L’arbitrato nelle controversie immobiliari

Scarica PDF Stampa
1. Arbitrato e mediazione nelle controversie immobiliari.
Nella maggior parte delle controversie in materia immobiliare è prevista la obbligatorietà della mediazione che è quindi condizione di procedibilità per l’esperimento dell’azione giudiziaria (condominio, diritti reali, divisioni, successioni ereditarie, locazione, comodato, affitto di azienda – art.5 d.lgs. n.28/10).
Il primo problema che si pone, è quello di stabilire se la mediazione è obbligatoria ed è, quindi, condizione di procedibilità anche con riferimento all’instaurazione del procedimento arbitrale nelle controversie immobiliari in presenza di una clausola compromissoria ovvero di una convenzione di arbitrato.
La lettera della norma è già chiara nella formulazione del comma 1 in cui è previsto espressamente che “l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale”.
La stessa formulazione ritroviamo nel comma 1 bis della norma, introdotto dal decreto legge n.69/2013, convertito dalla legge n.98/2013, e recentemente modificato dal decreto legge n.50/2017, convertito dalla
legge n.96/2017, che ha praticamente perpetuato l’obbligatorietà della mediazione.
L’esclusione della mediazione come condizione di procedibilità per l’arbitrato si rinviene anche dal testo vigente dell’art. 5, Dlgs 28/2010 che, rispetto allo schema approvato alla fine di ottobre 2009 dal Consiglio dei Ministri non prevede il comma 7 in cui era previsto che “le disposizioni che precedono si applicano anche ai procedimenti davanti agli arbitri, in quanto compatibili”.

La ratio deflattiva del tentativo obbligatorio peraltro non si giustificherebbe ponendo una condizione di procedibilità dell’azione in arbitrato, preso in considerazione dal legislatore anch’esso, come detto,
quale strumento deflattivo. Un altro argomento a sostegno di quanto innanzi argomentato si
rinviene dall’art. 13, comma 3, Dlgs 28/2010 che esclude espressamente l’applicazione all’arbitrato del regime delle spese del giudizio che segue ad un mancato accordo in mediazione (salvo diverso accordo delle parti).
E’ necessario, invece, esperire preventivamente la mediazione, nei casi in cui in uno statuto o in un contratto venga espressamente previsto il tentativo di conciliazione ed, in caso di esito negativo, l’espletamento
dell’arbitrato (si parla in questi casi di “clausola multistep”). L’ipotesi è espressamente disciplinata dall’art.5 co.5 del d.lgs. n.28/2010 in cui il legislatore, proprio per questa ipotesi tassativa, prevede che l’arbitro (alla stessa stregua del giudice), su eccezione di parte alla prima difesa, sospenda il procedimento ed assegni alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione.
Chiariti i rapporti tra mediazione ed arbitrato, l’art.808 c.p.c. prevede la possibilità per le parti di inserire nel contratto che disciplina il loro rapporto o in un atto separato, per iscritto, una clausola al fine
di impegnarsi in via preventiva, ad affidare ad arbitri la risoluzione delle eventuali controversie scaturenti dal contratto stesso.
Per i detrattori della mediazione obbligatoria, si può dire che l’arbitrato può essere un buona opportunità per evitarla.

