Il D. Lgs. 30 dicembre 1992 n. 502 può, senz’altro, definirsi una pietra miliare nell’ambito dell’organizzazione del Servizio Sanitario Nazionale.
Infatti, dopo l’adozione della L. 23 dicembre 1978 n. 833 istitutiva del S.S.N., il D. Lgs. in oggetto costituisce il primo intervento legislativo volto a riorganizzare in maniera più efficiente il tanto discusso Servizio Sanitario Nazionale.
A tal fine la normativa, prevede, anzitutto, la separazione dell’attività di programmazione e di finanziamento da quella di gestione dell’attività sanitaria.
Infatti, la programmazione è affidata al Governo e, precisamente, al Ministro della Sanità, cui compete l’adozione di un Piano Sanitario Nazionale di durata triennale, volto a garantire un’assistenza uniforme su tutto il territorio nazionale. In seconda battuta il compito programmatico spetta alla Regione con l’adozione del Piano Sanitario Regionale che ha il compito di “regionalizzare” l’assistenza, in riferimento alle esigenze ed agli interessi locali.
Quanto, invece, alla gestione una posizione di rilievo viene attribuita alle UU.SS.LL. concepite secondo un modello imprenditoriale di tipo privatistico –tant’è che le stesse vengono trasformate in Aziende Sanitarie Locali – e dotate, infatti, di autonomia patrimoniale, contabile e tecnica.
E così, conformemente a questa nuova ottica di tipo imprenditoriale, viene sancita la regola della “competitività” tra strutture pubbliche e private; la finalità di questo meccanismo, volutamente concorrenziale, è di garantire la sopravvivenza delle sole strutture in grado di assicurare qualità nelle prestazioni offerte. È importante notare il nuovo modo di configurare l’intervento delle strutture private nell’ambito dell’esercizio di un’attività sanitaria e, precisamente, da soggetti meramente sussidiari rispetto alle strutture pubbliche a soggetti alla pari, in concorrenza con queste. Corollario del principio della competitività è quello della libera scelta da parte del cittadino della struttura cui rivolgersi per l’assistenza sanitaria.
In questo riassetto generale, il Legislatore non trascura i rapporti esistenti tra le AA.SS.LL. e le strutture private, regolati fino a quel momento da apposite convenzioni, così come previsto dall’art. 44 della L.833/78.
In effetti, con il D. Lgs. n. 502/1992 tali rapporti cessano di essere disciplinati da un rapporto convenzionale per essere regolati, invece, secondo il meccanismo del c.d. accreditamento istituzionale, fondato sulla modalità di pagamento a prestazione e sull’adozione del sistema di verifica della qualità delle attività svolte e delle prestazioni erogate.
Il Legislatore, mosso dall’intento di ottimizzare al meglio le risorse in un settore interessato da un forte disavanzo qual’è quello della sanità, prevede un sistema di pagamento per ogni singola prestazione resa; meccanismo quest’ultimo che, certamente, consente un controllo più incisivo nei confronti della spesa sanitaria. Al tempo stesso, la possibilità di svolgere attività sanitarie viene riconosciuta a tutti coloro che, accettando questo sistema di remunerazione, sono in grado di garantire prestazioni rispondenti a certi requisiti qualitativi.
Nella previsione del citato D. Lgs. n. 502/92 – sia originario, che come successivamente modificato ed integrato dal D. Lgs. n. 517/93 e dalla L. 724/94 – l’accreditamento viene pensato e configurato dal Legislatore, come un vero e proprio diritto, da riconoscersi a tutte le strutture in possesso di quei requisiti minimi rispondenti ai criteri fissati nell’atto di indirizzo e coordinamento, adottato secondo i dettami contenuti dell’art. 8, comma 4, D. Lgs n. 502/92.
L’accreditamento si risolve,quindi, nell’iscrizione delle varie strutture, in una sorta di “elenco dei migliori” dal punto di vista della qualità.
In altri termini, con l’accreditamento, o meglio con il riconoscimento dell’accreditamento, il Legislatore intende assicurare e garantire sia la serietà delle strutture private che, in concorrenza con quelle pubbliche, agiscono per conto del Servizio Sanitario Nazionale, sia la qualità delle prestazioni rese.
In questo momento storico l’accreditamento si sovrappone, o meglio, coincide di fatto con l’”autorizzazione” all’esercizio dell’attività sanitaria, poiché i requisiti richiesti per entrambi gli istituti sono gli stessi, e, di conseguenza, il loro possesso è sufficiente per svolgere l’attività sanitaria per conto del S.S.N.
A fronte di questo diritto, dunque, la P.A., é titolare di una discrezionalità meramente tecnica nel riconoscerlo o meno.
