1. L’art. 9 Cost. come presidio della “Grande bellezza” italiana.
2. Ambiente o ambienti? Alla scoperta dell’eredità “inconsapevole” dell’art. 9 della Costituzione.
3. Il contributo delle religioni alla protezione ambientale.
4. Il FEC come strumento di concertazione Stato-Chiesa per la tutela dell’ambiente.
-
L’art. 9 Cost. come presidio della “Grande bellezza” italiana
La Costituzione italiana a settant’anni dall’entrata in vigore (1948-2018) ha conservato intatta buona parte della sua modernità ([1]).
Uno dei tratti identificativi che la tracciano è stato individuato nella tutela della bellezza approntata nel disegno costituzionale.
Quest’ultima è un’esigenza particolarmente avvertita dall’ordinamento italiano ove il dialogo più recente è polarizzato sugli aspetti riguardanti la salvaguardia ambientale.
La tutela del bello rimane anche sotto quest’ultimo profilo un elemento di rilievo, al punto che nel corso della XVII legislatura è stata depositata la proposta di legge Costituzionale n. 2401 recante “Modifica all’art. 1 della Costituzione, in materia del riconoscimento della bellezza quale elemento costitutivo dell’identità nazionale” ([2]).
Secondo i proponenti, anche la bellezza naturale è un bene giuridico che merita riconoscimento costituzionale e in tal senso la modifica proposta concerne l’introduzione all’art. 1 Cost. del seguente comma: «La Repubblica riconosce la bellezza quale elemento costitutivo dell’identità nazionale, la conserva, la tutela e la promuove in tutte le sue forme materiali e immateriali: storiche, artistiche, culturali, paesaggistiche e naturali».
Non mancano poi, anche progetti di legge ordinaria ([3]) come il n. 738, presentato nel corso della XVIII legislatura recante “Disposizioni per la tutela e la valorizzazione della bellezza nel paesaggio italiano, nell’ambiente e nella qualità architettonica e urbanistica”.
Ad oggi, tuttavia, vista l’assenza di specifiche previsioni la norma di rango costituzionale che più di altre appare preordinata ad approntare il tipo di tutela richiamata è l’art. 9 Cost. ([4])
Si tratta di una disposizione dal “carattere dinamico” che rappresenta un “ponte tra passato e futuro” ([5]).
Attraverso il suo contenuto, infatti, i Padri costituenti hanno rimarcato che la protezione del bello è uno dei valori fondanti il nostro sistema costituzionale.
Per tale ragione la disposizione è stata scelta come parametro di riferimento per la tutela del patrimonio culturale, storico-artistico, paesaggistico ed ambientale ([6]), e ciò nonostante la dottrina ne avesse in una fase iniziale sottovalutato sia il valore che l’importanza.
In merito, gli interpreti della Costituzione pur ammettendo la novità del suo contenuto rispetto alla tradizione prerepubblicana ([7]), ugualmente ne consideravano la sistemazione tra i principi fondamentali come un avvenimento “casuale” ([8]), frutto di una elaborazione scarsamente approfondita in sede costituente ([9]).
Eppure, almeno per i profili strettamente ambientalistici, a partire dagli anni ’70 l’art. 9 Cost. è divenuto l’asse portante per il riconoscimento del diritto primario a godere di un ambientale salubre, e ciò attraverso una sua lettura effettuata in combinato disposto con gli artt. 2 e 32 Cost. ([10])
Tale traguardo, com’è noto, è stato raggiunto grazie alla giurisprudenza della Corte costituzionale che nelle sentenze n. 210 e n. 641 del 1987 ha definitivamente chiarito che l’ambiente è “un bene giuridico riconosciuto e tutelato da norme” e la sua protezione rappresenta un “diritto fondamentale della persona umana”, oltre che un “valore costituzionale primario” assieme a quello alla salute individuale e collettiva.
L’interpretazione del giudice delle leggi ha, quindi, consentito un’integrazione del significato dell’art. 9 Cost. mediante un’attività volta alla difesa e promozione delle libertà fondamentali ([11]).
Il rilievo dell’art. 9 Cost. si è così temporalmente protratto almeno sino al 2001, anno in cui – con la riforma del titolo V della Costituzione – i rinvii espressi ad «ambiente» ed «ecosistema» introdotti dall’art. 117, secondo comma, lettera s) hanno incrementato i parametri costituzionali di riferimento per la salvaguardia ambientale ([12]).
Tale innovazione ha arricchito il portafoglio di norme poste a tutela dell’ambiente naturale senza però sminuire le qualità che erano state originariamente assegnate all’art. 9 Cost.
Esse possono essere considerate un riflesso della storia italiana poiché i costituenti all’epoca della redazione della Carta avevano ancora vivido il ricordo della distruzione provocata dal secondo conflitto mondiale (tra l’altro nel 2018 cade anche la ricorrenza degli 80 anni delle Leggi razziali sottoscritte da Re Vittorio Emanuele III nella Tenuta di San Rossore a Pisa, e promulgate con Regio Decreto 5 settembre 1938-XVI, n. 1390 e 7 settembre 1938-XVI, n. 1381).
La protezione dei valori estetico-culturali ed ambientali era, pertanto, un’esigenza ineliminabile.
L’art. 9 Cost. rimane così la vera eredità lasciata dai padri costituenti all’ordinamento italiano ([13]). Una disposizione posta a presidio della “Grande bellezza” ([14]), ossia all’insieme del patrimonio culturale, storico, artistico e paesaggistico che contribuisce a formare l’identità di un popolo ([15]), e a delineare nel tempo la memoria storica di una nazione ([16]).
Volume consigliato
Compendio di Diritto costituzionale
Il testo affronta il diritto costituzionale a 360 gradi, con un linguaggio tecnico ma fluido, funzionale alla preparazione di concorsi ed esami. L’opera è aggiornata al decreto legge 23 febbraio 2020, n. 6 (convertito in legge 5 marzo 2020, n. 13) contenente misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 e ai vari D.P.C.M. che sono stati adottati in seguito, in particolare quello del 9 marzo 2020 che ha esteso tali misure su tutto il territorio nazionale; alla legge costituzionale 19 ottobre 2020, n. 1 contenente modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari.
