L’art. 180 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria: l’abuso di informazioni privilegiate (insider trading)

Redazione 28/10/19
a cura Elisa Ragni

Premessa

Il decreto legislativo 24 febbraio 1998 n. 58 è pubblicato nel supplemento ordinario n. 52/L della Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 71 del 26 marzo 1998. Per comodità espositiva del lettore si riporta qui di seguito il testo dell’art. 180 rubricato “Abuso di informazioni privilegiate“:
«1. È punito con la reclusione fino a due anni e con la multa da venti (10.329 euro n.d.r.) a seicento milioni (309.874 euro n.d.r.) chiunque, essendo in possesso di informazioni privilegiate in ragione della partecipazione al capitale di una società, ovvero dell’esercizio di una funzione, anche pubblica, di una professione o di un ufficio: a) acquista, vende o compie altre operazioni, anche per interposta persona, su strumenti finanziari avvalendosi delle informazione medesime; b) senza giustificato motivo, dà comunicazioni delle informazioni delle informazioni, ovvero consiglia ad altri, sulla base di esse, il compimento di taluna delle operazioni indicate nella lettera a).
2. Con la stessa pena è altresì punito chiunque, avendo ottenuto, direttamente o indirettamente, informazioni privilegiate dai soggetti indicati nel comma 1º, compie taluno dei fatti descritti nella lett. a) del medesimo comma.
3. Ai fini dell’applicazione dei commi 1º e 2º, per informazione privilegiata si intende un’informazione specifica di contenuto determinato, di cui il pubblico non dispone, concernente strumenti finanziari, che, se resa pubblica, sarebbe idonea a influenzarne sensibilmente il prezzo.4. Nei casi previsti nei commi 1º e 2º, il giudice può aumentare la multa fino al triplo quando, per la rilevante offensività del fatto, le qualità personali del colpevole o l’entità del profitto che ne è derivato, essa appare inadeguata anche se applicata nel massimo.
5. Nel caso di condanna o di applicazione di pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 del codice di procedura penale, è sempre ordinata la confisca dei mezzi, anche finanziari, utilizzati per commettere il reato e dei beni che ne costituiscono il profitto, salvo che essi appartengano a persona estranea al reato.
6. Le disposizioni del presente articolo non si applicano alle operazioni compiute per conto dello Stato italiano, della Banca d’Italia e dell’Ufficio italiano dei cambi per ragioni attinenti alla politica economica».

Prima di procedere all’analisi della norma, si segnala che è stata emanata in data 28 febbraio 2003 una direttiva comunitaria (2003/06/CE) in tema di abuso di informazioni privilegiate e manipolazioni del mercato (cd. market abuse), il cui recepimento comporterà a breve una riforma dell’art. 180 t.u.f.

Volume

I soggetti attivi

Il reato di insider trading – ovvero abuso di informazioni privilegiate – è stato introdotto nel nostro ordinamento dalla legge 17 maggio 1991, n. 157, e successivamente modificato dall’art. 180 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (il testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, da qui innanzi t.u.f.).
La categoria di soggetti attivi di tale reato comprende sia coloro che entrano in possesso dell’informazione privilegiata “in ragione della partecipazione al capitale di una società, ovvero dell’esercizio di una funzione, anche pubblica, di una professione o di un ufficio” (cd. insiders primari), sia chiunque altro da tali soggetti insiders ottenga, direttamente o indirettamente, l’informazione medesima (cd. tippees).

L’insieme di insiders primari è vasto e generalmente suddiviso nelle due seguenti categorie: gli insiders istituzionali, quali amministratori, dirigenti, azionisti di riferimento, sindaci, liquidatori e revisori contabili di una società, ed i cd. temporary insiders, ovverosia avvocati, consulenti manageriali e finanziari della stessa ecc.
Tali individui hanno un collegamento funzionale con la società e vengono a contatto con le informazioni privilegiate nell’esplicazione della loro attività, nel primo caso sfruttando una posizione inside istituzionale, nel secondo caso un accesso temporaneo al patrimonio informativo della società.

