L’assegno di mantenimento e l’assegno divorzile

 

In tema di separazione, la  conseguenza patrimoniale più rilevante  è l’eventuale diritto avanzato da uno dei coniugi al mantenimento, o agli alimenti.

L’obbligazione di reciproca assistenza (morale) e materiale dei coniugi (art.143 c.c.) e quella di mantenimento del coniuge separato privo di adeguati redditi propri (art.156 c.c.) hanno presupposti differenti sebbene condividano la medesima natura assistenziale.

La prima costituisce effetto essenziale del matrimonio ed esprime un dovere di carattere generale che grava su ciascun coniuge nell’interesse stesso della famiglia, affinchè entrambe le parti contribuiscano ai bisogni di quest’ultima.

L’obbligazione di mantenimento è invece eventuale e sorge sulla base di un dupplice accertamento giudiziale avente ad oggetto l‘intollerabile prosecuzione della convivenza e l’impossibilità per uno dei due di conservare per sè e per i figli il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; essa, pertanto, non può preesistere alla relativa domanda giudiziale.

Anche il diritto al mantenimento del coniuge è dunque eventuale e spetterà ad uno dei coniugi solo in mancanza di addebito della separazione ed in mancanza di adeguati redditi propri, a patto che il coniuge tenuto a versare l’assegno si trovi effettivamente nella condizione economica di poter sostenere l’esborso.

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La quantificazione dell’assegno

Secondo nutrita e recente giurisprudenza ( v. Cass. 2156/2010; Cass.21979 e 23734/2012; Cass. 2961/2015) il tenore di vita che l’assegno di mantenimento deve assicurare non è quello goduto durante la convivenza, bensì un tenore analogo che tenga conto dell’effetto economico negativo che, fisiologicamente, la separazione comporta nella gestione del menage familiare e deve inoltre essere valutata la capacità di guadagno del coniuge richiedente in termini concreti e non meramente astratti.

Quindi tra le circostanze che il Giudice dovrà tener presente ai fini della quantificazione dell’assegno, rilevano la concreta ed effettiva possibilità di svolgere un lavoro, rapportata alletà ed alle condizioni di mercato del luogo in cui vive il coniuge beneficiario, nonchè alla sua pregressa esperienza lavorativa e professionale, alle sue condizioni di salute e grado di istruzione (v. Cass 22752/2012; Cass.3502/2013).

Nella quantificazione dell’assegno di mantenimento rileva anche l’eventuale convivenza more uxorio: la nuova convivenza incide sull’adeguatezza dei mezzi e sul quantum del contributo economico ed è idoneo a produrre un mero stato di quiescenza dell’assegno di mantenimento, salvo che il coniuge richiedente non provi di non ottenere benefici economici da essa.

Giurisprudenza di merito e legittimità hanno poi ritenuto che nel calcolo assuma rilevanza anche l‘assegnazione della casa coniugale: il Giudice può valutarne il valore economico quantificabile sulla base del canone di locazione determinato dalla legge sull’equo canone.

Essa costituisce per chi tra i coniugi è stato preferito nel provvedimento di assegnazione, non una fonte di reddito, ma una posta attiva in quanto lo esonera dal fissare la residenza altrove, dove altrimenti si troverebbe a pagare il canone di locazione.

Tuttavia, è abbastanza pacifico che la suddetta non rappresenti una misura assistenziale a favore del coniuge economicamente più debole, essendo solo funzionale a tutela del prioritario interesse dei figli minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti conviventi con i genitori.

Può infatti darsi luogo all’assegnazione della casa coniugale solo in presenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti affidati al coniuge assegnatario, mentre in assenza di tale presupposto, la casa in comproprietà non può essere assegnata dal Giudice in sostituzione o quale componente dell’assegno di mantenimento e resta soggetta alle norme sulla comunione in ordine all’uso ed alla eventuale divisione.

Non si trascuri inoltre che l’assegno di mantenimento, è oggetto di rivalutazione monetaria con adeguamento automatico secondo i coefficienti Istat.

Quanto all’aspetto successorio si precisa che rimanendo inalterato lo status di coniuge ciascuno di essi avrà diritto ad una quota della pensione di reversibilità e resterà titolare dei diritti successori in caso di sopravvenuto decesso del consorte durante la fase transitoria del rapporto.

Il mantenimento e gli alimenti

Occorre precisare infine che il mantenimento assolve ad una finalità diversa rispetto all’onere degli alimenti(art.443 e 155 c.c.): il primo ha una funzione compensativa e come accennato funzionale a garantire all’altro coniuge un determinato tenore di vita, il secondo permette di garantire assistenza al coniuge che non riesca a soddisfare i bisogni primari e rappresenta un minus necessario alla sopavvivenza rispetto al primo.

L’assegno divorzile

Quando alla separazione segue il divorzio, l’assegno di mantenimento ivi disposto viene sostituito con l’assegno divorzile.

