Le attuali proposte di legge avanzate in materia di penale: vediamo le più rilevanti

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Premessa

Scopo del presente scritto è quello di esaminare le principali proposte attualmente in esame al Parlamento (o più correttamente in sede di Commissioni parlamentari).

Come vedremo successivamente, tali disegni di legge riguardano diversi ambiti della materia penale: da quello sostanziale, a quello procedurale sino a quello penitenziario ivi comprese talune modifiche proposte per quanto concerne il gratuito patrocinio.

Orbene, esaminiamo tali progetti di legge uno per uno.

 

Diritto penale

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Per quanto attiene il diritto penale (sostanziale), sono attualmente al vaglio del Parlamento nelle sue commissioni, i seguenti progetti di legge.

Vi è innanzitutto il progetto di legge n. 2024 depositato alla Camera dei Deputati con cui ci si propone l’abrogazione dell’art. 131-bis c.p.[1] che, come noto, prevede la non punibilità per particolare tenuità del fatto.

In particolare, siffatto disegno di legge stabilisce, oltre all’abrogazione in toto dell’art. 131-bis cod. pen. (così l’art. 1), anche che: a) all’“articolo 411 del codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, le parole: «, che la persona sottoposta alle indagini non è punibile ai sensi dell’articolo 131-bis del codice penale per particolare tenuità del fatto » sono soppresse; b) il comma 1-bis è abrogato” (art. 2); b) il “comma 1-bis dell’articolo 469 del codice di procedura penale è abrogato” (art. 3); c) l’“articolo 651-bis del codice di procedura penale è abrogato” (art. 4).

Pertanto – fermo restando che, come emerge dalla relazione di accompagnamento di questo progetto di legge, “per comprendere la finalità della presente proposta di legge, non può essere ignorata l’esigenza – sempre più avvertita a causa di un dilagante allarmismo sociale – di tutelare maggiormente le vittime dei reati e di reprimere le condotte penalmente rilevanti” posto che, ad avviso del firmatario di questa proposta, “non punire un soggetto che abbia commesso un reato sussistente e accertato in tutti i suoi elementi – e per cui la legge ricolleghi una sanzione detentiva o pecuniaria – andrebbe a vanificare gli effetti della giustizia penale e a scardinare il sistema penale, facendo venire meno sia la funzione di intimidazione, sia quella di retribuzione e punitiva e perfino quella di rieducazione” tenuto conto altresì del fatto che “la disciplina de qua potrebbe essere addirittura interpre-tata come una vera e propria concessione a delinquere «tenuamente»” – l’obiettivo è per l’appunto quello di abrogare l’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto così come introdotto dal legislatore nel 2015 e, per tale scopo, si interviene anche sulle modifiche apportate al codice penale e al codice di procedura penale da questa normativa.

Ciò posto, sempre in materia di diritto penale, è all’esame sempre di questo ramo del Parlamento un disegno di legge, ossia il n. 2306, con cui ci si prefigge l’obiettivo di intervenire sulla prescrizione del reato.

Nel dettaglio, in questo progetto di legge, sono previste le seguenti norme di legge: art. 1 (“1. Alla rubrica dell’articolo 157 del codice penale, dopo la parola: «Prescrizione» sono inserite le seguenti: «del reato»”); art. 2 (“1. L’articolo 159 del codice penale è abrogato”); art. 3 (“1. All’articolo 160 del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni: a) il primo comma è abrogato; b) al secondo  comma, le parole: «Interrompono pure la prescrizione l’ordinanza » sono sostituite dalle seguenti: «La prescrizione del reato è interrotta dall’ordinanza » le parole da: « , la richiesta di rinvio a giudizio» fino alla fine del comma sono sostituite dalle seguenti: «e la richiesta di rinvio a giudizio»; c) dopo il terzo comma è aggiunto il seguente: «La prescrizione del reato cessa di decorrere con il decreto che dispone il giudizio, con il decreto di giudizio immediato, con il decreto di citazione a giudizio ovvero con l’instaurazione del giudizio direttissimo o del giudizio abbreviato, con la richiesta di applicazione della pena e con il decreto penale di condanna»; d) alla rubrica, dopo la parola: «Interruzione» sono inserite le seguenti: «e cessazione».”); art. 4 (“1. L’articolo 161 del codice penale è sostituito dal seguente: «Art. 161. – (Ragionevole durata ed estinzione del processo) – Il giudice che procede dichiara che l’azione penale non può più essere proseguita quando la celebrazione del processo non si è conclusa, con sentenza, entro i termini di ragionevole durata stabiliti ai sensi del presente articolo. I termini di ragionevole durata del processo, ai fini dell’applicazione del primo comma, sono i seguenti: a) per il processo di primo grado: 1) il termine entro il quale deve essere celebrata la prima udienza è di un anno; 2) i termini entro i quali il processo deve essere concluso, decorrenti dalla prima udienza, sono di un anno per i reati puniti con la pena dell’arresto o della reclusione fino a cinque anni, anche se congiunte a pena pecuniaria, e di due anni per i reati puniti con la pena della reclusione superiore a cinque anni; b) per i processi celebrati in appello, davanti alla Corte di cassazione o in sede di rinvio, i termini entro i quali il processo deve essere concluso sono, rispettivamente, di due anni e di un anno e sei mesi, che decorrono dalla proposizione dell’atto di impugnazione o dal deposito della sentenza con la quale è stato disposto l’annullamento con rinvio. In ogni grado di giudizio, il giudice, con ordinanza impugnabile che dichiara la complessità dell’accertamento e del giudizio, tenuto conto anche del numero degli imputati e delle imputazioni, può aumentare i termini di cui al secondo comma fino alla metà. Sono fatte salve le cause di sospensione del decorso processuale ai sensi del codice di procedura penale. La richiesta di rinvio per legittimo impedimento del difensore o per impedimento assoluto dell’imputato determina la sospensione del termine di durata del processo per non più di sessanta giorni. Le ipotesi previste dall’articolo 129, primo comma, del codice di procedura penale prevalgono sulla dichiarazione di estinzione del processo”); art. 5 (“1. All’articolo 1 della legge 9 gennaio 2019, n. 3, sono apportate le seguenti modificazioni: a) le lettere e) e f) del comma 1 sono abrogate; b) al comma 2, le parole: «lettere d), e) e f)» sono sostituite dalle seguenti: «lettera d)»”); art. 6 (“1. Le disposizioni introdotte dagli articoli 1, 2, 3 e 4 della presente legge si applicano per i fatti commessi a decorrere dalla data della sua entrata in vigore”).

