Indice
- Premessa introduttiva. L’abuso di ufficio nella riforma del 2020
- L’incidente di costituzionalità
- La ragionevolezza della fattispecie nelle argomentazioni del giudice delle leggi
- Il sindacato della Corte sulle opzioni legislative della “burocrazia difensiva” e della “tranquillità dei pubblici amministratori”
- Considerazioni conclusive
1. Premessa introduttiva. L’abuso di ufficio nella riforma del 2020
La Corte costituzionale con la sentenza nr.8 del 2022[1] ha ipostatizzato e per l’effetto cristallizzato nel sistema normativo penale italiano la fattispecie incriminatrice di abuso d’ufficio ex art.323 c.p. così come da ultimo novellata dall’art.23, co.1, del decreto legge 16 luglio 2020, nr.76, convertito, con modificazioni, nella legge 11 settembre 2020, nr.120[2].
La sentenza nr.8 del 2020 dei Giudici di Palazzo della Consulta ha, per il nostro sistema giuridico, un’importanza fondamentale sotto vari profili. Di questo, prima ancora dei giuristi di professione, se n’è resa conto la stampa specialistica che all’indomani del deposito della sentenza ha puntualmente illustrato gli aspetti salienti che dall’indicato pronunciamento sono derivati e deriveranno[3].
È nota l’evoluzione storico-legislativa del delitto contro la pubblica amministrazione – segnatamente dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione – che il nostro Paese ha vissuto. Basti por mente alla circostanza che il legislatore del disegno originario del Codice penale del 1930 – cosiddetto Codice Rocco – descriveva l’abuso d’ufficio con semplicità formulare e in pari tempo estremamente comprensiva.
Veniva, in quella norma, infatti punito il pubblico ufficiale che abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni avesse commesso, per recare ad altri un danno o per procurargli un vantaggio, qualsiasi fatto non preveduto come reato da una particolare disposizione di legge.
Il proscenio legislativo mutò nel 1990, con la legge nr.86 del 26 febbraio di quell’anno recante espressamente le modifiche in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A. mediante l’estromissione dalla fattispecie di peculato della forma distrattiva e la contestuale abrogazione del reato di interesse privato in atti d’ufficio. Difatti la sussidiarietà e la blanda sanzione che connotava l’originaria fattispecie di abuso veniva nella pratica ristretta dalle due figure delittuose indicate connotate anch’esse da contorni labili, invero assai labili, consententi alla magistratura penale incursioni, a volte decisamente penetranti, sulle scelte della pubblica amministrazione.
È altresì noto, sempre sotto il versante della ricostruzione storico-evolutiva, che i risultati della novella del ’90 non si rivelarono quelli sperati dal legislatore della medesima. La condotta restava incentrata nei suoi contorni di vaghezza sul concetto dell’abusare dell’ufficio, ciò senza che il requisito dell’ingiustizia del vantaggio o del danno, oggetto del dolo specifico si rivelasse capace di delimitare con adeguatezza la tipizzazione della fattispecie e dei suoi confini.
A distanza di poco meno di sette anni il legislatore per le ragioni or ora illustrate riscrisse per una seconda volta, nell’età repubblicana, la norma incriminatrice; lo fece per il tramite della novella di cui all’art.1 della legge 16 luglio 1997, nr.234 recante espressamente la modifica dell’art.323 del Codice penale in materia di abuso d’ufficio.
Nel riprofilare la fattispecie il legislatore dismetteva il riferimento all’abuso dell’ufficio – la cui traccia restava solo nella rubrica dell’articolo 323 – e individuava la condotta tipica nella violazione di norme di legge o di regolamento ovvero, alternativamente, nella omessa astensione del pubblico agente in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti.
L’effetto che ne derivava era quello della trasformazione della fattispecie incriminatrice in questione in reato di evento essendo richiesta ai fini del suo perfezionamento l’effettiva verificazione dell’ingiusto danno o dell’ingiusto vantaggio patrimoniale facendo così perdere ogni rilevanza giuridico-penale al vantaggio connotato dalla non patrimonialità. L’evento della fattispecie incriminatrice di abuso d’ufficio novellata con la legge nr.234 del ’97 si caratterizzava altresì per il fatto che doveva essere oggetto di dolo intenzionale.