Diego Solenne | 2021 Maggioli Editore
24.00 € 19.20 €
2.Ambiente o ambienti? Alla scoperta dell’eredità “inconsapevole” dell’art. 9 della Costituzione
Passando alla lettura dell’art. 9 Cost., va osservato che la mancanza del termine «ambiente» dal contenuto della norma non lo esclude automaticamente dal gruppo beni giuridici da essa protetti ([17]).
L’interpretazione del dato normativo, infatti, ha chiarito che i padri costituenti avevano immaginato un concetto organico di ambiente seppur scomposto negli oggetti della previsione costituzionale.
La cultura, il paesaggio e il patrimonio storico-artistico della nazione sono divenute così le particelle elementari dell’idea di ambiente tratteggiata dalla disposizione ([18]).
Essa, tutela una categoria giuridica unitaria che tuttavia ammette una coniugazione al plurale ([19]).
Per tale ragione si può fare riferimento a un ambiente culturale o ad uno artistico, a un ambiente paesaggistico o a uno naturale e, dilatando il concetto, ricomprendere al suo interno anche quello di “ambiente religioso”. Quest’ultimo, da intendere come spazio naturale sacro o come contesto fisico forgiato dalla presenza di segni o elementi architettonici di culto.
Si manifesta in tal modo l’importanza di assegnare anche alle religioni un ruolo nel sistema di tutela connaturato alla disposizione costituzionale, nonostante la sua formulazione appaia rivolta esclusivamente allo Stato ([20]).
Le religioni, d’altra parte, hanno contribuito con le loro regole e con i loro precetti alla definizione di un corretto concetto giuridico di ambiente.
Si pensi ad esempio al contributo del Talmud in materia di pianificazione urbanistica e di limitazione delle immissioni, o quelle previste dal Corano in materia di aree naturali protette.
A conferma di tale esigenza vi è anche il rilievo riconosciuto dalla Costituzione italiana al fenomeno religioso al quale sono dedicati in esclusiva ben 4 articoli, il 7, l’8, il 19 e il 20, oltre all’art. 3 sul c.d. “principio di eguaglianza” e l’art. 2 che pone i gruppi religiosi tra le formazioni sociali ove si esplica la personalità dell’individuo ([21]).
Da questo punto di vista, dunque, la collocazione dell’art. 9 Cost. tra i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale ([22]) subito dopo le norme dedicate ai rapporti tra Stato e confessioni religiose, può essere letta anche come un elemento di innovazione.
Essa, infatti, consente di connettere virtualmente il contenuto della norma alle molteplici “visioni dell’ambiente” di cui religioni, tradizioni e culture religiose sono considerate portatrici.
Al particolare posizionamento dell’art. 9 Cost. può essere così associato un effetto del tutto “inconsapevole” ai padri costituenti, che è quello di confermare il rilievo del fenomeno religioso nel quadro della Costituzione, oltre a un’estensione ai gruppi religiosi delle opportunità di salvaguardia ambientale connesse alla disposizione in esame ([23]).
Le religioni in tal modo potrebbero svolgere un ruolo attivo nell’opera di tutela dell’ambiente grazie a valori e regole orientate alla cura del creato.
Quest’ultima, in particolare, rileva sia per il diritto statale che per quello confessionale costituendo nel primo il presupposto per il godimento di altre libertà fondamentali, mentre nel secondo la condizione indispensabile per l’attuazione di un autentico “sviluppo umano integrale”.
-
Il contributo delle religioni alla protezione ambientale
A questo punto della trattazione l’ulteriore esigenza che si pone è quella di verificare se la salvaguardia dell’ambiente sia eventualmente ricompresa nell’ambito di accordi conclusi tra Stato e confessioni religiose operanti all’interno del ordinamento giuridico italiano.
L’Accordo di Villa Madama sancisce il generale principio di collaborazione tra Stato e Chiesa cattolica per la promozione dell’uomo e il bene del Paese.
Esso è stato recepito nell’ordinamento italiano attraverso l’art. 1 della legge n. 121 del 1985 che recita: «La Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti ed alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese.».
In merito a tale principio è stato correttamente osservato che «la collaborazione tra Stato e Chiesa deve avvenire anche sul piano delle tematiche ambientali, laddove si può riscontrare, nonostante i differenziati approcci, un’identità di vedute e un comune impegno tali da suffragare le convinzioni di autorevole dottrina ([24]) che ritiene ormai superata la tradizionale tesi volta a distinguere, nell’ambito del concetto di bene comune, tra un ordine spirituale, appannaggio della Chiesa, e un ordine temporale, di competenza esclusivamente statuale” ([25]).
Effettivamente, la tutela dell’ambiente letta attraverso il prisma collaborativo evidenzia l’esistenza di una certa contiguità tra diritto individuale a godere di un ambiente sano e dovere di ogni fedele di salvaguardare il Creato, tipico dell’insegnamento magisteriale cattolico ([26]).
Le religioni sotto questo profilo svolgono una funzione di stimolo dei fedeli che sono indotti a seguire modelli ed ortoprassi comportamentali dei quali avvertono, o dovrebbero avvertire, la doverosità giuridica, con conseguenti riflessi sulle scelte individuali ([27]).
L’effetto positivo per la tutela ambientale, si verifica allorché le prescrizioni confessionali si traducono in comportamenti ecologicamente sostenibili anche negli ordinamenti statuali.
La possibilità che questo processo osmotico operi efficacemente nei sistemi civilistici è favorita nell’ordinamento costituzionale dal principio di sussidiarietà orizzontale sancito dall’art. 118, quarto comma, Cost.
Esso prevede che «Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale».
L’intervento “sussidiario” di enti religiosi o confessionali facilita, pertanto, la “conversione ecologica” mediante un’azione improntata a criteri di sostenibilità ambientale ([28]).
