Perché queste possano emergere, è necessario procedere all’ascolto avendo cura di rispettare la vulnerabilità e l’emotività della piccola persona che si ha di fronte, ponendo le basi necessarie per realizzare una occasione in cui l’adulto e il bambino possano incontrarsi e instaurare una relazione di fiducia che apra al confronto e alla conoscenza.
All’interno del processo, la voce del bambino rappresenta un diritto fondamentale riconosciuto e tutelato da molteplici disposizioni internazionali ed europee, nonché dal nostro ordinamento interno. Valorizzarne l’ascolto è un compito primario che deve essere adempiuto per rendere effettiva la realizzazione di un sistema giudiziario capace di percepire con piena consapevolezza le inclinazioni del minore e fare in modo che lo stesso avverta l’ambiente giustizia come luogo in cui sentirsi protetto che lo aiuti ad affrontare, in maniera più incisiva e costruttiva, una circostanza della propria vita di grande turbamento emotivo.
Riferimenti normativi
Diverse sono le fonti internazionali e dell’Unione Europea che riconoscono al minore il diritto di esprimere la propria opinione in ambito giudiziario.
Tra queste, merita di essere menzionata la Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York nel 1989 (resa esecutiva in Italia con la Legge n. 176 del 1991) il cui art. 12 prevede che, compatibilmente alle regole procedurali della legislazione nazionale, il bambino capace di discernimento deve avere la possibilità di essere ascoltato nell’ambito di ogni procedimento di qualsiasi natura (giudiziaria o amministrativa) avente ad oggetto l’accertamento di questioni rilevanti per il suo interesse.
Nello stesso senso, la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, sottoscritta a Strasburgo nel gennaio 1996 e ratificata in Italia mediante la legge n. 77 del 2003, ammette e consolida il diritto del bambino di esprimere liberamente la propria opinione, riconoscendogli anche una serie di altri diritti azionabili che ne tutelano un concreto esercizio.
Questi, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 3 e 4, si sostanziano nel diritto a ottenere ogni tipo di informazione attinente al procedimento, anche con riguardo alle conseguenze che potrebbero derivare da quanto riferirà e che potrebbero scaturire dalle eventuali decisioni che verranno assunte nei suoi confronti; il diritto ad essere consultato e il diritto di richiedere, personalmente o per mezzo di altri, la nomina di un suo rappresentante che, così come disposto dall’art. 5, deve essere capace di portare la voce del minore all’interno di procedimenti pendenti dinnanzi all’autorità giudiziaria e di esercitare, totalmente o parzialmente, tutte quelle prerogative che appartengono alla parte processuale.
La stessa Convenzione, ai sensi dell’art. 1, identifica i procedimenti per i quali è necessario renderlo partecipe attraverso la predisposizione dell’ascolto. Tra queste procedure, vi rientrano certamente quelle in materia familiare ove si innescano, il più delle volte, condizioni che generano contrasti di estrema tensione soprattutto quando è necessario provvedere in ordine all’affidamento, al collocamento e al diritto di visita, oltre che all’esercizio della responsabilità genitoriale.
Anche la Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea del 2000, tra i diritti del minore elencati nell’art. 24, designa specificatamente il suo diritto a esprimere senza condizionamenti il proprio pensiero, in tutti quei casi in cui l’autorità pubblica o le istituzioni private debbano assumere provvedimenti che si riscontrino più adeguati al suo superiore interesse, sempre nel rispetto del suo benessere psicofisico.
Il Regolamento (CE) n. 2201/2003 (c.d. “Bruxelles II bis”) è funzionale a rendere ancora più incisiva la tutela del diritto all’ascolto del bambino nei procedimenti giudiziari e, nell’ambito dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 23, par. 1, lett. b, impedisce l’automatico riconoscimento delle decisioni emesse da uno Stato membro riguardanti la responsabilità genitoriale qualora il bambino, in rapporto alla sua età e al suo grado di maturità, non abbia avuto la possibilità di essere ascoltato nel giudizio, sempre che tale mancanza non sia imputabile a motivi di urgenza.