La ristrutturazione della fattispecie in commento ad opera del legislatore della 234 cit. lasciava trasparire l’intento di rendere più nitidi i confini in particolar modo impedendo un sindacato del giudice penale sull’esercizio della discrezionalità amministrativa.
In buona sostanza il riferirsi ad opera della fattispecie alla violazione di norme legislative o regolamentari, traenti origini dai vizi tipici dell’atto amministrativo avrebbe dovuto mettere offline l’eccesso di potere non menzionato nella norma e da sempre affiancato all’incompetenza e alla violazione di legge nell’ambito degli studi sulla patologia degli atti amministrativi.
In questo progressivo succedersi di emendamenti dell’incriminazione in rassegna la giurisprudenza ha senz’altro giocato un suo ruolo. Ed infatti si consolidò un indirizzo nella giurisprudenza di legittimità, in virtù del quale la violazione di norme di legge avente rilevanza ai fini dell’abuso d’ufficio poteva essere integrata anche dall’inosservanza del principio, invero assai generale, di imparzialità della pubblica amministrazione così come scolpito nell’art.97[4] della Costituzione.
Per la Suprema Corte di legittimità, infatti, il principio in parola nella parte in cui vieta al pubblico funzionario di operare ingiustificati favoritismi o intenzionali deflazioni, esprimerebbe una precisa regola di comportamento di immediata applicazione[5].
A ben vedere si era venuta a creare nella seconda metà degli anni ’90 e nel prosieguo del terzo millennio una situazione del tutto simile a quella che si era creata all’indomani della novella del ’90 alla quale l’emendamento del ’97, con la legge 234 cit., riteneva di porre rimedio.
Già a fronte di tale situazione storico evolutiva in uno alle chiare intenzioni del legislatore si può ben comprendere un’ulteriore novella della fattispecie di abuso d’ufficio fosse da più parti invocata.
Col decreto legge nr.76 del 16 luglio 2020 il legislatore, complice anche la situazione emergenziale epidemiologica in atto, è dunque intervenuto e nel mezzo dell’estate dell’indicato anno ha ristrutturato la fattispecie qui in parola.
Resta, nel nuovo abuso d’ufficio la clausola di riserva mirante ad eliminare l’operatività della stessa nel concorso apparente rispetto ai reati più gravi – salvo che il fatto non costituisca un più grave reato – a prescindere dal principio di specialità ex art.15[6] c.p.
Il pubblico agente – pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio – commette il delitto di abuso d’ufficio allorquando nello svolgimento delle funzioni o del servizio in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente si procura o procura ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto.
Due chiose in punta di penna alla fattispecie novellata nell’estate del 2020. Si tratta di un reato proprio che può essere commesso tanto dal pubblico ufficiale quanto dall’incaricato del pubblico servizio; quest’ultima figura di pubblico agente è stata inserita dalla legge 86 del ’90 cit. al fine dichiarato di non lasciare impunita la condotta di distrazione di danaro o altra cosa mobile effettuata a vantaggio del privato da parte proprio dell’incaricato di un pubblico servizio.
Volgendo lo sguardo alla condotta essa deve essere compiuta nello svolgimento delle funzioni o del servizio non rilevando affatto il compimento di atti in occasione dell’ufficio né tampoco il mero abuso di qualità, intendendosi con tale ultimo sintagma l’agire al di fuori dell’esercizio funzionale o di servizio.
Il riferimento al vantaggio patrimoniale rende operativo il rilievo al complesso dei rapporti giuridici a carattere patrimoniale conseguenti all’atto anti-doveroso dell’agente ed escludendo drasticamente vantaggi di tipo morale o politico[7].
Il quadro normativo scaturente dal novellato art.323 del Codice penale si completa col mantenimento della circostanza aggravante speciale ad effetto comune connessa ad una gravità ritenuta rilevante: <<la pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno carattere di rilevante gravità>>.