Le controversie condominiali
Le liti condominiali tra condomini e tra amministratore e condomini.
Lo strumento arbitrale può essere utilizzato nella materia del condominio con riferimento sia alle liti condominiali che ai rapporti in cui il condominio è parte.
Le liti condominiali riguardano i rapporti interni tra i condomini e tra i condomini e l’amministratore.
In materia condominiale la clausola arbitrale deve essere oggetto di espressa pattuizione tra tutti i condomini, contenuta quindi in un regolamento condominiale di natura contrattuale (e non assembleare a
maggioranza).
Atteso che il regolamento contrattuale è un atto che si perfeziona con il consenso o l’accettazione unanime di tutti i partecipanti al condominio, indipendentemente dal fatto che l’iniziativa di predisporlo sia stata assunta dall’assemblea condominiale all’unanimità o dal costruttore-venditore, nulla vieta che possa contenere una clausola compromissoria al fine di devolvere ad arbitri la soluzione di eventuali
controversie condominiali.
Le controversie condominiali riguardano diritti disponibili e sono compromettibili in arbitri non rientrando in alcuno dei divieti di cui agli artt.806 e 808 c.p.c..
La fattispecie in cui ha avuto modo di esprimersi la giurisprudenza di legittimità in maniera più diffusa e approfondita è quella della impugnazione della delibera assembleare.
La Cassazione, da tempo ha affermato come lo stesso art. 1137, secondo comma, C.C. nel riconoscere ad ogni condomino dissenziente la facoltà di ricorrere all’autorità giudiziaria avverso le deliberazioni
dell’assemblea del condominio, non ponesse una riserva di competenza assoluta ed esclusiva del giudice ordinario e, quindi, non escludesse la compromettibilità in arbitri di tali controversie, le quali d’altronde, non
rientrano in alcuno dei divieti sanciti dagli artt. 806 e 808 c.p.c.
(Cassazione 05.06.1984 n.3406), superando il dato letterale della disposizione laddove si fa riferimento alla “autorità giudiziaria”.
La Suprema Corte ha confermato tale orientamento ripetutamente affermando che le controversie relative alla validità delle assemblee condominiali possono essere deferite ad arbitri (Cass. 05.11.2004 n.21172, Cass. 18.04.2003 n.6319, Cass.16.08.1993 n.8734).
La clausola compromissoria opera sia nel c.d. regolamento di condominio interno, vale a dire predisposto dai condomini e da essi sottoscritto all’unanimità, che nel c.d. regolamento di condominio esterno, vale a dire predisposto dal costruttore ed allegato ai rogiti notarili di acquisto.
In quest’ultimo caso può sorgere il dubbio se sia richiesta per la validità della clausola compromissoria la specifica approvazione per iscritto ai sensi dell’art.1341 C.C. o se, invece, sia sufficiente la semplice
sottoscrizione del regolamento o dell’atto di acquisto che lo richiama.
In giurisprudenza di merito si è sostenuto che la clausola inserita in un regolamento di condominio esterno si intende validamente accettata con l’atto di acquisto dell’immobile richiamante il regolamento medesimo
e non necessita di espressa approvazione (Trib. Torino 04.05.1984, in Arch. Locazioni, 1984).
Questa regola costituisce applicazione del più generale principio secondo cui il regolamento convenzionale di condominio, anche se non materialmente inserito nel testo delle compravendite dei singoli appartamenti del fabbricato condominiale, fa corpo con esso purchè espressamente richiamato ed approvato.
In tal caso le clausole del regolamento rientrano per relationem nei singoli contratti di acquisto.

