L’ambiente: bene oggetto di protezione giuridica autonoma
In primo luogo, il Consiglio di Stato affronta la questione attinente alla possibilità di configurare la condotta di inquinamento ambientale, realizzata prima dell’introduzione della bonifica dei siti inquinati nell’ordinamento, quale fonte di responsabilità per il suo autore.
L’inquinamento, nel caso sottoposto al Collegio, è infatti antecedente al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n.22, il quale ha introdotto la disciplina della bonifica.
Tuttavia, anche prima che nell’ordinamento venisse introdotta la bonifica, l’inquinamento ambientale era considerato un fatto illecito. Negli anni Settanta del secolo scorso emerge in dottrina la tutela del bene giuridico ambiente e in giurisprudenza viene tutelato attraverso la responsabilità ex art. 2043 c.c. per poi essere trasposto nella legge 8 luglio 1986 n. 349.
Tuttavia la fonte genetica della sua tutela è stata individuata “direttamente nella Costituzione, considerata dinamicamente, come diritto vigente e vivente, attraverso il combinato disposto di quelle disposizioni che concernono l’individuo e la collettività nel suo habitat economico, sociale, ambientale” (cfr. Cass.civ. III, 19 giugno 1996, n.5650 sul disastro del Vajont).
Il danno all’ambiente risarcibile ai sensi dell’art. 18 della legge n. 349 del 1986 è risarcibile attraverso una somma di denaro.
Pertanto, il Consiglio di Stato afferma che anche prima che venisse introdotto l’istituto della bonifica nel 1997 il danno all’ambiente costituiva illecito civile.
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Rapporti tra illecito e bonifica alla luce di una comune funzione ripristinatoria-reintegratoria
In seguito, il Consiglio di Stato affronta la questione riguardante i rapporti tra l’illecito e la bonifica risolvendo il quesito sulla possibilità di ordinare la bonifica per fatti avvenuti prima della sua entrata in vigore.
I due istituti non si pongono in discontinuità. Hanno, in vero una comune funzione ripristinatoria-reintegratoria.
Le misure introdotte nel 1997 ed ora disciplinate nel codice dell’ambiente del 2006 hanno la finalità di salvaguardare il bene giuridico ambiente rispetto a pericoli o danni e non hanno alcuna funzione sanzionatoria-punitiva.
Proprio in forza della comune funzione ripristinatoria-reintegratoria il Consiglio di Stato afferma la possibilità di ordinare la bonifica per fenomeni di inquinamento risalenti alla sua introduzione nell’ordinamento giuridico.
La bonifica può essere ordinata a condizione che vi sia una situazione di inquinamento ambientale e che possa essere rimossa dal soggetto responsabile, il quale, potendovi provvedere, rimane soggetto agli obblighi conseguenti alla sua condotta illecita, per tutto il periodo e secondo la successione di norme di legge intervenute.
Trasmissione degli obblighi e delle responsabilità derivanti dalla condotta illecita per effetto di operazioni societarie straordinarie.
Infine, il Consiglio di Stato affronta la questione circa la trasmissibilità, per effetto di operazioni societarie straordinarie, degli obblighi e delle responsabilità derivanti dalla condotta illecita.
Il danno all’ambiente è inquadrabile nella fattispecie generale di illecito civile ai sensi dell’articolo 2043 c.c.
Il danno all’ambiente ha natura di illecito permanente, pertanto il relativo responsabile è soggetto agli obblighi, risarcitori, di reintegrazione o ripristino dello stato dei luoghi.
Se la situazione di danno all’ambiente si protrae in un arco di tempo in cui per effetto della successione di norme di legge al rimedio risarcitorio si aggiunge la bonifica è possibile ordinare la bonifica anche ad un soggetto che sia subentrato al soggetto che ha commesso la condotta fonte del danno.
Nel caso sottoposto all’esame della Plenaria il subentro avviene per effetto di fusione per incorporazione, come disciplinata nel regime previgente alla riforma del diritto societario.
