Negozi preparatori
L’autonomia contrattuale può estrinsecarsi, altresì, nella stipulazione di negozi preparatori, con i quali le parti assumono impegni od obblighi in relazione a una futura stipulazione contrattuale. I negozi in parola presentano, dunque, una peculiare natura bifronte: essi comportano il sorgere di un limite all’autonomia contrattuale e ne costituiscono al contempo una manifestazione. Stante la loro forza vincolante, limitativa dell’autonomia negoziale, tali negozi vengono qualificati come vincoli precontrattuali.
Essi possono, anzitutto, limitare il potere di revoca della proposta contrattuale: ne sono esempi la proposta irrevocabile (art. 1329 c.c.) e il patto di opzione (art. 1331 c.c.), con i quali viene attribuito a una delle parti il diritto di decidere se concludere il contratto. I negozi preparatori possono inoltre incidere sulla stessa libertà di ambedue le parti di procedere alla stipulazione: viene a tal proposito in rilievo il contratto preliminare. Infine, i negozi in questione possono configurare vincoli precontrattuali incidenti sulla libertà di scelta della controparte: viene qui in rilievo il patto di prelazione. Possono essere ricondotte alla categoria dei vincoli precontrattuali anche le limitazioni in ordine alla libertà di determinare il contenuto del contratto: vengono in rilievo, a tal proposito, i cd. contratti normativi, che dettano regole alle quali le parti dovranno uniformarsi nella futura attività negoziale. Indipendentemente dalla loro natura, i vincoli precontrattuali, ad eccezione della sola prelazione legale, hanno esclusivamente efficacia inter partes, con la conseguenza che il contratto stipulato in violazione degli stessi è valido ed efficace ed alla parte lesa spetta solo il risarcimento del danno.
Alla figura negoziale del preliminare il legislatore del 1942 ha riservato poche disposizioni – tra cui l’art. 1351 c.c. che prevede un requisito di forma e l’art. 2932 c.c. che introduce il rimedio dell’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre – cosicché le lacune normative sono state colmate di volta in volta da dottrina e giurisprudenza. In assenza di una apposita definizione codicistica è comunque andato delineandosi l’orientamento – ormai consolidato – che ritiene vincolante il solo contratto preliminare che contenga gli elementi essenziali del definitivo pg. 1601; gli elementi accessori e accidentali, invece, possono essere determinati dagli stipulanti in un secondo momento. Perché si possa configurare un contratto preliminare, quindi, le pattuizioni ulteriori, alle quali i contraenti possono addivenire in sede di definitivo, devono rivestire carattere meramente marginale.
Mediazione atipica
Le parti possono decidere di addivenire alla conclusione di un contratto mediante l’intervento di soggetti terzi, che facilitano l’individuazione della controparte contrattuale. Ciò è quanto avviene nella mediazione, disciplinata dagli artt. 1754 ss. c.c.. Il codice non fornisce una definizione dell’istituto, bensì descrive la figura del mediatore come soggetto che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, in posizione di terzietà rispetto ad esse, in quanto non risulta vincolato alle stesse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza. A questa figura tipica di mediazione si affianca la mediazione atipica, nella quale il mediatore (procacciatore d’affari) non è in una posizione di imparzialità, in quanto agisce su incarico di una delle parti interessate alla conclusione dell’affare (cd. preponente). La mediazione atipica, pertanto, viene assimilata al mandato, in quanto scaturisce da incarico scritto o verbale.
L’elemento comune alle due figure di mediazione è rappresentato dalla funzione perseguita, consistente nel mettere in contatto più soggetti per la conclusione di un affare, mentre l’elemento distintivo è fornito dalla diversa misura dell’imparzialità del mediatore. Tale distinzione determina il sorgere di diverse conseguenze sul piano degli effetti: colui che agisce sulla base di apposito mandato risponde contrattualmente nei confronti del proprio mandante, oltre che per fatto illecito nei confronti del terzo destinatario della sua attività; il mediatore, invece, risponde per responsabilità derivante da contatto sociale, al quale si ricollega la nascita di obblighi di informazione e protezione necessari al buon fine delle trattative. In ogni caso, il procacciatore d’affari è ritenuto a tutti gli effetti un mediatore, a nulla rilevando la provenienza dell’incarico da parte di uno dei soggetti coinvolti nell’affare.
Equità
Ad ogni modo, l’autonoma riconosciuta alle parti dall’art. 1322 c.c. non è illimitata, dovendo la stessa confrontarsi con alcune previsioni codicistiche espressive di principi che limitano i suddetti poteri di scelta dei privati. Tra queste, particolare rilievo riveste il concetto di equità. Discendendo dal dovere solidaristico di cui all’art. 2 della Costituzione, essa costituisce uno strumento legislativo e giurisprudenziale volto a rideterminare, seppur entro ambiti ristretti, il contenuto iniquo del contratto. La dottrina e la giurisprudenza riconosco nel principio uno strumento di giustizia del caso concreto. Essa opera quale criterio – sia pur residuale – di chiarificazione delle disposizioni dei contratti, laddove una clausola rimanga oscura anche utilizzando gli altri criteri ermeneutici previsti dalla legge (art. 1371 c.c.). L’equità costituisce, altresì, una fonte di integrazione del contratto, subordinata alla legge ed agli usi (art. 1374 c.c.): secondo l’interpretazione ampiamente maggioritaria, essa interviene solo a contratto concluso, andando a definire aspetti del regolamento negoziale non determinabili mediante altre regole di integrazione. In tal senso, l’equità rappresenta il contemperamento dei diversi interessi delle parti.
Autoresponsabilità
Ad ogni modo, l’autonomia riconosciuta alle parti dall’art. 1322 c.c. non è illimitata, dovendo la stessa confrontarsi con alcune previsioni codicistiche espressive di principi che limitano i suddetti poteri di scelta dei privati. Tra queste, particolare rilievo riveste il principio di correttezza e buona fede oggettiva, che informa di sé l’intera materia contrattuale e che opera quale criterio di valutazione del comportamento tenuto dalle parti nel rapporto obbligatorio.
Dal principio di buona fede può farsi discendere altresì il corollario dell’autoresponsabilità, inteso sia in relazione al concetto di affidamento, sia come onere di diligenza in capo alle parti al momento in cui si crea un rapporto obbligatorio tra di loro. Esempio significativo di tale ultima accezione del principio di autoresponsabilità è l’art. 1491 c.c. La norma dispone che, in tema di compravendita, la garanzia per i vizi della cosa non è dovuta se al momento del contratto il compratore conosceva tali vizi, oppure se essi erano facilmente riconoscibili (salvo, in quest’ultima ipotesi, che il venditore abbia dichiarato che la cosa era esente da vizi).
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