Ritornando ora, nuovamente, al principio collaborativo sancito dall’art. 1 dell’Accordo di Villa Madama, va detto che esso è ulteriormente sviluppato nell’articolo 12 ove si legge che «La Santa Sede e la Repubblica Italiana, nel rispettivo ordine, collaborano per la tutela del patrimonio storico e artistico. (…)».
Da tale disposizione deriva un’esplicazione della collaborazione tra Stato e Chiesa cattolica almeno sul fronte dei beni culturali di interesse religioso, che rappresentano una parte rilevante del patrimonio storico-artistico italiano ([29]).
In realtà, attraverso la combinazione degli artt. 1 e 12 dell’Accordo di Villa Madama sembra potersi ricavare a carico dei soggetti interessati molto più del semplice principio di cooperazione per i beni culturali di interesse religioso.
Le norme, infatti, appaiono alla base di un più generale modus operandi di tipo collaborativo da sfruttare anche nei casi finalisticamente indirizzati alla tutela e la promozione ambientale.
Sotto il profilo giuridico tale ultima possibilità può essere estesa anche alle confessioni religiose diverse dalla cattolica in quanto una “regola collaborativa”, almeno per ciò che concerne la tutela del patrimonio storico-artistico di carattere religioso è riprodotta anche nelle intese stipulate con altri gruppi religiosi tra il 1984 e il 2015.
Nel caso specifico dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI), poi, tale principio è stato ulteriormente ampliato attraverso un riferimento espresso all’ “ambiente” ([30]) contenuto nell’art. 17, della legge 8 marzo 1989, n. 101 recante “Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l’Unione delle Comunità ebraiche italiane” ove è precisato che «Lo Stato, l’Unione e le Comunità collaborano per la tutela e la valorizzazione dei beni afferenti al patrimonio storico e artistico, culturale, ambientale e architettonico, archeologico, archivistico e librario dell’ebraismo italiano».
Il richiamo normativo conferma, pertanto, che la tutela, promozione e valorizzazione dei beni ambientali sono finalità connaturate al più generale principio di collaborazione tra Stato e gruppi religiosi ([31]).
Può concludersi, così, che a partire dall’art. 9 della Costituzione è tracciabile un principio “pattizio” potenzialmente in grado di ampliare il catalogo delle res mixtae al di là di quelle ricalcate sui concordati con la Chiesa cattolica, includendo anche le questioni concernenti le tematiche ambientali.
A queste ultime potrà essere eventualmente estesa la negoziazione di tipo bilaterale, «programmando la messa in opera di strumenti diretti e funzionali a estendere il coefficiente di libertà e di eterointegrazione iscritto nella stessa grammatica della costituzione repubblicana.» ([32]).
Vedi anche:”Il diritto ad un ambiente salubre nell’elaborazione della giurisprudenza di Strasburgo”
-
Il FEC come strumento di concertazione Stato-Chiesa per la tutela dell’ambiente
La concertazione tra Stato e gruppi religiosi per la tutela dell’ambiente è un’ipotesi di lavoro che richiede di verificare la compatibilità di un ulteriore tassello con il mosaico ermeneutico sin qui proposto.
Si tratta, in particolare, di accertare se nel nostro ordinamento vi sono soggetti giuridici che astrattamente perseguono tali finalità impegnando prassi di tipo collaborativo.
Da questo punto di vista il Fondo Edifici di Culto (FEC) rientra tra i possibili oggetti d’indagine.
Si tratta, com’è noto, di un soggetto giuridico nato dagli Accordi tra Stato e Santa Sede del 18 febbraio (legge 25 marzo 1985, n. 121) e del 15 novembre 1984 (legge 20 maggio 1985, n. 206), e disciplinato dagli artt. 54-65 della legge n. 222/1985, integrata dal regolamento di esecuzione approvato con DPR n. 33 del 1987 ([33]).
Il compendio normativo appena citato determina alcune delle “anomalie” che caratterizzano il Fondo Edifici di Culto sin dalla nascita. Anomalie collegate sia alle modalità della sua istituzione, sia alle strutture alle quali è assegnata l’amministrazione del patrimonio che gestisce.
Sotto il primo profilo, cioè quello costitutivo, la dottrina ha rilevato che «per la prima volta lo Stato crea una persona giuridica pubblica, appartenente alla sua organizzazione ([34]), non per un proprio autonomo atto di volontà, bensì in forza di un accordo» ([35]).
Il FEC, dunque, nasce da una negoziazione tra Stato e Chiesa espressione del diritto di derivazione pattizia, e cioè di un diritto negoziato indirizzato verso forme di cooperazione per il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva realizzazione dei diritti di libertà ([36]).
Da ciò deriva la possibilità di aderire alla corrente dottrinaria che ha riconosciuto nella peculiare modalità di costituzione del FEC «un aspetto di quella “reciproca collaborazione” fra Italia e Santa Sede per “la promozione dell’uomo e il bene del paese” posta a caposaldo dei rapporti fra le due potestà dall’Accordo del 18 febbraio 1984» ([37]).
La conseguenza in ordine alla protezione dell’ambiente è di ritenere che tale finalità possa far parte dei fini istituzionali oggetto di cooperazione che è alla base degli obiettivi perseguiti dal Fondo Edifici di Culto.
Tale eventualità necessita di essere analizzata in concreto, partendo dalla particolare natura dei beni di proprietà dell’ente.
Il FEC infatti, è istituzionalmente preposto all’amministrazione di beni di provenienza ecclesiastica giunti al Fondo in seguito alla legislazione c.d. eversiva dell’asse ecclesiastico.
Da questo punto di vista se è nota la consistenza di edifici di culto che l’ente amministra (circa 820), e se è altrettanto nota la circostanza che esso gestisce beni mobili ed immobili di varia natura ([38]), è invece meno noto che il Fondo annovera tra i suoi beni alcuni compendi silvo-forestali tra i più grandi d’Italia.
Sono proprietà del FEC la Foresta di Tarvisio in provincia di Udine, l’ex feudo Quarto Santa Chiara in Palena nella provincia di Chieti e il compendio forestale di Monreale in provincia di Palermo ([39]).