Come è noto, la separazione non scioglie il vincolo matrimoniale, ma ne attenua gli effetti sospendendo alcuni doveri, senza che tuttavia vengano meno definitivamente; rappresenta una fase transitoria del rapporto tra i coniugi.

Diversamente, con il divorzio tutti i doveri coniugali vengono meno, i coniugi riacquistano lo stato libero e possono passare a nuove nozze (mentre nei rapporti con la prole non vengono meno i doveri di entrambi i genitori verso i figli).

A rendere ancora più evidente questa antitesi, la sentenza Cass. 11504/2017.

La Suprema Corte, infatti, proprio con riferimento all’assegno di divorzio ha affermato che il criterio di liquidazione non può essere quello del mantenimento del tenore di vita come accade con la separazione, poiché sarebbe in contrasto con la natura stessa del divorzio (il criterio del tenore di vita che viene meno per il coniuge divorziato resta invece per i figli).

Quest ultimo estingue, come si diceva, il rapporto matrimoniale e pertanto se si determinasse l’assegno divorzile in base al tenore di vita si finirebbe con il ripristinare tale rapporto “in un’indebita prospettiva di ultrattività del vincolo matrimoniale”.

Sul punto sono intervenute anche le Sezioni Unite che con la sentenza n. 18287 dell’11 luglio 2018, abbandonando il principio individualista,  hanno valorizzato il principio di solidarietà post coniugale nel pieno rispetto degli artt. 2 e 29 della Costituzione, conferendo all’assegno divorzile una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa/perequativa.

Secondo le indicazioni della Corte, l’indagine sulla legittimità dell’assegno divorzile, e se del caso sul quantum, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive.

Più precisamente, al fine di stabilire se ed eventualmente in che misura spetti il suddetto, il Giudice dovrà comparare, anche d’ufficio, le condizioni economico – patrimoniali delle parti.

Qualora risulti che il richiedente sia privo di mezzi adeguati o sia oggettivamente impossibilitato a procurarseli, dovrà accertare rigorosamente le cause di questa sperequazione alla luce dei parametri indicati all’art. 5 sesto comma della Legge n. 898/1970.

La quantificazione dell’assegno divorzile-

In particolare dovrà valutare se ciò dipenda dal contributo che il richiedente ha apportato al nucleo familiare e alla creazione del patrimonio comune, sacrificando le proprie aspettative personali e professionali in relazione alla sua età e alla durata del matrimonio.

A questo proposito non si trascuri che la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi è proprio finalizzata al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi, in particolare al riconoscimento delle aspettative professionali sacrificate per dedicarsi alla cura della famiglia.

Infine, all’esito delle sopraelencate valutazioni il Giudicante dovrà quantificare l’assegno divorzile, rapportandolo non (più) al pregresso tenore di vita familiare né all’autosufficienza economica del richiedente, ma assicurando all’avente diritto un livello reddituale adeguato al contributo fornito.

Occorre poi sottolineare che l’assegno divorzile è un diritto di credito imprescrittibile, irrinunciabile ed indisponibile che l’ex coniuge può vantare nei confronti dell’altro, sino a quando il beneficiario non contragga nuove nozze o l’obbligato muoia o fallisca.

La corresponsione dell’assegno può essere una tantum, e cioè in un’unica soluzione, ricevuto il quale il coniuge percipiente non avrà più nulla a che pretendere, oppure periodico, generalmente a cadenza mensile.

Fermo restando che il diritto all’assegno divorzile, ove stabilito nella sentenza di divorzio, spetta fin dal momento in cui questa passa in giudicato, è possibile richiedere al giudice di rideterminarlo in qualunque tempo, qualora sopravvengano apprezzabili modifiche dei rispettivi redditi.

La tutela del diritto all’assegno divorzile-

È interessante evidenziare, infine, le speciali forme di garanzia che l’ordinamento ha posto a tutela di questo diritto di credito, al di là dell’iscrizione di ipoteca su un immobile dell’obbligato, del pignoramento dei suoi beni, o del suo stipendio o della sua pensione, che il Giudice può sempre disporre.

L’assegno divorzile, infatti, non solo può essere pagato anche da terzi (come previsto per l’assegno di mantenimento a seguito di separazione personale), ma è data al beneficiario perfino la possibilità, senza ricorrere al giudice, di richiedere direttamente al datore di lavoro dell’obbligato fino alla metà di quanto gli spetta, avendo addirittura un’azione esecutiva nei confronti del datore stesso, in caso d’inadempimento (cfr. art. 8 legge n. 898/1970).

Ma vi è di più, nonostante a seguito dello scioglimento del matrimonio le parti perdano reciprocamente i diritti successori, il coniuge titolare dell’assegno divorzile che non sia passato a nuove nozze, in caso di morte dell’altro coniuge, acquisisce comunque il diritto di godere del trattamento di reversibilità del defunto, nonché di una percentuale del trattamento di fine rapporto.

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Avv. Carlotta Abrardi

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