A fronte di tale quadro di riferimento di incriminazione un giudice calabrese ha ritenuto di avanzare questione di legittimità costituzionale della neo novellata fattispecie incriminatrice promuovendo il relativo incidente.
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Con un taglio fortemente pratico, l’opera analizza le singole fattispecie penali previste dal codice sostanziale contro la pubblica amministrazione. Seguendo le norme codicistiche, il volume affronta in modo sistematico le singole disposizioni, trattando gli elementi costitutivi delle diverse ipotesi criminose, anche alla luce delle pronunce giurisprudenziali più rilevanti. All’analisi sostanziale si affianca la trattazione degli aspetti procedurali legati ai singoli reati, in modo da fornire al Professionista un ausilio sia per l’attività di studio sia per l’attività in aula, accompagnandolo sino alle fasi processuali vere e proprie. L’architettura del volume segue l’impostazione codicistica; in particolare, vengono analizzate le fattispecie di concussione e corruzione, investite da una serie di interventi normativi ravvicinati, che richiedono un’analisi attenta delle problematiche connesse a tali ipotesi delittuose. Valentino BattiloroMagistrato ordinario con funzioni di sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli. Già commissario capo della Polizia di Stato e avvocato. Specializzato in professioni legali e diplomato di master in Scienze della Sicurezza presso l’Università di Roma La Sapienza. Autore di monografie nel settore del diritto commerciale e fallimentare e di numerosi contributi in opere collettanee nel settore del diritto penale sostanziale e processuale.Antonio Di Tullio D’ElisiisAvvocato iscritto presso il Foro di Larino (CB). Referente di Diritto e procedura penale della rivista telematica http://diritto.it. Membro del comitato scientifico della Camera penale di Larino. Collaboratore stabile dell’Osservatorio antimafia del Molise “Antonino Caponnetto”. Membro del Comitato Scientifico di Ratio Legis, Rivista giuridica telematica.Gabriele EspositoAvvocato penalista patrocinante in Cassazione, Vice Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli, componente del Consiglio Direttivo della Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali dell’Università Telematica Pegaso – Università Telematica “Universitas Mercatorum”, Cultore della materia in Procedura Penale, autore di manuali giuridici.Domenico GiannelliAvvocato del Foro di S.Maria C.V., autore di numerose pubblicazioni in riviste on line e cartacee tra cui Rivista penale La Tribuna e diritto.it. Relatore in numerosi convegni. Già docente in corsi di formazione per praticanti avvocati e avvocati. Già collaboratore con la cattedra di Marketing Assicurativo presso l’Università degli Studi “Luigi Vanvitelli”, facoltà di economia aziendale.Alfonso LaudoniaAvvocato e professore a contratto di Procedura Penale presso l’Università Telematica Pegaso e docente presso vari corsi di formazione di diritto penale contro la P.A., esperto in diritto e procedura penale ed analisi del rischio 231. Assegnista di ricerca in Legal Security Economy e Membro della commissione di diritto penale presso il Consiglio dell’Ordine di Avellino.
Antonio Di Tullio DElisiis, Gabriele Esposito, Alfonso Laudonia, Valentino Battiloro, Domenico Giannelli | 2021 Maggioli Editore
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2. L’incidente di costituzionalità
Il giudice dell’udienza preliminare del tribunale ordinario di Catanzaro nell’ambito di un procedimento penale plurisoggettivo, con ordinanza del 6 novembre 2020 iscritta al nr.46 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella gazzetta ufficiale della Repubblica nr.16, prima serie speciale, dell’anno 2021 ha sollevato incidente di costituzionalità della fattispecie incriminatrice di cui all’art.323[8] vigente c.p. sotto una pluralità di motivi – che qui di seguito compendieremo – per i quali giunge a dubitare della legittimità costituzionale dell’intervento legislativo sia sotto l’aspetto procedurale sia sotto il versante contenutistico sostanziale.
In estrema sintesi, a giudizio del giudice a quo, la novella legislativa dell’estate 2020 ha ristretto la fattispecie traducendosi in una abolitio criminis parziale su di un triplice distinto ordine di fronti.