Tutti e tre i compendi rientrano tra le “Riserve naturali italiane” che in base all’art. 2, comma 3, della legge 394/1991 “Sono costituite da aree terrestri, fluviali, lacustri o marine che contengono una o più specie naturalisticamente rilevanti della fauna e della flora, ovvero presentano uno o più ecosistemi importanti per la diversità biologica o per la conservazione delle risorse genetiche”.
Essi, inoltre, fanno parte della categoria delle “Riserve naturali orientate” cioè quelle per le quali ai sensi dell’art. 12, comma 2, lettera b), della citata l. 394 è previsto un indirizzo gestionale volto non soltanto alla conservazione, ma anche allo sviluppo delle potenzialità naturalistiche dei territori attraverso programmi di educazione naturalistica e forme di turismo compatibile, consapevole e rispettoso dell’ambiente.
La presenza di tali compendi silvo-forestali, pertanto, attribuisce al FEC rilevanti competenze d’indirizzo per la salvaguardia di un patrimonio ambientale che in virtù delle Direttive n. 92/43/CEE (c.d. direttiva “Habitat”) e n. 79/409/CEE (c.d. direttiva “Uccelli”) attualmente rientra anche nella rete di “Aree protette europee” ed in quella delle “Riserve della biosfera UNESCO”.
Per queste aree già a partire dal 1929 erano state stipulate dal FEC apposite convenzioni con il Corpo forestale dello Stato che si rinnovano con cadenza novennale.
Ad esempio, nel dicembre 2014 è stata reiterata la convenzione per la gestione della foresta di Tarvisio con il Corpo dei Carabinieri per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare (nel quale è confluito il Corpo Forestale dello Stato in seguito all’emanazione del d.lgs. n. 177/2016), convenzione realizzata in collaborazione con l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) in virtù del Protocollo d’intesa sottoscritto il 5 gennaio 2018.
Le convenzioni si pongono in linea con la politica di rinuncia alla gestione diretta del patrimonio da parte del FEC, che nel caso specifico dei compendi silvo-forestali appare giustificata anche dalla particolare natura dei beni oggetto degli accordi dismissivi.
Tale politica di gestione, tuttavia, non deve necessariamente far ritenere che il FEC rientri tra gli “enti statali inutili” di difficile, se non impossibile soppressione, che in tempo di spending review andrebbero cancellati ([40]).
La protezione dell’ambiente, infatti, potrebbe essere il punto di forza per una ristrutturazione dell’ente volta alla sua rivitalizzazione. Ciò attraverso il potenziamento della cooperazione tra autorità civili e confessionali su un argomento che rappresenta una delle materie più attuali del magistero sociale della Chiesa cattolica.
Da questo punto di vista le finalità istituzionali di “conservazione, tutela e valorizzazione” che l’art. 58 della l. 222/85 attribuisce al Fondo vanno estese a tutti i beni di cui esso è proprietario, ivi compresi i compendi silvo-forestali che al pari degli altri beni rientrano tra i cespiti incamerati al FEC nel periodo dell’eversione dell’asse ecclesiastico ([41]).
A questo punto, ad articolare ulteriormente il discorso si inserisce il secondo dei profili di “anomalia” segnalati in apertura, e precisamente la circostanza che l’ente pur essendo giuridicamente rappresentato dal Ministro dell’Interno è però gestito da un Consiglio di Amministrazione di natura mista che coadiuva il titolare del dicastero.
L’art. 57, della legge 222/85 prevede che i membri del Consiglio di amministrazione del FEC siano per due terzi di nomina ministeriale e per un rimanente terzo di nomina della Conferenza Episcopale Italiana (C.E.I.).
La presenza nel Consiglio di Amministrazione di amministratori designati dalla C.E.I. si giustifica sia con il fatto che l’ente si interessa dell’amministrazione degli edifici di culto cattolici, sia perché il patrimonio complessivamente amministrato dal Fondo, come detto, ha un’origine ecclesiastica.
Tale spiegazione, però, non ha attenuato i dubbi della dottrina che si è interrogata sulla natura giuridica del Consiglio ma soprattutto sul ruolo effettivamente ricoperto dai membri della C.E.I. in seno a tale consesso[42].
La presenza di membri della C.E.I., in particolare, ha suscitato perplessità circa la possibilità di assegnare alla Chiesa cattolica un potere in qualche modo equivalente a quello dell’autorità statuale attraverso l’azione di rappresentanza di interessi svolta da questi ultimi.
In realtà, già la circostanza che essi risultano numericamente inferiori ai membri di nomina ministeriale dovrebbe mettere al riparo da ogni timore sul punto.
Tuttavia, non si può trascurare che una qualche influenza possa essere esercitata dai componenti nominati dalla C.E.I., non fosse altro che per la loro partecipazione al Consiglio.
Sorvolando, comunque, sulle problematiche squisitamente giuridiche connesse alla presenza dei membri della C.E.I. in seno al Consiglio di amministrazione[43], si può in ogni caso ritenere che questi ultimi lo coadiuvano anche nell’assumere decisioni che convogliano l’attività di indirizzo sul patrimonio naturale.
Tale circostanza sembra confermata da ulteriori riflessioni sulle competenze ad esso riservate, ovvero se sia chiamato ad esercitare una funzione meramente consultiva oppure una di più ampio rilievo.
In proposito una parte della dottrina ha osservato che dal testo dell’art. 57, comma 3, l. 222/85 si può dedurre che «il Consiglio di Amministrazione è stato previsto con finalità più estese di quella consultiva, anche se “diverse” da quelle di un tipico consiglio di amministrazione.» ([44]).
Da ciò, come segnalato, deriva l’astratta possibilità di cooperazione tra Stato e Chiesa anche in materia di compendi silvo-forestali e dunque di “ambiente”. Quest’ultima andrà attuata da ciascuna delle parti, nei limiti del proprio ordine, e senza che risulti in alcun modo intaccata la necessaria supremazia decisionale dello Stato.
