L’Adunanza Plenaria si pronuncia in materia di responsabilità della pubblica amministrazione

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 SOMMARIO: 1.Premesse 2. I fatti ad oggetto del giudizio 3. Le questioni rimesse all’Adunanza Plenaria 4. La natura della responsabilità della Pubblica Amministrazione nell’esercizio delle proprie funzioni 5. L’interesse legittimo e gli strumenti di tutela 6. La responsabilità da fatto illecito 7. L’ingiustizia del danno 8. Il danno-conseguenza 9. Il danno da ritardo 10. La sentenza 11. Il principio di diritto

Premesse

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, sentenza n. 7 del 23/04/2021 si è pronunciata sulla natura della responsabilità della Pubblica Amministrazione nell’esercizio delle sue funzioni pubbliche, inquadrando la stessa come responsabilità da fatto illecito.

L’Adunanza Plenaria formula alcuni fondamentali principi di diritto in materia di responsabilità della Pubblica Amministrazione nel caso di ritardo nella conclusione del procedimento amministrativo.

I fatti ad oggetto del giudizio

Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia ha deferito all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato alcune questioni in materia di responsabilità della Pubblica Amministrazione nel caso di ritardo nella conclusione del procedimento amministrativo.

Le questioni deferite sono sorte nell’ambito di un contenzioso in cui il ricorrente chiedeva la condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni subiti a causa del ritardo con cui venivano rilasciate le autorizzazioni per la realizzazione e la gestione di tre impianti fotovoltaici, sui quattro domandati dalla medesima ricorrente, ai sensi dell’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità).

Il risarcimento è chiesto in quanto a causa del ritardo nel rilascio delle autorizzazioni l’investimento sarebbe divenuto antieconomico, per effetto del divieto introdotto dall’art. 65 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 che impedisce l’accesso, prima ammesso, al regime tariffario incentivante connesso alla produzione di energia da fonti rinnovabili per gli impianti fotovoltaici realizzati con moduli collocati a terra su fondi agricoli.

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Le questioni rimesse all’Adunanza Plenaria

Le questioni sollevate, ai sensi dell’articolo 99 c.p.a., dinanzi all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato concernono la responsabilità della Pubblica Amministrazione per il ritardo nella conclusione del procedimento originato da un’istanza autorizzativa.

In particolare, viene chiesto se la sopravvenienza normativa di cui all’art. 65 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 sia in grado di interrompere il nesso di causalità tra l’inerzia dell’amministrazione nel definire i procedimenti autorizzativi originati dalle istanze della società ricorrente e il danno lamentato.

Un’ulteriore questione deferita riguarda la misura del danno risarcibile in conseguenza del ritardo ed in particolare, se nel caso di specie si possa configurare un danno a titolo di lucro cessante o alternativamente quale perdita di chance.

Ultimo ma non da ultimo, viene deferita la questione relativa alla natura della responsabilità della pubblica amministrazione, se cioè essa abbia natura contrattuale o da fatto illecito.

Con riguardo ad esse il giudice rimettente ha già ritenuto – con efficacia di giudicato interno – che sussistano «numerosi elementi della fattispecie», di seguito riportati:

«a) la condotta dell’Amministrazione posta in essere in violazione della regola di conclusione del procedimento amministrativo nella tempistica prescritta;

b) la fondatezza della pretesa concernente il bene della vita (come testimoniato dalla adozione, seppur in ritardo, dei provvedimenti autorizzatori);

c) la sopravvenienza normativa ostativa all’ottenimento degli incentivi, che Iris avrebbe ottenuto se l’Amministrazione avesse provveduto per tempo;

d) la colpa dell’Amministrazione (nessuna esimente è stata da quest’ultima prospettata per giustificare il proprio non modesto ritardo nel provvedere)».

Il Consiglio di giustizia amministrativa ravvisa invece «ragioni di incertezza in relazione all’applicazione del requisito del nesso di causalità e alla misura e ampiezza del danno da risarcire, che dipendono dalla qualificazione della responsabilità dell’Amministrazione, e dalla conseguente applicabilità del canone della prevedibilità di cui all’art. 1225 c.c., e dalla nozione di danno quale conseguenza immediata e diretta della condotta». Con specifico riguardo alla qualificazione della responsabilità della pubblica amministrazione, per il giudice rimettente sarebbero maturi i tempi per una «revisione critica del regime consolidato di scrutinio della responsabilità dell’Amministrazione in una duplice direzione, assimilazione della responsabilità dell’Amministrazione alla responsabilità contrattuale e apprezzamento del ruolo del rapporto di diritto pubblico sotteso alla nascita dell’obbligazione risarcitoria».

