Quando una coppia legittima o di fatto si disgrega, uno degli aspetti più urgenti e cruciali che si pone è quello di definire le responsabilità genitoriali nei confronti dei figli minori e stabilire il regime di affidamento più consono nel rispetto dell’interesse superiore della prole.
La decisione sull’affido dei figli rappresenta anche la questione più delicata su cui il giudice, in assenza di accordo fra le parti, è chiamato a pronunciarsi al momento della cessazione della convivenza dei genitori. Sono più d’una, infatti, le possibilità che la legge contempla a riguardo e tra le varie soluzioni il nostro ordinamento giuridico dispone , in via preferenziale, l’affidamento condiviso dei figli con contestuale collocamento paritario (o paritetico) presso entrambi i genitori.
In via residuale, ove non sia percorribile la strada dell’affidamento condiviso, il nostro ordinamento prospetta altre forme di affido: l’affidamento congiunto (di cui l’affido condiviso rappresenta oggi un’evoluzione) e, in casi sporadici, l’affidamento esclusivo ad un solo genitore. Vediamo sinteticamente i profili ed i presupposti applicativi di ciascuno.
Si approfondisca con :”L’affidamento dei figli minori in seguito alla separazione dei genitori”
L’affidamento esclusivo
Una prima soluzione prospettata dal nostro legislatore è stata quella dell’affidamento esclusivo che ha costituito la regola fino alla riforma del 2006 [1] . In mancanza di accordo fra i coniugi la scelta relativa alla modalità di affidamento sarà rimessa al giudice competente (Tribunale dei minori o Tribunale ordinario) che, in determinati frangenti, potrà ritenere l’affidamento esclusivo l’unica strada percorribile per salvaguardare l’interesse prevalente del figlio minore. Con tale tipo di affidamento la responsabilità sui figli viene attribuita in via esclusiva al genitore affidatario, il quale dovrà comunque consentire all’altro genitore di esercitare verso i figli tutti i diritti che gli sono riconosciuti in virtù della potestà genitoriale. Al genitore non affidatario compete altresì l’obbligo di contribuire, secondo quanto disposto giudizialmente, al mantenimento, istruzione ed educazione della prole. L’ affidamento esclusivo si applica come extrema ratio nei casi limite in cui uno dei due genitori non sia idoneo a crescere ed educare i figli al punto che, una eventuale convivenza con essi, andrebbe a turbarne la stabilità emotiva ed impedirne lo sviluppo sereno. La giurisprudenza ha individuato alcuni presupposti che configurano in concreto la mancanza di idoneità all’esercizio della potestà genitoriale: la sistematica assenza del genitore nella vita dei figli, le manifeste difficoltà nel relazionarsi affettivamente con essi, l’alcolismo o la dipendenza da sostanze tossiche, la presenza di condanne penali, la tendenza a manipolare psicologicamente il figlio per metterlo contro l’altro genitore. Di sicuro, un genitore sarà ritenuto non idoneo all’esercizio della potestà sui figli quando assuma condotte violente nei loro confronti o verso l’altro coniuge in loro presenza e, naturalmente, tutte le volte che sia il figlio stesso a rifiutare ogni rapporto con quel genitore. In ogni caso, è necessario, dimostrare in concreto la sussistenza effettiva dell’incapacità a rivestire il ruolo genitoriale e che la strada dell’affidamento congiunto non sia percorribile in quanto la convivenza con uno dei due genitori arriverebbe a nuocere al benessere dei figli.
Affidamento congiunto o alternativo
All’interno della legge sul divorzio, risalente agli anni Settanta, fu prevista un’ulteriore modalità di affidamento definita “affidamento congiunto o alternato” [2]. Si tratta di una soluzione ormai quasi del tutto superata perché rimpiazzata dal successivo affido condiviso con collocazione paritaria. L’affido congiunto prevede che entrambi i genitori conservino la tutela dei figli e prendano le decisioni in un regime di totale cooperazione . Tale opzione di affido, tuttavia, risulta scarsamente praticabile, in quanto non sempre è possibile per i genitori decidere simultaneamente, nello stesso luogo e momento, le scelte che soddisfino l’interesse primario dei figli. L’affidamento congiunto viene generalmente disposto dal giudice laddove il rapporto fra i due genitori sia caratterizzato da un’eccessiva conflittualità, tale per cui divenga difficile concordare separatamente una pianificazione equilibrata della gestione dei figli.
L’affido condiviso con collocazione paritaria
A partire dal 2006 il nostro ordinamento giuridico ha operato una svolta decisiva nella regolamentazione dell’affido dei figli minori [3]. Si è giunti infatti a considerare quella dell’affido condiviso con collocazione paritaria la soluzione più idonea e proficua per il benessere dei figli delle coppie divise. Secondo tale modalità di affido, i genitori conservano entrambi la responsabilità sui figli ed esercitano contemporaneamente la loro potestà genitoriale su di essi; i figli, dal canto loro, hanno il diritto di vivere in modo alternato presso ciascun genitore, stabilendo un rapporto equilibrato nei confronti di entrambi. L’affido condiviso può essere esercitato anche “disgiuntamente”, nel senso che è possibile stabilire che ognuno dei due genitori sarà responsabile totalmente quando il figlio si trovi con lui.
E’ questa la collocazione paritaria, strumento che permette di salvaguardare il maggior interesse dei figli realizzando a pieno quello che, anche nelle leggi europee in materia, viene denominato principio della “bigenitorialità”. Con tale termine si designa una ripartizione equa delle responsabilità da parte di entrambi i genitori, che riusciranno ad intrattenere regolarmente contatti diretti con i propri figli, assicurando loro una presenza costante nel loro habitat familiare. Sul punto, la Suprema Corte ha chiarito che l’affidamento condiviso del figlio minore a entrambi i genitori non impedisce il collocamento stabile presso uno dei genitori e non esclude che venga in seguito concordato uno specifico regime di frequentazione per il genitore non collocatario [4]. Ciò a cui si mira è garantire al figlio il libero accesso ad entrambi i genitori e provvedere ad assicurargli il più possibile un punto di riferimento stabile come centro dei propri legami affettivi. L’affidamento condiviso prevede che al mantenimento dei figli non si debba necessariamente provvedere attraverso la corresponsione mensile del relativo assegno (spesso frutto di tensioni e ulteriori litigi per il mancato o tardivo pagamento) piuttosto, toccherà di volta in volta al genitore convivente provvedere in via diretta a soddisfare le loro necessità economiche, dando così vita ad un “mantenimento paritetico alternato”. L’affido condiviso assicura, dunque, una potestà genitoriale paritetica, secondo cui ciascun genitore provvede direttamente ai bisogni primari della prole fornendo il proprio contributo educativo e assistenziale.
Di particolare interesse è l’ affido condiviso c.d “alternato con collocamento invariato della prole”, che negli ultimi anni la giurisprudenza ha spesso incoraggiato.
In base a tale modalità di affido, saranno i genitori, e non i figli, a doversi spostare a turno presso la casa familiare, che resterà dimora stabile per i figli e loro unico punto di riferimento abitativo. I vantaggi connessi a tale soluzione sono numerosi, in quanto i figli vivono stabilmente nello stesso ambiente domestico originale, senza dover cambiare di continuo spostandosi periodicamente presso il domicilio dell’uno o l’altro genitore.
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Note
[1] Art 337-quater cod civ
[2] Art 6 co.2 Legge N. 898/1970
[3] Legge N. 54/2006 e, successivamente, D.Lgs 154/2013
[4] Cass. 26 luglio 2013, n. 1831, Cass. 20 gennaio 2012, n. 785
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