In ultima analisi, dunque, sembra potersi confermare l’ipotesi di una complessiva cooperazione tra Stato e religioni in materia ambientale. Cooperazione da ricondurre sempre nel solco dei principi costituzionali dei quali l’art. 9 costituisce, come si è detto in apertura, un’eredità storica fondamentale.
Volume consigliato
Compendio di Diritto costituzionale
Il testo affronta il diritto costituzionale a 360 gradi, con un linguaggio tecnico ma fluido, funzionale alla preparazione di concorsi ed esami. L’opera è aggiornata al decreto legge 23 febbraio 2020, n. 6 (convertito in legge 5 marzo 2020, n. 13) contenente misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 e ai vari D.P.C.M. che sono stati adottati in seguito, in particolare quello del 9 marzo 2020 che ha esteso tali misure su tutto il territorio nazionale; alla legge costituzionale 19 ottobre 2020, n. 1 contenente modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari.
Diego Solenne | 2021 Maggioli Editore
24.00 € 19.20 €
Note:
([1]) L’attualità della Costituzione nonostante l’“età” è stata così riaffermata: «(..) la Costituzione italiana, grazie alla robusta trama di principi che nella prima parte la innervano, mostra di durare assai bene malgrado l’usura del tempo. Nel 2018, in occasione del suo settantesimo anno di vita, si potrà rilevare la sostanziale giovinezza almeno della ‘prima parte’ senza rischiar di cadere nei tranelli di una retorica bassamente celebrativa.». Sul punto cfr. P. Grossi, La Costituzione italiana quale espressione di una società plurale, in Nuova Antologia, CLI (1-2017), fasc. 2280, pp. 5-10. Download all’url: https://www.cortecostituzionale.it/documenti/interventi_presidente/Grossi_Sapienza.pdf
([2]) Per i proponenti On. Pellegrino et altri, il bello è un bene giuridico che merita riconoscimento come bene “primario” ed “assoluto”.
([3]) In merito va sottolineato che la protezione del bello è un’esigenza fortemente avvertita anche dall’ordinamento regionale. La Regione Puglia, ad esempio, nel 2018 ha avviato l’iter di approvazione di una legge regionale rubricata “Legge sulla bellezza del territorio Pugliese”, mentre il 27 dicembre 2018 è stata depositata presso la Regione Umbria la proposta di legge regionale n. 1912, rubricata “Bellezza e Qualità come modello di sviluppo per l’Umbria”.
([4]) Ha recentemente sottolineato la rilevanza dell’art. 9 della Cost. G.M. Flick, L’art. 9 della Costituzione: dall’economia di cultura all’economia della cultura. Una testimonianza del passato, una risorsa per il futuro, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, n. 1/2015, anche per quanto riguarda i profili legati all’ambiente. In merito si segnala la riflessione della sezione n. 6 del saggio, intitolata “Il bosco e l’art. 9 della Costituzione: dall’età del legno a quella dell’umanità”.
([5]) Tali caratteristiche delle disposizioni costituzionali sono state recentemente sottolineate da T. De Mauro il quale ha sottolineato che l’intento dei costituenti era quello di creare attraverso la Costituzione «qualcosa che doveva guardare verso il futuro, qualcosa che restasse, e che non fosse legato solo ad un clima culturalmente provvisorio, com’era quello della transizione verso la fase repubblicana.». In merito cfr. Servizio dei Resoconti e della Comunicazione Istituzionale, Il linguaggio della Costituzione, Serie Convegni e Seminari, n. 18, Roma, 2008, in part. pp. 58-61 e pp. 18-27. Da questo punto di vista, risultano particolarmente interessanti anche le riflessioni sulla chiarezza del linguaggio normativo utilizzato dai costituenti segnalata sempre nel convegno su “Il linguaggio della Costituzione”, tenutosi presso il Palazzo della Minerva il 16 giugno 2008 per i 60 anni della Costituzione italiana. La chiarezza e l’estrema semplicità del linguaggio costituzionale si contrappongono al linguaggio normativo di oggi che risulta spesso particolarmente “oscuro”, e talvolta funzionale ad un tecnicismo giuridico incapace di fornire risposte adeguate alle sollecitazioni delle società interculturali. Su queste tematiche, e cioè il linguaggio della Costituzione, la legge oscura e l’inadeguatezza del tecnicismo giuridico in rapporto ai problemi dell’odierna società multiculturale si consultino rispettivamente, Servizio dei Resoconti e della Comunicazione Istituzionale, Op. cit., pp. 18-27; M. Ainis, La legge oscura: come e perché non funziona, Editori Laterza, Roma-Bari, 2010; A. Fuccillo, Diritto, religioni, culture. La preparazione del giurista alle sfide della società, in G. D’Angelo (a cura di), Rigore e curiosità. Scritti in memoria di Maria Cristina Folliero, Tomo I, Giappichelli, Torino, 2018, pp. 682-690. Inoltre, sempre per quanto riguarda i profili linguistici, ma stavolta letti attraverso il prisma delle culture religiose cfr. G. Anello, Teologia linguistica e diritto laico, Mimesis, Milano-Udine, 2015.
([6]) In dottrina sono state avanzate differenti proposte in merito alle disposizioni costituzionali da ritenere alla base del “sistema italiano” di protezione ambientale. Tra queste è da riportare quella di M.R. Piccinni la quale ne riconosce i prodromi nell’applicazione degli artt. 2 e 3 Cost. Osserva infatti l’Autrice che «Il rispetto dell’ambiente quale dovere di solidarietà sociale, a livello giuridico nel diritto italiano trova il suo fondamento nell’art. 2 Cost. L’adempimento di tale dovere, peraltro, costituisce un presupposto per la realizzazione del programma costituzionale relativo allo “sviluppo della persona umana” così come previsto dall’art. 3, comma II della Costituzione.». Su tale proposta, cfr. M.R. Piccinni, La tutela dell’ambiente nel diritto delle religioni, Aracne, Roma, 2013, pp. 26-39.