Considerando le modalità di apprendimento delle informazioni da parte degli insiders, sono generalmente ritenuti esclusi dall’ambito di operatività della norma i casi in cui le conoscenze sono apprese in modo casuale o fortuito, senza alcun nesso strumentale tra la qualità rivestita o la funzione concretamente svolta e l’apprendimento della notizia stessa. Parte della dottrina, tuttavia, rileva come in tal modo il divieto rischia di diventare eccessivamente restrittivo, come si evince dall’ipotesi in cui il dirigente di una società, addetto ad uno specifico settore, apprenda l’informazione da un altro dirigente addetto ad un settore diverso non “attraverso” la sua funzione o ufficio, ma facendo leva su rapporti di colleganza o amicizia.

Rispetto alla categoria di coloro che svolgono attività totalmente prive di collegamento con la società, la dottrina è orientata nel senso di ritenere insufficiente il semplice “legame causale materiale” tra l’attività svolta e l’accesso alle informazioni, dovendo la professione essere “funzionalmente collegata” all’apprendimento dell’informazione. Non è sufficiente che la posizione sia solo veicolo strumentale di accesso a notizie privilegiate, ma è necessario che sia intrinsecamente idonea a dare accesso al patrimonio informativo societario.
Come sarà meglio chiarito in sede di analisi del contenuto dell’informazione, i soggetti attivi del reato di insider trading non devono necessariamente essere insiders (ovvero temporary insiders) della società emittente lo strumento finanziario oggetto delle transazioni incriminate.
Per quanto riguarda gli insiders secondari, è bene fin d’ora distinguere tra chi riceve direttamente l’informazione privilegiata dall’insider (o tippees) e chi invece riceve l’informazione da un altro tippee (quindi – come statuisce la norma – “indirettamente” dall’insider) ed è per questo definito second generation tippee.

Il divieto di sfruttamento dell’informazioni privilegiate nei confronti degli insiders

Ai sensi dell’art. 180, comma 1°, lett. a), è fatto divieto agli insiders di “acquistare, vendere o compiere altre operazioni, anche per interposta persona, su strumenti finanziari, avvalendosi delle informazioni privilegiate”.
La previgente norma era diversamente formulata e sanciva un divieto in capo agli insiders primari “in possesso” di informazioni privilegiate di acquistare, vendere o compiere altre operazioni su valori mobiliari. Si è passati dunque da un obbligo di astensione – caratterizzato da una mera contestualità cronologica tra la conoscenza privilegiata posseduta e la decisione di compiere l’operazione – ad un divieto di sfruttamento delle informazioni privilegiate, fondato sulla necessaria rilevanza esplicata dall’informazione sul processo volitivo-decisionale. Sono pertanto escluse le ipotesi in cui l’operazione in borsa dell’insider rappresenta il mero effetto di una precedente decisione maturata come valutazione personale, sulla quale le informazioni privilegiate non hanno esercitato alcuna influenza, giacché viene meno in tal modo il legame motivazionale tra l’operazione in borsa e la conoscenza detenuta.
Questa caratterizzazione della fattispecie sul piano dell’elemento psicologico del reato implica la dimostrazione in giudizio non solo della consapevolezza dell’agente di detenere informazioni privilegiate, ma anche della sua volontà di avvalersi delle stesse.

