Precedenti giurisprudenziali: nessuno
La vicenda
La vicenda prendeva l’avvio quando i condomini di un caseggiato decidevano di sciogliere il condominio e far nascere due caseggiati.
Tale operazione è ammessa dal codice civile secondo cui qualora un edificio o un gruppo di edifici si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, il condominio può essere sciolto e i comproprietari di ciascuna parte possono costituirsi in condominio separato (art. 61 disp. att. c.c.).
Lo scioglimento può essere disposto dall’autorità giudiziaria su domanda di almeno un terzo dei comproprietari di quella parte dell’edificio della quale si chiede la separazione o – come è avvenuto in questo caso – deliberato dall’assemblea con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio (secondo comma 1136 c.c.).
La delibera era stata impugnata censurando, tra l’altro, il difetto di quorum considerato che, nonostante la presenza in assemblea, di persona o per delega, di tutti i parteciparti al condominio, la delibera aveva ottenuto il favore di poco più della metà del valore millesimale dell’edificio.
Alcuni condomini, però, impugnavano tale delibera davanti al tribunale, ritenendola invalida in quanto era stata approvata con il voto favorevole espresso dall’amministratore, delegato da un condomino, in base alla quale aveva espresso il voto a favore dello scioglimento.
In particolare secondo gli attori era stato violato l’articolo 67 disp. att. c.c., (modificato dalla riforma del condominio), che vieta ai condomini di conferire delega all’amministratore per la partecipazione a qualunque assemblea.
Il condominio si difendeva notando come il divieto dell’articolo 67 disp. att. c.c. non era stato violato in quanto l’amministratore rivestiva anche la qualità di condomino; in altre parole secondo la collettività condominiale l’amministratore aveva votato come partecipante al condominio e nel rispetto del diritto di ogni condomino di intervenire in assemblea anche a mezzo di un proprio rappresentante.
La questione
Il divieto di conferire delega all’amministratore per partecipare all’assemblea vale anche se quest’ultimo è condomino dello stabile che amministra, in quanto proprietario di un’unità immobiliare?
La soluzione
Il tribunale ha messo in rilievo come, per effetto della riforma adottata con la legge n.220/2012, il conferimento di deleghe di voto in assemblea all’amministratore è stato in ogni caso e senza eccezioni vietato dall’art. 67, quarto comma, disp. att. c.c. (“all’amministratore non possono essere conferite deleghe per la partecipazione a qualunque assemblea”).
Del resto il tribunale sottolinea come l’amministratore – che tiene la contabilità annuale, esegue le delibere assembleari, riscuote i contributi ed eroga le spese per la manutenzione ordinaria delle cose comuni e i servizi comuni, disciplinando l’uso delle une e degli altri, e, infine, compie gli atti conservativi delle parti comuni dell’edificio – qualora votasse nelle stesse assemblee che lo controllano alle quali deve rispondere del proprio operato – si verrebbe, anche solo potenzialmente, a trovare in una situazione di conflitto.
Di conseguenza, secondo lo stesso giudice, il divieto assoluto di delega vale anche quando è condomino del caseggiato che gestisce, poiché non si comprenderebbe affatto per quale motivo il possesso accidentale, anche di una tale qualità, risulti idoneo a rimuovere, in capo all’amministratore medesimo, le ragioni di incompatibilità (e di “prevenzione”).
Leggi:”Compiti tradizionali dell’amministratore condominiale”
Le riflessioni conclusive
Il conflitto di interessi è quella situazione conflittuale, anche potenziale, nella quale ciascun condomino può trovarsi in relazione alla gestione del condominio.
In particolare sussiste il conflitto di interessi qualora ricorra, e sia dimostrabile in concreto, una sicura divergenza tra specifiche ragioni personali di determinati singoli condomini, il cui voto abbia concorso a determinare la necessaria maggioranza, ed un uguale specifico contrario interesse del condominio (così ad esempio, Cass. civ., sez. II, 16/05/2011, n. 10754).
Dunque, se il condomino impugna la delibera avrà l’onere di provare:
1) l’esistenza del conflitto d’interesse;
2) che il voto del condomino in conflitto è stato determinante per l’approvazione della delibera impugnata;
3) che la delibera impugnata gli ha recato un danno.
È possibile che la situazione di conflitto riguardi il soggetto delegato.
A tale proposito non vi è dubbio che una delle ipotesi, in cui maggiormente si erano verificate situazioni di conflitto d’interessi, riguardava la delega conferita da uno o più condòmini all’amministratore del condominio.
Secondo una recente sentenza – che però affronta una situazione verificatasi prima della riforma del condomino del 2012 – il conflitto d’interesse appare configurarsi soltanto se l’amministratore non esprime esattamente la volontà del delegante, il quale unico potrà lamentarsi (Cass. civ., sez. II, 22/1/2019, n. 1662).
È stato anche affermato che se il delegato risulta in conflitto di interessi con il condominio, la sua situazione di conflitto non si estende al delegante solo se quest’ultimo era a conoscenza di tale situazione e, nel conferire il mandato, abbia ritenuto il proprio interesse conforme a quello del delegato.
In tal modo non sarebbe in conflitto di interessi il condomino che delega il condomino-amministratore a rappresentarlo in un’assemblea avente ad oggetto la nomina dell’amministratore stesso (Cass. civ., sez. II, 25/11/2004, n. 22234).
Secondo un’opinione bisognava comunque distinguere, a seconda dell’oggetto della deliberazione, ammettendo, di regola, la delega da parte del condomino all’amministratore, ma negando a quest’ultimo il diritto di voto allorché ne sia in discussione l’operato e, in particolare, il rendiconto della sua gestione o la sua riconferma.
Queste decisioni sono in aperto contrasto con il nuovo comma 5 del citato articolo 67 (introdotto dalla legge 220/2012) che dispone il divieto assoluto di delega all’amministratore, così risolvendo il problema alla radice.
La norma prevede un divieto per l’amministratore la cui portata abbraccia ogni tipo di riunione assembleare.
Ne consegue che l’amministratore, indipendentemente dagli argomenti posti all’ordine del giorno dell’adunanza assembleare, dovrà inderogabilmente astenersi dal farsi rilasciare deleghe da uno o più condomini al fine di intervenire ed esprimere come delegato il voto in assemblea.
La norma – che è di carattere inderogabile (non può essere modificata neppure da una clausola di natura contrattuale del regolamento di condominio) – pone un divieto assoluto, eliminando in radice una questione di estrema rilevanza, cioè quella di accertare, ai fini dell’eventuale impugnazione, caso per caso, avuto riguardo all’oggetto del deliberato assembleare, se l’amministratore, in veste di rappresentante, possa o meno trovarsi, in sede di intervento e voto in assemblea, in una posizione di conflitto di interessi con il condominio amministrato.
Se il divieto è violato, la relativa delibera è annullabile e impugnabile ai sensi dell’articolo 1137 c.c.
Il condomino che agisce per l’annullamento dovrà, però, dimostrare che la delibera è stata illegittimamente votata dall’amministratore e tale voto è stato determinante per l’approvazione.
Non è più necessario, invece, dimostrare la situazione di conflitto, in quando l’invalidità è legata esclusivamente alla violazione del divieto di delega.
La norma, non dovrebbe consentire la possibilità di conferire la delega ad un collaboratore dell’amministratore, in quanto data l’oggettiva condizione di subordinazione del delegato, può rivelarsi nulla e, quindi, improduttiva di effetti in quanto conferita “in frode alla legge” risolvendosi nell’impiego di un negozio di per sé lecito per realizzare mediatamente un fine vietato da una norma imperativa.
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