La Corte di Cassazione, con sentenza n. 7128 del 16 febbraio 2024, ha chiarito che il datore di lavoro che costringa il lavoratore ad accettare condizioni peggiorative sotto la minaccia del licenziamento integra il reato di estorsione, dato che il discrimine tra questo ed “una opportunistica ricerca di forza lavoro tra soggetti in attesa di occupazione” è l’esistenza o meno di un rapporto di lavoro già in atto.
Per approfondire la materia del lavoro subordinato, si consiglia il seguente volume, il quale analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato, così come contenuta nel codice civile (con la sola eccezione delle regole relative al licenziamento e alle dimissioni): Il lavoro subordinato
Indice
1. I fatti
La decisione della Corte di Cassazione scaturisce dal ricorso presentato dall’imputato avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo che confermava la condanna alle pene di giustizia e al risarcimento dei danni in favore delle parti civili pronunciata dal Tribunale di Marsala in ordine al reato di estorsione continuata in danno di alcuni dipendenti.
Il ricorso presentato era affidato a cinque motivi tra i quali (unico accolto dalla Corte) la violazione di legge, in relazione agli artt. 110 e 629 cod. pen., 190, 192 e 500 cod. proc. pen. e vizio di motivazione, ad avviso della difesa, carente sul profilo della credibilità del teste alla luce del contenuto dell’intera istruttoria dibattimentale e della valutazione delle prove testimoniali, che avevano escluso qualsivoglia minaccia da parte dell’imputato nell’esecuzione del rapporto di lavoro, essendo risultato che l’instaurazione dei rapporti con i dipendenti era stata frutto di una libera scelta degli stessi, a fronte della prospettazione di non essere assunti ove non avessero accettato le condizioni imposte dal ricorrente.
Per approfondire la materia del lavoro subordinato, si consiglia il seguente volume, il quale analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato, così come contenuta nel codice civile (con la sola eccezione delle regole relative al licenziamento e alle dimissioni):
Il lavoro subordinato
Il volume analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato, così come contenuta nel codice civile (con la sola eccezione delle regole relative al licenziamento e alle dimissioni). L’opera è stata realizzata pensando al direttore del personale, al consulente del lavoro, all’avvocato e al giudice che si trovano all’inizio della loro vita professionale o che si avvicinano alla materia per ragioni professionali provenendo da altri ambiti, ma ha l’ambizione di essere utile anche all’esperto, offrendo una sistematica esposizione dello stato dell’arte in merito alle tante questioni che si incontrano nelle aule del Tribunale del lavoro e nella vita professionale di ogni giorno. L’opera si colloca nell’ambito di una collana nella quale, oltre all’opera dedicata alla cessazione del rapporto di lavoro (a cura di C. Colosimo), sono già apparsi i volumi che seguono: Il processo del lavoro (a cura di D. Paliaga); Lavoro e crisi d’impresa (di M. Belviso); Il Lavoro pubblico (a cura di A. Boscati); Diritto sindacale (a cura di G. Perone e M.C. Cataudella). Vincenzo FerranteUniversità Cattolica di Milano, direttore del Master in Consulenza del lavoro e direzione del personale (MUCL);Mirko AltimariUniversità Cattolica di Milano;Silvia BertoccoUniversità di Padova;Laura CalafàUniversità di Verona;Matteo CortiUniversità Cattolica di Milano;Ombretta DessìUniversità di Cagliari;Maria Giovanna GrecoUniversità di Parma;Francesca MalzaniUniversità di Brescia;Marco NovellaUniversità di Genova;Fabio PantanoUniversità di Parma;Roberto PettinelliUniversità del Piemonte orientale;Flavio Vincenzo PonteUniversità della Calabria;Fabio RavelliUniversità di Brescia;Nicolò RossiAvvocato in Novara;Alessandra SartoriUniversità degli studi di Milano;Claudio SerraAvvocato in Torino.
A cura di Vincenzo Ferrante | Maggioli Editore 2023
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2. Condizioni peggiorative o licenziamento: l’analisi della Cassazione sul reato di estorsione
La Corte di Cassazione rigetta gli altri quattro motivi di ricorso, soffermandosi su quello sopraesposto.