Inoltre, gli artt. 41, par. 2, lett. b e 42, par. 2, lett. b del medesimo Regolamento dispongono che le decisioni di uno Stato membro, in ordine al diritto di visita o al ritorno del minore in materia di sottrazione internazionale, così come disciplinata dalla Convenzione dell’Aja del 25 ottobre del 1980, non possono essere riconosciute e ritenersi esecutive in un altro Stato membro qualora tutte le parti (e quindi anche il minore) non abbiano avuto la possibilità di essere ascoltate. Tale eventualità preclude al giudice che ha emesso il provvedimento la possibilità di rilasciare, sul modello di cui agli allegati III e IV del Regolamento, il relativo certificato attestante il rispetto delle garanzie procedurali da intendersi quale presupposto necessario al fine della diretta esecutività del provvedimento in un altro Stato membro.
Nella prospettiva di rendere sempre più efficace la tutela del diritto all’ascolto del minore, assumono un ruolo imprescindibile anche le linee guida del Consiglio d’Europa del 2010 che hanno la funzione di orientare gli Stati membri dell’Unione Europea in ordine all’attuazione di tutte quelle soluzioni pratiche che possano garantire una effettiva partecipazione consapevole del minore. Le disposizioni qui contenute, oltre a dare rilievo al diritto del fanciullo di ricevere tutte le spiegazioni del procedimento in modo adeguato all’età, delineano anche le caratteristiche che devono assumere gli spazi a lui dedicati, che non devono apparire ostili ai suoi occhi, le modalità e le procedure che devono essere adottate nel corso dell’ascolto e che attengono non solo alla durata temporale dell’incontro, che deve essere rispettosa delle sue esigenze, ma anche all’uso di un linguaggio a lui comprensibile.
I principi delineati sono stati recepiti anche dal diritto interno che garantisce l’ascolto del minore in tutti quei procedimenti che abbiano ad oggetto la sua protezione e tutela come avviene, per esempio, nell’ambito delle separazioni e dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio e nelle questioni relative all’esercizio della responsabilità genitoriale, oltre che nelle procedure di adottabilità, così come previsto dalla L. n. 184 del 1983 e successive modifiche intervenute.
Nel corso degli anni, varie disposizioni del nostro ordinamento hanno contribuito progressivamente a tutelare la piena e attiva partecipazione del minore all’interno del processo.
Già il testo originario della legge n. 898 del 1970, all’interno dei procedimenti di scioglimento del matrimonio, ai sensi dell’art. 4, comma 8, assegnava al giudice, qualora lo avesse ritenuto opportuno, la facoltà di sentire l’opinione dei figli, mentre, all’art. 6 comma 9, in materia di affidamento e mantenimento dei figli, la possibilità di procedere all’audizione degli stessi, qualora fosse stato ritenuto “strettamente necessario anche in considerazione della loro età”.
A seguito dell’introduzione dell’art. 155 sexies c.c. da parte della L. n. 54 del 2006 sull’ affido condiviso dei figli (poi abrogato dal D.Lgs. 28 dicembre del 2013, n. 154), è divenuto un dovere per il giudice disporre “l’audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento” prima di emanare provvedimenti, anche provvisori, nei loro confronti.
Tuttavia, soltanto con la L. 219 del 2012 in materia di filiazione si riconosce un vero e proprio diritto all’ascolto del minore. Infatti, il decreto attuativo di tale legge (D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154) inserisce nel nostro codice civile l’art. 315 bis che, definendo i diritti e doveri del figlio, al terzo comma prevede espressamente il diritto del minore ad essere ascoltato in tutti i procedimenti e in tutte le questioni che lo riguardano direttamente. Diritto ribadito anche in altre disposizioni come quelle contenute negli artt. 336 bis e 337 octies c.c. che delineano la procedura da seguire nonché i poteri del giudice esercitabili durante l’ascolto.
La persona minore, dunque, non può più essere concepita come mera destinataria di tutela, ma, al contrario, come parte processuale a tutti gli effetti, portatrice di interessi propri e contrapposti a tutti quelli degli altri soggetti coinvolti nel processo, a cui deve essere data la possibilità di manifestare le proprie ragioni e necessità, nonché l’occasione di formulare dinnanzi al giudice le proprie richieste meritevoli di tutela. Tale assunto è conforme a quanto stabilito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 1 del 2002, la quale attribuisce al minore, all’interno di procedimenti che lo riguardano, la qualità di “parte” con tutte le implicazioni che ne conseguono come, qualora si ravvisi la necessità, quella di integrare il contraddittorio nei suoi confronti, anche attraverso una preventiva nomina di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c.
