L’ammissione del condannato in istituto: in particolare, il problema dell’isolamento.

Redazione 27/08/00
di Fabio Fiorentin
Qui l’indirizzo email di f.fiorentin@dirittopenitenziario.it

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Il momento in cui il condannato fa ingresso nell’istituto penitenziario per esservi ammesso ad espiare la pena inflitta costituisce spesso – e specialmente per i c.d. delinquenti primari – un passaggio quantomai drammatico e traumatico, poiché comporta, oltre alla privazione della libertà e alla deprivazione dei normali contatti sociali ed affettivi, l’immissione del soggetto in un “universo” retto da principi, regole e prassi del tutto peculiari e difformi rispetto alla regole dell’ambiente libero.

L’ingresso del condannato nell’istituto di pena è regolamentato dall’art.22 del D.P.R. 230/00 (R.O.P)[1].

E’ curioso notare come la legge n.354/75 non se ne occupi espressamente, mentre dedica un apposito articolo ( l’art. 43 O.P.) alla dimissione dal carcere del condannato che ha espiato la pena.

E’ forse possibile leggere questa “dimenticanza” del legislatore del 1975 nell’ottica della particolare attenzione – tipica di quegli iniziali approcci riformatori – ai problemi di destrutturazione e disadattamento sociale causati dalla detenzione di talché, più che a disciplinare le modalità del condannato in carcere, il legislatore del 1975 ha ritenuto opportuno regolare espressamente i doveri dell’amministrazione penitenziaria nei confronti del condannato prossimo al fine pena, per garantire a quest’ultimo un impatto il meno traumatico possibile con l’ambiente libero.

Competente ad autorizzare l’ingresso di soggetti a fini di sottoposizione ad esecuzione di sanzioni penali è la direzione dell’istituto penitenziario.

La direzione deve ricevere i seguenti soggetti:

1) le persone indicate nell’art. 94 disp.att. c.p.p., e cioè:

– persone destinatarie di un provvedimento restrittivo dell’autorità giudiziaria o di un avviso di consegna da parte di un ufficiale di polizia giudiziaria;

– persone che si presentino in istituto dichiarando di aver commesso un reato per il quale è obbligatorio l’arresto in flagranza;

– persone latitanti che si siano sottratte all’esecuzione della custodia cautelare, di evasi o di condannati in via definitiva che non siano in grado di produrre copia dell’ordine di esecuzione;

2) le persone che si costituiscono dichiarando che ciò fanno per dare esecuzione ad un provvedimento da cui consegue la privazione dello stato di libertà;

Un problema che frequentemente si pone all’atto dell’ammissione del soggetto in istituto è rappresentato dalle eventuali disposizioni sull’isolamento[2] del soggetto, ovvero dall’assenza di disposizioni in tal senso da parte della competente autorità (a es. nel caso di costituzione spontanea della persona).

La tematica dell’isolamento dei detenuti è, infatti, particolarmente delicata, poiché è evidente che la separazione coattiva di un recluso dalla comunità dei detenuti confligge tanto con le regole del trattamento penitenziario (che prevedono la possibilità della vita in comune dei detenuti, quantomeno all’interno della stessa sezione del penitenziario: c.d. “regime delle celle aperte”), quanto soprattutto con le finalità del trattamento rieducativo, la cui efficacia risente inevitabilmente delle condizioni di detenzione dei soggetti nei cui confronti è diretto.

Ben consapevole di tali aspetti di attenzione, il legislatore della Riforma dell’ordinamento penitenziario ha dedicato un articolo della legge (art.33 O.P.) alla disciplina dei casi tassativi[3] nei quali può procedersi all’isolamento di persone detenute.