In ogni caso, sul piano probatorio la differenza tra la previgente e la nuova formulazione della norma è meno significativa di quanto appare, poiché in ogni caso la dimostrazione del dolo generico dell’imputato verte su regole di esperienza fondate su indici fattuali desunti dal comportamento incriminato e legati ai tempi e alle modalità dell’operazione borsistica, alle caratteristiche soggettive dell’agente, alla frequenza o all’entità di precedenti operazioni poste in essere (v. Trib. Roma, 15-5-1996 secondo cui “costituiscono indizi gravi, precisi e concordanti l’aver comprato e rivenduto quantitativi ingenti di valori mobiliari e l’aver realizzato l’operazione in un arco di tempo particolarmente ristretto”).
Il divieto di utilizzazione di informazioni privilegiate comprende ogni operazione su strumenti finanziari compiuta anche mediante interposta persona. L’interposizione può essere fittizia o reale. In quest’ultimo caso è necessaria una precisazione: si realizza il reato in capo solo all’insider se gli effetti dell’operazione ricadono sul patrimonio dello stesso, come nel caso di una società d’intermediazione che compie operazioni sulla scorta di un ordine dato dall’insider. Sarà quindi penalmente perseguibile esclusivamente l’insider se gli effetti ultimi della condotta ricadono solo su di lui, mentre la persona interposta – non assumendo la qualifica di tippee – non avrà compiuto il reato di “utilizzazione secondaria” di informazione privilegiate ex art. 180, comma 2°.
Al contrario, qualora una società di intermediazione realizzi un’operazione avvalendosi di informazioni privilegiate per conto di un cliente ignaro dello sfruttamento di tali dati informativi, è chiamato a rispondere solo chi ha realizzato l’operazione (e in tal caso però non sarà possibile confiscare al cliente le azioni acquistate o il profitto realizzato con l’operazione).

Il divieto di comunicazione dell’informazione

L’art. 180, comma 1°, lett. b) sancisce per gli insiders due ulteriori divieti dalla natura complementare rispetto al divieto di compiere personalmente le operazioni in borsa: dare comunicazione a terzi, senza giustificato motivo, dell’informazione (cd. tipping) ovvero consigliare, sulla base delle informazioni privilegiate, il compimento di taluna delle suddette operazioni (cd. tuyautage). La distinzione tra le due ipotesi verte sul fatto che il semplice consiglio non implica di per sé la cessione dei contenuti dell’informazione, ma si riduce all’indicazione dell’operazione di acquisto o vendita dello strumento finanziario. È pertanto esclusa la punibilità di chi trasmette a terzi consigli o informazioni finalizzati al “non compimento” di operazioni in borsa. (cd. insider non trading).

La clausola del “giustificato motivo”

La trasmissione di informazioni privilegiate è sempre lecita quando trova giustificazione in norme che la consentono o addirittura la impongano, ovvero “nell’ambito del normale esercizio del lavoro, della professione e delle funzioni”, come statuito dalla dir. 2003/06/CE.

A titolo esemplificativo ed in riferimento ai gruppi societari, la trasmissione di notizie trova giustificazione nelle comunicazioni infragruppo necessarie alla formazione del bilancio consolidato. È dubbio invece se siano giustificate le informazioni trasmesse alla società holding e funzionali all’esercizio dell’attività di direzione e controllo: l’art. 66, comma 6° del reg. Consob 11971/99 impone agli emittenti strumenti finanziari di informare il pubblico delle proprie situazioni contabili non appena esse siano state comunicate a “soggetti esterni”, che la comunicazione Consob 17/2/1998 n. DM 98011546 identifica, tra gli altri, proprio nelle “società capogruppo”.
Più delicata è la questione relativa alla liceità della cessione anticipata dell’informazione, da parte di una società in procinto di lanciare un’offerta pubblica di acquisto a terzi alleati, chiamati a garantire la riuscita dell’operazione. È invece da escludere con certezza l’applicabilità di tale scriminante rispetto al caso di rivelazione selettiva (cd. selective disclosure) di conoscenze privilegiate ad analisti e consulenti finanziari, così come sancito dall’art. 66 reg. Consob n. 11971. Rimane indiscutibile che, anche qualora si riconosca la sussistenza di un giustificato motivo che scrimina la condotta degli insiders, tutti coloro che ricevono tali informazioni – i cd. tippees – rimangono destinatari del divieto di sfruttare in borsa le conoscenze ex art. 180, comma 2°.

Il divieto nei confronti del tippee

Il secondo comma dell’art. 180 t.u.f. sanziona il cd. tippee solo nel caso in cui questi compia operazioni sulla base delle informazioni ottenute, direttamente dai soggetti di cui al primo comma o indirettamente da altri tippees. Non sono pertanto penalmente rilevanti le ipotesi in cui egli si limiti a utilizzare il consiglio ricevuto ovvero a comunicare l’informazione o a trasmettere il consiglio ad altri.
Per quanto riguarda l’elemento soggettivo del reato, deve sussistere la coscienza da parte del tippee non solo del carattere privilegiato dell’informazione ma anche della sua provenienza da un soggetto qualificato.

La nozione di informazione privilegiata

L’informazione di cui si avvale il trader è definita “specifica e di contenuto indeterminato”. I requisiti di specificità e determinatezza comportano l’esclusione dalla fattispecie di voci o rumors dal contenuto assolutamente incerto ed indefinito.
In dottrina si sottolinea inoltre la necessità che l’informazione abbia ad oggetto un fatto, accaduto o che sta per accadere, rimanendo esclusi i risultati di analisi, studi, ricerche ed elaborazioni personali quando sono esiti di attività prognostica o valutativa di dati disponibili al pubblico.
Il congiunto riferimento agli strumenti finanziari e agli emittenti di strumenti finanziari rende evidente l’intento del legislatore di non fare alcuna differenza tra le cd. corporate e market information. Le prime concernono la situazione gestionale-patrimoniale della società emittente ovvero le sue prospettive di sviluppo, mentre le seconde riguardano fatti estranei all’emittente e attinenti alla situazione di una classe di titoli o del mercato mobiliare nel complesso. Va infine rilevato che l’informazione non deve necessariamente riguardare un unico accadimento, ma può anche concernere un progetto che tocca il destino di diverse società.

Sul piano, invece, dell’attendibilità dei fatti che sono oggetto del privilegio informativo, ai fini della sussistenza del reato, non è richiesto che l’informazione corrisponda al vero o che la notizia si riferisca ad un accadimento certo. La conoscenza dell’agente può avere ad oggetto eventi di futura ed incerta verificazione, ovvero non arrivare a coprire i tempi e i modi dell’operazione cui si riferisce. Nel mercato borsistico, infatti, alcune informazioni sono così complesse da essere necessariamente caratterizzate da una certezza relativa di verificazione, fondata pertanto su una semplice (sebbene obbiettiva) probabilità di verificazione.

L’informazione deve poi essere caratterizzata dall’idoneità a influenzare in modo sensibile con la sua pubblicazione l’andamento del titolo dello strumento finanziario di riferimento. La valutazione della natura price-sensitivity della conoscenza privilegiata, da compiersi ex ante ed in concreto, è inevitabilmente fondata su parametri indefiniti che però non contrastano con una definizione sufficientemente determinata di informazione privilegiata. Infatti, una volta accertata nel concreto l’idoneità potenziale dell’informazione a modificare sensibilmente l’andamento del titolo, non è necessario verificare l’effettiva alterazione del prezzo dello strumento finanziario. Proprio la definizione di price-sensitivity dell’informazione privilegiata è ora oggetto di una questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Siracusa, perché considerata in contrasto con il principio di tassatività della fattispecie penale.

Ai fini della realizzazione della condotta penalmente rilevante, inoltre, non è necessario il conseguimento di un vantaggio economico, non rientrando il profitto tra gli elementi costitutivi del reato, che si consuma anche se l’informazione concerne un evento che si concretizza con modalità diverse da quelle attese dall’agente o non si realizza del tutto, perché l’informazione posseduta è falsa.
Infine, il carattere privilegiato della conoscenza sfruttata in borsa svanisce quando la stessa è resa “disponibile al pubblico”. Ai fini della lecita utilizzabilità della conoscenza, è dunque rilevante il momento di pubblicazione formale della stessa, alla luce delle modalità di diffusione adottate dalla società emittente ex art. 114 t.u.f. e non è necessario che il giudice accerti in concreto se la generalità di investitori abbia “effettivamente recepito” tale informazione. Nel caso in cui vi sia una “fuga di notizie” che anticipi la diffusione ufficiale delle stesse, il mercato è posto a conoscenza delle informazioni, che perdono in tal modo il carattere privilegiato.

Consumazione e tentativo

Poiché il reato di insider trading si consuma nel momento della realizzazione dell’operazione compiuta sfruttando l’informazione privilegiata, il tentativo si configura nel caso in cui l’insider – in possesso di un’informazione privilegiata – invia l’ordine di eseguire un’operazione, che tuttavia non viene portata a compimento. Nell’ipotesi di trasmissione dell’informazione privilegiata o del semplice consiglio (tipping o tuyautage), il reato si consuma con l’effettiva ricezione da parte del terzo, realizzandosi altrimenti un tentativo.
Nel primo caso, è competente il giudice del luogo in cui si è realizzata l’operazione, nel secondo caso quello del luogo di comunicazione dell’informazione, quale necessario antecedente cronologico dello sfruttamento della stessa.

Il profilo sanzionatorio

Il reato è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa da 10.329 a 309.874 di euro. Ai sensi dell’art. 180, comma 4°, la pena pecuniaria può essere aumentata fino al triplo, quando la misura appaia inadeguata nel massimo per la rilevante offensività del fatto, le qualità personali del colpevole, o l’entità del profitto che ne è derivato. L’art. 180, comma 5° stabilisce inoltre la confisca obbligatoria dei mezzi, anche finanziari, utilizzati per commettere il reato (nel caso di acquisto di strumenti finanziari) e dei beni che (nel caso speculare di vendita di strumenti finanziari) ne costituiscono il profitto, salvo che essi appartengano a persona estranea al reato.

Giurisprudenza

Si segnalano in materia le seguenti sentenze: Tribunale di Milano, 16 novembre 1994, Gennari; Tribunale di Roma, 15 maggio 1996, Busiello; Tribunale di Siracusa, 10 aprile 1997, Urzì e altri; Tribunale di Milano, 30 ottobre 1999, Calderari e altri; Tribunale di Milano (ufficio g.i.p.), 17 novembre 1999, giudice Pistorelli; Tribunale di Milano (ufficio g.i.p.), 1 dicembre 1999, giudice Pistorelli; Tribunale di Milano, 29 maggio 2001, n. 6405, Malacrida e altri; Tribunale di Brescia, 25 giugno 2002, n. 231, Gnutti e altri.

La Quinta sezione della Corte di cassazione, pronunciandosi in tema di reato di abuso di informazioni privilegiate (insider trading), ha affermato che: – il reato di cui all’art. 184 T.U.F. è di pericolo e di mera condotta, per cui è sufficiente ad integrarlo l’utilizzo dell’informazione privilegiata per compiere investimenti, sfruttando la conoscenza delle dinamiche finanziarie che stanno per coinvolgere la persona giuridica ed il suo patrimonio azionario, senza che siano necessari l’elisione del margine di rischio dell’investimento e la conseguente realizzazione di un vantaggio e causazione di corrispondente danno; – nel concetto di “informazione privilegiata” rientrano anche le informazioni acquisite nelle tappe intermedie del processo che porta alla determinazione della circostanza o dell’evento futuro cui volge l’informazione stessa, tra cui rileva anche l’attività relativa ad un incarico di “due diligence” conferito ad una società di consulenza; – la qualifica di insider primario, soggetto a responsabilità penale – a differenza dell’insider secondario, soggetto a sola responsabilità amministrativa – può ravvisarsi anche nel solo fatto di rivestire, all’interno della società di consulenza che tratta l’incarico relativo all’ente, un ruolo di spicco, quale quello di “socio senior”, che permetta, per sua natura, di divenire recettore e collettore delle informazioni relative alle singole attività di consulenza, pur non partecipandovi direttamente; – ai fini della valutazione della violazione del principio del ne bis in idem, nel caso di sanzione irrevocabile irrogata dalla Consob, la disapplicazione della norma penale, alla luce della giurisprudenza delle Corti europee, può avere luogo soltanto nell’ipotesi in cui la sanzione amministrativa assorba completamente il disvalore della condotta coprendo sia aspetti rilevanti a fini penali che a fini amministrativi, offrendo pienamente tutela all’interesse protetto dell’integrità dei mercati finanziari e della fiducia del pubblico negli strumenti finanziari.  

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