Di conseguenza, per effetto di questo disegno di legge, i loro firmatari, come si evince dalla relazione di accompagnamento, si propongono il fine di “prevedere che per ogni grado processuale ci sia un tempo massimo di durata, superato il quale deve essere dichiarata l’estinzione del processo: dopo questo momento l’azione penale deve fermarsi e non può più progredire”.

In particolare, per “il processo di primo grado, con la presente proposta di legge, (…), si fissano i seguenti termini: per i processi in primo grado, i termini entro i quali il processo deve essere concluso, decorrenti dalla prima udienza, sono di un anno per i reati puniti con la pena dell’arresto o della reclusione fino a cinque anni, anche se congiunte a pena pecuniaria, e di due anni per i reati puniti con la pena della reclusione superiore a cinque anni; per i processi celebrati in appello, davanti alla Corte di cassazione o in sede di rinvio, i termini entro i quali il processo deve essere concluso sono, rispettivamente, di due anni e di un anno e sei mesi, che decorrono dalla proposizione dell’atto di impugnazione o dal deposito della sentenza con la quale è stato disposto l’annullamento con rinvio” fermo restando che, da un lato, sono “fatte salve le cause di sospensione del processo (istanze difensive, legittimo impedimento e altro) e, come norma di chiusura, si prevede la prevalenza, in ogni stato e grado del processo, del proscioglimento nel merito sulla dichiarazione di prescrizione del processo”, dall’altro, “non tutti i processi sono uguali e quindi si deve tenere conto della complessità di alcuni accertamenti e di alcuni giudizi, in relazione al numero degli imputati e delle imputazioni” e per questo motivo è previsto “che, nei diversi gradi di giudizio, il giudice, con ordinanza impugnabile, può dichiarare la complessità dell’accertamento e del giudizio e aumentare i relativi termini fino alla metà” atteso che in “tal modo si consentirebbe di organizzare i ruoli fissando i processi in modo differenziato (avendo un anno di tempo per iniziare) e di celebrare il processo con udienze ravvicinate”.

Oltre a ciò, la “riforma prevista dalla presente proposta di legge richiede, ovviamente, di rivedere alcuni istituti (le notificazioni e i riti speciali, ad esempio) fondamentali per semplificare il processo”.

Sempre in materia di diritto penale, deve registrarsi un altro disegno di legge, anch’esso all’esame della Camera dei Deputati, con cui si vuole intervenire in materia di tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori (n. 2298).

Orbene – fermo restando che tale disegno di legge interviene anche sulla procedura penale (e tale parte verrà esaminata successivamente) – per quanto attiene la parte sostanziale, sono previste le seguenti modifiche dall’art. 2 che così statuisce: “1. All’articolo 146 del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni: 1) al primo comma, numero 2), le parole: «anni uno» sono sostituite dalle seguenti: «anni tre»; 2) è aggiunto, in fine, il seguente comma: «Nei casi previsti dai numeri 1) e 2) del primo comma, se sussiste il concreto pericolo della commissione di delitti il tribunale di sorveglianza può stabilire che la pena sia eseguita in una casa famiglia protetta, ovvero in un istituto di custodia attenuata per detenute madri qualora sussista un pericolo rilevante». 2. All’articolo 147 del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni: 1) al primo comma, numero 3), le parole: «di età inferiore a tre anni» sono sostituite dalle seguenti: «di età compresa tra tre e sei anni»; 2) è aggiunto, in fine, il seguente comma: «Nei casi previsti dal numero 3) del primo comma, se sussiste il concreto pericolo della commissione di delitti il tribunale di sorveglianza può stabilire che la pena sia eseguita in una casa famiglia protetta, ovvero in un istituto di custodia attenuata per detenute madri qualora sussista un pericolo rilevante»”.

Pertanto, alla luce di questo progetto di legge, si vogliono introdurre delle “modifiche agli articoli 146[2] e 147[3] del codice penale, che disciplinano i casi di differimento obbligatorio e facoltativo della pena” e, in particolare, come si evince dalla relazione di accompagnamento a questo disegno legislativo, all’“articolo 146 si innalza a tre anni (oggi è uno) la soglia di età del minore al di sotto della quale è stabilita l’incompatibilità assoluta con il regime detentivo per la madre (o il padre)” mentre all’“articolo 147 si prevede un’ipotesi di differimento facoltativo della pena nel caso in cui il minore abbia un’età compresa tra tre e sei anni” fermo restando che in “entrambi i casi si prevede che il tribunale di sorveglianza, qualora rilevi la sussistenza di un concreto pericolo di commissione di delitti, possa stabilire che il differimento della pena possa essere disposto nelle forme della custodia in un ICAM o in una casa famiglia protetta” e, di conseguenza, in “questo modo il sistema previsto per la custodia cautelare in carcere viene sostanzialmente riproposto per le donne con condanne definiti”.

Procedura penale

Per quanto attiene la procedura penale, la proposta di legge n. 1620, all’esame della Camera dei Deputati, vuole modificare l’art. 444 cod. proc. pen.[4].

In particolare, la modifica è stata concepita nel seguente modo: “All’articolo 444, comma 1-bis, del codice di procedura penale, dopo le parole: «i procedimenti per i delitti di cui agli articoli» sono inserite le seguenti: «572, 582, nei soli casi di lesioni gravi e gravissime ai sensi dell’articolo 583 quando, ai sensi dell’articolo 585, ricorrano le circostanze aggravanti previste dall’articolo 577,» e le parole: «e 609-octies» sono sostituite dalle seguenti: «, 609-octies e 612-bis »” (così: l’art. 1 di questo progetto di legge).

Dunque, come si evince dalla relazione di accompagnamento, la “presente proposta di legge prevede modifiche all’articolo 444 del codice di procedura penale al fine escludere l’applicazione della pena su richiesta nei procedimenti per violenza domestica, violenza sessuale e atti persecutori” nel senso di “estendere il divieto di applicare il patteggiamento ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale per le pene superiori ai due anni anche ai reati riconducibili all’area della violenza domestica e alla violenza di genere: maltrattamenti in famiglia (articolo 572 del codice penale), lesioni gravi o gravissime commesse nei confronti di familiari, parenti, conviventi (articolo 583 del codice penale, aggravato ai sensi dell’articolo 577 del medesimo codice), atti persecutori (articolo 612-bis del codice penale)”.