Questo impianto ha ricevuto anche il placet della giurisprudenza costituzionale, secondo cui: “Premesso che l’accreditamento delle strutture sanitarie consiste nel riconoscimento, ad opera delle regioni, del possesso, in capo ad organismi sanitari di cura, di specifici requisiti – c.d. standard di qualificazione – e si risolve nell’iscrizione in un elenco al quale gli utenti delle prestazioni sanitarie possono attingere, l’art. 6, 6º comma, l. 23 dicembre 1994 n. 724 che prevede un diritto di accreditamento – automatico per il biennio 1995-1996 – delle strutture in possesso dei requisiti di cui all’art. 8, 4º comma, d. leg. 30 dicembre 1992 n. 502, come stabiliti con atto di indirizzo e coordinamento governativo emanato d’intesa con la conferenza permanente stato-regioni, non contrasta con gli art. 117, 118 e 119 cost.; tale sistema non altera, infatti, gli equilibri attualmente esistenti nel settore, né incide, scavalcandoli, sui poteri amministrativi regionali, in quanto il diritto è pur sempre subordinato all’accettazione del nuovo meccanismo della remunerazione delle prestazioni su base di tariffe ed all’espletamento dei poteri di autotutela e di verifica regionale sul rispetto della predetta condizione e sul permanere dei requisiti, salva inoltre la facoltà delle regioni di aumentare, con nuovi accertamenti, il numero degli accreditamenti in atto” (Corte Cost., 28 luglio1995, n. 416, in Cons. Stato, 1995, II, 1330).
Questo sistema, così aperto all’ingresso di nuovi soggetti nell’ambito delle attività sanitarie, ha subìto un primo ridimensionamento a seguito dell’emanazione del D.P.R. 14 gennaio 1997, con il quale – dandosi attuazione, appunto, all’atto di indirizzo e coordinamento previsto dall’art. 8, comma 4, D. Lgs n. 502/92 – sono stati individuati i requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi richiesti per l’esercizio dell’attività sanitaria da parte delle strutture pubbliche e private.
In verità, con l’adozione di questo atto inizia a chiarirsi il fatto che che autorizzazione ed accreditamento sono atti distinti e, precisamente che, mentre “l’autorizzazione” costituisce il presupposto indispensabile per potere esercitare un’attività sanitaria, “l’accreditamento” è quel quid pluris rispetto all’autorizzazione che consente, non solo di esercitare un’attività sanitaria ma di agire per conto del S.S.N., e che può essere riconosciuto solo a seguito del comprovato possesso di requisiti ulteriori rispetto a quelli necessari per l’autorizzazione.
L’art. 2, comma 5, lett. a) del citato D.P.R., individua, poi, in maniera precisa la funzione teleologica dell’accreditamento, il quale – si dice – deve essere “funzionale alle scelte di programmazione regionale”.
Ordunque, é chiaro come l’assetto che scaturisce da questo intervento normativo si discosti dall’ impianto originario.
In questa nuova veste, l’accreditamento cessa di essere un diritto per assumere, invece, le sembianze di un atto di ammissione costretto a passare per il vaglio obbligato della discrezionalità, non più solamente tecnica, ma anche amministrativa dell’Amministrazione.
Infatti, la Regione è tenuta ad individuare, attraverso l’adozione di piani preventivi, le quantità di prestazioni erogabili nel rispetto di un tetto di spesa massimo, e la possibilità di accreditare nuove strutture è subordinata, quindi, alle scelte programmatiche correlate all’effettivo fabbisogno assistenziale.
Il mutamento viene repentinamente accolto dal Consiglio di Stato il quale ha affermato che: “L’art. 8, 7º comma, d.leg. 30 dicembre 1992 n. 502, nel demandare alle regioni ed alle usl l’adozione dei provvedimenti per l’instaurazione dei rapporti fondati sul criterio dell’accreditamento da parte del ssn dei soggetti erogatori di servizi assistenziali, sulla modalità di pagamento a prestazione e sull’adozione del sistema di verifica e revisione della qualità delle attività svolte e delle prestazioni erogate, ha introdotto un sistema indubbiamente caratterizzato da limiti nell’adottare i provvedimenti richiesti per il passaggio al sistema dell’accreditamento (che tengano conto della diversità tra strutture pubbliche e private), attribuendo alla regione la potestà di rideterminare il fabbisogno di attività convenzionati necessarie per assicurare i livelli obbligatori uniformi di assistenza nel rispetto delle indicazioni di cui agli art. 9 e 10 l. 23 ottobre 1985 n. 595” (Cons. Stato, sez. IV, 20 luglio 1998 n. 1097, in Cons. Stato, 1998, I, 1124).
Con l’adozione del D. Lgs. n. 229/99, con il quale si è data attuazione alla legge delega n. 419/98, il Legislatore ha ristretto ulteriormente le condizioni volte ad ottenere sia l’autorizzazione che l’accreditamento, allontanandosi definitivamente dal disegno primigenio tracciato dal D. Lgs. n. 502/92.
Con questo impianto normativo si abbandona definitivamente il sistema concorrenziale pensato nel 1992 per regolare, o meglio, addirittura contingentare l’accesso di nuovi soggetti nel mondo del S.S.N.
