La Cassazione torna sul regime della regolamentazione delle spese di giudizio
Nel sistema processuale vigente, a mente dell’art. 91 Cpc, il Giudice, in sentenza, è tenuto a condannare la parte soccombente al rimborso delle spese, nonché al pagamento delle competenze professionali, in favore dell’altra parte, liquidandone il relativo ammontare. Tuttavia, se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta, al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, fatto salvo il disposto dell’art. 92, comma II Cpc.
Il predetto II comma dell’art. 92 Cpc, dispone come, in caso di soccombenza reciproca ovvero di altre gravi ed eccezionali ragioni indicate in motivazione, il Giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti.
Ciò posto, fatta salva l’ipotesi del rifiuto ingiustificato della proposta conciliativa, l’attore parzialmente vittorioso in relazione all’unica domanda proposta ovvero nel caso di vittoria su una delle plurime domande avanzate, quand’anche soccombente per il resto e, quindi, nell’ipotesi di vicendevole soccombenza, non può essere affatto condannato alle spese, neppure parzialmente.
Al più queste possono essere compensate, per l’intero o in parte, tuttavia, la condanna deve essere sempre posta a carico del convenuto per la parte restante.
Questi i principi di diritto enunciati dalla Corte di Cassazione, III Sezione Civile, Presidente dott.ssa Maria Margherita Chiarini, Relatore dott. Paolo Porreca, nell’ordinanza n. 1572, depositata in data 23 Gennaio 2018.
Con opposizione a precetto il ricorrente eccepiva, oltre che la nullità della notificazione – siccome avvenuta per mezzo di ufficiale giudiziario territorialmente incompetente -, la non debenza dell’IVA calcolata sulle spese, diritti e onorari, nonché l’illegittima applicazione delle voci di precetto relative alle cd. consultazioni e corrispondenza con il cliente.
Il Tribunale accoglieva l’opposizione, anche se solo limitatamente alla non dovuta corresponsione dell’IVA, con compensazione delle spese di giudizio per un terzo, e con i restanti due terzi posti a carico di parte opponente, parzialmente vittoriosa in relazione ad una delle domande spiegate.
Sul gravame dallo stesso proposto la Corte di Appello confermava la sentenza di primo grado, ritenendo come la condanna subita da parte opponente fosse legittima <<in ragione della maggiore soccombenza dell’attore in primo grado>>.
Il soccombente non si dà per vinto e propone ricorso in cassazione deducendo, tra l’altro, la violazione dell’art. 91 Cpc, per avere le corti di merito, nonostante l’accoglimento dell’opposizione a precetto, posto a suo carico le spese di lite.
Il Supremo Collegio, discostandosi dalle conclusioni del Pubblico Ministero, osserva come <<il giudice, nel regolare le spese, deve tener presente l’esito complessivo della lite, poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione in questione, in base a un criterio pur sempre unitario e globale (cfr., di recente, Cass., 16/05/2017, n. 12005, in tema di pluralità di domande contrapposte)>>.
Ecco che allora ritiene di condividere la giurisprudenza secondo cui, <<nel regime normativo posteriore alle modifiche introdotte all’art. 91, cod. proc. civ., dalla legge 18 giugno 2009 n. 69, al di fuori dell’ipotesi prevista dal secondo periodo del primo comma del suddetto articolo, l’attore parzialmente vittorioso sull’unica domanda, e dunque, logicamente, anche quello vittorioso su una delle domande proposte, nonostante l’esistenza di una soccombenza a suo carico per la parte di domanda rigettata o per le altre domande rigettate, e cioè nonostante la sussistenza di una soccombenza reciproca, non può essere condannato neppure parzialmente alle spese. Esse, in alternativa all’imposizione totale al convenuto, mera espressione del principio di causalità, possono essere solo compensate totalmente o parzialmente, con condanna, però, in questo secondo caso, a carico del convenuto per la parte non compensata (Cass., 19/10/2016, n. 21069, punti 3.1.-3.5., specie pagg. 8-9).>>.
Ed invero, argomentando a contrario dall’art. 91, primo comma, secondo periodo, si ricava come <<la norma lì collocata prevede che il giudice «se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dall’art. 92»>>.
Ebbene, se solo in tale ultima evenienza risulterebbe possibile giustificare la condanna della parte parzialmente vittoriosa, nondimeno, ciò sta a significare che, <<eccetto tale ipotesi, il sistema processuale impone che, al netto delle facoltà di compensazione, si faccia rigorosa applicazione del principio di causalità e non si condanni mai alla rifusione delle spese chi è stato costretto a innescare la lite in modo fondato anche solo in parte>>.
In definitiva il ricorso deve essere accolto, la sentenza cassata e, decidendo nel merito, vanno compensate per l’intero giudizio le spese di lite.
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