([7]) Nello Statuto Albertino mancava una disposizione in materia. Anzi, l’esplicito riconoscimento del carattere inviolabile di “tutte le proprietà” (art. 29) sembrava escludere l’ammissibilità di vincoli di natura amministrativa in relazione alla tutela del patrimonio culturale.
([8]) Il perché la collocazione fosse ritenuta “casuale” e “stonata” è spiegato da R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, Commentario alla Costituzione, Vol. I, Utet, 2006, pp. 218-219 e 220-221.
([9]) L’affermazione sembra confermata dalla circostanza che il contenuto dell’art. 9 fu integrato e variato direttamente in Assemblea costituente. In tal senso cfr. R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, Op. cit., pp. 218-219 e 220-221, ove è precisato che il dato risalta ancor più evidente se raffrontato con la notevole articolazione della disciplina legislativa delle Leggi Bottai (legge n. 1089/1939 e n. 1497/1939), le quali erano espressamente dedicate alla tutela delle “cose di interesse storico ed artistico” e alla protezione delle “bellezze naturali”. Si sottolinea, così, che tutto ciò, aveva «..fatto svalutare l’efficacia normativa dell’articolo 9, del quale se ne considerava “infelice” la forma e “stonata” la collocazione del suo cpv. tra i principi fondamentali della Carta». Per la medesima ragione, poi, esso era addirittura definito come una «“pseudo-disposizione”, priva di valore normativo a causa della eccessiva indeterminatezza dell’oggetto», ritenendosi che «non ospitasse principi normativi, ma solo dichiarazioni aventi valore “etico-politico”, quindi prive di qualunque effetto vincolante.».
([10]) Una rassegna delle opere edite dal 1975 al 1990 in Italia sul diritto dell’ambiente è proposta da G. Cordini, Bibliografia giuridica dell’ambiente. Rassegna ragionata dei volumi e articoli pubblicati in Italia dal 1975 al 1990. Il Diritto dell’Ambiente, in Ittig – Istituto di teorie e tecniche dell’informazione giuridica, portale del CNR. Download all’url http://www.ittig.cnr.it/Ricerca/Testi/cordini1991.htm#27
([11]) Cfr. E. Cheli, Il giudice delle leggi. La Corte costituzionale nella dinamica dei poteri, Il Mulino, Bologna, 1996, p. 19.
([12]) La dottrina ha più volte sottolineato che un approccio astorico e acritico al tema della protezione ambientale non consentirebbe una valutazione corretta di tale sistema. Per un approfondimento storico circa i profili evolutivi della tematica cfr. A. Maestroni, Ambiente e associazioni ambientaliste nel quadro della riforma del titolo V della Costituzione, Quaderni del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università degli Studi di Bergamo, Bergamo, 2004, pp. 1-48.
([13]) Di eredità tramandata dai Padri costituenti parla A. Ragusa in riferimento al dibattito avvenuto nella Iª Sottocommissione dell’Assemblea costituente, in merito al quale sottolinea che «(…) l’art. 9 ha costituito la base di partenza per un dibattito destinato a fruttare non solo una maturazione progressiva della consapevolezza, della coscienza e della percezione stessa dell’importanza del patrimonio culturale, ma anche una elaborazione moderna della stessa idea di patrimonio, che ci rimane oggi in eredità come elemento fondamentale di appartenenza nazionale e di convivenza civile.». In merito, cfr. A. Ragusa, Costituzione e cultura. Il dibattito in tema di beni culturali nei lavori dell’Assemblea costituente, in Storia e Futuro, (www.storiaefuturo.eu) Rivista di storia e storiografia on-line, n. 22, 2010, in part. p. 7.
([14]) Sulle modalità con cui le opere filmiche contribuiscano a fornire rappresentazioni del “panorama culturale” italiano, inteso come legame tra natura, paesaggio e storia cfr. M. Chihaia, A. Sánchez Jiménez (a cura di), El texto comomáquina: matices de una alegoría, edito in Romanische Studien – Startseite, n. 5, 2016, pp. 279-298, e on-line al sito web www.romanischestudien.de. Mentre per il concetto di “panorama culturale” si rinvia alla definizione contenuta nella “Carta su Musei e paesaggi culturali di Siena” (versione 2.0), ma anche al contributo a cura di C. Sodano, I paesaggi culturali nella normativa italiana, ICOM – International Council of Museums Italia, 2016, pp. 1-4, e anche Id., Cultural landscapes in International Charters, in Museum international, ICOM – International Council of Museums Italia, 2017.
([15]) Il tema dell’identità dei popoli e delle tradizioni giuridiche del mondo è magistralmente trattato in H.P. Glenn, Tradizioni giuridiche del mondo. La sostenibilità della differenza, Il Mulino, Bologna, 2011. Invece, per una lettura sociologica delle moderne dinamiche sociali di tipo ambientalista, e i loro riflessi sui processi di costruzione identitaria, cfr. M. Castells, The power of identity (2nd edition), Blackwell Publishing, Chichester – West Sussex (UK), 2010, pp.168-191.
([16]) Cfr. L. Bonesio, Paesaggio, identità e comunità tra locale e globale, Diabasi, Reggio Emilia, 2007.
([17]) Per una ricomposizione logico-giuridica della categoria di ‘ambiente’ non possono essere trascurati i numerosi contributi di M.S. Giannini, ai quali si rinvia. Cfr. M.S. Giannini, Ambiente: saggio sui diversi suoi aspetti giuridici, in Riv. trim. dir. pubbl.,1, 1973, e ora in Scritti, VI, Giuffrè, Milano, 2005, p. 445 ss.; Id., Primi rilievi sulle nozioni di gestione dell’ambiente e del territorio, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1975, e ora in Scritti, VI, cit., p. 861 ss.; Id., Protezione dell’ambiente naturale, in Enciclopedia del Novecento, Vol. IV, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma, 1979, e ora in Scritti, VII, cit., pp. 297-309.
