Premessa: l’alternativa all’esercizio dell’azione penale
L’iscrizione della notitia criminis nell’apposito registro da parte del magistrato inquirente, rappresenta il primo atto prodromico all’apertura della fase investigativa, ove il compito primario attribuito al Pubblico Ministero consiste nello svolgimento, di concerto con la polizia giudiziaria, delle indagini necessarie per le determinazioni relative all’esercizio dell’azione penale, secondo i canoni di “obbligatorietà”. La scelta di esercitare l’azione penale risulta, pertanto, subordinata alla formalizzazione di un compendio probatorio che, seppur provvisorio, presenti quella peculiarità tale da riuscire potenzialmente a resistere in giudizio innanzi alle eventuali prove a discarico prodotte dalla difesa. In senso opposto, laddove gli elementi accusatori risultino scarni, deboli e tali da impedire di muovere una solida accusa nei riguardi dell’indagato, l’ufficio della procura provvederà ad invocare gli articoli 408 c.p.p. e 125 disp. Att. c.p.p., redigendo formale istanza di archiviazione da trasmettere e depositare presso la cancelleria del Giudice per le Indagini Preliminari. E’ da precisare che la richiesta di archiviazione non verrà depositata presso la cancelleria del G.I.P. nell’immediatezza. In limine al suddetto deposito, l’avviso dell’istanza de qua deve essere notificato alla persona offesa (se in precedenza aveva manifestato la volontà di essere avvisata circa l’eventuale archiviazione, ovvero in ogni caso se è stata vittima di furto in abitazione o di qualsivoglia delitto perpetrato con “violenza alla persona”) avendo quest’ultima la possibilità di poter avanzare un atto di opposizione con richiesta motivata di prosecuzione delle indagini, entro il termine pari a venti giorni (o trenta giorni, nei casi stabiliti di cui all’art. 408, comma 3-bis, c.p.p.).
La chiusura delle Indagini Preliminari ed art. 415-bis cod. proc. pen.
Il Pubblico Ministero, se ritiene che gli elementi acquisiti siano idonei a sostenere l’accusa in giudizio, in luogo della richiesta di archiviazione provvederà a formulare l’imputazione esercitando l’azione penale nei riguardi dell’accusato, e pertanto realizzando la pretesa punitiva pubblica originata a seguito della commissione del reato;
l’esercizio dell’azione de qua assume differenti forme in relazione alla tipologia di reato addebitato ed al rito adito.
Orbene, è utile sottolineare che il magistrato inquirente, laddove ritenga che le indagini si siano concluse, non dovrà immediatamente provvedere a formulare l’imputazione, bensì dovrà preliminarmente informare l’indagato circa la chiusura di tale fase embrionale del procedimento. Ciò avviene attraverso l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, disciplinato ai sensi dell’art. 415-bis del codice di procedura penale, il quale deve essere necessariamente notificato all’accusato ed al suo difensore, nonché alla persona offesa allorquando quest’ultima sia stata vittima del reato di “maltrattamenti contro familiari o conviventi” (art. 572 c.p.) ovvero del reato di “atti persecutori” (art. 612-bis c.p.); inoltre, l’omesso avviso integra una nullità a regime intermedio del decreto di citazione a giudizio.
Appare doveroso precisare che tale onere informativo sussiste solo ed esclusivamente nel caso di procedimento incardinato nella modalità ordinaria. Di converso, come rimarcato anche dai giudici costituzionali, l’avviso ex art. 415-bis non risulta dovuto non soltanto nei casi di procedimenti instaurati innanzi al Giudice di Pace, ma anche laddove si proceda a riti alternativi/speciali; ciò in quanto il disposto normativo richiama l’art. 405, comma 2, ove si fa esplicito riferimento alla sola richiesta di rinvio a giudizio, e non alle altre ipotesi di esercizio dell’azione penale, fermo restando che è giurisprudenza pacifica e granitica estendere l’operatività della norma anche ai casi di citazione diretta a giudizio, ai sensi dell’articolo 550 cod. proc. pen. D’altro canto, applicare la normativa in esame anche ai procedimenti speciali, significherebbe svuotare la ratio sottesa alle norme disciplinanti i suddetti riti, fondati per l’appunto su criteri di speditezza e celerità.
Come sostenuto in precedenza, l’avviso di conclusione delle indagini preliminari rappresenta senza alcuna ombra di dubbio l’imprescindibile atto che permette, da un lato, alla persona indagata di venire a conoscenza di un procedimento penale instaurato a suo carico, e dall’altro di realizzare la cosiddetta discovery, sostanziandosi nella possibilità offerta all’agente ed al suo legale di poter accedere al fascicolo delle indagini in possesso del Pubblico Ministero e, dunque, di essere legittimato alla visione di tutta la documentazione acquisita dall’organo accusatorio sino a quel momento.
La circostanza secondo la quale l’indagato venga a conoscenza per la prima volta di un’accusa mossa nei suoi riguardi a seguito dell’avviso in esame, emerge ovviamente laddove in precedenza il Pubblico Ministero non abbia avuto la necessità di compiere i cosiddetti “atti garantiti”, ossia quelli ai quali il difensore dell’indagato ha diritto di assistere. Anzi, per completezza espositiva, non si può fare a meno di evidenziare l’eventualità secondo cui l’accusato potrebbe anche non venire mai a conoscenza di un addebito provvisorio mosso nei suoi riguardi. Prendiamo il caso di Tizio, vittima di talune lesioni inferte da Caio. In qualità di persona offesa, decide di presentare formale atto di querela nei confronti di Caio. Vengono avviate le indagini, ma a distanza di qualche mese e senza compiere alcun atto garantito, il Pubblico Ministero decide di avanzare una richiesta di archiviazione. La persona offesa non deposita alcun atto di opposizione, con la conseguente decisione da parte del G.I.P. di accogliere l’istanza proveniente dall’organo dell’accusa, emettendo pertanto decreto di archiviazione. Pertanto, l’indagato non verrà mai a conoscenza di un procedimento inizialmente instaurato a suo carico, anche perché è tassativamente preclusa la notifica all’accusato del suddetto provvedimento di archiviazione, a meno che il prevenuto non si trovi sottoposto in regime di custodia cautelare domiciliare o carceraria.
Le facoltà concesse all’indagato. In particolare, la richiesta di interrogatorio
Alla luce dei commi 2 e 3 di cui all’art. 415-bis, l’avviso contiene la sommaria enunciazione del fatto per il quale si procede, le norme penali che si assumono violate, il tempus commissi delicti, il locus commissi delicti, nonché l’avvertimento che la persona sottoposta alle indagini sia legittimato ad esercitare talune facoltà, tra cui prendere visione ed estrarre copia, presso la Segreteria del Pubblico Ministero, della documentazione inerente alle indagini espletate, produrre documenti e depositare anche quelli acquisiti a seguito delle investigazioni difensive, presentare memorie difensive, rilasciare dichiarazioni nonché chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio. Le attività difensive testé richiamate possono essere espletate entro il termine pari a venti giorni, il cui superamento, però, non comporta alcuna preclusione, ma l’indagato subisce l’eventuale rischio che il Pubblico Ministero possa decidere di formulare l’imputazione immediatamente dopo i venti giorni, determinando quale conseguenza l’impossibilità per il prevenuto di poter esercitare le facoltà previste dalla normativa.
In ordine alla redazione delle memorie difensive, in via generale risulta utile precisare che i suddetti atti possono essere presentati e depositati non soltanto presso l’ufficio della Procura, ma anche presso la cancelleria del giudice in ogni stato e grado del procedimento, alla luce del dispositivo ex art. 121 del codice di procedura penale.
Un elemento di notevole importanza è rappresentato dalla richiesta proveniente dall’accusato di essere sottoposto ad interrogatorio. Duole premettere che, nella prassi giudiziaria, l’interrogatorio non viene quasi mai condotto personalmente dal Pubblico Ministero (ad eccezione di procedimenti aventi ad oggetto reati particolarmente gravi), bensì dalla Polizia Giudiziaria, delegata ovviamente dal titolare delle indagini. In ogni caso, l’istanza de qua, una volta depositata presso la segreteria del Pubblico Ministero, vincola quest’ultimo nel suo accoglimento; il dominus delle indagini sarà pertanto obbligato a procedervi laddove l’indagato chieda di essere sottoposto ad interrogatorio, e ciò alla stregua di quanto stabilito dal disposto normativo ex art. 415-bis, comma 3, ultimo periodo. L’omesso interrogatorio da parte del Pubblico Ministero determina la nullità di tutti gli atti processuali successivi, costituendo violazione delle garanzie contenute nella normativa in oggetto. In ordine a tale ultimo aspetto, la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 10020/2017, è stata chiara nello statuire che “quando l’indagato richiede di essere sottoposto ad interrogatorio, (…) egli esercita un diritto potestativo che ha efficacia vincolante per il P.M”., con la dovuta precisazione che tale onere incombente al magistrato viene meno laddove “l’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio venga emesso, ma rimanga senza esito per fatto addebitabile esclusivamente all’indagato che vi rinunci, o non si presenti senza giustificazione.”
In conclusione, risulta innegabile che il legislatore, attraverso l’introduzione dell’art. 415-bis comma 1 e 2, abbia voluto garantire in maniera stringente la posizione dell’indagato e riservare allo stesso uno strumento estremamente efficace finalizzato all’esplicazione del proprio diritto di difesa. Invero, nulla esclude che gli elementi probatori addotti dall’agente presentino quelle peculiarità e caratteristiche tali da seminare ragionevoli dubbi ed indurre il magistrato a mutare la propria decisione, orientandolo di conseguenza verso una scelta completamente differente e prodromica all’archiviazione.
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