Dare la possibilità al bambino di rendere palese la sua opinione deve necessariamente considerarsi quale diritto fondamentale che deve essere tutelato ogni qualvolta occorre accertare questioni importanti di suo interesse, all’interno di un procedimento giudiziario rispettoso dei principi del giusto processo e del contraddittorio.
In tutti i procedimenti in cui deve essere presa una decisione che riguarda il minore, l’audizione si tramuta, così, in un adempimento necessario posto a carico del giudice, a pena di nullità della sentenza, che deve essere rispettato anche nei confronti del fanciullo infradodicenne capace di discernimento. Qualora questa non sia disposta poiché “in contrasto con l’interesse del minore” o perché manifestamente superfluo, il giudice deve corredare il suo provvedimento con una puntuale motivazione che sorregga il mancato ascolto (ex multis Cass. 1474/2021; Cass. 13274/2019; Cass. 32309/2018; Cass. 12957/ 2018; Cass. SS.UU. 22238/2009).
Dunque, l’obbligo del giudice non ha carattere assoluto ma deve essere adempiuto solo a seguito di una attenta valutazione di tutte le esigenze ravvisabili al caso concreto.
Capacità di discernimento
Dall’interpretazione combinata delle norme appena delineate, il diritto all’ascolto è tutelato nei riguardi del bambino che abbia compiuto i dodici anni e, qualora abbia un’età inferiore, che sia dotato della capacità di discernimento. Quest’ultima è da intendersi come la capacità di dare significato alla realtà e all’esperienza, presupposto necessario affinché il minore possa elaborare autonomamente una propria idea o una propria opinione, comprendere cosa sia utile per lui e decidere di realizzare nella pratica le proprie scelte, senza essere influenzato da altri soggetti.
Benché dalle disposizioni normative si deduca una presunzione ex lege secondo cui la capacità di discernimento sia acquisita al compimento dei dodici anni, il suo pieno raggiungimento non necessariamente è correlato all’età poiché dipende da svariati elementi soggettivi: alcuni, caratterizzati dalla stabilità, coinvolgono la sfera biologica, sociale e relazionale; altri, invece, suscettibili a mutare nel corso del tempo, si riferiscono agli stati d’animo, fisici e psichici provati in un preciso momento. Ne consegue che ogni bambino sarà dotato di una diversa capacità di discernimento anche se è ragionevole ritenere che a dodici anni il minore abbia sviluppato un linguaggio terminologico adeguato e una idonea abilità logica e formale che lo aiutano ad esprimere con sufficienza chiarezza e coerenza il suo pensiero. Dunque, è presumibile che, a partire dal dodicesimo anno di vita, la sua capacità di interpretare la realtà diventa sempre più similare a quella degli adulti, riuscendo, via via, ad organizzare le sue conoscenze e a pensare seguendo lo schema del sillogismo ipotetico – deduttivo.
Al di sotto dei dodici anni la capacità di discernimento deve essere accertata, caso per caso, dal giudice o dagli esperti.
Modalità di ascolto e condizioni necessarie per renderlo efficace
Le modalità attraverso le quali il bambino può essere ascoltato sono sostanzialmente due: l’ascolto diretto, quando l’audizione è condotta direttamente dal giudice, in udienza, anche mediante l’ausilio di esperti, e l’ascolto indiretto che è interamente delegato a professionisti ( esperti in pedagogia, psicologia o neuropsichiatria infantile) nell’ambito di una consulenza tecnica di ufficio che, generalmente, è espletata nei confronti dei minori infradodicenni, in ambienti diversi rispetto al tribunale e più confacenti alla loro età.
Nel caso in cui non vi siano condizioni preclusive alla concretizzazione dell’ascolto del minore, il combinato disposto di cui agli artt. 336 bis c.c. e 38 bis disp. att. c.c. ne delinea la procedura attraverso la quale deve essere attuato, anche se in modo poco esaustivo tanto da indurre i tribunali a elaborare diversi protocolli che definiscono linee guida orientative per tutti coloro che sono impegnati nell’ascolto del minore.
