L’accettazione tacita dell’eredità: i comportamenti rilevanti
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2015In tema di successione ereditaria, secondo la previsione dell’art. 476 c.c., la cosiddetta “accettazione tacita dell’eredità” ha luogo nell’ipotesi in cui il chiamato compia un atto che presupponga necessariamente la sua volontà di accettare – e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede –, con la conseguenza che, nonostante la mancanza di accettazione espressa, la assunzione della qualità di erede consegue comunque ex lege nel caso di compimento da parte del chiamato di un atto pro erede gestio (Trib. Roma, sez. VIII, 7 giugno 2014, n. 12529, www.dejure.it).
In altri termini, l’accettazione tacita può desumersi soltanto dall’esplicazione di un’attività personale del chiamato tale da integrare gli estremi dell’atto gestorio incompatibile con la volontà di rinunziare – e non altrimenti giustificabile se non in relazione alla qualità di erede –
“con la conseguenza che non possono essere ritenuti atti di accettazione tacita quelli di natura meramente conservativa che il chiamato può compiere anche prima dell’accettazione dell’eredità”
(Cass., sez. II, 9 ottobre 2013, n. 22977, DeG, 2013, 10 ottobre).
Ulteriormente, l’accettazione tacita di eredità – pur potendo avvenire attraverso negotiorum gestio, cui segua la successiva ratifica del chiamato, o per mezzo del conferimento di una delega o dello svolgimento di attività procuratoria – può tuttavia desumersi soltanto da un comportamento del successibile e non di altri, sicché non ricorre, ad esempio (tratto da Cass. civ., sez. VI, 19 dicembre 2018, n. 32770, QG, 2019; conforme: Cass. civ., sez. VI, 6 aprile 2017, n. 8980, QG, 2017; conforme: Trib. Potenza, 16 marzo 2017), ove solo l’altro chiamato all’eredità, in assenza di elementi dai quali desumere il conferimento di una delega o la successiva ratifica del suo operato, abbia fatto richiesta di voltura catastale di un immobile del de cuius.
L’accettazione di eredità può essere, dunque, anche desunta dal comportamento dei chiamati che abbiano posto in essere una serie di atti incompatibili con la volontà di rinunciare o che siano concludenti e significativi della volontà di accettare (App. Palermo, sez. III, 7 febbraio 2019; senza che possa avere rilievo – in senso contrario – la circostanza che l’erede sia rimasto contumace in una controversia relativa a diritti compressi nell’asse ereditario: così Cass., sez. II, 28 maggio 2012, n. 8493, GDir, 2012, 35, 93, in fattispecie riguardante una controversia sull’assegnazione di un podere ex Ersac).
Così, esemplificando (l’elenco che segue, nella versione proposta nella precedente edizione – 2015 – di questo trattato, è stato recentemente preso a prestito e confermato anche da Cass. civ., sez. II, 19 febbraio 2019, n. 4843), l’accettazione tacita di eredità, ex art. 476 c.c. (tenendo soprattutto conto del principio secondo cui vale accettazione tacita l’esperimento, da parte del chiamato, di una azione giudiziaria che, travalicando il semplice mantenimento dello stato di fatto quale esistente al momento dell’apertura della successione, il chiamato non avrebbe il diritto di proporre se non quale erede: Cass. civ., sez. I, 28 febbraio 2019, n. 5967; Cass. civ., sez. II, 19 marzo 2018, n. 6745, CED Cassazione, 2018; Cass., sez. II, 8 maggio 2013, n. 10894, GDir, 2013, 39, 88; conforme, specie se accompagnata dalla produzione del certificato dello stato di famiglia: Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2018, n. 16814, CED Cassazione, 2018), secondo la giurisprudenza, può essere desunta:
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• dall’iniziativa assunta dal chiamato per la divisione amichevole dell’asse con istanza proposta anche in sede non contenziosa, che non necessita di un’accettazione degli altri coeredi, dovendosi considerare che quest’ultima è rivolta all’eredità e ancor meglio a tradurre la chiamata ereditaria nella qualità di erede, indipendentemente, e/o a prescindere, da un intervento adesivo degli altri coeredi (conforme: Cass. civ., sez. II, 23 luglio 2019, n. 19833, CED Cassazione, 2019);
• dall’intervento in giudizio, operato da un chiamato all’eredità nella qualità di erede legittimo del de cuius, senza che alcuna rilevanza assuma la circostanza della successiva cancellazione della causa dal ruolo per inattività delle parti, posto che l’accettazione dell’eredità, a tutela della stabilità degli effetti connessi alla successione mortis causa, si configura come atto puro ed irrevocabile (e, quindi, insuscettibile di essere caducato da eventi successivi: Cass., sez. II, 8 aprile 2013, n. 8529, GCM, 2013);