La natura della responsabilità della Pubblica Amministrazione nell’esercizio delle proprie funzioni

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, sentenza n. 7 del 23/04/2021 si pronuncia sulla natura della responsabilità della Pubblica Amministrazione nell’esercizio delle sue pubbliche funzioni, inquadrando la stessa come responsabilità da fatto illecito.

L’Adunanza Plenaria instrada la propria approfondita disamina in tema di responsabilità della Pubblica Amministrazione, snocciolando immediatamente la distinzione tra la relazione giuridica che si instaura tra privato ed amministrazione e la relazione giuridica che si instaura tra privati.

La responsabilità contrattuale si fonda, ai sensi dell’articolo 1218 c.c. sulla mancata esatta esecuzione da parte del debitore della prestazione dovuta. Un tale vincolo obbligatorio non si configura, invece, nel caso di esercizio da parte della pubblica amministrazione di un potere amministrativo conferito per l’esercizio delle proprie funzioni e nell’interesse pubblico. L’esistenza delle due situazioni giuridiche soggettive, da una parte il potere dell’Amministrazione nell’esercizio della sua funzione e dall’altra l’interesse legittimo del privato, è ciò che caratterizza la relazione giuridica tra privato ed amministrazione. In questo caso, infatti, non si configura un vincolo obbligatorio ex art. 1218 c.c., bensì un potere attribuito dalla legge, da esercitare in conformità della stessa.

Dalla sentenza emergono le peculiarità di quello che avviene nei rapporti tenuti dalla Pubblica Amministrazione con i privati, i quali secondo l’Adunanza Plenaria essendo caratterizzati da un’asimmetria tra le parti mal si riconducono anche alla dibattuta nozione di contatto sociale e che, diversamente, vede le parti in una posizione paritaria.

L’interesse legittimo e gli strumenti di tutela

L’interesse legittimo spetta ad un soggetto in ordine ad un bene della vita oggetto di un provvedimento amministrativo e consistente nell’attribuzione a tale soggetto di poteri idonei ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la realizzazione dell’interesse al bene (cfr. Cass. Civ. Sezioni Unite, sentenza 22 luglio 1999 n. 500).

Quello che maggiormente caratterizza il diritto soggettivo rispetto all’interesse legittimo è il carattere assoluto che l’ordinamento accorda al diritto soggettivo, il quale è assistito da una tutela piena e diretta.

L’interesse legittimo è, invece, necessariamente correlato all’esercizio del potere amministrativo e ciò che lo caratterizza sono la differenziazione, ovvero il fatto che il titolare di un interesse legittimo si trova rispetto all’esercizio del potere amministrativo in una posizione differenziata rispetto a quella della generalità dei soggetti; e la qualificazione, in quanto la norma posta a disciplina dell’esercizio del potere della pubblica amministrazione per il perseguimento dell’interesse pubblico primario prende in considerazione implicitamente l’interesse sostanziale individuale connesso all’interesse pubblico.

L’interesse legittimo viene alla luce nel momento in cui l’interesse del privato verso un bene della vita viene a confronto con il potere amministrativo, ovvero con il potere della Pubblica Amministrazione a soddisfare l’interesse, mediante provvedimenti che ampliano la sfera giuridica del soggetto o a sacrificarlo con provvedimenti che restringono tale sfera.

In tale contesto, lo strumento di tutela conferito al privato sono il rimedio demolitorio, ovvero l’azione costitutiva di annullamento dell’atto amministrativo e la tutela risarcitoria, riconosciuta della sentenza della nota sentenza delle S.U. della Corte di Cassazione n. 500/1999 per l’illegittimo esercizio del potere pubblico. L’articolo 7, comma 4, della legge n. 205 del 2000 ha poi previsto la risarcibilità del danno in ogni caso di lesione arrecata all’interesse legittimo.

La responsabilità della Pubblica Amministrazione come responsabilità da fatto illecito

La responsabilità della Pubblica Amministrazione per l’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o per il mancato esercizio di quella doverosa si riconduce al sistema della responsabilità da fatto illecito.