Trattandosi di relatio perfecta, in quanto il richiamo nel contratto avviene ad opera di entrambi i contraenti, ne deriva che le singole clausole del regolamento restano fuori dalla previsione del comma 2 dell’art.1341 C.C. che, nel sancire la necessità di una specifica approvazione per iscritto di condizioni vessatorie, si riferisce alle sole clausole dei contratti per adesione od analoghe relative a contratti che risultano predisposti da una sola delle parti contraenti (Cass.30.07.1999 n.8279 in Arch. Locazioni, 2000, n.63; Cass. 14.01.1993 n.395 in Arch. Locazioni, 1993, n.532; Cass. 10.01.1986 n.73 in Arch.Locazioni, 1986, n.258).
Oggetto di discussione è il caso in cui ad uno degli originari acquirenti ne subentri un altro.
In caso di acquisto mortis causa nulla quaestio poiché il subentrante sarà vincolato alla clausola compromissoria stipulata dal suo dante causa in quanto, con l’accettazione dell’eredità, subentra ex lege nella stessa posizione giuridica del de cuius.
Cosa accade, invece, se all’originario acquirente ne subentra un altro a titolo particolare?
In dottrina (Branca) si sostiene che l’acquirente a titolo particolare non sarebbe vincolato alla clausola compromissoria stipulata dal venditore, succedendo nella titolarità del bene e non anche nella posizione
del venditore in ordine a negozi da questi stipulati con riferimento a tale bene che non comportino pattuizioni di natura reale opponibili ai terzi.
Secondo altro orientamento dottrinale (Terzago), l’acquirente a titolo particolare subentrerebbe al venditore anche riguardo alla clausola arbitrale:
a) per gli effetti della trascrizione;
b) per il vincolo della clausola compromissoria nei confronti dei terzi acquirenti, indipendentemente dalla trascrizione ma per effetto dell’esplicito richiamo nell’atto di acquisto al regolamento di condominio, di cui dimostra di esserne a conoscenza e di approvarne il contenuto;
c) per gli effetti dell’art.1107 C.C., applicabile al condominio in virtù del richiamo di cui all’art.1139 C.C., in mancanza di impugnazione del regolamento da parte dell’avente causa del singolo partecipante nel termine di trenta giorni.
La Cassazione sembra aver privilegiato questa seconda via. Infatti, la recente sentenza della Cassazione 20.03.2015 n.5657 ha ribadito, confermando precedenti decisioni che, anche indipendentemente
dalla trascrizione, le clausole del regolamento condominiale di natura contrattuale sono vincolanti per gli acquirenti dei singoli appartamenti qualora nell’atto di acquisto si sia fatto riferimento al regolamento di condominio, dimostrando di esserne a conoscenza e di accettarne il contenuto (cfr anche Cass. 31 luglio 2009 n. 17886; Cass. 3 luglio 2003 n. 10523).
D’altronde non si può non rilevare come la posizione dell’acquirente a titolo particolare non sia dissimile da quella del dante causa che ha acquistato dal costruttore semplicemente sottoscrivendo l’atto di acquisto
con il riferimento per relationem al regolamento di condominio così approvandolo nei contenuti, compresa la clausola compromissoria per la quale, come detto non è necessaria una specifica approvazione con
ulteriore sottoscrizione.
L’operatività della clausola compromissoria nel regolamento condominiale contrattuale viene riconosciuta ormai unanimemente anche dalla giurisprudenza di merito.

La recente sentenza del Tribunale di Milano n. 12843 del 16 novembre 2015 ribadisce che, se il regolamento contrattuale di un condominio lo prevede, le controversie che insorgono fra condomini o tra essi e l’amministratore, devono essere sottoposte al giudizio di uno o più arbitri e non a quello del giudice ordinario.
Il Tribunale di Milano ha dichiarato improponibile l’impugnativa assembleare avanzata da un condomino dinanzi all’autorità giudiziaria in presenza di espressa norma del regolamento di condominio contenente la
clausola arbitrale.
Anche il Tribunale di Taranto, con sentenza del 30.01.2014, ha ribadito che, in materia di impugnativa di delibere condominiali possa trovare applicazione la possibilità di deferire ad arbitri la relativa controversia.
Bisogna però tener presente il principio espresso dalla Suprema Corte nella sentenza del 30 ottobre 2007, numero 22841, secondo cui l’interpretazione della clausola arbitrale, contenuta in un regolamento
condominiale contrattuale, deve privilegiare la giurisdizione dell’autorità giudiziaria, senza dare luogo a interpolazioni del testo che portino a tutti i costi alla affermazione della giurisdizione arbitrale.
La Cassazione richiama la propria precedente giurisprudenza, per la quale, poiché il deferimento di una controversia al giudizio degli arbitri comporta una deroga alla giurisdizione del giudice ordinario, la clausola
arbitrale deve essere formulata in modo chiaro e univoco con riguardo alla precisa determinazione dell’oggetto delle future controversie e, in caso di dubbio, deve preferirsi una interpretazione restrittiva di essa, che affermi la giurisdizione ordinaria, piuttosto che quella arbitrale (cfr. tra le altre, Cassazione 26 aprile 2005, numero 8575).

Nell’ottica di una maggior diffusione dello strumento arbitrale è auspicabile che nei regolamenti condominiali a predisporsi dai costruttori venga inserita la clausola compromissoria che eviterebbe una grande mole di contenzioso anche in parva materia nelle aule giudiziarie.