Ed, infatti, conformemente alla ratio legis l’autorizzazione – disciplinata dall’art. 8-ter, del D. Lgs. n. 502/92, così come modificato dal D. Lgs. n. 229/99 – viene considerata la condizione base per l’esercizio dell’attività sanitaria e risponde alla necessità di garantire le condizioni minime in ordine alla qualità delle prestazioni richiesta non più solo per le istituzioni sanitarie ma anche per gli studi professionali.
Ma la vera novità, a parte questa estensione soggettiva, è costituita dalla natura attribuita al provvedimento de quo. Il Legislatore, infatti, subordina il rilascio dell’autorizzazione non solo al possesso dei requisiti minimi strutturali, tecnologici ed organizzativi, – dapprima fissati con un atto di indirizzo e coordinamento da emanarsi a livello centrale e, poi, con un atto da adottarsi nei successivi 60 giorni dalla Regione per quanto riguarda le modalità ed i termini per il rilascio – ma anche ad una scelta del tutto discrezionale da parte della Regione, scelta fondata sul fabbisogno complessivo e sulla localizzazione delle strutture presenti sul territorio.
La portata innovativa della norma è estremamente chiara: il Legislatore conferisce un potere discrezionale alla P.A. già in riferimento a quella che assume le vesti di condizione necessaria, anche se non sufficiente, per l’accesso al mondo sanitario.
Infatti, solo una volta ottenuta l’autorizzazione, i soggetti interessati possono chiedere il riconoscimento, ai sensi dell’art. 8-quater del citato Decreto Legislativo, dell’accreditamento, il quale ultimo potrà essere rilasciato solo se la struttura è in possesso di requisiti ulteriori rispetto a quelli dell’autorizzazione. Anche in questo caso, e cioè per l’individuazione di questi requisiti, è prevista, anzitutto, l’adozione di atto di indirizzo e coordinamento a livello centrale, seguito, poi, dall’adozione di un atto regionale.
Il quadro normativo così come risulta a seguito della c.d. Riforma Sanitaria ter appare assolutamente differente da quello iniziale.
A fronte di un intento fortemente “liberista” del Legislatore nel 1992, il Legislatore negli anni successivi si è preoccupato, dapprima, di arginare questo sistema aperto, per finire, poi, con il D. Lgs. n. 229/99 a contingentare non solo le prestazioni ma, addirittura, l’accesso dei soggetti accreditati.
L’accreditamento, dunque, oggi costituisce non più un atto dovuto ma, al contrario, un atto che passa per la verifica rigorosa della discrezionalità della P.A.; discrezionalità che trova il proprio fondamento non più solo nelle qualità delle strutture e delle prestazioni rese, ma anche nell’effettivo fabbisogno assistenziale quale risulta in concreto dal disposto del Piano Sanitario Regionale. Tant’è che, qualora la capacità produttiva risulti essere superiore a quella del fabbisogno effettivo, il Legislatore ha previsto espressamente, all’art. 8-quater, ult. com., del D. Lgs. n. 502/92, così come modificato da ultimo dal D. Lgs. n. 229/99, la revoca dell’accreditamento.
Quanto, poi, alla remunerazione il D. Lgs. n. 229/99 distingue a seconda del tipo di attività svolta. Precisamente si distingue tra “funzioni” assistenziali e “attività” assistenziali. Le prime, disciplinate al comma 2 dell’art. 8-sexies D. Lgs. n. 502/92, sono attribuite alla competenza esclusiva dello Stato non trattandosi di attività remunerative; è il caso di malattie rare, trapianti e programmi sperimentali. Il corrispettivo, infatti, in questo caso è dato sotto forma di finanziamento, sulla base dei costi unitari di produzione e dei volumi di attività svolta.
Quanto, invece, alle attività assistenziali, si prevede la remunerazione per tariffe predefinite per prestazione.
La novità è data dal fatto che il Legislatore prevede, poi, che tutte le strutture, sia pubbliche che private, non possano ricevere, in ogni caso, più di un ammontare predefinito globale, così come indicato negli accordi contrattuali stipulati ai sensi dell’art. 8-quinquies.
In altri termini, una volta individuato il tetto di spesa per ciascuna struttura, è lasciata una certa libertà nella scelta del tipo di prestazioni da rendere.
Alla luce di quanto asserito emerge in maniera ancor più incisiva l’intento legislativo di arginare la spesa sanitaria.
Tuttavia, se questa è la disciplina legislativa, è anche vero che il sistema non ha avuto ancora piena attuazione, e, di conseguenza, oggi è ancora in vigore quel sistema di accreditamento c.d. provvisorio che avrebbe dovuto trovare applicazione solo per il triennio 1992-1995, durante cioè il regime transitorio, volto a consentire il transito delle strutture private dal convenzionamento all’accreditamento.
C’è da augurarsi, quindi, che il Governo, in primis, e le Regioni, in secundis, intervengano quanto prima onde evitare che il dettato legislativo resti lettera morta e con esso le finalità che il Legislatore intendeva perseguire.
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