L’azione risarcitoria per il danno parentale subito in caso di evento di malpractice medica di un congiunto ha carattere extracontrattuale e per escludere il termine di prescrizione più lungo previsto dall’eventuale reato non basta il provvedimento di archiviazione del procedimento penale.

Fatto

Nella fattispecie esaminata dalla corte di cassazione, una signora era stata ricoverata presso una struttura sanitaria per alcuni sintomi legati all’uso di lassativi ed a seguito dell’esame ecografico effettuato dall’ospedale, i sanitari avevano riscontrato una massa di circa 7 cm che portava a sospettare l’esistenza di una neoplasia. In considerazione di ciò, i sanitari dell’ospedale avevano programmato per il giorno successivo un esame endoscopico. Nel corso dell’esame, il medico operante si accorgeva che le pareti gastriche della donna erano perforate e pertanto interrompeva immediatamente l’esame stesso. Tuttavia, subito dopo l’interruzione dell’esame, la donna andava in arresto cardiaco e un’ora e mezzo moriva.

Ritenendo responsabili della morte il sanitario e l’ospedale, le figlie della paziente deceduta sporgevano una denuncia querela, a seguito della quale il pubblico ministero locale iniziava le indagini per l’omicidio colposo. Durante le indagini il pubblico ministero faceva effettuare una prima perizia, che si concludeva con una valutazione di incertezza circa le cause del decesso, ed quindi richiedeva l’archiviazione del procedimento penale.

Le figlie della paziente deceduta proponevano, quindi, opposizione al provvedimento di archiviazione e il giudice per le indagini preliminari richiedeva al PM un supplemento di consulenza. Anche all’esito della seconda consulenza, il perito riteneva di non poter affermare in maniera certa quali fossero state le cause della morte e pertanto il pubblico ministero chiedeva nuovamente l’archiviazione. Anche questa decisione veniva opposta dalle figlie della paziente deceduta e dopo un terzo ampliamento dell’indagine, disposta dal giudice per le indagini preliminari, il pubblico ministero chiedeva nuovamente l’archiviazione del procedimento e questa volta il GIP la accoglieva. Le figlie della paziente deceduta, quindi, introducevano una causa civile per far valere i danni direttamente subiti dalle stesse a causa della morte della propria congiunta, ritenendo che la struttura sanitaria ed i medici fossero responsabili per aver determinato la perforazione alle pareti gastriche della madre durante l’esecuzione dell’esame endoscopico e per non aver prestato i soccorsi necessari per curare la paziente che era andata in arresto cardiaco.

Il tribunale di Torino rigettava la richiesta risarcitoria delle figlie, accogliendo l’eccezione preliminare sollevata dalla difesa della struttura sanitaria, secondo cui la domanda delle attrici era prescritta, in considerazione del fatto che la domanda di risarcimento per i danni parentali subiti dai congiunti del paziente danneggiato dall’evento di malpractice medica riveste carattere extracontrattuale e pertanto è soggetta al termine quinquennale di prescrizione nonché in considerazione del fatto che era da escludersi, nel caso di specie, l’applicabilità del termine di prescrizione più lungo (connesso al reato configuratosi nella fattispecie) in considerazione del fatto che non era stato accertato l’esistenza del reato in sede penale.

La decisione del tribunale di Torino veniva confermata anche dalla corte d’appello territoriale e conseguentemente le attrici adivano la corte di cassazione facendo valere, per quanto qui di interesse, la erroneità della sentenza di merito relativamente alla valutazione della prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento danni vantata, iure proprio, dalle attrici per la morte della congiunta sulla base di due argomentazioni: in primo luogo, la corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che il diritto al risarcimento danni delle figlie della paziente fosse vantato a titolo di responsabilità extracontrattuale nei confronti della struttura sanitaria (il tribunale e la corte di appello, in altri termini, avrebbe errato nella ritenere che le figlie della paziente deceduta non potessero invocare gli effetti protettivi a favore di terzi del contratto stipulato dalla loro madre con l’ospedale); in secondo luogo, i giudici di merito avrebbero errato nel ritenere non applicabile l’allungamento del termine di prescrizione previsto in caso di fatto costituente reato, per il fatto che il provvedimento di archiviazione del pubblico ministero e del giudice per le indagini preliminari escluderebbe la sussistenza del reato stesso.

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La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di cassazione ha accolto il ricorso promosso dalle figlie della paziente deceduta, ritenendo fondata la seconda argomentazione del motivo di ricorso sopra illustrato, ritenendo invece infondata la prima argomentazione.