Le liti in cui il condominio è parte
Vediamo ora come opera la clausola compromissoria nei rapporti del condominio con i terzi.
Il condominio opera all’esterno ed, ai sensi dell’art.1131 C.C., è rappresentato dall’amministratore, nei limiti delle attribuzioni previste in via ordinaria dall’art.1130 C.C. o con i maggiori poteri eventualmente
conferitigli dal regolamento condominiale o dalla assemblea.
L’amministratore del condominio è titolare di un ufficio di diritto privato che si configura come un vero e proprio mandato con rappresentanza (art.1704 C.C.) agendo in nome dei condomini.
Può, quindi, l’amministratore condominiale sottoscrivere un contratto e l’eventuale clausola compromissoria ivi prevista, obbligando i condomini?
In passato, la clausola compromissoria è stata considerata tra quelle onerose o vessatorie tra le condizioni generali del contratto ai sensi dell’art.1341 C.C. co.2., alla stessa stregua della clausola derogatoria, ad
esempio, della competenza territoriale.
La giurisprudenza di legittimità si era pronunciata stabilendo che “in difetto di specifica autorizzazione del rappresentato, il rappresentante, ancorchè incaricato alla stipula di un contratto, non ha il potere di
approvare per iscritto la clausola derogativa della competenza territoriale che sia stata inserita nelle condizioni generali predisposte dall’altro contraente, sicchè detta clausola non vincola affatto il rappresentato”
(Cass. Civ. Sez. III, 01.03.1995 n.2313, v. anche Cass. 19.11.1984 n. 5890).
In mancanza di specifica autorizzazione, si riteneva che il rappresentante eccedesse dai limiti della facoltà conferitagli dal rappresentato e, quindi, agisse come falsus procurator.
Pertanto, per poter concludere un contratto, l’amministratore del condominio doveva essere autorizzato da una delibera assembleare per curare gli interessi del condominio quale mandatario ed, inoltre, doveva
essere espressamente autorizzato a stipulare l’eventuale clausola compromissoria ivi prevista.
La clausola compromissoria esulando dal contenuto proprio di un contratto, ad esempio di appalto o di somministrazione o di fornitura, obbligava l’amministratore a richiedere una specifica approvazione –
anche in presenza di un mandato generale a concludere un contratto – al fine di concludere il tipo di negozio in discussione.
Questi principi erano stati affermati in alcune sentenze della Suprema Corte con riferimento a fattispecie formatesi sotto l’imperio della precedente formulazione dell’art. 808 c.p.c. (Cassazione 30 agosto 1995, n.
9162; Cassazione 26 giugno 1992, n. 8028; Cassazione 12 marzo 1990, n. 2384).
Le cose sono cambiate a seguito della riforma apportata dall’art. 3 della legge 5 gennaio 1994 n. 25, in virtù della quale l’autonomia della clausola compromissoria risulta legislativamente sancita, disponendo il
terzo comma dell’art. 808 c.p.c. che “la validità della compromissoria deve essere valutata in modo autonomo rispetto al contratto al quale si riferisce; tuttavia il potere di stipulare il contratto comprende il potere di convenire la clausola compromissoria.”

Si deve inoltre rilevare che la Suprema Corte di Cassazione, sez. III civile con sentenza n. 4842 del 14 aprile 2000, ha qualificato la clausola compromissoria come vero e proprio contratto escludendo dunque una volta per tutte che essa possa essere considerata una clausola vessatoria o abusiva.
La citata sentenza ha chiarito inoltre che “nell’attuale formulazione dell’art. 808 c.p.c., è stata sostituita al comma primo dell’art. 808 c.p.c. – in rapporto all’atto, diverso dal contratto che ne è l’oggetto, in cui può essere validamente convenuta la stipulazione di una clausola compromissoria – la parola “successivo” con la parola “separato”. Tale precisazione, secondo la migliore dottrina processualistica, lascia intendere la possibilità che la clausola compromissoria possa essere addirittura anteriore al contratto e dimostra in modo ulteriore l’autonomia fra gli stessi.

