3.1 Accertamento analitico-induttivo ex art. 39, comma 1, lett. d) del DPR n. 600/1973
3.2. Accertamento induttivo “puro” ex art. 39, comma 2, DPR n. 600/1973
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Il sistema di accertamento
L’accertamento tributario rappresenta la formalizzazione giuridica dell’attuazione amministrativa della norma tributaria che consegue ad un controllo di merito e punta alla dimostrazione di un fatto a fiscalmente rilevante non considerato nella dichiarazione oppure considerato in dimensione diversa oppure ancora riguardo alla diversa qualificazione giuridica di un fatto non contestato nella sua oggettività[1]. Il sistema di accertamento delle imposte sui redditi si distingue in “accertamento d’ufficio” e “accertamento in rettifica”, dove il principale distinguo si pone nella presentazione o meno della dichiarazione dei redditi o quantomeno nella (in)validità di quest’ultima.
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Accertamento d’ufficio
L’accertamento d’ufficio è da ritenersi attivabile sia in caso di dichiarazione omessa sia in quello di dichiarazione non valida. In tali ipotesi di cui l’Ufficio può determinare il reddito complessivo del contribuente, e in quanto possibile i singoli redditi delle persone fisiche soggetti all’imposta locale sui redditi, sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di avvalersi anche di presunzioni c.d. semplicissime e di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze della dichiarazione, se presentata, e dalle eventuali scritture contabili del contribuente ancorché regolarmente tenute[2]. Sull’accertamento d’ufficio si è pronunciata anche la Corte di Cassazione, precisando che, «nel caso di omessa dichiarazione da parte del contribuente, il potere-dovere dell’Amministrazione è disciplinato non già dell’art. 39, bensì dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41, ai sensi del quale, sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, l’Ufficio determina il reddito complessivo del contribuente medesimo»[3]. La Suprema Corte ha quindi confermato che l’Amministrazione può utilizzare qualsiasi elemento probatorio e ricorrere al metodo induttivo, avvalendosi anche di presunzioni cd. semplicissime. Queste ultime determinano un’inversione dell’onere della prova, ponendo a carico del contribuente la deduzione di elementi contrari intesi a dimostrare che il reddito (risultante dalla somma algebrica di costi e ricavi) non è stato prodotto o è stato prodotto in misura inferiore a quella indicata dall’Ufficio[4].
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Accertamento in rettifica
Nel sistema dell’IRPEF l’accertamento in rettifica si articola a sua volta in accertamento sintetico e analitico. Ai fini dell’illustrazione dell’utilizzo dello strumento presuntivo nell’ambito dell’accertamento, è necessario prendere in considerazione l’art. 39 del D.P.R. n. 600 del 1973, che disciplina l’accertamento analitico contabile ed extracontabile. In particolare, il reddito d’impresa delle persone fisiche, delle società commerciali ed il reddito da lavoro autonomo degli artisti e dei professionisti è determinabile in via induttiva, ex art. 39 comma 1 lett. d) e comma 2 del D.P.R. n. 600/73.
È possibile individuare due tipi di accertamento c.d. induttivo:
- da un lato l’accertamento analitico-induttivo di cui all’art. 39, comma 1, lett. d) del DPR n. 600/1973;
- dall’altro l’accertamento induttivo “puro”, di cui all’art. 39, comma 2[5].
3.1Accertamento analitico-induttivo ex art. 39, comma 1, lett. d) del DPR n. 600/1973
Nel primo caso, gli Uffici finanziari possono operare l’accertamento solo in presenza di presunzioni gravi precise e concordanti (presunzioni semplici). Proprio la lettera d) dell’art. 39 prevede che qualora l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione o nei suoi allegati risulti dalle ispezioni o verifiche compiute nei confronti del contribuente, e da dati e notizie raccolte dall’ufficio mediante l’esercizio dei suoi poteri ai sensi dell’art. 32, DPR n. 600/1973, è prevista la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di desumere l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti.
In sede di accertamento induttivo, il procedimento di ricostruzione presuntiva dei ricavi che conduce all’accertamento deve accostarsi ai connotati della plausibilità e credibilità, rimanendo privo di vizi logici e fortemente improntato a “canoni di giustificabilità razionale”. Inoltre, la differenza fra volume di ricavi dichiarati e ricavi ricostruiti deve essere di entità non lieve. Recentissima giurisprudenza[6], afferma inoltre che l’accertamento induttivo è legittimo solo quando è riscontrato da una grave incongruenza tra i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili, sempre nel quadro di una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva.
3.2. Accertamento induttivo “puro” ex art. 39, comma 2, DPR n. 600/1973
Nell’ambito invece dell’accertamento induttivo “puro”, in presenza di contabilità non attendibile, l’Amministrazione ha la possibilità prescindere in tutto o in parte dalle risultanze delle scritture contabili, ed accertare induttivamente il maggior reddito, utilizzando presunzioni anche non dotate dei requisiti di precisione gravità e concordanza di cui all’art. 2729 del c.c.
In definitiva, la Suprema Corte ha recentemente tracciato una linea di demarcazione affermando che «il discrimine tra l’accertamento condotto con metodo analitico-extracontabile […] e l’accertamento condotto con metodo induttivo puro […], va ricercato rispettivamente nella “parziale od assoluta” inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili». Da un lato, la “incompletezza, falsità od inesattezza” degli elementi indicati non consente di prescindere dalle scritture contabili, potendo l’Amministrazione finanziaria solamente a “completare” le lacune riscontrate, utilizzando, ai fini della dimostrazione della esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati ovvero della inesistenza di componenti negativi dichiarati, anche presunzioni semplici. Nell’accertamento analitico-extracontabile, invece, “le omissioni o le false od inesatte indicazioni” incidono sulla generale attendibilità (e utilizzabilità) ai fini dell’accertamento «anche degli “altri” dati contabili». In situazioni simili l’Amministrazione finanziaria «può prescindere in tutto od in parte dalle risultanze del bilancio o delle scritture contabili in quanto esistenti» ed è legittimata a determinare l’imponibile in base ad elementi meramente indiziari, anche se inidonei a costituire una presunzione semplice.
Tale differenziazione non è priva di implicazioni pratiche, dato che l’eventuale errore commesso dal Giudice di merito nel “qualificare” il tipo di accertamento svolto in concreto dagli Uffici, non rileva mai sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ma «si risolve sempre in un errore attinente all’attività processuale, censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4»[7].
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Note
[1] G. Tinelli, Istituzioni di diritto tributario. I principi generali, cit., p. 312
[2] La disciplina dell’art. 41 del D.P.R. n. 600 del 1973 richiede comunque che le argomentazioni addotte dagli uffici abbiano una portata dimostrativa sufficientemente attendibile. Tuttavia, è da ritenersi ammissibile una dimostrazione meno rigorosa di quella che sarebbe richiesta ove il contribuente avesse adempiuto regolarmente ai propri obblighi formali.
[3] Cass., Sez. trib., 17 luglio 2019, n. 19191 in banca dati Fisconline
[4] Cass., Sez. 6, 15 giugno 2017, n. 14930 in banca dati Fisconline
[5] Anche l’accertamento d’ufficio ex art. 41 del D.P.R. n. 600/1973, poc’anzi analizzato, è inquadrabile nell’ambito del c.d. accertamento induttivo “puro”.
[6] Cass., Sez. trib., 22 febbraio 2019, Ordinanza n. 5327, in banca dati Fisconline
[7] Cass. civ., Sez. V, 4 marzo 2020, Ordinanza n. 6061, in banca dati Pluris
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