Lavoro straordinario: anche con autorizzazione implicita deve essere retribuito

La Corte di Cassazione nell’accogliere il ricorso presentato da un infermiere dell’Ospedale di Reggio Calabria, ha stabilito che il lavoratore ha diritto alla retribuzione per le prestazioni straordinarie svolte, anche con l’assenza delle necessarie autorizzazioni regionali. Difatti, i giudici della Cassazione, con la sentenza numero 17192/2024, hanno enunciato il principio secondo il quale l’autorizzazione agli straordinari è in ogni caso implicita e la prestazione deve essere retribuita.

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Indice

1. Lavoro straordinario: la fattispecie

In particolare, il dipendente aveva richiesto il pagamento delle prestazioni aggiuntive rese nel servizio di “dialisi estiva”, in quanto lo stesso aveva svolto tali prestazioni al di fuori dell’orario di lavoro e, pertanto, lo stesso ha richiesto il pagamento dello straordinario. L’infermiere, per tale finalità, aveva ottenuto il decreto ingiuntivo nei confronti dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria (di seguito “ASP”), chiedendo il pagamento delle prestazioni c.d. aggiuntive.
In merito, la Corte d’Appello di Reggio Calabria, aveva disatteso la domanda, revocando il decreto ingiuntivo, e ritenendo che la vicenda non è disciplinata dal CCNL Comparto Sanità, bensì da una legislazione speciale [1].
La Corte, in aggiunta, ha ritenuto che, essendo mancate allegazione e prova dei fatti costitutivi della prestazione aggiuntiva, tra cui l’autorizzazione regionale e le condizioni soggettive dei lavoratori e, inoltre, mancando una disciplina contrattuale definitoria dei compensi, la domanda del dipendente andava disattesa. Pertanto, seppure il dipendente aveva svolto lavoro straordinario, mancando l’autorizzazione regionale alle prestazioni aggiuntive, le somme non gli sono state riconosciute dalla Corte d’Appello.
A riguardo, la Corte di Cassazione, pur condividendo il ragionamento della Corte d’Appello, aggiunge che l’ipotesi delle prestazioni c.d. “aggiuntive” è in effetti speciale e, seppure gli elementi citati siano carenti, bisogna considerare che è stata l’ASP che, in qualità di datore di lavoro, ha richiesto al lavoratore le prestazioni oltre il debito orario e, con tali prestazioni, l’ente ha percepito dei ricavi. Pertanto, il datore di lavoro in questione ha acconsentito allo svolgimento di tale prestazione, acquisendo anche un guadagno.
In quest’ottica, lo svolgimento di lavoro oltre il debito orario non richiama solo la fattispecie delle prestazioni c.d. “aggiuntive”, ma anche quelle del lavoro straordinario; quindi, il tema diviene quello della remunerazione delle prestazioni sulla base della disciplina dello straordinario.
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Il lavoro subordinato

Il volume analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato, così come contenuta nel codice civile (con la sola eccezione delle regole relative al licenziamento e alle dimissioni). L’opera è stata realizzata pensando al direttore del personale, al consulente del lavoro, all’avvocato e al giudice che si trovano all’inizio della loro vita professionale o che si avvicinano alla materia per ragioni professionali provenendo da altri ambiti, ma ha l’ambizione di essere utile anche all’esperto, offrendo una sistematica esposizione dello stato dell’arte in merito alle tante questioni che si incontrano nelle aule del Tribunale del lavoro e nella vita professionale di ogni giorno. L’opera si colloca nell’ambito di una collana nella quale, oltre all’opera dedicata alla cessazione del rapporto di lavoro (a cura di C. Colosimo), sono già apparsi i volumi che seguono: Il processo del lavoro (a cura di D. Paliaga); Lavoro e crisi d’impresa (di M. Belviso); Il Lavoro pubblico (a cura di A. Boscati); Diritto sindacale (a cura di G. Perone e M.C. Cataudella). Vincenzo FerranteUniversità Cattolica di Milano, direttore del Master in Consulenza del lavoro e direzione del personale (MUCL);Mirko AltimariUniversità Cattolica di Milano;Silvia BertoccoUniversità di Padova;Laura CalafàUniversità di Verona;Matteo CortiUniversità Cattolica di Milano;Ombretta DessìUniversità di Cagliari;Maria Giovanna GrecoUniversità di Parma;Francesca MalzaniUniversità di Brescia;Marco NovellaUniversità di Genova;Fabio PantanoUniversità di Parma;Roberto PettinelliUniversità del Piemonte orientale;Flavio Vincenzo PonteUniversità della Calabria;Fabio RavelliUniversità di Brescia;Nicolò RossiAvvocato in Novara;Alessandra SartoriUniversità degli studi di Milano;Claudio SerraAvvocato in Torino.