Tale forma di subentro viene riconosciuta dal collegio.
Pertanto, il Consiglio di stato, Adunanza Plenaria n. 10 del 22 ottobre 2019 afferma il seguente principio di diritto “la bonifica del sito inquinato può essere ordinata anche a carico di una società non responsabile dell’inquinamento ma che sia ad essa subentrata per effetto di fusione per incorporazione, in base alla disciplina previgente alla riforma del diritto societario, e per condotte antecedenti a quando la bonifica è stata introdotta nell’ordinamento, i cui effetti dannosi permangano al momento dell’adozione del provvedimento”.
Leggi anche:”I principi che presiedono alla tutela ambientale in ambito nazionale e comunitario”
Il principio del Chi inquina paga
La prevenzione e la riparazione del danno ambientale costituiscono attuazione del principio di matrice europea “chi inquina paga”, secondo il quale il soggetto la cui attività ha causato un danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno è considerato finanziariamente responsabile.
Il principio del chi inquina paga traduce in costi l’utilizzo delle risorse naturali. Tale principio si pone come scopo quello di disincentivare lo svolgimento di attività ed i comportamenti dannosi per l’ambiente in un’ottica non solo ripristinatoria ma attraverso una incidenza preventiva.
Secondo la Corte costituzionale del 31 dicembre 1987, n. 641 l’ambiente “si presta a essere valutato in termini economici e può ad esso attribuirsi un prezzo”.
L’illecito ambientale ha una funzione riparatoria estesa peraltro a tutti i costi necessari per ripristinare il complessivo pregiudizio inferto all’ecosistema naturale.
Il nesso di causalità nella responsabilità ambientale
L’orientamento consolidato della giurisprudenza nazionale ed eurounitaria relativo alla responsabilità ambientale prevede che in materia di misure di riparazione ambientale è necessario almeno l’accertamento della esistenza di un nesso di causalità tra l’attività degli operatori cui sono dirette le misure di riparazione e l’inquinamento di cui trattasi.
In particolare la Corte di giustizia dell’Unione Europea Sez. III, 4 marzo 2015, n. 534/13 afferma che “a non tutte le forme di danno ambientale può essere posto rimedio attraverso la responsabilità civile. Affinché quest’ultima sia efficace è necessario che vi siano uno o più inquinatori individuabili, il danno dovrebbe essere concreto e quantificabile e si dovrebbero accertare nessi causali tra il danno e gli inquinatori individuati. La responsabilità civile non è quindi uno strumento adatto per trattare l’inquinamento a carattere diffuso e generale nei casi in cui sia impossibile collegare gli effetti ambientali negativi a atti o omissioni di taluni singoli soggetti”.
Al riguardo il Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 gennaio 2017, n. 1261; n. 1260, con riferimento alla responsabilità del proprietario dell’area estraneo all’inquinamento, ha affermato che “al di là dell’evoluzione subita dal sistema di responsabilità civile in direzione del progressivo abbandono dei criteri di imputazione fondati sulla sola colpa, poiché nel sistema di responsabilità civile rimane centrale, pure nei casi che prescindono dall’elemento soggettivo, la necessità di accertare comunque il rapporto di causalità tra la condotta e il danno, non potendo rispondere a titolo di illecito civile colui al quale non sia imputabile l’evento lesivo neppure sotto il profilo oggettivo.
Pertanto, per poter affermare la responsabilità di taluno per danno ambientale occorre provare che sussista il nesso di causalità tra la condotta ed il danno. Tuttavia, si può notare nella sentenza in commento come il nesso di causalità finisca per dilatarsi fino a ricomprendere soggetti che non hanno posto in essere la condotta. Questo è possibile in quanto il danno ambientale risarcibile ha natura di danno permanente. La condotta quindi continua a protrarsi anche quando l’attività che ha causato il danno sia cessata. Il cessare della condotta inquinante non coincide dunque con la rimozione delle conseguenze dannose.
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