Affinché si possa garantire che il tutto avvenga senza condizionamenti e interferenze di diversa natura, l’eventuale partecipazione all’audizione da parte dei genitori, anche nel caso in cui assumano il ruolo di parti processuali, i difensori, l’eventuale curatore speciale nominato e il pubblico ministero è consentita solo previa autorizzazione del giudice. Tuttavia, tale autorizzazione non è necessaria, qualora si disponga di tutti quei mezzi tecnici predisposti al fine di tutelare il minore, come l’uso di un vetro specchio e di un impianto citofonico, che realizzano la possibilità di assistere all’ascolto in un luogo diverso da quello in cui effettivamente viene espletato. In tal caso, a fronte del dovere di informazione sancito dall’art. 336 bis c.c., il giudice rende edotto il minore anche della presenza di un vetro a specchio al di là del quale sono presenti i suoi genitori e questo potrebbe incrementare il suo stato di ansia e di stress.
Nei casi più difficili, o comunque quando l’audizione è demandata al consulente tecnico, è possibile effettuare la registrazione audio video.
Durante l’ascolto, è fondamentale seguire metodi procedurali consolidati che possano considerarsi validi ai fini di interpretare e garantire le effettive necessità del bambino che, proprio in questa occasione, ha principalmente bisogno di comprendere quello che sta vivendo in prima persona per poter prendere coscienza di ciò che gli sta accadendo a livello esperienziale e a livello emotivo.
Colui che conduce l’ascolto dovrà, preliminarmente, procedere alle presentazioni definendo il suo ruolo e la sua funzione e, successivamente, dovrà spiegare al minore il motivo per il quale si trova a dover vivere una esperienza simile specificando, altresì, che quanto dirà potrà e non necessariamente sarà preso in considerazione dal giudice. Al bambino deve essere chiaro che quanto dirà non determinerà esclusivamente il provvedimento finale e che il giudice è l’unico e solo a dover decidere nel suo esclusivo interesse, tenendo in considerazione anche gli ulteriori elementi emersi nel corso del giudizio. Questo è un passaggio di fondamentale importanza perché tende a contenere il senso di responsabilità percepito dal minore in ordine all’esito del procedimento.
L’ascolto in sede civile non può e non deve avere le caratteristiche tipiche della testimonianza assunta nella fase di istruttoria penale, il cui fine è quello di accertare i fatti contestati e contenuti nel capo di imputazione. Le sue connotazioni sono totalmente differenti perché pone la sua attenzione non tanto ai fatti oggetto di causa quanto alla persona minore, considerata nella sua interezza e nella sua complessità e, il più delle volte, portatrice di forti disagi e sofferenze psicofisiche che derivano dal suo vissuto esperienziale e dal suo costante rapportarsi con realtà e contesti dominati da aspri contrasti.
Affinché l’audizione possa considerarsi efficace, è necessario procedere gradualmente cercando, per quanto possibile, di creare un ambiente accogliente e sereno capace di far sentire il minore a proprio agio e in modo da agevolare la relazione e scongiurare, così, una situazione di carattere intimidatorio che potrebbe pregiudicarne l’esito. Per poter costruire un vero e proprio rapporto di tipo empatico con il bambino è utile, almeno inizialmente, affrontare argomenti leggeri e piacevoli che destino la sua curiosità o che lo coinvolgano in prima persona. Tale aspetto non è da sottovalutare perché si dimostra valido per verificare le sue caratteristiche psicologiche che attengono al suo sviluppo cognitivo, oltre che per valutare la sua proprietà lessicale, la pertinenza delle sue affermazioni e la sua capacità di distinguere la differenza tra il vero e il falso. Saper valutare questi aspetti rende possibile adattare il colloquio al suo linguaggio così da garantire che il medesimo possa capire veramente quanto gli viene richiesto.
Durante l’incontro, è meglio porre domande aperte, evitando quesiti che siano troppo inducenti e suggestivi che potrebbero pregiudicare le risposte date, posto che i bambini sono per loro natura più inclini a cedere agli eventuali elementi fuorvianti ivi contenuti.