Ad avviso della Corte, il principio richiamato dal provvedimento impugnato, secondo il quale “integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, in presenza di una aspettative di assunzione, costringa l’aspirante lavoratore ad accettare condizioni di lavoro contrarie alla legge e ai contratti collettivi” richiede un approfondimento in ordine alla conciliabilità di un orientamento, a lungo espresso dalla giurisprudenza di legittimità, con i principi di tipicità e tassatività della fattispecie incriminatrice.
La Suprema Corte premette che la casistica giudiziaria concernente il tema del delitto di estorsione, realizzato attraverso lo strumento contrattuale del rapporto di lavoro subordinato, presenta una molteplicità di forme di manifestazione, spaziando dalla fase dell’instaurazione del rapporto per giungere ai momenti esecutivi del contratto, motivi distinti e diversi nel corso dei quali la parte economicamente più forte può ricorrere a una pluralità di clausole giudiziali, o semplicemente approfittando del contesto economico sociale e dei riflessi sulle aspettative di lavoro della parte debole, per comprimere la capacità della controparte di scegliere liberamente.
È costante nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo cui “integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato del lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell’offerta sulla domanda, costringe i lavoratori, con minacce larvate di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate” ma, ad avviso della Corte, la lettura delle motivazioni delle singole decisioni fa trasparire l’applicazione di tale principio a situazioni tra loro del tutto differenti.
La Corte, poi, passa a distinguere due situazioni:
- una in cui gli aspiranti dipendenti, al momento dell’assunzione e, quindi, prima che si sia instaurato un rapporto di lavoro, hanno l’alternativa tra la rinunzia, anche parziale, alla retribuzione formalmente concordata o ad altre prestazioni e la perdita dell’opportunità di lavoro: viene a mancare, in questo caso, il requisito della minaccia, non sussistendo prima della conclusione dell’accordo un diritto dell’aspirante lavoratore ad essere assunto a determinate condizioni, ma anche il requisito dell’altrui danno, in ragione della preesistente condizione di disoccupazione;
- l’altra in cui il datore di lavoro, per costringere i dipendenti ad accettare modifiche del rapporto di lavoro già esistente in senso peggiorativo, prospetti alla vittima la conseguenza – in caso di mancata adesione alle proposte di modifica delle condizioni originariamente pattuite – dell’interruzione del rapporto: in tale condizione, la Corte individua sia il dato della minaccia, sia il profitto del datore di lavoro.
3. La decisione della Cassazione
Alla luce di quanto finora esposto e dal discrimine segnato, la Corte di Cassazione osserva che emerge la pretesa di ottenere vantaggi patrimoniali da parte del datore di lavoro, attraverso la modifica in senso peggiorativo delle previsioni dell’accordo concluso tra le parti, destinate a regolare gli aspetti aventi rilevanza patrimoniale, prospettando l’interruzione del rapporto. In tal caso, il vantaggio perseguito (costituente ingiusto profitto) “può essere rappresentato non solo da modificazioni delle pattuizioni contrattuali che riducano o eliminino diritti del lavoratore (ciò che costituisce il danno subìto dalla persona offesa), consentendo al datore di lavoro risparmi di spesa o minori esborsi, ma anche dall’imposizione di formule contrattuali che, simulando la regolamentazione del rapporto in termini difformi da quelli reali e riconoscendo al dipendente livelli retributivi e indennità in realtà non corrisposte, comporta per il datore di lavoro il vantaggio di impiegare dipendenti con condizioni contrattuali apparentemente rispettose delle norme inderogabili a tutela dei diritti dei lavoratori, mentre costoro sono costretti a subire conseguenze patrimoniali negative“.
Ad avviso della Cassazione, la Corte territoriale ha omesso di operare il necessario accertamento, per ciascuno dei lavoratori indicati nelle imputazioni come soggetti alle condotte di pressione psicologica da parte del ricorrente, diretto a verificare se le minacce messe in atto dall’imputato fossero dirette all’instaurazione del rapporto di lavoro a determinate condizioni ovvero se, in presenza di un rapporto già avviato, pur se “in nero”, fossero rivolte alla rinuncia alle condizioni contrattuali convenute o ad altri diritti spettanti ai singoli lavoratori.
Pertanto, la Corte ha annullato con rinvio ad altra sezione il provvedimento impugnato, che dovrà essere valutato con applicazione del principio di diritto enunciato.
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