E’, infatti, previsto che l’isolamento è ammesso:

1) quando è prescritto per ragioni sanitarie:in particolare, l’art.73 R.O.P. prevede che la misura sia disposta su prescrizione del medico dell’istituto in caso di malattia contagiosa. Secondo unanime dottrina, la misura ha natura amministrativa, con ogni conseguenza, dunque, in tema di competenza giudiziaria ai fini di un’eventuale impugnabilità;

2) per motivi disciplinari (esecuzione della sanzione disciplinare dell’esclusione dalle attività in comune): la legge prevede tuttavia particolari cautele per l’esecuzione della sanzione e la sospensione di questa in casi particolari (art.39 O.P.);

3) per ragioni di giustizia: viene in particolare luce la figura della persona sottoposta a misura cautelare personale. In tale caso, la legge processuale impone tuttavia che l’isolamento sia disposto espressamente dall’autorità giudiziaria che dispone la misura, e che la cautela dell’isolamento sia finalizzata alle esigenze cautelari del caso concreto (es. inquinamento delle prove). E’ senz’altro doveroso che il provvedimento dell’autorità giudiziaria contenga espressamente tutte le indicazioni in tema di modalità, limiti, e durata dell’isolamento. In difetto, la direzione dell’istituto potrà richiedere al giudice l’integrazione del provvedimento (art.22 commi 5 e 6 R.O.P.);

Alle sopra citate ipotesi devono inoltre aggiungersi:

4) l’isolamento previsto dagli artt.72 e 184 c.p. che prevedono l’isolamento diurno del condannato all’ergastolo quale sanzione accessoria e aggravante della pena dell’ergastolo[4]: è evidente che tale sanzione accessoria difficilmente si sottrae a dubbi di costituzionalità, alla luce della disposizione dell’art.27 comma 3 Cost., a mente della quale la finalità rieducativa (frustrata dalla sottoposizione all’isolamento diurno) dovrebbe prevalere sulle esigenze retributive (appagate dall’applicazione al condannato all’ergastolo di modalità di espiazione della pena particolarmente afflittive)[5];

5) l’isolamento con funzioni di protezione del detenuto, per sottrarre il recluso ad aggressioni da parte degli altri compagni di detenzione: è da ritenersi che, stante la tassatività delle ipotesi di isolamento contemplate dall’ordinamento, sia ipotizzabile soltanto una forma di isolamento attuata con il consenso dell’interessato potenziale vittima di atti aggressivi da parte di altri reclusi (c.d. isolamento volontario).

Problematica appare la compatibilità del regime dell’isolamento con la permanenza dei diritti attribuiti alla persona detenuta. Invero, le limitazioni alle facoltà del detenuto soggetto all’isolamento non sono precisate dal legislatore, che ha – di fatto – rilasciato una sorta di delega “in bianco” ai regolamenti dei singoli istituti penitenziari (con evidenti possibilità di arbitrii e disuguaglianze tra diversi istituti).

In linea di principio, è possibile però affermare che sia illegittima la compressione di diritti o facoltà che non sia funzionale alla tutela degli scopi per i quali è stabilito, nel singolo caso, l’isolamento(KOSTORIS).

L’eventuale violazione del succitato principio può essere fatta valere con reclamo avanti al magistrato di sorveglianza, ai sensi della previsione generale di cui all’art.69 commi 2 e 5 O.P.

Nei confronti delle modalità concrete con cui è disposto l’isolamento sono inoltre esperibili le impugnazioni previste – nel caso di ordinanza di custodia cautelare – dagli artt.309, 310,311 c.p.p., ed è altresì ipotizzabile il ricorso alla Commissione europea (art.3 Conv. Europea Diritti dell’Uomo)[6].

E’ opportuno ricordare che, in via generale, la direzione dell’istituto non potrà ricevere in istituto persone nei cui confronti non sono stati ancora emessi dall’autorità giudiziaria provvedimenti restrittivi della libertà personale.

Pertanto, in tutti i casi di presentazione spontanea di soggetti ancora formalmente liberi, la direzione solleciterà l’emissione del provvedimento di competenza da parte dell’autorità giudiziaria.

Le modalità dell’ingresso in istituto sono accuratamente disciplinate dall’art.23 R.O.P.. In particolare il nuovo giunto deve essere:

1) perquisito dal personale di polizia penitenziaria;

2) informato della possibilità di comunicare il proprio ingresso in istituto ai sensi dell’art.62 R.O.P.;

3) sottoposto a rilievi dattiloscopici;

4) sottoposto a visita medica, anche al fine di rilevare eventuali situazioni di incompatibilità con lo stato di detenzione ed attivare d’ufficio la procedura di cui agli artt. 684 c.p.p. e 146,147 c.p.;

5) sottoposto al c.d. “colloquio di primo ingresso” con un operatore dell’area trattamentale del carcere, con le modalità ed i fini di cui all’art.23 comma 3 R.O.P.;

6) sottoposto a colloquio con il direttore o un operatore da lui delegato per gli adempimenti di cui all’art.23 comma 5 R.O.P.: significativa la previsione della norma citata in ordine la diritto del nuovo giunto a ricevere un estratto del regolamento dell’istituto e informazioni sulla possibilità di accedere a misure alternative alla detenzione ovvero ad altri benefici penitenziari;

7) privato degli oggetti di cui al comma 8 dell’art.23 R.O.P.

Per ciascun detenuto è formata una cartella personale con i dati e le notizie di cui all’art.26 R.O.P.

La cartella personale è liberamente consultabile dal detenuto e dal difensore eventualmente nominato dall’interessato.

Fabio Fiorentin

Note:
[1] Si tratta del D.P.R. 30 giugno 2000, n.230, recante “norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà”.

[2] Deve chiarirsi che si tratta dell’isolamento diurno poiché l’isolamento notturno è piuttosto da considerarsi un privilegio accordato in quanto possibile ai detenuti che lo richiedano e addirittura un vero e proprio diritto per gli imputati, “a meno che la situazione particolare dell’istituto non lo consenta”(art.6 O.P.).

[3] La tassatività dei casi di isolamento è tesi quasi unanime in dottrina. Peraltro, anche la lettera dell’art.73 comma 8 R.O.P. pare offrire un ulteriore argomento in favore dell’eccezionalità dei casi nei quali può essere disposto l’isolamento.

[4]Il testo dell’art.72 c.p. è il seguente:”Al colpevole di più delitti, ciascuno dei quali importa la pena dell’ergastolo, si applica la detta pena con l’isolamento diurno da sei mesi a tre anni. Nel caso di concorso di un delitto che importa la pena dell’ergastolo con uno o più delitti che importano pene detentive temporanee per un tempo complessivo superiore a cinque anni, si applica la pena dell’ergastolo con l’isolamento diurno per un periodo di tempo da due a diciotto mesi. L’ergastolano condannato all’isolamento diurno partecipa all’attività lavorativa”.

In tema di isolamento diurno cfr. Cass., 1 , 14.04.93, n.780

IMP. Asero PM. (Conf.)

L’isolamento diurno previsto, in aggiunta alla pena dell’ergastolo, nei casi ivi contemplati, dall’art. 72 cod.pen. é una vera e propria sanzione penale e non una modalità di esecuzione della pena. É pertanto da escludere che esso sia stato abrogato, ai sensi dell’art. 89 della legge 26 luglio 1975 n. 354 (cosiddetto “ordinamento penitenziario”) per incompatibilità con le disposizioni dettate da detta legge in materia di trattamento penitenziario.(in CED).

[5] Evidentemente influenzato dalla polemica sulla compatibilità costituzionale dell’isolamento diurno dei condannati all’ergastolo, il legislatore del R.O.P. ha previsto esplicitamente alcune deroghe al regime di isolamento (art.73 comma 4 R.O.P.).

[6] L’art.3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificaco con legge 4 agosto 1955, n.848 recita:”nessuno può essere sottoposoto a torture o pene inumane o degradanti”.

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