La clausola compromissoria, nonostante la sua denominazione, non ha della clausola che il nome e  l’apparenza e, pur accedendo sia in senso logico che temporale ad un contratto, costituisce un negozio a sé stante, dotato di una propria individualità e di una funzione diversa da quella del contratto cui accede: mentre con il contratto le parti regolamentano un loro conflitto di interessi, segnando il punto di equilibrio nel quale il conflitto si compone, la funzione della clausola è quella di individuare un giudice per dirimere le controversie in merito: il contratto ha quindi una funzione sostanziale, la clausola una funzione processuale. Le conseguenze di questa autonomia sono che la nullità dell’uno non invalida l’altro, anche se essi sono contenuti nel medesimo documento” (Cass. civ. Sez. III, 14- 04-2000, n. 4842).
La condizione fondamentale richiesta dalla legge è, così come accade per lo specifico contratto disciplinato dall’art. 807 c.p.c., la forma scritta, richiesta a pena di nullità della clausola compromissoria.

L’amministratore condominiale, quindi, nel momento in cui è autorizzato dall’assemblea a concludere un contratto, può stipulare anche la clausola compromissoria.
Piuttosto, in un appalto avente ad oggetto lavori condominiali è stata ritenuta valida ed efficace la clausola compromissoria che prevedeva addirittura che la parte committente (condominio) avesse comunque la
facoltà di declinare la competenza arbitrale e chiedere che la controversia fosse decisa dal giudice ordinario.
Si trattava di una clausola compromissoria che prevedeva la possibilità di definire la controversia nascente dal contratto con arbitrato irrituale con facoltà, per la committente, di poter declinare la competenza
arbitrale.
Proposta l’azione per il pagamento delle opere eseguite dall’appaltatore ed eccepita da parte del condominio in via preliminare la esistenza della clausola compromissoria, il tribunale dichiarava con sentenza la competenza del Collegio arbitrale.
L’appaltatore proponeva il regolamento di competenza dinanzi alla Corte di Cassazione che riteneva valida ed efficace la clausola compromissoria giustificando la facoltà concessa al committente condominio di poter declinare la competenza arbitrale sul presupposto che il condominio, non dotato di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti, era da considerarsi a tutti gli effetti un consumatore destinatario della relativa tutela.
L’amministratore ha agito quale mandatario con rappresentanza dei vari condomini, i quali devono essere considerati consumatori, in quanto operanti quali persone fisiche per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale. Per tale motivo erano insussistenti profili di squilibrio negoziale rilevabili di ufficio poiché committente era il condominio e non viceversa.
Inoltre la possibilità di deroga unilaterale non configgeva con i margini di esercizio dell’autonomia privata, espressione in questo caso di una tendenza coerente con il sistema, cioè a favore del riconoscimento
della giustizia pubblica quale forma primaria di soluzione dei conflitti.
La Cassazione, Sezione VI, con ordinanza del 22.05.2015 n.10679 rigettava il ricorso per regolamento di competenza affermando la validità della clausola compromissoria così come prevista nel contratto di appalto.
3. Le controversie in materia di locazione.
Occorre premettere che, riguardo alla compromettibilità in arbitri delle controversie in materia di locazione, ha suscitato problemi la disposizione contenuta nell’art.54 della legge 20.07.1978 n. 392 in cui era sancita la nullità della clausola compromissoria con cui le parti affidavano ad arbitri le controversie in materia di determinazione del canone.
La norma ha funzionato da deterrente facendo in modo che le parti evitassero che controversie in cui ci fosse il riferimento alla determinazione ed all’ammontare del canone fossero compromesse in arbitri.
E’ stato affermato, infatti, che tale divieto comprendesse, non solo le controversie per la determinazione in senso stretto del canone, ma anche quelle concernenti l’aggiornamento di esso (cfr. Cass., Sez. 1^, 1 settembre 1999, n. 9211).
L’art.14 della legge 09.12.1998 n.431 ha abrogato l’art.54 ma limitatamente alle locazioni abitative e non a quelle ad uso diverso.