([18]) Il profilo, è da ricondurre anche alla ricostruzione giuridica del concetto di ‘ambiente’ proposta dalla “Commissione Franceschini” istituita con legge 26 aprile 1964, n. 310, recante “Costituzione di una Commissione d’indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio”. La Commissione al termine dei lavori individuò la categoria dei beni “culturali ambientali” definendoli come «zone corografiche costituenti paesaggi, naturali o trasformati ad opera dell’uomo, e le zone delimitabili costituenti strutture insediative, urbane e non urbane, che presentando particolare pregio per i loro valori di civiltà, devono essere conservate al godimento della collettività» (Dichiarazione XLVI); ed anche che «sono specificamente considerati beni ambientali i beni che presentino singolarità geologica, flori-faunistica, ecologica, di cultura agraria, di infrastrutturazione del territorio, e quelle strutture insediative anche minori o isolate, che siano integrate con l’ambiente naturale in modo da formare un’unità rappresentativa.» (Dichiarazione XXXIX).
([19]) Nel percorso che ha condotto gli interpreti della Costituzione ad identificare l’ambiente come concetto giuridico unitario nonché fondamentale valore costituzionale, si è assistito all’avvicendamento nell’interpretazione dell’art. 9 Cost. tra le teorie pluraliste e le teorie moniste. Difatti, mentre i primi interpreti della norma (si pensi ad es. alle posizioni di Sandulli) esponenti delle c.d. teorie pluraliste escludevano la natura in quanto tale dai beni giuridici protetti, i rappresentanti delle teorie moniste hanno sempre esaltato il fondamento costituzionale della tutela dell’ambiente in generale, al di là delle sue singole componenti, affrontando il problema ambientale in termini unitari ed organici. Per gli opportuni approfondimenti sulla successione delle teorie sull’ambiente e, implicitamente sull’interpretazione dell’art. 9 Cost., si rinvia tra gli altri a A. Maestroni, Ambiente e associazioni ambientaliste nel quadro della riforma del titolo V della Costituzione, Pubblicazioni del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Bergamo, Bergamo, pp. 90-104.
([20]) È interessante notare come nell’opera di P. Häberle al significato costituzionale dell’espressione ‘territorio dello Stato’ è attribuita una forza propulsiva legata agli aspetti della tutela della natura, dell’ambiente e della cultura, che sono in connessione con i diritti fondamentali. Secondo l’A. il territorio diviene spazio e la cultura diviene ambiente e natura, e ciò secondo una dottrina della costituzione intesa come scienza della cultura. Su tale teoria, cfr. P. Häberle, Per una dottrina della costituzione come scienza della cultura, Carocci, Roma, 2001.
([21]) Il riconoscimento costituzionale dell’importanza del fenomeno religioso e dei suoi interpreti istituzionali in un generale quadro di libertà e pluralismo è ampiamente tratteggiato in A. Fuccillo, Diritto, Religioni Culture. Il fattore religioso nell’esperienza giuridica, Giappichelli, Torino, 2018, p. 1 ss.
([22]) Su tale profilo cfr. A. Albisetti, Principi supremi dell’ordinamento e art. 9 della Costituzione, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), maggio 2009.
([23]) Tra l’altro, non è fuor di luogo ricordare in questa sede la composizione della 1ª sottocommissione che nella Commissione dei 75 era quella deputata all’analisi ed alla stesura degli articoli riguardanti i principi fondamentali della Carta. In quest’ultima l’area cattolica era rappresentata dall’On. Moro che esercitava un’influenza particolare, pur se erano rappresentate tutte le anime politiche allora esistenti all’interno del Paese.
([24]) Cfr. G. Lo Castro, Ordine temporale, ordine spirituale e promozione umana. Premesse per l’interpretazione dell’art. 1 dell’Accordi di Villa Madama, in Il diritto ecclesiastico, I, 1984, p. 558 ss.
([25]) L’impegno della Chiesa cattolica nella tutela dell’ambiente come espressione del principio di collaborazione con lo Stato per il bene del Paese e per la promozione dell’uomo è rimarcato nel contributo di F. Balsamo, Enti religiosi e tutela dell’ambiente, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 7/2015, p. 10.
([26]) L’evoluzione del magistero sociale cattolico in materia ambientale è ben tratteggiata da C.M. Pettinato, Il grido di Abacuc. La questione ecologica alla luce delle istanze del giusnaturalismo cristiano contemporaneo, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 31/2014, pp. 8-19.
([27]) Sulle ortoprassi comportamentali contrassegnate dalle appartenenze religiose cfr. M. Ricca, Pantheon. Agenda della laicità interculturale, Torri del Vento, Palermo, 2012, p. 66 ss.
([28]) Per quanto riguarda l’intervento degli enti cattolici a sostegno dell’ambiente, cfr. A. Fuccillo, Il cibo degli dei. Diritto, religioni, mercati alimentari, Giappichelli, Torino, 2015, pp. 18-40; per i profili relativi alla sostenibilità energetica delle parrocchie A.P. Tavani, “Frate sole” e il fotovoltaico. Il ruolo della parrocchia e la tutela dell’ambiente tra normativa statale e magistero della Chiesa cattolica, in Diritto e Religioni, 2, 2011, pp. 305-326.
([29]) In tema di beni culturali di interesse religioso, opportuni approfondimenti sono esemplificativamente disponibili in F. Freni, Codici di autodisciplina e libertà di coscienza: per una democrazia più partecipativa e solidale, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 17/2015, pp. 25 ss.; M. Lugli, I beni culturali, in G. Casuscelli (a cura di)., Nozioni di diritto ecclesiastico, Giappichelli, Torino, 2012, p. 347 ss.; M. Tigano, Tra economie dello Stato ed «economia» della Chiesa: i beni culturali d’interesse religioso, Editoriale Scientifica, Napoli, 2012; A. Fuccillo, I beni immobili culturali ecclesiastici tra principi costituzionali e neo dirigismo statale, in AA.VV., I beni culturali nel diritto. Problemi e prospettive, Editoriale Scientifica Italiana, Napoli, 2010, p. 89 ss.; Id., Diritto ecclesiastico e attività notarile, Giappichelli, Torino, 2000, spec. pp. 106-121.