Nelle descritte peculiarità dei rapporti tra Pubblica Amministrazione e privati, la condotta di quest’ultima può consistere nell’emanazione di atti illegittimi o nell’inerzia colpevole e può quindi essere fonte di responsabilità sulla base del principio generale neminem laedere: con la normativa sopra richiamata il legislatore ha progressivamente esteso ai casi di illegittimo esercizio del potere pubblico la tutela risarcitoria disciplinata dall’art. 2043 del codice civile -in cui è affermato un principio generale dell’ordinamento- secondo cui «(q)ualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno».

Perché possa configurarsi la responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. è necessario che ricorrano i seguenti elementi costitutivi: a) l’esistenza di un fatto;
b) l’elemento soggettivo c) il danno ingiusto; d) il nesso di causalità tra fatto e danno.

L’ingiustizia del danno

Tale paradigma comporta, come noto, un differente regime dell’onere della prova rispetto alla responsabilità da inadempimento contrattuale.

Elemento centrale nella fattispecie di responsabilità da fatto illecito è il danno contra ius, l’ingiustizia del danno. Il danno ingiusto è ciò che deve essere dimostrato in giudizio, diversamente da quanto avviene per la responsabilità da inadempimento contrattuale, in cui la valutazione sull’ingiustizia del danno è assorbita dalla violazione della regola contrattuale.

Il requisito dell’ingiustizia del danno, nel contesto del risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi implica che il risarcimento può essere riconosciuto se l’esercizio illegittimo del potere amministrativo abbia leso un bene della vita del privato, che quest’ultimo avrebbe avuto titolo per mantenere o ottenere. Infatti, diversamente da quanto avviene nel settore della responsabilità contrattuale, il rapporto amministrativo si caratterizza per l’esercizio unilaterale del potere nell’interesse pubblico, idoneo, se difforme dal paradigma legale e in presenza degli altri elementi costitutivi dell’illecito, a ingenerare la responsabilità aquiliana dell’amministrazione.

Il danno-conseguenza

Nella definizione di responsabilità da fatto illecito vengono alla luce due differenti accezioni del danno. L’illecito aquiliano si connota per una struttura complessa, caratterizzata dalla presenza di un duplice danno: il danno-evento ed il danno-conseguenza.

Il danno evento è l’evento offensivo di un interesse giuridicamente rilevante, meritevole di tutela risarcitoria. Il danno conseguenza indica quali siano le conseguenze dannose, (patrimoniali o non patrimoniali) dell’evento lesivo in capo al titolare del bene giuridicamente tutelato che è stato leso.

Una volta ricondotta la responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi al principio del neminem laedere, deve escludersi che, nella individuazione e quantificazione del danno, possa operare il limite rappresentato dalla sua prevedibilità.  Assume invece un ruolo centrale l’art. 1223 cod. civ. secondo cui il risarcimento del danno comprende la perdita subita dal creditore (danno emergente) e il mancato guadagno (lucro cessante) in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta.

Nella sua parte descrittiva, la dicotomia danno emergente – lucro cessante esprime la funzione della responsabilità civile, anche nei rapporti di diritto pubblico, di rimedio previsto in funzione reintegratrice della sfera patrimoniale dell’individuo rispetto ad aggressioni esterne. Nondimeno alla funzione descritta della norma si aggiunge quella precettiva, per la quale, al pari del criterio dell’evitabilità previsto dall’art. 1227, comma 2, cod. civ., il criterio della consequenzialità immediata e diretta opera in funzione limitatrice delle conseguenze dannose risarcibili comprese nella serie causale originata dal fatto illecito. Sulla sua base si esclude il risarcimento di quei danni rispetto ai quali il fatto illecito non si pone in rapporto di necessità o regolarità causale, ma ne costituisce una semplice occasione non determinante del loro verificarsi. 

Pertanto, sono risarcibili solo le conseguenze (o meglio i danni conseguenza) che siano immediatamente e direttamente riconducibili al fatto illecito.

Il danno da ritardo

Per quanto attiene al tempo dell’azione amministrativa, l’articolo 2 della L.241 del 1990 prevede l’obbligo di conclusione del procedimento mediante provvedimento espresso e disciplina i termini di conclusione del procedimento.

L’articolo 2 bis della L. 241 del 1990 disciplina, invece, le conseguenze del ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento. L’articolo 2 bis prevede in capo alla pubblica amministrazione l’obbligo del risarcimento per il danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento. La norma riconosce il tempo come bene della vita e garantisce tutela risarcitoria.