A cura di Vincenzo Ferrante | Maggioli Editore 2023

2. Conclusione

Sotto questo profilo, la Corte di Cassazione ha ritenuto che, in tema di pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per il lavoro straordinario svolto, che presuppone la previa autorizzazione dell’amministrazione, spetta al lavoratore anche quando la richiesta di autorizzazione risulti illegittima e/o contraria a disposizioni del contratto collettivo nazionale, maturando quindi un diritto al compenso. L’applicabilità, infatti, dell’’articolo 2126 del c.c. [2] prevede come unico elemento l’autorizzazione datoriale. Invece, il riconoscimento del diritto alle prestazioni c.d. aggiuntive, è subordinato al ricorrere dei presupposti dell’autorizzazione regionale, nonché della presenza in capo ai lavoratori di requisiti soggettivi. Tuttavia, pur in mancanza di tali presupposti, l’attività lavorativa oltre il debito orario è configurabile come lavoro straordinario e, quindi, il prestatore matura un diritto al compenso, purché sussista il consenso datoriale che, comunque espresso, è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’articolo 2126 c.c., a nulla rilevando il superamento dei limiti e delle regole riguardanti la spesa pubblica.
In sintesi, un lavoratore, preventivamente autorizzato dall’amministrazione, che ha prestato attività lavorativa oltre il debito orario, in violazione di una normativa che prevedeva l’autorizzazione regionale, ha diritto al compenso straordinario.
Una volta autorizzata e svolta la prestazione, non è sul lavoratore che gravano le divergenze rispetto agli impegni di spesa e, tali divergenze, possono certo impedire di riconoscere aumenti di corrispettivo non coperti, ma semmai il tema si sposta sul piano della responsabilità della PA, in particolare dei preposti che non avrebbero in ipotesi dovuto consentire quelle lavorazioni.
Va detto, inoltre, che per “autorizzazione” nell’ambito del lavoro straordinario si intende che le prestazioni sono svolte con il consenso del medesimo e che tale consenso può essere anche “implicito”. Dal punto di vista, quindi, della remunerazione del lavoratore ciò che conta è lo svolgimento del lavoro su incarico, anche solamente implicito, del datore di lavoro e non contro la volontà di questi. Non rileva, perciò, il fatto che siano osservate forme, né che l’autorizzazione si manifesti come invalida, oppure inidonea al suo scopo originario.
La Corte di Cassazione, infine, precisa che, in tema di pubblico impiego privatizzato, il disposto dell’articolo 2126 c.c. non si pone in contrasto con le previsioni della contrattazione collettiva che prevedano un’autorizzazione, oppure con le regole della normativa sui vincoli di spesa, ma va considerato che una prestazione, come quella del lavoro straordinario, svolta in modo coerente con la volontà del datore di lavoro, va remunerata a prescindere dalla validità della richiesta o dal rispetto delle regole sulla spesa pubblica, prevalendo la necessità di attribuire il corrispettivo al dipendente, in linea con il disposto dell’articolo 36 della Costituzione.

Note

  1. [1]

    La disciplina in argomento era regolata fino al 31 dicembre 2003 dall’articolo 1, comma 2, del d.l. 402/2001, convertito con modificazioni in legge n. 1/2002. Successivamente, la disciplina viene regolata attraverso l’articolo 13 del CCNL del 10 aprile 2008 (normativo 2006-2009 ed economico 2006-2007) e dall’articolo 12 CCNL del 31 luglio 2009 (economico 2008-2009), comparto Sanità.

  2. [2]

    La nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa. Se il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione.

Armando Pellegrino

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