([30]) Per un’etica ebraica della sostenibilità ambientale cfr. M. Giuliani, La giustizia seguirai. Etica e halakhà nel pensiero rabbinico, Giuntina, Firenze, 2016, pp. 197-221.
([31]) La sinergia tra valori laici e confessionali per la salvaguardia ambientale è alla base del moderno concetto di “Eco-fede”, per il quale si rinvia a F. Sorvillo, “Eco-fede”. Uomo, natura, culture religiose, in A. Fuccillo (a cura di), Esercizi di laicità interculturale e pluralismo religioso, Giappichelli, Torino, 2014, pp. 79-119. Tale concetto appare in linea con quanto affermato dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 302 e 356 del 1994, nelle quali il giudice delle leggi argomentando in materia di Parchi nazionali e Aree protette, nonché riorganizzazione dei controlli ambientali e istituzione dell’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente ha sottolineato che «il settore della protezione ambientale è di essenziale importanza per la vita della comunità, poiché realizza, secondo esigenze di carattere unitario, i valori espressi dagli artt. 9 e 32 della Costituzione». In tal senso, esso va considerato «quale centro di imputazione di una serie di valori non meramente naturalistici, ma anche culturali, educativi e ricreativi, in una corretta e moderna concezione di ambiente».
([32]) L’affermazione è tratta dal saggio di M. Ricca, Una modesta proposta. Intese estese e libertà d’intendersi, in CALUMET – Intercultural Law and Humanities Review, novembre 2016, p. 9 ss., nel quale l’A. ha recentemente proposto il concetto di intese estese come strumento per la gestione dell’alterità cultural-religiosa. In proposito, egli sottolinea che «le intese potrebbero essere utilizzate come ponte di traduzione, come luogo di negoziazione, per predisporre chiavi interpretative della differenza e metodologie per la sua inclusione (non traumatica) all’interno delle potenzialità semantiche della cultura e del diritto nazionali. Dovrebbe trattarsi, però, di intese estese. Queste intese estese dovrebbero coprire un’area ben più ampia di tematiche o materie rispetto a quelle attualmente affidate a questo strumento pattizio». Così facendo esse diverrebbero una «(..) piattaforma di legittimazione per interpretazioni informate e aperte all’inclusione dell’Alterità religioso/culturale (..). Immaginare intese estese, in questa prospettiva, non sarebbe altro se non programmare la messa in opera di strumenti diretti e funzionali a estendere il coefficiente di libertà e di eterointegrazione iscritto nella stessa grammatica della costituzione repubblicana..».
([33]) Cfr. M. Tedeschi, Manuale di diritto ecclesiastico, Giappichelli, Torino, 2010, pp. 246-248.
([34]) Tutto ciò, si pone in contrato con quanto avvenuto in passato per gli organismi ai quali il FEC si è sostituito (Cassa ecclesiastica, Fondo per il Culto, ecc.), che invece erano stati creati con un provvedimento unilaterale dell’autorità statale o di quella amministrativa.
([35]) Così F. Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, Zanichelli, Bologna, 2015, p. 95.
([36]) Sul punto J. Pasquali Cerioli, I principi e gli strumenti del pluralismo confessionale (artt. 7 e 8), in G. Casuscelli (a cura di), Nozioni di diritto ecclesiastico, Giappichelli, Torino, 2015, p. 63.
([37]) In tal senso cfr. F. Finocchiaro, Appunti sulla natura giuridica e sul patrimonio del Fondo Edifici di Culto, in Il Dir. Ecclesiastico, II, 1997, p. 298.
([38]) Il Fondo Edifici di Culto amministra, come si è detto, circa 820 edifici sacri dislocati su tutto il territorio nazionale. Esso amministra beni anche di altra natura tra i quali spiccano aree archeologiche e monumentali, un pregevole fondo librario custodito nella Biblioteca della Direzione Centrale per l’amministrazione del FEC presso il Ministero dell’Interno, un Archivio storico nel complesso di S. Croce in Gerusalemme in Roma, oltre ai compendi silvo-forestali indicati. La consistenza del patrimonio, tuttavia, è oggetto di continuo aggiornamento non essendo ancora definitivamente conclusa l’attività di catalogazione. Un elenco aggiornato del patrimonio del Fondo è comunque disponibile nella relazione della Corte dei Conti – Sezione di Controllo sulla Gestione delle Amministrazioni dello Stato, La gestione del “Fondo Edifici di Culto”, approvata con Deliberazione 3 luglio 2017, n. 8/2017/G.
([39]) Dei tre compendi il più famoso è certamente quello di Tarvisio il quale si estende su un’area di 24.000 ettari che giunge sino al confine con l’Austria, e conta tra le specie di alberi che vi dimorano il famoso abete rosso di risonanza particolarmente apprezzato nella fabbricazione di strumenti musicali.
([40]) Su tali profili cfr. F. Botti, Edifici di culto e loro pertinenze, consumo del territorio e spendingreview, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 27/2014, spec. p. 35-43.
([41]) A tale origine non sfuggono i patrimoni silvo-forestali del Fondo. Il bosco di Tarvisio,ad esempio, era stato donato nell’anno 1007 dall’imperatore di Germania Enrico II il Santo al Vescovado di Bamberga in Baviera, mentre il compendio di Quarto Santa Chiara che originariamente era parte del Feudo di Palena era di proprietà del monastero delle Clarisse di Sulmona.
([42]) I dubbi sollevati dalla dottrina sono ampiamente analizzati nel contributo di G. Bianco, Osservazioni sulla disciplina del Fondo Edifici di Culto, in Il dir. Ecclesiastico, 4, 1997, pp. 833-866.
([43]) Su tali profili cfr. S. Tarullo, Il Fondo Edifici di Culto ed i suoi beni visti dall’amministrativista, in Diritto e Religioni, 1, 2010, pp. 176-229.
([44]) Così F. Falchi, Il Fondo Edifici di culto, in I. Bolgiani, Enti di Culto, Il Mulino, Bologna, 2007, pp. 144-145.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento