L’art.341 bis reato plurioffensivo?

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Premessa

“Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

La pena è aumentata se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato. Se la verità del fatto è provata o se per esso l’ufficiale a cui il fatto è attribuito è condannato dopo l’attribuzione del fatto medesimo, l’autore dell’offesa non è punibile.

Ove l’imputato, prima del giudizio, abbia riparato interamente il danno, mediante risarcimento di esso sia nei confronti della persona offesa sia nei confronti dell’ente di appartenenza della medesima, il reato è estinto.”

Deve premettersi che la fattispecie di cui all’art.341-bis cod.pen. richiede che la condotta sia tenuta in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, in modo che le offese possono essere udite da queste ultime, giacché tale aspetto di per sé costituisce un aggravio psicologico che può compromettere la prestazione del pubblico ufficiale, disturbandolo mentre compie un atto dell ufficio e facendogli avvertire condizioni avverse, ulteriori rispetto a quelle ordinarie.  (Cass. Sez. 6, n.19010 del 28/03/2017).

Alla luce di tali premesse la condotta era stata tenuta in unità di contesto, nella fase in cui gli operatori stavano tutti svolgendo i medesimi compiti, ed era consistita nella formulazione di offese generiche, con riguardo alle quali non veniva messa in rilievo la specificità della posizione di uno dei militari, ma emergeva la riferibilità della condotta all’indistinto operare dei vari carabinieri. In tale situazione non avrebbe potuto concretamente apprezzarsi quello specifico disvalore su cui riposa la punibilità della condotta alla luce della formulazione dell’art.341-bis cod. pen., che non si limita a tutelare genericamente l’onore e il prestigio del pubblico ufficiale, ma mira in ultima analisi ad assicurare il buon andamento della pubblica amministrazione in relazione alle sfavorevoli condizioni esterne all’operato del pubblico ufficiale. (Cass. Sez.VI pen del 11/02/2020).

Il principio di offenvisità è indefettibile in un sistema penale democratico, liberale e garantista.

Ed, invero, la necessità di riformulare la teoria generale del reato sulla base costituzionale impone la definizione di reato come fatto (principio di materialità) tipico (principio di legalità) offensivo (principio di offensività).

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Principi costituzionali di riferimento

Il fondamento costituzionale è desumibile dai seguenti referenti normativi:

– art. 13: che tutela la libertà personale; sicché, l’irrogazione di una sanzione penale (spesso limitativa di quel bene) può essere emessa solo come reazione ad una condotta che offenda un bene di pari rango;

– art. 25, comma 2: che subordina la sanzione penale alla commissione di un fatto; sicché, è necessario che il legislatore punisca condotte materiali ed offensive e non la mera disobbedienza:

– artt. 25 e 27: e la distinzione quindi tra pena e misure di sicurezza con funzione esclusivamente preventiva; sicché, sanzionare con una pena una condotta non offensiva, seppur indice di futuri reati penali significherebbe assegnare alla pena il ruolo proprio della misura di sicurezza;

– art. 27, comma 2: posto che essendo presupposto della rieducazione del condannato la percezione dell’antigiuridicità del proprio comportamento la condanna per mere violazioni di doveri non offensiva di alcun bene frustrerebbe la funzione rieducativa della pena.

– art. 21: atteso che ogni agire umano è espressione del proprio mondo interiore, del proprio intelletto, della propria volontà ed è, dunque, tutelato con forma di libera espressione del pensiero; sicché, la sanzione di meri comportamenti inidonei ad offendere alcun bene, significherebbe una compressione della libertà di pensiero e, dunque, una violazione dell’art. 21 Cost.

La teoria del bene giuridico è chiamata a svolgere in ambedue i casi la funzione di ancorare la punibilità al limite della tutela dei beni.In forza del principio di offensività il reato deve sostanziarsi nell’offesa di un bene giuridico, non può consistere in una mera disobbedienza e cioè nella violazione del dovere di obbedire a una (qualsiasi) legge.

Il principio viene, pertanto, invocato:

– nel momento legislativo per vincolare il legislatore a costruire fattispecie incriminatici offensive di beni meritevoli di tutela;

– nel momento applicativo perché l’interprete dovrebbe applicare la norma soltanto quando il fatto commesso risultasse concretamente offensivo del bene tutelato.

L’esplicita enunciazione costituzionale del principio di legalità in senso formale significa che in astratto qualunque fatto può diventare reato perché è sufficiente che sia pubblicata una legge che lo consideri tale.

Reato plurioffensivo

Il reato plurioffensivo lede contemporaneamente una pluralità di beni giuridici: ad es. nella calunnia (art. 368 c.p.) viene leso sia l’interesse dello Stato ad una corretta amministrazione della giustizia, che l’interesse individuale di una persona al rispetto della sua onorabilità.

Tuttavia, mentre la precedente ipotesi normativa di cui all’abrogato art. 341 puniva qualunque modalità di offesa attuata nei confronti del p.u., mentre l’elemento della pubblicità assurgeva a mera circostanza aggravante, ad oggi il fatto che l’offesa sia arrecata in luogo pubblico, o aperto al pubblico e in presenza di più persone è a tutti gli effetti elemento costitutivo del reato. Non solo, ma l’offesa (come nella precedente fattispecie) deve essere arrecata mentre il pubblico ufficiale compie un atto del suo ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni.

Al secondo comma è disciplinata una speciale causa di non punibilità, costruita sulla falsa riga di quanto previsto dall’art. 596 in tema di ingiuria e diffamazione. Infatti, qualora venga dimostrata giudizialmente la verità del fatto attribuito, il colpevole non è punibile.

Il terzo comma prevede invece una causa di estinzione del reato, qualora il colpevole ripari interamente il danno non patrimoniale subito dal pubblico ufficiale e il danno all’immagine subito dall’ente di appartenenza dell’ufficiale medesimo.

Pertanto l’offesa rivolta a più carabinieri non è oltraggio a pubblico ufficiale poiché la norma non si limita a tutelare genericamente il prestigio e l’onore del singolo militare ma assicura il buon andamento della pubblica amministrazione.

E’ vero infatti che tale condotta palesa, in omaggio ai principi giurisprudenziali più accreditati, una inidoneità assoluta, originaria ed intrinseca ad offendere il bene giuridico protetto dalla norma penale.

Va rilevato, infatti, che, l’art. 49 co. 2 c.p. si pone come riferimento normativo del principio di offensività a livello di legge ordinaria, offensività che si pone, ormai, quale criterio guida per il Legislatore e per l’interprete, richiedendo di prevedere e giudicare come rilevanti come reati “fatti” che possono in concreto tradursi in “offesa” ad interessi tutelati.

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Raffaele Vitolo

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