In primo luogo, gli ermellini hanno rilevato come la responsabilità della struttura sanitaria nei confronti delle figlie della paziente deceduta rivesta carattere extracontrattuale, in considerazione del fatto che il contratto stipulato tra la madre e l’ospedale non ha effetto protettivi nei confronti delle figlie. Secondo la Suprema corte, infatti, la figura del contratto con effetti protettivi verso terzi (che permette di estendere il carattere contrattuale della responsabilità assunta dall’ospedale nei confronti della controparte contrattuale, anche a soggetti terzi), si applica esclusivamente con riferimento al contratto concluso fra la gestante e l’ospedale ed è limitato soltanto al terzo identificabile nel padre del nascituro. In altri termini, la fattispecie di tutela del terzo invocata dalle ricorrenti, riguarda soltanto l’ipotesi del padre del nascituro: al quale viene riconosciuta la stessa posizione della madre e pertanto il diritto ad invocare l’inadempimento della struttura sanitaria rispetto al contratto intercorso con la gestante (madre del figlio).

Secondo gli ermellini, invece, questa figura del contratto con effetti protettivi del terzo non può essere estesa a fattispecie diverse da quelle di cui si è appena detto.

Infatti, la figura del contratto con effetti protettivi a favore del padre del nascituro si giustifica in considerazione del fatto che, il padre ha un interesse identico a quello del soggetto che ha stipulato il contratto (cioè la madre del nascituro). La madre ha stipulato il contratto con la struttura sanitaria per avere assistenza durante il parto e quindi per tutelare l’interesse alla nascita del figlio. Analogo interesse è rinvenibile nella posizione del padre del nascituro. Pertanto, l’esecuzione del contratto da parte della struttura sanitaria soddisfa, attraverso la stessa prestazione, entrambi gli interessi (sia quello della madre che quello del padre). In considerazione di ciò, secondo la corte suprema, non c’è ragione per riconoscere alla madre il diritto ad agire per far valere una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria ed invece al padre il diritto di agire per far valere una responsabilità extracontrattuale.

Nel caso di specie, invece, l’interesse delle figlie della paziente deceduta non è certamente analogo a quello che aveva la stessa paziente. Infatti, la paziente si era affidata alla struttura sanitaria per la cura della propria salute e pertanto l’inadempimento contrattuale da parte della struttura sanitaria ha leso due interessi diversi: per quanto riguarda la paziente, l’interesse alla sua salute; mentre, per quanto riguarda le figlie, l’interesse al loro rapporto parentale con la madre.

In ragione della differenza di interessi fra le due posizioni, la Cassazione ha escluso che, nel caso di specie, possa applicarsi la figura del contratto con effetti protettivi verso terzi e quindi che le figlie possano invocare una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria.

La corte di cassazione ha, invece, accolto la seconda argomentazione del motivo di ricorso proposto dalle due ricorrenti.

A tal proposito, le ricorrenti hanno rilevato l’applicabilità della norma che, per il caso in cui la condotta del danneggiante configura un reato, estende il termine di prescrizione dell’azione civile, equiparandolo al termine di prescrizione previsto per il reato. Mentre, al caso di specie non sarebbe applicabile l’eccezione, prevista dalla stessa norma, secondo cui si applica il normale termine di prescrizione “civilistico” per il caso in cui sia intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale.

Gli Ermellini hanno condiviso la tesi delle ricorrenti, ritenendo che la circostanza che con riferimento ad una condotta, astrattamente configurabile come reato, sia intervenuta un decreto di archiviazione del procedimento penale non determina la applicabilità della soprarichiamata eccezione. Ciò in considerazione del fatto che la citata norma non prevede l’archiviazione del procedimento penale fra i presupposti che legittimano l’operatività dell’eccezione (e quindi il ritorno all’ ordinario termine “civilistico” di prescrizione del diritto al risarcimento danni).

Secondo la Corte Suprema, quindi, è soltanto la sentenza irrevocabile emessa nel procedimento penale, che, accertando l’insussistenza del reato, comporta la non estensione del termine di prescrizione dell’azione risarcitoria civile.

Invece, in presenza di un Decreto di archiviazione, il giudice civile è obbligato a valutare lui stesso se è configurabile o meno il reato ipotizzato e conseguentemente individuare il termine di prescrizione dell’azione civile in considerazione degli esiti del suddetto accertamento: quinquennale se ritiene non configurabile il reato oppure equiparato al termine di prescrizione previsto per il reato se lo ritiene configurabile.

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