Il danno da ritardo può concretizzarsi in due diverse ipotesi, a seconda che il pregiudizio derivi dal ritardo con cui la pubblica amministrazione ha emanato il provvedimento favorevole richiesto o dal fatto che l’amministrazione non emani alcun provvedimento ovvero emani in ritardo un provvedimento negativo, pur se legittimo.

La sentenza

Nel caso di specie, l’applicazione del criterio della consequenzialità immediata e diretta enunciato dall’art. 1223 cod. civ. comporta che l’ingiustificato ritardo nel rilascio del provvedimento ingenera una responsabilità in capo all’amministrazione. Il risarcimento è chiesto in quanto a causa del ritardo nel rilascio delle autorizzazioni l’investimento sarebbe divenuto antieconomico, per effetto della della sopravvenienza normativa che impedisce l’accesso al regime tariffario incentivante connesso alla produzione di energia da fonti rinnovabili per gli impianti fotovoltaici realizzati con moduli collocati a terra su fondi agricoli. Nel settore della realizzazione degli impianti il regime incentivante connesso al ricorso a fonti rinnovabili di produzione energetica fa assurgere l’investimento privato a fattore chiave, destinato a ricevere tutela secondo le descritte norme di azione dei pubblici poteri principalmente attraverso la definizione di tempi certi per il rilascio dei necessari titoli autorizzativi. Il corollario processuale del quadro normativo così tracciato è che in un sistema di tutela giurisdizionale effettivo, contraddistinto dalla pluralità di rimedi a disposizione del privato contro l’inerzia dell’amministrazione, quest’ultima sottostà sul piano risarcitorio alla mancata realizzazione degli investimenti nel settore quando questi siano causati dal suo comportamento antigiuridico. In coerenza con la funzione dissuasiva e di equa ripartizione dei rischi tipica del rimedio risarcitorio, e delle regole operative sulla delimitazione dei pregiudizi risarcibili, sopra esaminate, il mutamento normativo, espressivo di un mutato indirizzo legislativo rispetto all’intervento economico pubblico in funzione agevolativa degli investimenti privati, deve pertanto essere considerato un rischio imputabile all’amministrazione quando la sopravvenienza normativa non avrebbe avuto rilievo se i tempi del procedimento autorizzativo fossero stati rispettati.

Il principio di diritto

L’Adunanza Plenaria formula i seguenti principi di diritto:

  1. la responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi, sia da illegittimità provvedimentale sia da inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, ha natura di responsabilità da fatto illecito aquiliano e non già di responsabilità da inadempimento contrattuale;

è pertanto necessario accertare che vi sia stata la lesione di un bene della vita, mentre per la quantificazione delle conseguenze risarcibili si applicano, in virtù dell’art. 2056 cod. civ. –da ritenere espressione di un principio generale dell’ordinamento- i criteri limitativi della consequenzialità immediata e diretta e dell’evitabilità con l’ordinaria diligenza del danneggiato, di cui agli artt. 1223 e 1227 cod. civ.; e non anche il criterio della prevedibilità del danno previsto dall’art. 1225 cod. civ.;

b) con riferimento al periodo temporale nel quale hanno avuto vigenza le disposizioni sui relativi benefici, è in astratto ravvisabile il nesso di consequenzialità immediata e diretta tra la ritardata conclusione del procedimento autorizzativo ex art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003 e il mancato accesso agli incentivi tariffari connessi alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili quando la mancata ammissione al regime incentivante sia stato determinato da un divieto normativo sopravvenuto che non sarebbe stato applicabile se i termini del procedimento fossero stati rispettati;

c) con riferimento al periodo successivo alla sopravvenienza normativa, occorre stabilire se le erogazioni sarebbero comunque cessate, per la sopravvenuta abrogazione della normativa sugli incentivi, nel qual caso il pregiudizio è riconducibile alla sopravvenienza legislativa e non più imputabile all’amministrazione, oppure se l’interessato avrebbe comunque avuto diritto a mantenere il regime agevolativo, in quanto la legge, per esempio, faccia chiaramente salvi, e sottratti quindi all’abrogazione, gli incentivi già in corso di erogazione e fino al termine finale originariamente stabilito per gli stessi;

d) in ogni caso, il danno va liquidato secondo i criteri di determinazione del danno da perdita di chance, ivi compreso il ricorso alla liquidazione equitativa, e non può equivalere a quanto l’impresa istante avrebbe lucrato se avesse svolto l’attività nei tempi pregiudicati dal ritardo dell’amministrazione.

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Dott.ssa Laura Facondini

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