• nel proporre in giudizio domande che di per sé manifestino la volontà di accettare, qual è la domanda diretta a ricostituire l’integrità del patrimonio ereditario, tramite azioni di rendiconto e di restituzione di somme riscosse da terzi per conto del de cuius (gravando, in questi casi, su chi contesti la qualità di erede, l’onere di eccepire la mancata accettazione dell’eredità ed eventualmente i fatti idonei ad escludere l’accettazione tacita, che appare implicita nel comportamento dell’erede medesimo: cfr. anche Cass. sez. III 14 ottobre 2011, n. 21288, GCM, 2011, 10, 1459; per la proposizione di una domanda di fruttificazione, cfr. Trib. Catania, sez. III, 27 febbraio 2017);
• dalla riassunzione di un processo effettuata da soggetto che si qualifichi erede del de cuius (nella pronuncia infra riportata, in qualità di figlio del medesimo, pur senza specificare di quale tipo di successione si sia trattato e senza indicare in che modo sia avvenuta l’accettazione dell’eredità): in tal caso, è l’atto di riassunzione, in quanto proveniente da un soggetto che si deve considerare certamente chiamato all’eredità, quale che sia il tipo di successione, che va considerato come atto di accettazione tacita dell’eredità e, quindi, “idoneo a far considerare dimostrata la legittimazione alla riassunzione. (Principio affermato dalla S.C. in relazione a fattispecie in cui si trattava di riassunzione a seguito di cassazione con rinvio ed era stato prodotto certificato di famiglia per dimostrare la relazione parentale)” (Cass., sez. III, 1° luglio 2005, n. 14081, FI, 2007, 6, I, 1910);
• dalla partecipazione del chiamato all’eredità, sia pure in contumacia, a due giudizi di merito concernenti beni del de cuius (nella pronuncia infra epigrafata, avevano ad oggetto il recesso dalla compravendita di immobili) e ciò “anche se lo stesso chiamato, nella fase d’appello e informalmente – mediante uno scritto –, abbia dichiarato il disinteresse alla lite, trattandosi di comportamento inconciliabile con la tardiva rinuncia, condizionata dall’esito della lite”
(Cass., sez. III, 8 giugno 2007, n. 13384, GCM, 2007, 6);
• dalla costituzione volontaria (in caso di decesso della parte costituita in giudizio) per la prosecuzione di giudizio (da parte della vedova, nel caso deciso dalla pronuncia de qua) anche in assenza di spendita della qualità di erede, specie in relazione all’oggetto del giudizio (in Cass., sez. lav., 2 settembre 2003, n. 12780, GCM, 2003, 9, l’oggetto concerneva l’equo indennizzo; Trib. Potenza, 6 aprile 2016 annota che l’intervento in giudizio rappresenta accettazione tacita senza che alcuna rilevanza assuma la circostanza della successiva cancellazione della causa dal ruolo per inattività delle parti) e alle altre circostanze processuali; a tal proposito, di noti come neppure la rinunzia all’eredità faccia venir meno la delazione del chiamato, stante il disposto dell’art. 525 c.c. (cfr., amplius, il capitolo sesto del presente volume), sicché tale rinuncia non è ostativa alla successiva accettazione, che può essere anche tacita, allorquando il comportamento del rinunciante (che, nella pronuncia infra riportata, si era costituito in giudizio, allegando la sua qualità di erede e riportandosi alle difese già svolte dal de cuius)
“sia incompatibile con la volontà di non accettare la vocazione ereditaria”
(Cass., sez. III, 18 aprile 2012, n. 6070, GCM, 2012, 4, 511; per un caso di costituzione in giudizio effettuata per contestare il merito della pretesa di un dipendente, cfr. Cass. civ., sez. lav., 18 gennaio 2017, n. 1183, CED Cassazione, 2017);
in effetti, nel processo civile, in caso di morte di una delle parti, ai fini della prosecuzione del processo nei confronti dei successori, la verifica della qualità di eredi dei chiamati all’eredità non è necessaria nell’ipotesi in cui l’atto di riassunzione sia ad essi notificato collettivamente e impersonalmente entro l’anno dal decesso, ai sensi dell’art. 303, comma 2, c.p.c., in quanto tale disposizione affranca il notificante dall’onere di ricercare le prove dell’accettazione dell’eredità, la quale può intervenire nel termine di dieci anni dall’apertura della successione, sicché durante detto periodo la parte non colpita dall’evento interruttivo deve essere tutelata attraverso il riconoscimento della legittimatio ad causam del semplice chiamato: per converso, il chiamato all’eredità, pur non assumendo la qualità di erede per il solo fatto di avere accettato la notifica dell’atto di riassunzione, ha l’onere di contestare, costituendosi in giudizio, l’effettiva assunzione di tale qualità, così da escludere il presupposto di fatto che ha giustificato la riassunzione (così Cass. civ., sez. III, sent. 28 giugno 2019, n. 17445, CED Cassazione, 2019);
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