Innanzitutto rispetto all’oggetto: la violazione commessa dal soggetto pubblico deve riguardare una regola di condotta e non ad esempio una regola organizzativa; in secondo luogo rispetto alla fonte: la regola violata deve essere precisa ed espressamente prevista da una legge o da un atto avente forza di legge con recisa esclusione delle norme regolamentari; sul versante del contenuto: la regola violata non deve lasciare spazi di discrezionalità.
Questa triplice violazione strutturale e funzionale della fattispecie – oggetto, fonte e contenuto – ha portato il G.U.P. di Catanzaro a ritenere costituzionalmente illegittimo l’intervento legislativo attuato mediante decreto legge di novella dell’art.323 del Codice penale.
Il G.U.P. calabrese ritiene evidente la completa disomogeneità della norma denunciata – sia contenutisticamente che finalisticamente – rispetto al resto del corpo normativo in cui è inserita non potendo ravvisarsi alcun nesso di strumentalità tra la modifica, come detto assai restrittiva del delitto in rassegna, e l’esigenza di semplificare le procedure amministrative in vista del rilancio economico dell’Italia[9].
Ancora, incalza il giudice remittente, posto che il reato di abuso d’ufficio è volto a tutela dell’interesse al buon andamento, all’imparzialità e trasparenza della P.A. emergerebbe in forme patenti la contraddizione tra la finalità che ha ispirato il decreto legge – sostanziandosi nella semplificazione dell’azione amministrativa – e il delitto dell’art.323 c.p.[10]
Ad avviso del giudice dell’udienza preliminare, remittente di Catanzaro, la giurisprudenza della Corte costituzionale, a far data dalla sentenza nr.148 del 1983, avrebbe chiarito che gli effetti in malam parte di una pronuncia di illegittimità costituzionale non precludono l’esame nel merito della normativa censurata, fermo restando il divieto per la Corte stessa, in virtù della riserva di legge prevista dall’art.25 cpv. Costituzione, di configurare nuove norme penali. Ipotesi quest’ultima che non verrebbe affatto in rilievo nel caso di specie sottoposte alle cure del giudice calabrese, in quanto l’eventuale decisione di accoglimento si limiterebbe a rimuovere gli ostacoli all’applicazione di una disciplina stabilita dal legislatore.
Il controllo di legittimità costituzionale non soffrirebbe limitazioni e gli effetti delle sentenze di accoglimento nel processo principale dovrebbero essere valutati dal giudice secondo i principi generali sulla successione nel tempo delle leggi penali[11].
Nell’ambito del giudizio ordinario in seno al quale è stata sollevata la questione di costituzionalità in discorso è intervenuto il presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’avvocatura generale dello Stato chiedendo ai giudici delle leggi che l’incidente venisse dichiarato inammissibile o non fondato. Nel rammentare che la norma di cui all’art.323, censurata dal giudice catanzarese, ha certamente circoscritto la sfera di operatività della fattispecie incriminatrice in rassegna, rammenta in sede osservativa che l’abuso può oggi venir integrato solo ed esclusivamente dalla violazione di regole di condotta posta da fonti primarie in modo specifico ed espresso nonché, soprattutto escludendo che possa venire in rilievo l’attività amministrativa anche benchè minimamente discrezionale.
Chiosa l’avvocatura dello Stato che è rimasta inalterata la condotta alternativa concernente l’inosservanza dell’obbligo di astensione in presenza di un proprio interesse ovvero di un interesse di un prossimo congiunto ovvero ancora negli altri casi prescritti. La presidenza del Consiglio dei ministri sull’obiettivo della novella legislativa dell’estate 2020. Esso è il medesimo che il legislatore si era proposto di raggiungere attraverso la modifica dell’art.323 c.p. operata dalla citata legge 234 del 16 luglio 1997 che aveva introdotto nella formula descrittiva dell’illecito la locuzione <<in violazione di norme di legge o di regolamento >> con l’intento esplicito di rendere più selettiva la fattispecie incriminatrice.