La problematica è stata affrontata di recente in maniera compiuta e dettagliata dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con ordinanza 15.06.17 n.14861.
Si tratta di stabilire se il citato art. 54 – che si trova inserito tra le disposizioni processuali della L. n. 392 del 1978, e che è dettato per l’intero sistema delle locazioni urbane – sia tuttora in vigore con riguardo
alle locazioni ad uso diverso dall’abitazione, considerando a tal fine la portata della L. n. 431 del 1998, art. 14, comma 4, che reca una disposizione del seguente tenore: “sono altresì abrogati la L. 27 luglio
1978, n. 392, artt. 1, 3, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 54, 60, 61, 62, 63, 64, 65, 66, 75, 76, 77, 78, 79, limitatamente alle locazioni abitative, e 83, e successive modificazioni”.
Dal punto di vista dell’interpretazione letterale sono possibili due letture della L. n. 431 del 1998, art. 14, comma 4.
La prima, restrittiva, è che l’art. 14, comma 4, ha abrogato la L. n. 392 del 1978, art. 54, soltanto con riguardo alle locazioni abitative: per le locazioni ad uso diverso dell’abitazione il divieto di devolvere ad arbitri le
controversie relative al canone continua a essere vigente.
La seconda, estensiva, è che l’art. 54 è stato abrogato nella sua totalità, senza che sia configurabile, per questa disposizione, alcuno spazio di residua vigenza.
Il testo della L. n. 431 del 1998, art. 14, comma 4, là dove ad oggetto la L. n. 392 del 1978, art. 54, consente, dunque, entrambe le interpretazioni.
La Cassazione ha privilegiato la interpretazione estensiva ritenendo che l’art.54 sia da considerarsi abrogato nella sua totalità utilizzando il paradigma dell’interpretazione conforme a Costituzione che impone di
propendere per l’interpretazione estensiva della L. n. 431 del 1998, art. 14, comma 4, che vuole abrogato la L. n. 392 del 1978, art. 54, nella sua interezza e con riguardo all’intero suo raggio di operatività, con il
conseguente venir meno, anche nella locazione di immobili urbani ad uso diverso da quello di abitazione, del divieto della clausola di deferimento ad arbitri delle controversie relative alla determinazione del canone, essendo venute meno le esigenze alla base della precedente legislazione fondate sulla necessità di tutelare il contraente più debole contro l’eventuale imposizione, da parte di quello più forte, di clausole contrattuali volte a sottrarre le future controversie relative alla determinazione del canone alla giurisdizione ordinaria e alle relative garanzie, una volta superato il sistema di vincoli sulle locazioni legato al c.d. equo canone e quindi cessata anche la ratio che assisteva la previsione del divieto di clausola compromissoria.

Ciò premesso con espresso riferimento alle controversie riguardanti la determinazione del canone, si può utilizzare, pari pari, quanto affermato dal Tribunale di Firenze con sentenza emessa in data 25.05.2015 (in Contratti 2015, 8 – 9, 807) in ordine alla possibilità di compromettere in arbitri le controversie in materia di locazione.
“Anche la materia locatizia può essere devoluta alla cognizione degli arbitri riguardando diritti disponibili, considerato altresì che l’arbitrato, rituale o irrituale, costituisce espressione dell’autonomia negoziale delle
parti e rinviene il suo fondamento nel potere delle stesse parti di disporre dei diritti soggettivi rinunciando alla giurisdizione ed all’azione giudiziaria”.
La Cassazione ha ritenuto perfettamente ammissibile l’instaurazione di un procedimento arbitrale in materia di locazione con riferimento alla ipotesi di risoluzione contrattuale per mancato pagamento del canone in un contratto di locazione ad uso non abitativo.