Pertanto, “l’obiettivo perseguito attraverso la riforma proposta è quello di rafforzare la tutela della vittima di queste forme di criminalità rispetto alla possibile esclusione dal contesto processuale in caso di applicazione della pena su richiesta: come noto, infatti, nel patteggiamento non solo non è ammessa a partecipare né la persona offesa né la parte civile (articolo 444, comma 2, del codice di procedura penale, nel quale si prevede che il giudice non decide sulla costituzione di parte civile, limitandosi a liquidare le spese processuali), ma addirittura la sentenza che applica la pena concordata non ha efficacia di giudicato nei giudizi civili di danno (articolo 445, comma 1-bis, del codice di procedura penale), imponendo alla vittima di percorrere la strada del processo civile come se l’imputato non fosse mai stato condannato”.

Per quanto invece attiene il disegno di legge n. 2298 (già esaminato in precedenza per quanto attiene il diritto penale sostanziale), per quel che riguarda il versante procedurale, si propongono all’art. 1 le seguenti modificazioni: “1. All’articolo 275, comma 4, primo periodo, del codice di procedura penale, le parole: «, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza» sono soppresse. 2. All’articolo 285-bis, comma 1, del codice di procedura penale, le parole: «ove le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza lo consentano » sono sostituite dalle seguenti: «ove sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza». 3. All’articolo 293 del codice di procedura penale, dopo il comma 1-ter sono inseriti i seguenti: « 1-quater. L’ufficiale o l’agente incaricato di eseguire l’ordinanza il quale, nel corso dell’esecuzione, rilevi la sussistenza di una delle ipotesi di cui all’articolo 275, comma 4, deve darne atto nel verbale di cui al comma 1-ter del presente articolo. In questo caso il verbale è trasmesso al giudice prima dell’ingresso dell’arrestato nell’istituto di pena. 1-quinquies. Nei casi di cui al comma 1-quater il giudice può disporre la sostituzione della misura cautelare con altra meno grave o la sua esecuzione con modalità meno gravose anche prima dell’ingresso dell’arrestato nell’istituto di pena». 4. All’articolo 656 del codice di procedura penale, dopo il comma 4-quater è inserito il seguente: «4-quinquies. Qualora, nel corso dell’applicazione dell’ordine che dispone la carcerazione, emergano circostanze di fatto che potrebbero determinare il differimento obbligatorio dell’ordine di esecuzione ai sensi dell’articolo 146 del codice penale, il pubblico ministero ne informa immediatamente il magistrato di sorveglianza. Il magistrato di sorveglianza, verificata la sussistenza dei presupposti, procede nelle forme di cui all’articolo 684, comma 2, del presente codice»”.

Si interviene di conseguenza “sul comma 4 dell’articolo 275 del codice, eliminando ogni riferimento alle esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Contemporaneamente si interviene sull’articolo 285-bis, che disciplina la custodia cautelare negli ICAM, stabilendo che il giudice possa disporre tale misura cautelare nel caso in cui sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza” e, dunque, la “misura di riferimento per l’applicazione della custodia cautelare nei confronti di donne (o uomini in casi residuali) con figli minori di sei anni diventa quindi la casa famiglia protetta” mentre, solo “in ipotesi residuali, ove le esigenze di cautela siano ritenute particolarmente intense, il giudice può disporre la custodia cautelare negli ICAM”.

Inoltre, si interviene anche “sulle norme che regolano le fasi esecutive delle misure cautelari e delle pene definitive” ossia “sull’articolo 293 del codice, che disciplina le modalità esecutive delle misure cautelari”; con la modifica in questione, quindi, “si prevede che gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria incaricati di eseguire la misura debbano inserire nel verbale di arresto l’eventuale presenza di circostanze che potrebbero determinare il divieto di applicazione della custodia cautelare in carcere, sulla base di quanto previsto dall’articolo 275, comma 4”, cod. proc. pen. e, di conseguenza, è statuito che “il verbale venga trasmesso senza ritardo, e comunque prima di trasferire l’arrestato nell’istituto di pena, all’autorità che ha emesso il provvedimento” giacché in “questo modo si consente all’autorità giudiziaria di valutare immediatamente l’elemento di novità e, se del caso, modificare la misura cautelare applicata”.

Ciò posto, analogamente “si interviene sull’articolo 656 del codice[5], il quale disciplina l’esecuzione delle condanne definitive” e anche “in questo caso si prescrive che l’autorità che cura l’esecuzione della sentenza debba immediatamente avvisare il magistrato di sorveglianza della sussistenza di ipotesi di possibile differimento obbligatorio della pena”; la “norma riguarda in particolare le donne incinte o con prole inferiore ai tre anni. In questo modo il magistrato di sorveglianza è posto immediatamente in condizione di applicare l’articolo 684, evitando l’ingresso in istituto di donne in evidente condizione di incompatibilità con il regime penitenziario”.

A sua volta, con il disegno di legge n. 2514, pure questo all’esame della Camera dei Deputati, ci si propone di modificare un’altra norma del codice di procedura penale, vale a dire l’art. 315 cod. proc. pen.[6].

L’art. 1 di questo progetto di legge, difatti, dispone che all’“articolo 315 del codice di procedura penale, dopo il comma 3 è aggiunto il seguente: «3-bis. La sentenza che accoglie la domanda di riparazione è trasmessa agli organi titolari dell’azione disciplinare nei riguardi dei magistrati, per le valutazioni di loro competenza»”.

Pertanto, come si evince dalla relazione di accompagnamento di questo disegno legislativo, “si chiede di modificare l’articolo 315 del codice di procedura penale, prevedendo che la sentenza di accoglimento della domanda di riparazione per ingiusta detenzione sia trasmessa agli organi titolari dell’azione disciplinare nei riguardi dei magistrati, per le valutazioni di loro competenza” rilevando il firmatario di questa proposta di legge che troppo spesso “accade che le ragioni che hanno determinato errori, anche gravi, non siano rilevate, come occorrerebbe, sul piano disciplinare o restino prive di conseguenze in sede di decisione sugli avanzamenti di carriera” e, pertanto, la “novella, per ovviare a questa mancanza, introduce l’obbligo dell’immediata trasmissione della sentenza che accoglie la domanda di riparazione, cosicché gli organi titolari dell’azione disciplinare non possano sottrarsi all’accertamento e alla valutazione della vicenda che ha condotto all’indennizzo per ingiusta detenzione”.