Con la sentenza nr.8 qui in commento – relatore S. Modugno – la Corte costituzionale dichiara non fondata la questione di legittimità dell’art.23, co.1 del decreto legge 16 luglio 2020 nr.76 – convertito nella legge nr.120/2020 – sollevata dal G.U.P. del tribunale di Catanzaro in riferimento all’art.77[12] della Costituzione.
La norma del cosiddetto decreto semplificazioni se da un lato restringe meglio ridefinendola la sfera applicativa del reato di abuso d’ufficio soddisfa esigenze fondamentali, per non dire prioritarie del sistema Paese che non possono essere post poste ad altre istanze pur pregnanti e significative.
3. La ragionevolezza della fattispecie nelle argomentazioni del giudice delle leggi
Nell’argomentazione offerta dai giudici di Palazzo della Consulta la sfera applicativa del reato di abuso d’ufficio non si origina esclusivamente dal necessario contrasto dei guasti derivanti dalla dilatazione dell’applicazione giurisprudenziale della fattispecie incriminatrice.
Puntum pluriens della novella è, piuttosto, l’esigenza di far celermente ripartire la nazione a lungo bloccata a cagione della pandemia da covid-19 che nella insindacabile e per vero corretta valutazione governativa e, poi, parlamentare in sede di conversione, ha impresso al provvedimento normativo che la novella contiene i sicuri connotati della straordinarietà e dell’urgenza. Argomentano subito i giudici costituzionali che l’indicata valutazione, comunque sia, non può considerarsi manifestamente irragionevole o arbitraria.
La Corte costituzionale ha rilevato che la scelta di metter mano al censurato intervento legislativo si è venuta maturando solo a seguito dell’emergenza pandemica da covid-19 nell’ambito di un provvedimento di urgenza, senz’altro eterogeneo, ma univocamente orientato a dare nuovo slancio all’economia nazionale, messa a dura prova dalla chiusura prolungata delle attività produttive disposte nella prima acuta fase emergenziale.
La modifica del reato di abuso d’ufficio intervenuta è senz’altro di tipo restrittivo in ordine all’area di penale rilevanza e le censure del G.U.P. di Catanzaro si appuntano in primo luogo sull’opzione legislativa del decreto legge oltreché sull’adeguatezza in concreto adoperata.
La Consulta ha ben presente che la richiesta del giudice calabrese, se accolta, avrebbe avuto come effetto la reviviscenza della precedente norma incriminatrice dell’abuso d’ufficio connotata, come abbiamo visto nelle pagine che precedono, da un perimetro decisamente più vasto.
Orbene la sentenza nr.8/22 esclude in radice che mancassero i requisiti di straordinaria necessità e urgenza derivanti secondo la valutazione governativa proprio dall’emergenza epidemiologica e dalla necessità di far ripartire il Paese celermente.
A fronte di tale univoco indirizzo interpretativo della Consulta i giudici dichiarano espressamente inammissibile la questione inerente ai contenuti sostanziali della modifica che nell’ottica del G.U.P. calabrese avrebbe eccessivamente depotenziato la tutela del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione ex artt.3 e 97 Cost.
La questione di legittimità sollevata dal G.U.P. di Catanzaro aveva in buona sostanza come mira una pronuncia sfavorevole – in danno – all’imputato nel processo penale a quo. Ciò, scrive a chiare lettere la Corte, fuori dei casi in cui ciò è consentito finanche alla Corte costituzionale.
La sentenza pregevole e chiarissima sul punto, rammenta altresì che la salvaguardia dei valori costituzionali non può e non deve esaudirsi nella tutela penale in quanto l’incriminazione costituisce l’estrema ratio cui il legislatore ricorre allorquando, nell’ambito del suo apprezzamento discrezionale, lo ritenga necessario in virtù dell’assenza o dell’inadeguatezza di altri mezzi di tutela.
Nella sentenza nr.8 in rassegna la Corte costituzionale non tralascia di vagliare talune linee di tendenza legislative inerenti alla cosiddetta burocrazia difensiva ed allo stato di tranquillità dei pubblici amministratori.
Tali considerazioni meritano un momento espositivo ciò che ci accingiamo a fare nel paragrafo che segue.
4. Il sindacato della Corte sulle opzioni legislative della “burocrazia difensiva” e della “tranquillità dei pubblici amministratori”
I concetti da ultimo rammentati nelle righe finali del paragrafo che precede trovano invero un preciso spazio funzionale nella pronuncia del massimo organo giurisdizionale del nostro Paese.
Innanzitutto allorquando i giudici della Consulta rammentano che la riduzione della sfera applicativa del reato di abuso d’ufficio non nasce soltanto dalla necessità di contrastare la burocrazia cosiddetta difensiva e i suoi guasti frutto della dilatazione operata nella giurisprudenza pratica dell’incriminazione in parola.
È proprio all’indicato fine che il giudice delle leggi ricostruisce storicamente la vicenda politico-parlamentare dell’abuso d’ufficio parallelamente alle applicazioni giurisprudenziali adoperando il concetto di burocrazia difensiva quale origine e scaturigine ultima degli interventi legislativi succedutisi in materia. Essa deriva e si sostanzia nella dilatazione dell’ambito applicativo del reato di abuso d’ufficio con l’effetto che i pubblici funzionari si astengono dall’assumere decisioni che pur riterrebbero utili per il perseguimento dell’interesse pubblico ritenendo di preferire l’assunzione di altre scelte rilevantesi meno impegnative; non solo, più spesso la burocrazia difensiva si conforma nel restare inerti per il timore di esporsi a possibili conseguenze penali[13].
Cionondimeno la Consulta nella sentenza in commento ha rilevato che l’opzione di intervento legislativo è il frutto del contesto creatosi a seguito dell’emergenza pandemica che ha afflitto anche il nostro Paese il cui fine è un novellato slancio per l’economia nazionale duramente provata dalle chiusure prolungate per le attività produttive verificatesi durante il lockdown.
La Corte costituzionale, in risposta all’incidente sollevato dal G.U.P. di Catanzaro, ha escluso in radice che la modifica dell’art.323 c.p. fosse <<eccentrica e assolutamente avulsa>> così come scrive nero su bianco il G.U.P. remittente, per materia e finalità rispetto al decreto legge in cui è stata inserita composto di norme eterogene accomunate dall’obiettivo di promuovere la ripresa economica del Paese dopo il blocco delle attività produttive che, come anticipato, ha notoriamente caratterizzato la fase uno dell’emergenza pandemica.
Interessante quanto preciso e dettagliato il passaggio della Consulta sul punto. Nel Governo era diffusa l’idea che questa ripresa potesse essere facilitata anche da una più puntuale delimitazione della responsabilità. Da questo punto di vista, in particolare, la modifica dell’art.323 c.p. non può ritenersi leibnizianamente una monade isolata bensì abbinandosi a disposizioni avente come fine la tranquillità dei pubblici amministratori – altro concetto opzionale scrutinato dalla Corte – rispetto ad un altro rischio inerente alla responsabilità erariale del pari oggetto di modifiche rivelantesi di sicuro carattere limitativo.
Proprio l’indugiare su tali due ultime opzioni – burocrazia difensiva e tranquillità dei pubblici agenti – consente alla Corte costituzionale di fine 2021 inizi 2022 di concludere che la censurata norma non si rivela affatto palesemente estranea all’orizzonte finalistico di cui il decreto legge è portatore. Va da sé che il riferimento dei giudici della Consulta alla burocrazia difensiva e alla tranquillità dei pubblici amministratori assolve in pieno anche sotto il versante sostanziale contenutistico la novella censurata dal giudice remittente ritenendo che anche queste forme di tutela legislativa costituiscano, in buona sostanza, una garanzia per il buon andamento della pubblica amministrazione.
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5. Considerazioni conclusive
Per l’ordinanza di incidente di legittimità costituzionale la novella dell’estate 2020 inerente all’art.323 del Codice penale avrebbe violato il principio di eguaglianza in quanto privando di rilievo penale ogni forma di esercizio di discrezionalità amministrativa la depauperata norma attribuirebbe al pubblico agente un potere dispositivo pressoché assoluto e, ciò che più rileva, sottratto al vaglio giurisdizionale. Il risultato starebbe nell’equiparazione di situazioni diverse, così verrebbe violato il principio di eguaglianza di cui all’art.3[14] Cost..
Le situazioni totalmente diverse da loro e malamente equiparate sarebbe il potere discrezionale attribuito al pubblico amministratore e la facoltà di disposizione della propria cosa riconosciuta al privato.
La fattispecie criminosa dell’abuso d’ufficio, assolvendo una funzione di chiusura nel sistema dei delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A. si rivelerebbe essere il punto fondamentale inerente alla problematica tematica del sindacato del giudice penale sull’attività amministrativa. Tematica invero alquanto problematica giacchè percorsa da una tensione perenne tra istanze di legalità che vorrebbero un controllo totale sull’attività dei pubblici agenti nell’ambito della loro azione amministrativa con conseguente freno alla mala gestione della cosa pubblica e l’esigenza funzionale ad evitare una pervasiva ingerenza del giudice penale sull’operato dei pubblici amministratori in quanto quest’ultima si rivelerebbe lesiva della sfera di autonomia che alle indicate pubbliche figure compete.
Di tutto ciò ne è testimonianza chiara e precisa la ricostruzione storica ed evolutiva della fattispecie in precedenza riportata.
Non vi è dubbio per i Giudici della Consulta che si è riscontrato un significativo trend di negatività in termini di perdita di efficienza e di rallentamento dell’azione amministrativa a cagione del rischio del coinvolgimento in un procedimento penale, aggravato dall’onnipresente clamore mediatico[15], inerente ad una condotta, ad una firma appunto, di un pubblico amministratore.
In questo senso il provvedimento normativo adottato in stato di necessità ed urgenza censurato dal giudice calabrese si occupa appositamente della responsabilità delle due principali fonti di timore per il pubblico amministratore con le conseguenti ricadute difensive e di perturbazione emotiva che ne derivano. Si vuol far riferimento alla responsabilità erariale e alla responsabilità penale, entrambe fatte oggetto di modifiche limitative per il tramite di una maggiore e più accurata tipizzazione della fattispecie ossequiosa dei principi che presidiano la responsabilità penale innanzitutto[16].
Le ragioni giustificatrici poste a base della pronuncia dei Giudici della Consulta proprio nelle prospettazioni concettuali or ora evidenziate trovano a ben vedere la propria scaturigine ultima.
La novella recata dal provvedimento legislativo in commento è costituzionalmente legittima sia sotto il versante del viatico procedimentale che l’ha adottata – la fonte – sia sotto il versante della ragionevolezza sostanziale e contenutistica in relazione agli obiettivi presi di mira dal legislatore.
Note:
[1] Resa nel giudizio di legittimità costituzionalità in via incidentale vagliato nella Camera di Consiglio del 24 novembre 2021 e deliberato con decisine del 25 novembre 2021, depositata e pubblicata in gazzetta ufficiale in data 18 gennaio 2022.
[2] Sulla novella dell’art.323 dell’estate 2020 e sulle connesse problematiche relative ai presupposti ai presupposti e alle condizioni per l’operatività della fattispecie vedi per tutti amplius s. ricchitelli, Il rilievo della norma regolamentare nel “nuovo” abuso d’ufficio. Gli orientamenti della Corte di Cassazione tra criteri interpretativi ed esigenze pratiche, www.diritto.it, Maggioli, 13/10/2021.
[3] Ci si riferisce in particolare ai quotidiani Il sole 24 ore e Italia oggi che in data 19 gennaio 2022 già offrivano conto della pronuncia. I citati quotidiani specialisti portavano rispettivamente l’attenzione sulla non irragionevolezza dell’operata revisione dell’abuso d’ufficio e sul salvataggio della nuova norma incriminatrice ad opera della Consulta.
[4] Art.97 Cost.: Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico. I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e la imparzialità dell’amministrazione. Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. Agli impieghi nelle Pubbliche Amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.