Il collegio arbitrale, nel lodo, dichiarava la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento (morosità) del conduttore condannando quest’ultimo al rilascio dell’immobile.
Nel caso di specie si è posto addirittura il problema della applicabilità al procedimento arbitrale della speciale sanatoria della morosità del conduttore, disciplinata dall’art. 55 della legge 27 luglio 1978, n. 392, per le sole locazioni abitative di immobili urbani, normalmente prevista nel procedimento di convalida di sfratto.
La Suprema Corte ha rigettato l’eccezione della inapplicabilità dell’art.55 della legge 392/1978 in caso di deferimento della controversia ad arbitri.
In tema di locazione d’immobili urbani, la Suprema Corte aveva infatti ritenuto che la speciale sanatoria della morosità del conduttore prevista dalla L. n. 392 del 1978, art. 55, fosse ammessa soltanto nel procedimento di convalida di sfratto per morosità di cui all’art. 658 c.p.c., e non anche quando la risoluzione per inadempimento fosse stata chiesta in un ordinario giudizio di cognizione, trovando in tal caso applicazione
l’art. 1453 c.c., comma 3, il quale non consente al conduttore di adempiere la propria obbligazione dopo la proposizione della domanda (cfr. Cass., Sez. 1^, 8 agosto 1996, n. 7302; Cass., Sez. 3^, 7 agosto 1996, n. 7253; 29 novembre 1994, n. 10202).
Per effetto di tale orientamento, l’applicabilità dell’istituto in esame doveva ritenersi esclusa anche nel caso in cui la domanda di risoluzione fosse stata avanzata dinanzi agli arbitri ai quali le parti avessero devoluto
le controversie derivanti dal contratto di locazione, non potendo essere proposta in sede arbitrale la domanda di convalida dello sfratto, attribuita alla competenza funzionale ed inderogabile del Giudice ordinario, e restando quindi circoscritta la predetta possibilità alla sola ipotesi in cui il procedimento arbitrale fosse stato preceduto da quello di cui all’art. 658 c.p.c..
Senonchè, la Corte costituzionale, alla quale era stata rimessa la questione di legittimità costituzionale dell’art. 55 cit., nella parte in cui non consentiva la sanatoria giudiziale della morosità nel giudizio
ordinario di risoluzione, la dichiarò infondata, rilevando che il testuale riferimento di tale disposizione alla sede giudiziale ed alla prima udienza non era sufficiente a circoscriverne l’ambito applicativo al  procedimento per convalida di sfratto, e ritenendo pertanto possibile un’interpretazione idonea ad escludere il prospettato contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. (cfr. Corte cost., sent. n. 3 del 1999).
A seguito di tale pronuncia, la giurisprudenza di legittimità ha mutato orientamento, riconoscendo l’applicabilità della sanatoria anche in caso di proposizione della domanda di risoluzione in via ordinaria (cfr.
Cass., Sez. 3^, 18 luglio 2008, n. 19929; 24 febbraio 2000, n. 2087), con la conseguenza che la stessa deve ritenersi ammissibile anche nell’ipotesi in cui la domanda sia proposta direttamente dinanzi agli arbitri.
Per completezza, va detto che nella fattispecie in esame, la sanatoria era comunque inammissibile in virtù della circostanza, risultante dalla sentenza impugnata, che il contratto di locazione aveva ad oggetto un
immobile adibito ad uso commerciale (Cass. civ. Sez. I, 15/10/2014, n. 21836).
Rimane inammissibile il deferimento all’arbitrato con riferimento alla fase sommaria del procedimento per convalida di sfratto (appartenente alla competenza inderogabile del tribunale).
La competenza arbitrale è, invece, applicabile alla fase di merito che consegue al mutamento del rito (Trib. Modena Sez. II Ord., 19/03/2007).

In caso di cessione del contratto di locazione, la clausola compromissoria non si trasmette al cessionario se non con il consenso espresso di tutti e tre i soggetti coinvolti, poiché il negozio compromissorio è dotato di una propria autonomia rispetto al rapporto sostanziale.
In mancanza di un accordo specifico né il cessionario né il ceduto possono invocare la suddetta clausola.
Quando invece il contraente ceduto rimane estraneo al trasferimento della posizione contrattuale, come nel caso di cessione “ex lege” del contratto di locazione, questi può opporre la clausola compromissoria,
analogamente a quanto accade per il debitore ceduto in tema di cessione del credito (Trib. Genova, 25/01/2006).