Ciò posto, sono state proposte delle modifiche agli articoli 134[7], 139[8] e 141-bis[9] del codice di procedura penale in materia di riproduzione fonografica e audiovisiva degli atti del processo penale e delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari alla luce di quanto previsto nel disegno di legge n. 1709 all’esame del Senato della Repubblica.

Difatti, in siffatto progetto di legge, sono previste le seguenti modificazioni: “1. All’articolo 134 del codice di procedura penale, il comma 4 è sostituito dal seguente: «4. Alle modalità di documentazione indicate nei commi 2 e 3 è aggiunta la riproduzione in forma audiovisiva nei casi previsti dalla legge” (art. 1); “1. L’articolo 139 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente: «Art. 139. – (Riproduzione fonografica e audiovisiva) – 1. La riproduzione fonografica o audiovisiva è effettuata da personale tecnico, anche estraneo all’amministrazione dello Stato, sotto la direzione dell’ausiliario che assiste il giudice. 2. Quando si effettua la riproduzione fonografica o audiovisiva, nel verbale è indicato il momento di inizio e di cessazione delle operazioni di riproduzione. 3. La trascrizione della riproduzione è effettuata da personale tecnico giudiziario. Il giudice può disporre che essa sia affidata a persona idonea estranea all’amministrazione dello Stato. 4. Quando le parti vi consentono, il giudice può disporre che non sia effettuata la trascrizione. 5. Le registrazioni fonografiche o audiovisive e le trascrizioni sono unite agli atti del procedimento» (art. 2); “1. L’articolo 141-bis del codice di procedura penale è sostituito dal seguente: «Art. 141-bis. – (Modalità di documentazione dell’interrogatorio di persona in stato di detenzione e delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari dall’indagato, dalla persona offesa e dalla persona informata sui fatti) – 1. Ogni interrogatorio di persona che si trovi, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione, e che non si svolga in udienza, deve essere documentato integralmente, a pena di inutilizzabilità, con mezzi di riproduzione audiovisiva. Dell’interrogatorio è anche redatto verbale in forma riassuntiva. La trascrizione della riproduzione è disposta solo se richiesta dalle parti. 2. L’assunzione delle dichiarazioni rese, in qualsiasi forma, nella fase delle indagini preliminari e che non siano acquisite in udienza, dall’indagato, dalla persona offesa e dalla persona informata sui fatti deve essere documentata integralmente, a pena di inutilizzabilità, con mezzi di riproduzione audio-visiva, con redazione del verbale in forma riassuntiva e trascrizione della riproduzione disposta se richiesta dalle parti»” (art. 3).

Questo disegno di legge, così strutturato, di conseguenza, prevede in sostanza quanto segue.

Come invero emerge dalla relazione di accompagnamento: l’“articolo  1 interviene sull’articolo 134 del codice di procedura penale, sostituendo integralmente il comma 4 e rendendo la riproduzione audiovisiva una modalità ordinaria e non speciale di documentazione degli atti, al pari del verbale”; l’“articolo 2 sostituisce l’articolo 139 del codice di procedura penale integralmente” atteso che il “nuovo testo dell’articolo stabilisce le regole da seguire per la riproduzione audiovisiva e prevede che le registrazioni audiovisive e le trascrizioni di esse siano in ogni caso unite agli atti del procedimento”; l’“articolo 3 sostituisce l’articolo 141-bis del codice di procedura penale” dato che viene introdotta una “norma per cui l’assunzione delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari, dall’indagato, dalla persona offesa e dalla persona informata sui fatti, debba essere integralmente documentata, a pena di inutilizzabilità, con mezzi di riproduzione audiovisiva, con redazione del verbale in forma riassuntiva e trascrizione della riproduzione disposta se richiesta dalle parti”.

Dal canto suo il disegno di legge n. 2034, attualmente all’esame della Camera dei Deputati, contempla la modifica dell’art. 123 cod. proc. pen.[10] nella seguente maniera: “1. Dopo il comma 2 dell’articolo 123 del codice di procedura penale è inserito il seguente: «2-bis. Le impugnazioni, le dichiarazioni, compresa la nomina di un difensore, e le richieste di cui ai commi 1 e 2 sono contestualmente comunicate anche al difensore nominato»”.

Con tale proposta, secondo l’intenzione dei firmatari di questo progetto di legge, si vuole “consentire ai detenuti di beneficiare immediatamente della difesa tecnica” rilevandosi a tal proposito che l’“articolo 123, nel disciplinare le dichiarazioni e le richieste di persone detenute e internate, non prevede alcuna comunicazione al difensore di fiducia nominato, ma stabilisce solo che le dichiarazioni e le richieste siano iscritte in apposito registro e immediatamente comunicate all’autorità competente” tenuto conto altresì del fatto che il “comma 1 prevede, inoltre, che le stesse abbiano efficacia come se fossero ricevute direttamente dall’autorità giudiziaria”.

Orbene, sempre a parere dei presentatori di questa proposta di legge, tale “omissione è ancora più grave in quanto per il difensore non è prevista alcuna notizia neanche dell’atto di nomina effettuato in carcere” posto che il codice di rito penale “prevede la sola iscrizione nell’apposito registro e l’immediata comunicazione all’autorità competente” e ciò “costituisce una palese violazione del diritto di difesa, sia perché il detenuto potrebbe ritenere che l’avvocato sia stato avvisato della nomina e quindi sentirsi tutelato, sia perché il legale, nominato a sua insaputa, da un lato non è messo nelle condizioni di rinunciare eventualmente all’incarico ricevuto e dall’altro non può esercitare la sua attività professionale, né recarsi in carcere per il colloquio con l’assistito fin quando non abbia conoscenza dell’avvenuta nomina nel momento in cui gli viene notificato, dall’autorità giudiziaria che procede, un atto che prevede l’obbligo di comunicazione al difensore”.

Da ciò si è ritenuto necessario introdurre “un nuovo comma che preveda, appunto, che le dichiarazioni, compresa la nomina di un difensore, le impugnazioni e le richieste di cui ai commi 1 e 2 del medesimo articolo siano contestualmente comunicate anche al difensore nominato” fermo restando che tale “attività potrebbe avvenire servendosi dell’elenco degli indirizzi di posta elettronica certificata degli avvocati, già in possesso dell’amministrazione penitenziaria e non comporterebbe alcun sovraccarico di lavoro per il personale della medesima amministrazione”.

Altra modifica proposta, sempre in materia di procedura penale, attiene l’art. 192 cod. proc. pen.[11].

Con il disegno di legge n. 1902, al vaglio della Camera dei Deputati, invero, si propone di modificare tale disposizione legislativa nella seguente maniera: “1. Al comma 4 dell’articolo 192 del codice di procedura penale sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, e alle intercettazioni concernenti conversazioni telefoniche o tra presenti svolte tra soggetti diversi dall’indagato, dall’imputato e dalla persona comunque assente dalla stessa conversazione»” (così: l’art. 1).

L’obiettivo prefissato dei firmatari di questa proposta legislativa è in particolare quello di “inserire un ulteriore caso tra quelli per i quali si deve applicare la disciplina dell’articolo 192 del codice di procedura penale, comma 3: quello delle cosiddette «intercettazioni indirette», ossia delle intercettazioni concernenti le conversazioni telefoniche o tra presenti di soggetti diversi dall’indagato, dall’imputato e dalla persona comunque assente dalla stessa conversazione” atteso che, secondo “la prevalente giurisprudenza, le dichiarazioni cristallizzate nella registrazione costituiscono infatti prova della colpevolezza del terzo estraneo alla conversazione, senza necessità degli ulteriori elementi di prova previsti dal comma 3 dell’articolo 192” cod. proc. pen..

In sostanza, se “la prova dichiarativa contra alios sarebbe normativamente incerta e necessiterebbe di riscontri; l’intercettazione, invece, essendo effettuata nei confronti di un soggetto che si presume inconsapevole, sarebbe per ciò essa stessa fonte di prova certa che non necessiterebbe – da un punto di vista epistemologico – di alcun riscontro per essere positivamente impiegata quale unico elemento di prova per giungere ad un giudizio di colpevolezza” e l’“accusa in danno di una terza persona non è equiparabile alla chiamata in correità e, pertanto, se ne ricava che essa non è soggetta, nella predetta valutazione, ai canoni di cui all’articolo 192, comma 3, del codice di procedura penale: tali dichiarazioni hanno, dunque, integrale valenza probatoria (Cassazione 14 ottobre 2003, n. 603, giudice amministrativo, Centro elettronico di documentazione della Cassazione 227815, in Cassazione penale, 2002, 2845)”, “secondo il prevalente orientamento della Corte di cassazione, quando due persone intercettate rilasciano dichiarazioni accusatorie nei confronti di terze persone non presenti alla conversazione captata, tali dichiarazioni hanno valore di prova piena, salvo il prudente apprezzamento del giudice”, ma, per i firmatari di questa proposta, dire “che tutto è rimesso al «prudente vaglio del giudice» significa consentire l’accesso al mondo della prova a dichiarazioni contra alios, formatesi nelle indagini, inserite nel fascicolo del dibattimento senza contraddittorio, trasformando in elemento di prova documentale quello che era, e doveva rimanere, nel più ampio genus dell’universo dichiarativo”.

Tal che se ne fa conseguire che l’“orientamento della Corte suesposto è oramai incompatibile con la diffusione del mezzo di ricerca della prova delle intercettazioni e soprattutto con la diffusa cultura di essere ascoltati” essendosi “constatato che spesso gli intercettati nelle conversazioni o comunicazioni captate tentano dolosamente di ingannare l’interlocutore esprimendosi in modo tale da non poter comprendere se siano portatori di reali conoscenze o invece manifestino ipotesi, illazioni o congetture; altrettanto spesso, riferiscono circostanze imprecise, o addirittura false, allo scopo occulto di ledere ingiustamente un terzo” e, di conseguenza, per i presentatori di questo disegno legislativo, per “queste ragioni, in particolare per le dichiarazioni acquisite mediante intercettazione di conversazioni o comunicazioni tra soggetti diversi rispetto all’imputato o alla persona sottoposta alle indagini o comunque alla persona non presente, è pertanto necessario applicare la disciplina del citato articolo 192, comma 3, del codice di procedura penale” tanto più se si considera che per loro tale “necessità si rende ancora più evidente se si tiene conto del fatto che il dichiarante davanti all’autorità, in caso di false dichiarazioni, si espone a conseguenze giudiziarie gravi quali la commissione del reato di calunnia e falsa testimonianza, mentre ciò non accade per il dichiarante intercettato” tenuto conto altresì del fatto che “il dichiarante davanti all’autorità può e deve essere controesaminato e anzi, se non si sottopone al contraddittorio, non potrà essere emessa alcuna sentenza di condanna nei confronti del terzo sulla base del suo dichiarato ai sensi dell’articolo 526, comma 1-bis, del codice di procedura penale, mentre le dichiarazioni intercettate non consentono alcun formale contraddittorio o, meglio, non comportano nessuna conseguenza giuridica in caso di sua assenza”.

Da qui l’esigenza di modificare l’art. 192 c.p.p. nei termini suesposti ossia “inserendo le intercettazioni indirette tra i casi per i quali si deve applicare la disciplina di cui al comma 3 del medesimo articolo, stabilendo così che esse debbano sempre essere valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità”.

Detto questo, con il disegno di legge n. 1560, attualmente all’esame del Senato della Repubblica, si vuole introdurre una nuova norma in seno al codice di procedura penale, vale a dire l’art. 11-ter cod. proc. pen..

Difatti, questo progetto legislativo prevede, all’art. 1, che, dopo l’art. 11-bis del codice di procedura penale, è “inserito il seguente: «Art. 11-ter. – (Competenza per i procedimenti riguardanti gli appartenenti alla polizia giudiziaria) – 1. I procedimenti in cui un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria assume la qualità di persona sottoposta ad indagini, di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato, che secondo le norme di questo capo sarebbero attribuiti alla competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto di corte d’appello in cui un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria esercita le proprie funzioni o le esercitava al momento del fatto, sono di competenza del giudice determinato ai sensi dell’articolo 11. 2. Se nel distretto determinato ai sensi del comma 1 l’ufficiale o l’agente di polizia giudiziaria è venuto ad esercitare le proprie funzioni in un momento successivo a quello del fatto, è competente il giudice che ha sede nel capoluogo del diverso distretto di corte d’appello determinato ai sensi del medesimo comma 1. 3. I procedimenti connessi a quelli in cui un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria assume la qualità di persona sottoposta ad indagini, di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato sono di competenza del medesimo giudice individuato a norma del comma 1»”.

Dunque, per effetto di questo disegno normativo, “si propone di introdurre l’articolo 11-ter del codice di procedura penale che possa disciplinare in modo similare a quanto previsto per i magistrati anche i procedimenti che riguardano reati addebitati ad appartenenti alla polizia giudiziaria”.

In particolare: al “comma 1 si prevede che il giudice competente sia determinato seguendo il criterio previsto dalla tabella A dell’articolo 1 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale”; al “comma 2 si prevede che tale spostamento sia necessario anche qualora l’ufficiale o l’agente di polizia giudiziaria sia venuto a svolgere il proprio incarico in un momento successivo a quello del fatto”; al “comma 3 si estende tale disciplina ai procedimenti connessi” fermo restando come siano “però opportune talune differenze” ossia “la deroga al regime ordinario di determinazione della competenza dovrebbe operare solo quando il funzionario o l’ufficiale di polizia giudiziaria è coinvolto come indagato o imputato per i reati commessi nell’esercizio delle sue funzioni” la cui “ratio discende dalla necessità di assicurare maggiore imparzialità solo laddove emerga una lesione dell’interesse della corretta gestione dei poteri coercitivi e di investigazione”.

 

Ordinamento penitenziario

 

Con la proposta di legge n. 2488, all’esame della Camera dei Deputati, ci si propone di modificare l’articolo 47-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354[12] previsto in materia di detenzione domiciliare e di rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena per i detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione ai sensi dell’articolo 41-bis della medesima legge.

In particolare, è disposto che dopo “il comma 1-quater dell’articolo 47-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, sono inseriti i seguenti: «1-quater.1. Nel caso di detenuti per uno dei delitti previsti dall’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale sottoposti al regime previsto dall’articolo 41-bis della presente legge, il tribunale di sorveglianza di Roma è competente in ordine all’applicazione della detenzione domiciliare, alla sua proroga ai sensi del comma 1-ter del presente articolo, ovvero al rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena, ai sensi dell’articolo 147 del codice penale. 1-quater. 2. Il tribunale di sorveglianza di Roma provvede a quanto disposto dal comma1-quater.1 entro il termine perentorio di quindici giorni, previo parere del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, da rendere entro sette giorni dalla data di ricevimento della relativa richiesta. 1-quater. 3. Qualora il parere di cui al comma 1-quater.2 non sia reso nel termine ivi previsto, il tribunale di sorveglianza di Roma provvede anche in assenza di tale parere»”.

Orbene, “la presente proposta di legge (…) intende riportare tutte le decisioni in merito all’applicazione della misura alternativa della detenzione domiciliare in capo al tribunale di sorveglianza di Roma, che dovrà pronunciarsi entro il termine perentorio di quindici giorni sulla relativa istanza, avendo acquisito il parere della Procura nazionale antimafia e antiterrorismo”  e, al “fine di evitare discrasie sistematiche, unitamente alla detenzione domiciliare, il tribunale deciderà, con la medesima procedura, anche sull’istanza di differimento facoltativo dell’esecuzione di cui all’articolo 147 del codice penale, concedibile dal giudice nelle medesime circostanze che legittimerebbero gli arresti domiciliari”.

Gratuito patrocinio

Con il disegno di legge n. 2186, attualmente all’esame della Camera dei Deputati, ci si propone di modificare l’art. 74 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115[13], concernente il diritto alla ripetizione delle spese sostenute per il giudizio da parte dell’imputato assolto nonché delega al Governo per la sua disciplina.

In particolare, è ivi previsto all’articolo 1 che, dopo “il comma 2 dell’articolo 74 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, è aggiunto il seguente: «2-bis. In ogni caso, se il fatto non sussiste, se l’imputato non lo ha commesso, se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, l’imputato ha diritto di ripetere dallo Stato tutte le spese sostenute per il giudizio». 2. Il Governo è delegato ad adottare, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per disciplinare le condizioni e le forme di riconoscimento e di esercizio del diritto previsto dal comma 2-bis dell’articolo 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dal comma 1 del presente articolo, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi: a) garantire modalità celeri e trasparenti per ottenere la ripetizione delle spese sostenute per il giudizio; b) prevedere idonee modalità per assicurare anche il pagamento dell’onorario e delle spese del difensore”.

Pertanto, una volta fatto presente che, “anche in caso di proscioglimento o di assoluzione con le formule ampiamente liberatorie (perché il fatto non sussiste, perché l’imputato non ha commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato) le spese legali restano a carico dell’imputato” dato che a “nulla vale che questi sia riuscito a dimostrare la propria assoluta estraneità al reato o, addirittura, l’insussistenza di qualunque fatto di rilevanza penale” così come allo “stesso modo – e ciò è anche più grave – a nulla vale che lo Stato abbia esercitato erroneamente la propria pretesa punitiva, sottoponendo senza ragione la persona al lungo, defatigante e spesso umiliante calvario delle indagini e del processo”, i firmatari di questa proposta di legge affermano, nella relazione di accompagnamento, che “con la presente proposta di legge si intende rimuovere questa intollerabile e poco garantista aporia che caratterizza il nostro sistema penale” modificando, come appena visto poco prima, “l’articolo 74 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, inserendo il fondamentale principio (di civiltà, prima ancora che giuridico) secondo cui in ogni caso, se il fatto non sussiste, se l’imputato non lo ha commesso, se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, l’imputato ha diritto di ripetere dallo Stato tutte le spese sostenute per il giudizio” fermo restando che, per “dare puntuale attuazione alla disposizione, il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi, entro tre mesi dall’entrata in vigore della stessa, nel rispetto di due princìpi e criteri direttivi: da un lato, garantire modalità celeri e trasparenti per ottenere la ripetizione; dall’altro lato, prevedere idonee modalità per assicurare anche il pagamento dell’onorario e delle spese del difensore, in ragione del ruolo essenziale della difesa tecnica e delle competenze professionali prestate”.

Con la proposta di legge n. 1889, adesso al vaglio della Camera dei Deputati, ci si prefigge invece di modificare diverse norme previste nel decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 e che quindi rileva anche in relazione alla materia penale.

Invero, in questo disegno legislativo, una volta postulato all’art. 1 che la “presente legge, al fine di garantire il diritto di difesa del cittadino ai sensi dell’articolo 24 della Costituzione, introduce modificazioni al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, di seguito denominato «testo unico», volte ad accelerare le procedure per il recupero dei compensi spettanti agli avvocati che hanno espletato l’attività professionale ai sensi degli articoli 74 e seguenti del testo unico”, contempla le seguenti modificazioni: dopo “il comma 2 dell’articolo 78 del testo unico è aggiunto il seguente: «2-bis. L’istanza può essere trasmessa anche mediante posta elettronica certificata (PEC), se esistente, o mediante apposita piattaforma elettronica»” (art. 2); all’“articolo 79 del testo unico sono apportate le seguenti modificazioni: a) il comma 3 è sostituito dal seguente: «3. Qualora l’istanza risulti incompleta o si intenda procedere all’accertamento della veridicità di quanto in essa indicato, il giudice procedente o il Consiglio dell’ordine degli avvocati competente devono richiedere la documentazione necessaria, assegnando all’interessato, a pena di inammissibilità, un termine non inferiore a trenta giorni e non superiore a due mesi. In ogni caso, gli effetti previsti dall’articolo 107 e dall’articolo 131 decorrono dalla data di presentazione dell’istanza e, in materia penale, dalla formulazione della riserva, purché la relativa domanda sia depositata nei successivi venti giorni»; b) dopo il comma 3 è aggiunto il seguente: «3-bis. Il giudice competente che intende chiedere documentazione integrativa della dichiarazione sostitutiva di certificazione di cui alla lettera c) del comma 1, deve esplicitarne le ragioni con motivazione specifica e concreta»” (art. 3); l’“articolo 82 del testo unico è sostituito dal seguente: « Art. 82. – (Compenso e spese del difensore) – 1. Il compenso e le spese spettanti al difensore sono liquidati dall’autorità giudiziaria con decreto di pagamento, secondo le modalità di cui all’articolo 83 del presente decreto, sulla base della tabella nazionale di liquidazione standardizzata, da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentito il Consiglio nazionale forense e il Consiglio superiore della magistratura. 2. Il decreto attuativo di cui al comma 1, tenuto conto del regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia 10 marzo 2014, n. 55, come modificato dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia 8 marzo 2018, n. 37, diversifica i compensi rispetto all’autorità giudiziaria e alla tipologia del procedimento, considerando la natura dell’impegno professionale in relazione all’incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale della persona difesa. Sono altresì previsti meccanismi di revisione triennale dei compensi ivi stabiliti. 3. Il compenso e le spese spettanti all’ausiliario del magistrato e al consulente tecnico di parte sono liquidati dall’autorità giudiziaria con decreto di pagamento, secondo le modalità di cui all’articolo 83 del presente decreto». 2. L’articolo 83 del testo unico è sostituito dal seguente: «Art. 83. – (Compenso e spese dell’avvocato, dell’ausiliario del magistrato e del consulente tecnico di parte) – 1. La liquidazione del compenso del difensore e delle spese del difensore, dell’ausiliario del magistrato e del consulente tecnico di parte è effettuata al termine di ciascuna fase del procedimento o del grado del processo e, comunque, all’atto della cessazione dell’incarico, dall’autorità giudiziaria che ha proceduto, anche in assenza di specifica richiesta del professionista; per il giudizio di cassazione, procede alla liquidazione il giudice di rinvio ovvero quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato. In ogni caso, il giudice competente provvede anche alla liquidazione dei compensi dovuti per le fasi del procedimento o per i gradi anteriori del processo, se il provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato è intervenuto dopo la loro definizione. 2. Qualora il provvedimento di ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato sia intervenuto successivamente al passaggio in giudicato del provvedimento adottato, il difensore della parte beneficiaria o il consulente di parte possono depositare, entro sessanta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento di ammissione, avanti al giudice titolare del giudizio, un’istanza di liquidazione dei propri compensi. Il giudice provvede entro quarantacinque giorni dalla richiesta e, comunque, dalla data di deposito. 3. Il difensore può depositare, contestualmente all’istanza di pagamento, tutta la documentazione dell’interessato necessaria a consentire al magistrato di verificare la sussistenza dei presupposti per procedere al pagamento. In particolare, il difensore può depositare le dichiarazioni dei redditi sino all’anno di conclusione del procedimento; la dichiarazione sostitutiva di atto notorio, ovvero ogni altra documentazione necessaria ai fini del computo del reddito; in mancanza della dichiarazione fiscale, la dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante il reddito o la mancanza di reddito; la documentazione presentata unitamente alla richiesta di ammissione; il provvedimento di ammissione in originale e il certificato di stato di famiglia aggiornato. 4. Anche nelle ipotesi di cui all’articolo 96, comma 2, il magistrato deve, in ogni caso, provvedere alla liquidazione del compenso del difensore, dell’ausiliario e del consulente tecnico della parte ammessa al patrocinio statale per le attività espletate a favore della stessa, fatto salvo quanto disposto dall’articolo 86. 5. Il decreto di pagamento è emesso dal giudice, con atto separato, contestualmente alla pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui si riferisce la relativa richiesta. Il giudice provvede alla liquidazione anche in assenza di specifica richiesta del professionista; qualora non provveda, il difensore può depositare istanza di liquidazione, ai sensi del comma 3, entro sessanta giorni dalla comunicazione del provvedimento che ha definito il giudizio o la fase o dalla comunicazione dell’ammissione al beneficio, qualora la stessa intervenga successivamente alla conclusione del giudizio o della fase. Il giudice provvede entro il termine di quarantacinque giorni dalla richiesta. 6. Il decreto di pagamento è notificato al beneficiario, al difensore e alle parti, nonché al pubblico ministero»” (art. 4); “1. L’articolo 86 del testo unico è sostituito dal seguente: « Art. 86. – (Recupero delle somme da parte dello Stato) – 1. In caso di rigetto dell’istanza di ammissione al beneficio o di revoca che intervengano dopo l’espleta mento delle attività difensive, ovvero delle attività dell’ausiliario e del consulente tecnico, il giudice deve provvedere alla liquidazione del compenso del difensore dell’ausiliario e del consulente, fatto salvo, in ogni caso, il diritto dello Stato di recuperare in danno dell’interessato le somme eventualmente pagate ai sensi del presente articolo»” (art.  5); “1. Al comma 1 dell’articolo 93 del testo unico, dopo la parola: «raccomandata » sono inserite le seguenti: «, fax o mediante PEC, se esistente,»” (art. 6); “1. All’articolo 96 del testo unico sono apportate le seguenti modificazioni: a) il comma 1 è sostituito dal seguente: « 1. Nei trenta giorni successivi a quello in cui è stata depositata o è pervenuta l’istanza di ammissione, il magistrato davanti al quale pende il processo o il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato, se procede la Corte di cassazione, verificata l’ammissibilità dell’istanza, ammette l’interessato, anche in via provvisoria in attesa degli accertamenti di cui ai commi 1-bis, 2 e 3, del presente articolo, al patrocinio a spese dello Stato se, alla stregua della dichiarazione sostitutiva prevista dall’articolo 79, comma 1, lettera c), ricorrono le condizioni di reddito cui l’ammissione al beneficio è subordinata»; b) dopo il comma 1 è inserito il seguente: « 1-bis. Nel caso in cui il magistrato competente non provveda entro il termine di cui al comma 1, ovvero entro dieci giorni dalla data del deposito dell’eventuale documentazione integrativa richiesta ai sensi dell’articolo 79, provvede il capo dell’ufficio giudiziario entro venti giorni dalla scadenza dei termini di cui al presente comma»; c) al comma 2, le parole: «prima di provvedere,» sono soppresse; d) dopo il comma 4 è aggiunto il seguente: «4-bis. Resta salva, in ogni caso, l’applicabilità dell’articolo 86» (art. 7); “1. Al comma 1 dell’articolo 106-bis del testo unico, dopo le parole: « spettanti al difensore » sono inserite le seguenti: «, come determinati dall’articolo 82, »” (art. 8); “1. Al comma 1 dell’articolo 130 del testo unico, dopo le parole: «spettanti al difensore» sono inserite le seguenti: «, come determinati dall’articolo 82,» (art. 9); “1. I compensi del difensore, così come liquidati con decreto del magistrato competente, devono essere pagati con priorità sugli altri eventuali soggetti creditori, così come individuati nello stato di previsione del Ministero della giustizia, entro sessanta giorni decorrenti dalla ricezione del relativo titolo. 2. Ai crediti dei difensori, degli ausiliari e dei consulenti tecnici scaduti si applica l’articolo 1219, secondo comma, del codice civile. 3. Nei casi previsti dal comma 2, il creditore ha diritto anche all’integrale rimborso dei costi sostenuti per il recupero delle somme non tempestivamente corrisposte, qualunque sia la causa dell’inadempimento” (art. 10).