Inoltre, è altamente sconsigliato porre domande di carattere disgiuntivo che inducono il bambino a compiere una scelta. Interrogativi come: “Preferisci stare con la mamma o con il papà?” non fanno altro che realizzare il c.d. “conflitto di lealtà” e, così, accrescere il dispiacere provato dal minore che, percependo la rottura del legame tra le figure genitoriali di riferimento, si sente costretto ad allearsi con l’uno o con l’altro.
Durante la narrazione, è di estrema importanza rispettare i tempi e i momenti di silenzio del bambino, posto che il medesimo, generalmente, riprenderà spontaneamente il discorso interrotto. In questa occasione, bisogna resistere dalla tentazione di formulare altre domande o, peggio, di ripetere quella precedente in modo da evitare che il minore possa percepire una sensazione di insicurezza che potrebbe indurlo a ritenere che la prima risposta sia sbagliata, e di conseguenza darne una seconda totalmente nuova e diversa che non rispecchia realmente il suo punto di vista. Tale raccomandazione è consigliabile per scongiurare il rischio che si concretizzi il fenomeno della compiacenza a cui i bambini sono tendenzialmente inclini quando si relazionano con la persona adulta.
Il verbale, redatto insieme al minore, deve riportare non solo le dichiarazioni riferite con le parole ma anche il “contegno” avuto durante l’incontro, comprensivo di tutti gli atteggiamenti e di tutte le espressioni mimiche dai quali poter dedurre implicitamente informazioni ulteriori. A conclusione, chi ha condotto l’ascolto deve accertarsi di avere ben compreso quanto riferito e, a tale scopo, deve dare lettura del verbale dinnanzi al minore che lo sottoscriverà.
Poco prima di congedare il bambino è necessario parlare di argomenti piacevoli, così come all’inizio dell’incontro, e assicurarsi del suo benessere psicofisico.
L’ascolto come momento di incontro, conoscenza e comprensione
Ascoltare rappresenta il primo passo attraverso cui è possibile instaurare un processo comunicativo costruttivo tra individui che si relazionano tra loro. Non si sostanzia soltanto nel sentire passivamente le parole che l’interlocutore emette con la voce, ma al contrario, è qualcosa di più profondo che implica una capacità ulteriore: il saper interpretare e comprendere ciò che viene riferito o taciuto e il saper cogliere il significato del comportamento non verbale. Tutto questo acquisisce un significato più incisivo quando l’ascolto è volto alla tutela della partecipazione attiva del minore in tutte le questioni processuali che lo coinvolgono in prima persona.
Al fine di meglio comprendere ciò che è bene per lui, bisogna adottare tutti i dovuti accorgimenti e tutte le accortezze necessarie volte a favorire una relazione empatica e rassicurante.
La comprensione delle vere esigenze del minore impone, a colui che ascolta, di documentarsi precedentemente sul suo percorso di vita, così da procurarsi tutti quegli strumenti indispensabili per interpretare, in maniera più calzante ai propri bisogni, ciò che viene da lui raccontato. Prestare attenzione a quanto riferito dal bambino, vuol dire principalmente saper cogliere il suo punto di vista e le sue aspirazioni per garantire l’adozione di decisioni che possano davvero rispecchiare il suo interesse primario.
E’ necessario, quindi, partire dal presupposto secondo cui i bambini, anche più piccoli degli anni dodici, sono portatori di una esperienza personale e di un proprio vissuto e riescono, in autonomia, a formare una loro opinione su circostanze che li coinvolgono direttamente oltre che ad esprimerla, mediante l’uso del linguaggio a loro più congeniale in rapporto all’età e allo sviluppo cognitivo. I bambini in età prescolare (indicativamente già a partire dai tre anni), infatti, sono capaci di comprendere in modo attivo il mondo esterno e sono in grado, attraverso schemi rappresentativi della realtà di tipo primitivo (c.d. “scripts mentali”), di intrepretare e raccontare gli accadimenti della loro vita.