Contratti di disposizione di diritti immobiliari
Sono compromettibili in arbitri anche le controversie relative a rapporti contrattuali concernenti il trasferimento di immobili.
La clausola compromissoria può essere legittimamente inserita nella costituzione di una comunione volontaria (sul punto vi è pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite 05.05.2011 n.9839).
E’ altresì valida ed efficace la clausola compromissoria inserita in un preliminare di compravendita di un immobile.
E’ interessante a quest’ultimo proposito la sentenza Cass. 16.04.2014 n.8868 che affronta il problema della autonomia della clausola compromissoria e delle implicazioni nel rapporto tra contratto preliminare
e contratto definitivo tenendo conto dei principi già in passato affermati dalla giurisprudenza di legittimità.
La clausola compromissoria non può considerarsi nè un patto del contratto preliminare di compravendita nè un elemento di tale contratto: è invece un contratto autonomo, ad effetti processuali, anche se, insieme
con il contratto preliminare, può (ma non deve) essere contenuto in un medesimo documento (cfr. ex multis Cass. S.U. n. 3989/1977; Sez. 1 n. 2529/2005) senza che sussista un rapporto di accessorietà, come peraltro
espressamente riconosciuto dall’art. 808 c.p.c., comma 3 (nel testointrodotto dalla L. n. 25 del 1994, qui applicabile ratione temporis), secondo cui la validità (e quindi anche l’efficacia) della clausola
compromissoria deve essere valutata in modo autonomo rispetto al contratto al quale essa si riferisce.
Il problema che si pone, riguarda gli effetti della clausola compromissoria in relazione al contratto definitivo sottoscritto dalle parti.
L’orientamento giurisprudenziale secondo cui il contratto definitivo, una volta stipulato, costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti il contratto voluto non detta una regola assoluta, in quanto tale
principio non può trovare applicazione nell’ipotesi in cui il contratto definitivo non esaurisca gli obblighi a contrarre previsti nel preliminare, occorrendo in tal caso accertare la volontà negoziale delle parti valutando
tra l’altro il contenuto di detto preliminare.
Con riferimento alla clausola compromissoria in esame, la Corte ne ha affermato la sopravvivenza alla stipulazione del contratto definitivo, ritenendo che gli stessi non avessero esaurito gli impegni assunti con il
preliminare, con particolare riferimento alla previsione di un obbligo di versare un supplemento di prezzo qualora all’area compravenduta fosse stata attribuita una destinazione industriale.
La Cassazione si era già espressa allo stesso modo in un caso analogo stabilendo che “la clausola compromissoria costituisce un contratto autonomo ad effetti processuali, anche quando sia inserita
nell’atto contenente il contratto cui ineriscono le controversie oggetto della clausola; nè, data la loro autonoma funzione, tra i due contratti sussiste tecnicamente un rapporto di accessorietà, come è espressamente riconosciuto dall’art. 808, terzo comma, cod. proc. civ., nel testo introdotto dalla legge 5 gennaio 1994, n. 25 – applicabile nella specie “ratione temporis” – secondo cui la validità e, quindi, anche l’efficacia, della clausola compromissoria devono essere valutate in modo autonomo rispetto al contratto al quale essa si riferisce. Ne consegue che la clausola compromissoria contenuta in un preliminare di compravendita sopravvive, sebbene non riprodotta nel contratto definitivo, trattandosi di
contratto autonomo avente funzione distinta dal contratto preliminare”. (Cass. civ. Sez. I, 31/10/2011, n. 22608).

Sebbene il ricorso al giudizio arbitrale presenti incontestabili vantaggi sotto il profilo della celerità, della preparazione tecnica delle persone incaricate di decidere la controversia, e dell’accettazione della
decisione emessa da tutte le parti (tenuto conto che sono proprio le parti a scegliere liberamente gli arbitri), gli inconvenienti legati agli eccessivi costi ed al rischio di una non effettiva imparzialità del giudizio possono
essere superati dalla possibilità di una contrattazione delle tariffe all’atto di costituzione dell’organo arbitrale ed alla formazione di liste di arbitri formate da professionisti esperti nelle materie oggetto di compromesso.
D’altronde possono essere introdotti incentivi di carattere anche fiscale nel caso di scelta dello strumento arbitrale.
Di questi tempi la soluzione di una controversia in tempi rapidi (max 180 giorni) con arbitri esperti e competenti potrebbe costituire un valido ed efficace strumento che il legislatore deve solo incentivare essendo già disciplinato nel codice di procedura civile anche in vista dell’ampliamento delle competenze al Giudice di Pace nell’anno 2021.

 

Alessandro Moscatelli

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento