600 refugees, 11 giugno 2018, articolo pubblicato nella seguente pagina in https://www.aljazeera.com/news/2018/06/italy-shuts-ports-aquarius-ship-carrying-600-refugees-180611053555053.html.

[62] «Nel caso di navi dirette verso le acque interne o allo scalo presso installazioni portuali al di fuori delle acque interne, lo Stato costiero ha anche il diritto di adottare le misure necessarie per prevenire ogni violazione delle condizioni alle quali è subordinata l’ammissione di tali navi nelle acque interne o a tali scali(art.25, paragrafo 2, CNUDM)».

[63] A. DE GUTTRY, Lo status della nave da guerra in tempo di pace. Regime della navigazione e disciplina delle attività coercitive, profili di diritto internazionale, GIUFFRÉ, Milano, 1994, p. 251.

[64] «La zona contigua non può estendersi oltre 24 miglia marine dalla linea di base da cui si misura la larghezza del mare territoriale(art.33, paragrafo 2, CNUDM)».

[65] A. TANZI, Introduzione al diritto internazionale, WOLTERS KLUWER-CEDAM, Milano, 2016, p.554.

[66] A. CORNELI, Flussi migratori illegali e ruolo dei paesi d’origine e di transito, RUBBETINO EDITORE, Roma, 2005, p.70 ss.; F.VISMARA, Lineamenti di diritto doganale dell’Unione Europea, GIAPPICHELLI, Torino, 2016, p.48 ss.

[67] T. SCOVAZZI, Elementi di Diritto Internazionale del Mare, GIUFFRÉ, Milano, 1994, p.29 ss.

[68] N. RONZITTI, Introduzione al diritto internazionale, GIAPPICHELLI, Torino, 2016, p.121 ss.

[69] Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo, legge 30 luglio 2002, n.189, articolo 11/sexies, in Gazzetta Ufficiale.

[70] F. CAFFIO, Sovranità statale e libertà dei mari, in Elementi di diritto e geopolitica degli spazi marittimi, F. CAFFIO, N. CARMINEO, A. LEANDRO (a cura di), CACUCCI, Bari, 2013, p.58 ss.

[71] Si veda in http://www.un.org/Depts/los/legislationandtreaties/statefiles/ita.htm.

[72] Libertà dell’alto mare «1. L’alto mare è aperto a tutti gli Stati, sia costieri sia privi di litorale. La libertà dell’alto mare viene esercitata secondo le condizioni sancite dalla presente Convenzione e da altre norme del diritto internazionale. Essa include, tra l’altro, sia per gli Stati costieri sia per gli Stati privi di litorale, le seguenti libertà: a) libertà di navigazione; b) libertà di sorvolo; c) libertà di posa di cavi sottomarini e condotte, alle condizioni della Parte VI; d) libertà di costruire isole artificiali e altre installazioni consentite dal diritto internazionale, alle condizioni della Parte VI; e) libertà di pesca, secondo le condizioni stabilite nella sezione 2; f) libertà di ricerca scientifica, alle condizioni delle Parti VI e XIII. 2. Tali libertà vengono esercitate da parte di tutti gli Stati, tenendo in debito conto sia gli interessi degli altri Stati che esercitano la libertà dell’alto mare, sia i diritti sanciti dalla presente Convenzione relativamente alle attività nell’Area (articolo 87 CNUDM) ». L. SICO, L’Alto mare, Giappichelli, Torino, 1999, p.1 ss.; T. SCOVAZZI, op. cit., GIUFFRÉ, Milano, 1994, p.69 ss.

[73] A. D. LEFEBRVE, G. PESCATORE, L. TULLIO, op. cit., GIUFFRÉ, Milano, 2011, p.87; G. PACCIONE, op. cit., ADDA EDITORE, Bari, 2015, p.84; N. RONZITTI, op. cit., GIAPPICHELLI, Torino, 2016, p.132.

[74] L. MARINI, Pirateria marittima e diritto internazionale, GIAPPICHELLI, Torino, 2016, p.126.

[75] Case Arctic Sunrise, The Netherlands v. Russia, 14 agosto 2015, paragrafi 8 e 212 in www.itlos.org. A. DOLIDZE, The Arctic Sunrise and NGO in international Judicial proceedings, in American Society International Law, vol.18, 3 gennaio 2014; C. FOCARELLI, op. cit., UTET GIURIDICA, Milano, 2015 p.798; E. KONTOROVICH, Arctic Sunrise (Netherlands v. Russia), in American Journal of International Law, vol.110, n.1, 2016, p.96 ss.

[76] D. DEL VESCOVO, Il contrasto alla pesca illegale nel sistema dell’Unione Europea e nelle Organizzazioni internazionali, CACUCCI, Bari, 2018, p.77 ss.

[77] G. MORGESE, La riforma del sistema europeo comune di asilo e i suoi principali riflessi nell’ordinamento italiano, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2013, p.15 ss.; P. MORI, Le politiche relative all’asilo e all’immigrazione tra garanzie giurisdizionali e ragioni della politica, in Diritto dell’Unione Europea, 2016, p.103 ss.; G. VICINI, Illecito internazionale e diritto dei rifugiati: la responsabilità dei Paesi di origine e dei Paesi d’asilo, in La responsabilità degli Stati e delle Organizzazioni internazionali: nuove fattispecie e problemi di attribuzione e di accertamento, A. SPAGNOLO, S. SALUZZO (a cura di), LEDIZIONI, Milano, 2017, p.105 ss.

[78] G. MORGESE, op. cit., CACUCCI, Bari, 2018, p.124 ss.

[79] R. ADAM, A. TIZZANO, Manuale di Diritto dell’UE, GIAPPICHELLI, Torino, 2017, p.542 ss.

[80] Articolo 3, paragrafo 1, Direttiva 2013/32/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (rifusione), G.U. L 180/60 del 27 giugno 2013., consultabile nella seguente pagina: https://www.unhcr.it/wp-content/uploads/2015/12/Direttiva_Procedure_2013.pdf. La direttiva 2013/32/UE costituisce “rifusione” della direttiva 2005/85/CE. Detta in modo più semplice, questa “nuova” direttiva procedure (del 2013) sostituisce la “vecchia” direttiva procedure (del 2005). Cfr. G. MORGESE, I nuovi atti dell’Unione europea in materia di asilo, in Sud in Europa, 9/2013, p.12 ss.

[81] A. DI MURO, L. DI MURO, Il Diritto dell’Immigrazione. Guida aggiornata alla Legge n.46/2017. Decreto “Minniti-Orlando”, GIAPPICHELLI, Torino, 2017, p.116 ss.

[82] U. VILLANI, Osservazioni sulla sentenza della Corte dei Diritti dell’Uomo nell’affare Hirsi e sui problemi relativi alla sua esecuzione, in I Diritti dell’Umo. Cronache e battaglie, 2012, p.9 ss.; G. CELLAMARE, Brevi note sulla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nell’affare Hirsi Jamaa e altri c. Italia, in Studi sull’Integrazione Europea, 2-3/2012, p.491 ss.

[83] M. FINKK. GOMBEER, The Aquarius incident: navigating the turbulent waters of international law, 14 giugno 2018, consultabile in https://www.ejiltalk.org/the-aquarius-incident-navigating-the-turbulent-waters-of-international-law/.

[84] E. LEOPARCO, Dublino IV: una riforma necessaria per il bene dell’Europa, 20 novembre 2017, consultabile in www.affarinternazionali.it; F. FABBRINI, Introduzione al Diritto dell’Unione Europea, Il MULINO, Bologna, 2018, p.247.

[85] A. CASSESE, Il Diritto internazionale nel mondo contemporaneo, Il MULINO, Bologna, 1984, p.222 ss.; ID., Diritto Internazionale. I Lineamenti, I vol., Il MULINO, Bologna, 2003, p.230 ss.; F. WEISS, The device of Soft Law: some theoretical underpinnings, in The changing landscape of global financial govrnance and the role of Soft Law, F. WEISS, A. J. KAMMEL (a cura di), BRILL NIJHOFF, Leiden Boston, 2015, p.27 ss. ; A. TANZI, Introduzione al Diritto Internazionale Contemporaneo, WOLTERS-KLUWER CEDAM, Padova, 2016, p.159 ss.

[86] E. RUOZZI, La Dichiarazione di New York sui rifugiati e sui migranti: verso un modello condiviso di gestione del fenomeno migratorio?, in Ordine Internazionale e Diritti Umani, 2017, p.24 ss.; G. DI GENNARO, A. PROCACCINI, Il Giubileo della misericordia tra integrazione e accoglienza degli immigrati, in, Pellegrini del Giubileo della Misericordia, R. MEMOLI, A. SANNELLA (a cura di), FRANCO ANGELI, Milano, 2017, p.122.

[87] Si legga il seguente interessante articolo, La Santa Sede e I Global compact sulle migrazioni e sui rifugiati, in L’Osservatore Romano, 21 ottobre 2018, in http://www.osservatoreromano.va/it/news/la-santa-sede-e-i-global-compact-sulle-migrazioni.

[88] S. BLACKBURN, Ethics: a very short introduction, OXFORD UNIVERSITY PRESS, Oxford, 2003, p.655 ss.; G. BURGH, T. FIELD, M. FREAKEY, Ethics and the community of inquiry: education for deliberative democracy, THOMSON-SOCIALSCIENCE PRESS, South Melbourne Victoria, 2006, p. 3 ss.

[89] M. CANDEL, Aristotele. Protreptico – Metafisica, RBA EDIZIONI, Brescia, 2017, p.171 ss.

[90] P. CARROZZA, A. DI GIOVINE, G. F. FERRARI, Diritto costituzionale comparato, EDITORI LATERZA, Bari, 2014, p.1 ss.; S. PANIZZA, Lo Stato e gli altri ordinamenti giuridici, in Manuale di Diritto Costituzionale Italiano ed Europeo, R. ROMBOLI (a cura di),, GIAPPICHELLI, Torino, 2015, p.110 ss.; G. REPETTO, La dignità umana e la sua dimensione sociale nel diritto costituzionale europeo, in Diritto Pubblico, 1/2016, p.247 ss.

[91] «Nel regno dei fini ogni cosa o ha un prezzo o ha una dignità. Ciò che ha un prezzo può essere rimpiazzato da qualcosa di equivalente; ciò che dall’altro lato si innalza su ogni prezzo e dunque non ammette alcun equivalente ha dignità». Cfr. F. TRENTANI, La pratica della moralità nella Metafisica dei costumi”, in Studi Kantiani, 2009, p.83 ss.; I. KANT, La metafisica dei costumi, a cura di G. VIDARI, EDITORI LATERZA, Roma-Bari, 2018, p.145 ss.

[92] A. DE PETRIS, Tra libertà e sicurezza prevale la dignità umana, dice il Bundesverfassungsgericht, 20 marzo 2006, in http://archivio.rivistaaic.it/cronache/estero/liberta_sicurezza/index.html.

[93] R. LUZZATTO, F. POCAR, Codice di Diritto Internazionale, GIAPPICELLI, Torino, 2016, p.164.

[94] « L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, della uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini». Cfr. B. NASCIMBENE, op. cit., GIAPPICHELLI, Torino, 2016, p.2.

[95] U. VILLANI, Istituzioni di Diritto dell’Unione Europea, CACUCCI, Bari, 2017, p.34 ss.

[96] J.-C. PIRIS, Il Trattato di Lisbona, GIUFFRÉ, Milano, 2010, p.174 ss.; G. TESAURO, Diritto dell’Unione Europea, CEDAM, Padova, 2012, p.131 ss.; V. ZAGREBELSKY, R. CHENAL, L. TOMASI, Manuale dei diritti fondamentali in Europa, Il MULINO, Bologna, 2016, p.148 ss.

[97] Cfr. Sentenza 9 ottobre 2001, causa C-377/98, Regno dei Paesi Bassi c. Parlamento europeo e Consiglio dell’Unione europea, in Il Foro Italiano, 1/2002, p.25 ss.; B. NASCIMBENE, op. cit., GIAPPICHELLI, Torino, 2016, p.260.

[98] Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare, 13 luglio 1990, reperibile in http://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/1990/07/03/153/sg/pdf, p.16 ss. Cfr. M. CARTA, Misure di contrasto al traffico di migranti via mare, in Il contrasto al traffico di migranti nel diritto internazionale, comunitario e interno, G. PALMISANO (a cura di), GIUFFRÉ, Milano, 2008, p.83 ss.

[99] G. VASSALLI, La Giustizia internazionale penale, GIUFFRÉ, Milano, 1995, p.2 ss.

[100] E. DAVIDSON, Gli imputati di Norimberga, Newton & Compton Editori, Roma, 2003, vol. I, p.7 ss.

[101] W. A SCHABAS, Genocide in International Law, CAMBRIDGE UNIVERSITY PRESS, Cambridge, 2009, p.32 ss. E. GREPPI, I crimini dell’individuo nel diritto internazionale, UTET-GIURIDICA, Torino, 2012, p.131 ss.; C. D. LEOTTA, Il Genocidio nel diritto internazionale. Dagli scritti di Raphael Lemkin allo Statuto di Roma, GIAPPICHELLI, Torino, 2013, p.7 ss.; G. ACQUAVIVA, La repressione dei crimini di guerra nel diritto interna-zionale e nel diritto italiano, GIUFFRÉ, Milano, 2014, p.11 ss.

[102] M. C. BASSIOUNI, Le fonti e il contenuto del diritto penale internazionale. Un quadro teorico, GIUFFRÉ, Milano, 1999, p.25 ss.; A. LANCIOTTI, La Corte Penale Internazionale e la repressione delle gravi violazioni del diritto umanitario, GIAPPICHELLI, Torino, 2013, p.48 ss.; S. MARCHISIO, Corso di Diritto Internazionale, GIAPPICHELLI, Torino, 2014, p.371 ss.; A. DEL VECCHIO, I Tribunali internazionali tra globalizzazione e localismi, CACUCCI, Bari, 2015, p.42 ss.

[103] H. LAUTERPACHT, The Grotian tradition in international law, in British Year Book of International Law, 1946, p.26 ss.; O. BRING, Hugo Grotius and he roots of human rights law, in Human Rights Law: from dissemination to application, Essays in honour of Göran Melander, G. GRIMHEDEN, R. RING (a cura di), MARTINUS NIJHOFF, Leiden/Boston, 2006, p.143; L. MARY, E. MCGILL, Grotius and Law, ROUTELEDGE, London & New York, 2014, p.495 ss.

[104] G. PIAZZI, Diritto Internazionale Umanitario. Le quattro convenzioni di Ginevra 1949, i due Protocolli aggiuntivi 1977, EDIZIONI CAMILLIANE, Torino, 1991, p.7 ss.; N. RONZITTI, Diritto Internazionale dei conflitti armati, GIAPPICHELLI, Torino, 2017, p.19 ss.

[105] A. DEL VECCHIO, op. cit., CACUCCI, Bari, 2015, p.96 ss.

[106] F. LENZERINI, Asilo e diritti umani. L’evoluzione del diritto d’asilo nel diritto internazionale, GIUFFRÉ, Milano, 2009, p.141 ss.

[107] G. CARELLA, Le garanzie delle norme internazionali generali a tutela delle minoranze, in Minoranze, laicità, fattore religioso. Studi di diritto internazionale e di diritto ecclesiastico comparato, R. COPPOLA, L. TROCCOLI (a cura di), CACUCCI, Bari, 1997, p.103 ss.; C. ZANGHÌ, La protezione internazionale dei diritti dell’uomo, GIAPPICHELLI, Torino, 2013, p.49 ss.

[108]  S. CATTORI, La responsabilità di proteggere: la legittimazione dell’ingerenza?, in www.voltairenet.org.

[109] M. CONDINANZI, Z. C. REGHIZZI, L’uso della forza e il sistema di sicurezza collettiva delle Nazioni Unite, in Istituzione di Diritto Internazionale, GIAPPICHELLI, Torino, 2016, p.339.

[110] S. FORLATI, L’ingresso dei migranti nell’Unione Europea – fra controllo dell’immigrazione clandestina ed esigenze di protezione, in Il traffico di migranti. Diritti, tutele, criminalizzazione, V. MILITELLO, A. SPENA (a cura di), GIAPPICHELLI, Torino, 2015, p.37 ss.

[111]Hungary’s parliament has passed a series of laws that criminalise any individual or group that offers to help an illegal immigrant claim asylum. The legislation restricts the ability of non-governmental organisations (NGOs) to act in asylum cases and was passed in defiance of the European Union and human rights groups” in https://www.theguardian.com/world/2018/jun/20/hungary-passes-anti-immigrant-stop-soros-laws.

[112] Cfr. Nella seguente pagina:  https://www.rtbf.be/info/belgique/detail_quiconque-vient-en-europe-devrait-perdre-le-droit-d-asile-la-nouvelle-proposition-choc-de-theo-francken?id=9947228.

[113] C. BALMER, Italian interior minister wants census of Roma communities, del 18 giugno 2018, leggibile in https://www.reuters.com/article/us-italy-roma/italian-interior-minister-wants-census-of-roma-communities-idUSKBN1JE2H0.

[114] Cfr. il seguente articolo reperibile in https://www.theguardian.com/us-news/2018/jun/20/donald-trump-pledges-to-end-family-separations-by-executive-order.

[115] P. BARINETTI, Diritto Romano. Parte Generale, VALLARDI EDITORE,  Milano, 1864, p.6 ss.; R. PIZZORNI, Diritto, etica e religione. Il fondamento metafisico del diritto secondo Tommaso D’Aquino, EDIZIONI STUDIO DOMENICANO, Bologna, 2006, p.49 ss.

[116] Contiene i criteri e meccanismi per individuare lo Stato membro che è competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo o apolide.

[117] N. PETROVÌC, Rifugiati, profughi, sfollati. Breve storia del diritto d’asilo in Italia, FRANCOANGELI, Milano, 2016, , p.131 ss.

[118] Regolamento (CE) n. 2725/2000 del Consiglio, dell’11 dicembre 2000, che istituisce l’«Eurodac» per il confronto delle impronte digitali per l’efficace applicazione della convenzione di Dublino – GUUE 15.12.2000, L 316 p.11; G. PIZZOLANTE, Diritto d’asilo e nuove esigenze di protezione internazionale nell’Unione Europea, CACUCCI, Bari, 2012 , p.46 ss.; G. MORGESE, I nuovi atti dell’Unione europea in materia di asilo, in Sud in Europa, 7/2013, p.12 ss.

[119] « Quando è accertato, sulla base degli elementi di prova e delle circostanze indiziarie di cui ai due elenchi menzionati all’articolo 22, paragrafo 3, del presente regolamento, inclusi i dati di cui al regolamento (UE) n. 603/2013, che il richiedente ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in questione è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale. Detta responsabilità cessa 12 mesi dopo la data di attraversamento clandestino della frontiera».

[120] Conclusioni dell’avvocato generale Eleanor Sharpston, presentate il 20 giugno 2017, Causa C‑670/16, Tsegezab Mengesteab contro Bundesrepublik Deutschland, consultabile nella seguente pagina di curia , in http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf;jsessionid=25932E2345CE52D391B1A89F38A0EB3F?text=&docid=192004&pageIndex=0&doclang=IT&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=1405120. P. BIONDI, Compliance with Fundamental Rights Demands Shared Responsibility, in V. STOYANOVA, E. KARAGEORGIOU (a cura di), The New Asylum and Transit Countries in Europe During and in the Aftermath of the 2015/2016 Crisis (Brill, 2018).

[121] P. P. DE ALBUQUERQUE, I diritti umani in una prospettiva europea. Opinioni concorrenti e dissenzienti, GIAPPICHELLI, Torino, 2016, p.377; I. TANI, Le forme di contrasto al fenomeno dell’immigrazione irregolare attraverso il mediterraneo nell’ambito dell’Unione Europea, in op.cit., A. ANTONUCCI, I. PAPANICOLOPULU, T. SCOVAZZI (a cura di), GIAPPICHELLI, Torino, 2016, p.158.

[122] Cfr. Il Regolamento (EU) 2016/1624 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 luglio 2017, relativo alla guardia di frontiera e costiera europea che modifica il regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga il regolamento (CE) n. 863/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, il regolamento (CE) n. 2007/2004 del Consiglio e la decisione 2005/267/CE del Consiglio e il Regolamento (UE) n.656/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014, recante norme per la sorveglianza delle frontiere marittime esterne nel contesto della cooperazione operativa coordinata dall’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea. tale regolamento è stato pienamente integrato e menzionato nel regolamento (UE) 2016/1624 del 14 settembre 2016 relativo alla guardia costiera e di frontiera europea.

[123] Conclusioni dell’avvocato generale Eleanor Sharpston, presentate il 20 giugno 2017, Causa C‑670/16, Tsegezab Mengesteab contro Bundesrepublik Deutschland (v. nota 118, para.51-55).

[124] Il Codice frontiere Schengen, istituito con il regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016 è la versione codificata del regolamento (CE) n. 562/2006 e delle sue successive modifiche. Cfr. R. ADAM, A. TIZZANO, op. cit., GIAPPICHELLI, Torino, 2017, p.538 ss.; V. DI FELICE, La proposta di riforma del codice frontiere Schengen, in Note su atti dell’Unione Europea, 27 novembre 2017, p.4 ss., in http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01058188.pdf.

[125] «I cittadini di paesi terzi che non soddisfano una o più delle condizioni di cui al paragrafo 1 possono essere autorizzati da uno Stato membro ad entrare nel suo territorio per motivi umanitari o di interesse nazionale o in virtù di obblighi internazionali. Qualora il cittadino di paese terzo interessato sia oggetto di una segnalazione di cui al paragrafo 1, lettera d), lo Stato membro che ne autorizza l’ingresso nel suo territorio ne informa gli altri Stati membri  (articolo 5, paragrafo 4, lettera c, del Regolamento (CE) N. 562/2006)». La Corte di giustizia afferma la possibilità per un richiedente protezione internazionale di invocare, nell’ambito di un ricorso esercitato contro una decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti, la scadenza del termine di tre mesi dalla data di presentazione della domanda di protezione internazionale. Una richiesta di presa in carico, ai sensi dell’art. 21, par. 1 del Regolamento Dublino III non può essere validamente formulata da uno Stato membro una volta decorsi tre mesi dalla presentazione della domanda di protezione internazionale. Infine, la Corte precisa che una domanda di protezione internazionale si considera presentata quando l’autorità preposta all’esecuzione degli obblighi derivanti da tale regolamento riceve un documento scritto, redatto da un’autorità pubblica e in cui si certifica che un cittadino di paese terzo ha chiesto protezione internazionale e, eventualmente, quando la suddetta autorità preposta riceve le sole informazioni principali contenute in un documento del genere, ma non il documento stesso o la sua copia ( Sentenza della Corte UE – Grande sezione – del 26 luglio (Tsegezab Mengesteab c. Bundesrepublik Deutschland, causa C‑670/16).

[126] Nel febbraio 2016 il sig. A.S. presenta alle autorità slovene una domanda di protezione internazionale. Ai sensi del Regolamento Dublino III – secondo cui, quando un richiedente protezione internazionale ha «varcato illegalmente» la frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in cui è entrato è competente per l’esame della domanda – le autorità slovene hanno ritenuto che il sig. A.S. fosse entrato in Croazia «illegalmente» nell’accezione del Regolamento e che, pertanto, la Croazia fosse lo Stato membro competente per l’esame della sua domanda. Il richiedente ha impugnato la decisione delle autorità slovene deducendo l’erronea applicazione dei criteri di determinazione dello Stato membro responsabile, giacché il comportamento tenuto dalle autorità croate (che gli avevano consentito di varcare la frontiera esterna) dovrebbe essere interpretato nel senso che il suo ingresso in Croazia è avvenuto legalmente. La Corte suprema della Repubblica di Slovenia chiede chiarimenti alla Corte di Giustizia circa l’interpretazione, in questo contesto, delle espressioni ingresso «clandestino» o «illegale» (causa C‑490/16 A.S. v Slovenian Republic).

[127] La sig.ra Khadija Jafari, la sig.ra Zainab Jafari e i loro figli sono cittadini afghani entrati inizialmente in Grecia, dove hanno trascorso tre giorni, prima di lasciare il territorio dell’Unione Europea e farvi nuovamente ingresso in Croazia. Una volta raggiunta l’Austria, le famiglie Jafari hanno presentato una domanda di protezione internazionale. Le autorità austriache hanno ritenuto che la Croazia fosse lo Stato membro competente per l’esame della domanda. Hanno altresì ritenuto che il primo ingresso delle famiglie nell’Unione Europea attraverso la Grecia fosse stato illegale, atteso che, in quanto cittadini afghani, erano tenuti a essere in possesso di visti. Poiché, tuttavia, nella procedura d’asilo greca, perduravano lacune strutturali, la Croazia (Stato in cui detti cittadini erano transitati verso l’Austria) doveva essere considerata lo Stato membro competente ai sensi del regolamento Dublino III. Le sorelle Jafari hanno impugnato la suddetta decisione. Esse sostengono che il loro ingresso è stato autorizzato per motivi umanitari conformemente al codice frontiere Schengen e, pertanto, non è stato «illegale» (C-646/16 Khadija Jafari and Zainab Jafari).

[128] J. EICHLER, ‘Second time’s a charm’ – the CJEU’s interpretation of the irregular border crossing criterion in the Dublin Regulation in A.S. and Jafari, 13 febbraio 2018, in http://www.asylumlawdatabase.eu.

[129] F. FERRI, Il regolamento “Dublino III” tra crisi migratoria e deficit di solidarietà: note (dolenti)  sulle sentenze Jafari e A.S., in Studi sull’Integrazione Europea, 2/2018, p.519 ss.

[130] Focus regolamento di Dublino III: il parere dell’avvocato generale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, maggio e giugno 2017, consultabile in http://www.cir-onlus.org/wp-content/uploads/2017/08/Report-REGOLAMENTO-DI-DUBLINO-III-IL-PARERE-DELL%E2%80%99AVVOCATO-GENERALE-DELLA-CORTE-DI-GIUSTIZIA-DELL%E2%80%99UNIONE-EUROPEA-Maggio-Giugno-2017.pdf.

[131] E. DE VATTEL, The Law of the Nations Or, Principles of the Law of Nature, Applied to the Conduct and Affairs of Nations and Sovereigns, with Three Early Essays on the Origin and Nature of Natural Law and on Luxury, London: Printed for J. Newbery, 1834, p.170 ss.; V. MORENO-LAX, ‘Seeking Asylum in the Mediterranean: Against a Fragmentary Reading of EU Member States’ Obligations Accruing at Sea’, in International Journal of Refugee Law, 2011, p.174 ss.

Paccione Giuseppe

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