Nel corso del tempo, data la propensione del fanciullo a confrontarsi con ulteriori e successive esperienze che gli consentono di sperimentare nuovi metodi e strategie alternative validi alla risoluzione di problemi, tale struttura cognitiva di base, che rende il bambino capace di organizzare, rappresentare e interpretare il mondo che lo circonda, è soggetta ad un mutamento costante in linea con il suo percorso evolutivo. Questo, secondo la teoria dell’epistemologia genetica di Jean Piaget, è strettamente correlato al percorso di conoscenza del bambino, inteso come processo di costruzione continua che avviene per mezzo della sua interazione attiva con l’ambiente esterno e si sostanzia nella ricerca incessante di forme di equilibrio tra due fenomeni complementari tra loro: l’assimilazione e l’accomodamento. L’uno è da intendersi quale capacità di recepire nuove informazioni dall’ambiente circostante, mentre, l’altro rappresenta l’attitudine a modificare i propri schemi mentali in rapporto alle nuove esperienze in modo da poterle elaborare e interpretare.
Sicché, è possibile ritenere che, con la progressione dello sviluppo cognitivo del bambino e con l’evoluzione della sua memoria semantica ed episodica, gli schemi mentali di rappresentazione della realtà si organizzano in strutture sempre più coerenti che lo renderanno capace di interpretare e descrivere i propri vissuti con un linguaggio più pertinente e con significati più condivisi.
Colui che conduce l’ascolto dovrà, pertanto, spogliarsi dalle vesti di giudicante prevaricatore, per indossare quelle di colui che ha voglia di scoprire e di interpretare, insieme al minore, quanto riferito. Questo permetterà di sintonizzarsi con i suoi stati emotivi e con i significati che vengono da lui attribuiti nei confronti di sé, degli altri e della realtà e creerà una vera relazione interpersonale e interattiva dove il bambino si sentirà libero di esternare il proprio pensiero, senza essere condizionato da eventuali fattori interni ed esterni.
E’ necessario che il minore percepisca di essere accolto in un ambiente sereno in cui si è pronti a dare il giusto peso al suo vissuto personale e la dovuta attenzione a quanto dirà ed è, altresì, importante che avverta che la figura adulta con cui dovrà interagire, qualunque essa sia (giudice o esperto), nutra davvero interesse per lui e che è predisposto ad accogliere il suo racconto, esplicativo della sua esperienza, oltre che del suo rapporto con le figure che per lui sono di riferimento, nel significato che il bambino è capace di dare.
Conclusioni
L’ascolto è un’esperienza determinante che il fanciullo conserverà per tutta la vita e che potrà, se compiuto con le accortezze e le sensibilità richieste, contribuire positivamente alla sua crescita personale e aiutarlo a diventare, per il futuro, un cittadino responsabile.
La disciplina dell’ascolto, è tutta improntata a tutelare, da una parte, il benessere psicofisico del fanciullo, dall’altra, a garantire le esigenze di giustizia legate al procedimento in corso.
Ma, alcune domande sono doverose: i tribunali riescono davvero ad offrire la tutela necessaria per garantire l’ascolto del minore, in conformità ai principi costituzionali del giusto processo ed alle norme internazionali e dell’Unione Europea?
L’intera procedura è attuata in contesti adeguati all’età del minore?
Il più delle volte, si riscontrano nella pratica diverse problematiche che attengono non solo ad aspetti di carattere logistico e strutturale, in quanto talvolta i tribunali non dispongono di aule “a misura di bambino” dedicate all’ascolto, ma che riguardano anche l’incertezza e la disomogeneità di applicazione operativa sulla base dell’esistenza di diversi protocolli, stilati dagli stessi tribunali con la collaborazione di professionisti ed esperti, che definiscono prassi differenti.
E’ auspicabile, pertanto, che i tribunali vengano predisposti di appositi ambienti, dotati di arredi e giochi adeguati alle diverse età del minore che possano meglio agevolare la sua interazione con l’adulto.
E’ altresì auspicabile che i criteri operativi, delineati dalle varie linee guida, siano raccolti in un unico documento affinché possa trovare applicazione omogenea in tutti i contesti giudiziari. Questo eviterebbe che la libera interpretazione di tali pratiche possa costruire le basi di una tutela del minore inadeguata con tutti i rischi che potrebbero derivare, quali l’incremento della sofferenza provata dal bambino in un momento difficile della propria vita e il sentimento di sfiducia nei confronti della giustizia.
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