[5] Tra le tante pronunce della Suprema Corte di Cassazione in materia basti qui rammentare la 6^ sezione penale del 21 febbraio 2019/23 maggio 2019, nr.22871; la 6^ sezione penale del 12 giugno 2018/29 ottobre 2018, nr.49549; la 2^ sezione penale del 27 ottobre 2015/20 novembre 2015, nr.46096.
[6] Art.15 c.p., Materia regolata da più leggi penali o da più disposizioni della medesima legge penale: Quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito
[7] La pena per il delitto di abuso d’ufficio vede il suo edittale nella reclusione da 1 a 4 anni; l’indicato edittale è il frutto dell’aggravamento di pena, prima prevista nei limiti di 6 mesi e 3 anni voluta dalla legge 6 novembre 2012, nr.190 cd. “spazzacorrotti”. Sulla legislazione approvata con la cd. “spazzacorrotti” vedi per tutti, s. ricchitelli, Il <<pacchetto>> anticorruzione nella legge 9 gennaio 2019, n.3, recante misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici. Il nuovo volto dello statuto penale della pubblica amministrazione, Gazzetta Forense, bimestre nr.4, Giapeto, Napoli, 2019.
[8] Art.323 c.p., Abuso d’ufficio: Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni. La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità.
[9] Infatti l’espressione adoperate al riguardo idonee a vagliare la non manifesta infondatezza delle questioni attingono innanzitutto l’art.77 della Costituzione in quanto la fattispecie novellata consterebbe del tutto estranea alla materia disciplinata da tutte le altre disposizioni del decreto legislativo nr.76 dl 2020, adottato a seguito dell’emergenza epidemiologica da covid-19 involgente il nostro Paese, e per l’effetto assolutamente avulsa dalle ragioni giustificatrici della normativa adottata in via d’urgenza dal Governo.
[10] La qualcosa il giudice a quo la ricava anche dalla lettura del preambolo del provvedimento legislativo scrutinato allorquando in esso si cotine l’inciso << operando senza pregiudizio per i presidi di legalità>> così parendo ancora più contraddittorio l’intervento restrittivo e parzialmente abrogativo sulla fattispecie incriminatrice di presidio e baluardo delle istanze costituzionali richiamate nel testo.
[11] Art.2 c.p., Successione di leggi penali: Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato. Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali. Se vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria, la pena detentiva inflitta si converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria, ai sensi dell’articolo 135.
Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile. Se si tratta di leggi eccezionali o temporanee, non si applicano le disposizioni dei capoversi precedenti. Le disposizioni di questo articolo si applicano altresì nei casi di decadenza e di mancata ratifica di un decreto-legge e nel caso di un decreto-legge convertito in legge con emendamenti.
[12] Art.77 Cost.: Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria. Quando, in casi straordinari di necessità e d’urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni. I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti.
[13] È questo un passaggio che la Corte costituzionale mette nero su bianco evocando, senza mezzi termini quella che è stata definita “paura della firma”.
[14] Art.3 Cost.: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione; di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
[15] Il problema del clamore mediatico e dell’estensibilità dell’attività giudiziaria in un certo qual modo ad esso connesso è stato recentemente affrontato dal legislatore, ancorchè per taluni aspetti, in sede di attuazione delle direttive UE col decreto legislativo nr.188 del 2021. Per un quadro di riferimento compiuto ed esaustivo dell’indicato provvedimento legislativo vedi per tutti s. ricchitelli, Direttiva UE sul rafforzamento della presunzione di innocenza e rapporti con gli organi di informazione, www.diritto.it, Maggioli, 20/01/2022.
[16] Dal punto di vista della topografia normativa si vuol far riferimento all’art.23 del decreto legge in esame contenuto nel Capo IV, del Titolo II, del provvedimento legislativo in commento; sul versante della necessità di una maggiore tipizzazione e di una corretta descrizione della fattispecie incriminatrice tra le tante basti qui far riferimento all’autorevole dottrina di g. fiandaca – e. musco, Diritto penale, Parte generale, Zanichelli, Bologna, 2010.
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