In particolare, una volta fatto presente che ottenere “l’effettivo pagamento delle parcelle del patrocinio a spese dello Stato è, ancora oggi, uno scoglio durissimo da superare per gli avvocati: sono necessari mesi e anni di attesa per incassare cifre che vengono dimezzate dal giudice e successivamente ulteriormente ridotte”, i firmatari di questa legge ritengono che di “fronte a tale situazione e in considerazione della crescente crisi nella quale molti studi legali versano, si rende necessaria l’adozione di disposizioni normative che, da un lato, superino i contrasti giurisprudenziali in merito all’interpretazione di talune norme del testo unico che hanno rallentato l’iter della liquidazione dei compensi dei difensori e, dall’altro, introducano fattori oggettivi di velocizzazione” ed “è proprio in tal senso che intende muoversi questa proposta di legge”.

Nel dettaglio, come emerge nella relazione di accompagnamento a questo disegno di legge, l’“articolo 1 indica le finalità della proposta di legge, volta alla sostanziale attuazione del principio statuito dall’articolo 24 della Costituzione, ossia il diritto di difesa, tramite una più rapida procedura di pagamento delle competenze dovute all’avvocato che ha espletato la propria attività professionale in favore della parte non abbiente” mentre l’articolo 2 “prevede, ove possibile, la trasmissione dell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, tramite posta elettronica certificata (PEC) o piattaforma elettronica”.

Detto questo, a sua volta, l’“articolo 3, modificando l’articolo 79 del testo unico, intende superare la prassi in forza della quale molti uffici giudiziari subordinano la concessione o il mantenimento del beneficio solo a condizione che l’interessato produca una molteplicità di documenti riguardanti anche familiari e conviventi (ad esempio, titolarità di conti, schede telefoniche, utenze varie, eccetera) utilizzando mere formule di stile – una riproduzione della disposizione di cui all’articolo 96, comma 2, del testo unico – a sostegno della richiesta di integrazione” e, in tal senso, “la norma proposta precisa che qualora l’autorità giudiziaria competente intenda chiedere documentazione integrativa dell’autocertificazione dovrà esplicitarne le ragioni con motivazione specifica. Inoltre, in assenza di uno specifico termine entro il quale gli interessati, se il giudice procedente o il consiglio dell’ordine degli avvocati competente a provvedere in via anticipata lo richiedono, sono tenuti, a pena di inammissibilità dell’istanza, a produrre la documentazione necessaria ad accertare la veridicità di quanto in essa indicato, la proposta di legge introduce un termine di durata non inferiore a trenta giorni e non superiore a due mesi” mentre l’articolo 4 “modifica gli articoli 82 e 83 del testo unico”; nel dettaglio, da “un lato, si unificano i criteri per la determinazione del compenso e delle spese del difensore, dell’ausiliario del magistrato e del consulente tecnico di parte, che vengono, poi, differenziati quanto alle modalità della liquidazione” e tra “gli elementi di novità introdotti dalla disposizione si segnala, tra gli altri, l’adozione di una tabella nazionale di liquidazione standardizzata dei compensi degli avvocati, che, rendendo più agevole la loro determinazione, riduce il potenziale numero delle opposizioni a carico dell’erario in tale settore, garantisce la parità di trattamento per analoghe attività difensive svolte  in luoghi diversi e favorisce, al contempo, una maggiore rapidità nella liquidazione dell’istanza”, dall’altro, “si prevede che la liquidazione del compenso e delle spese del difensore, dell’ausiliario del magistrato e del consulente tecnico di parte sia effettuata al termine di ciascuna fase del procedimento o del grado del processo e, comunque, all’atto della cessazione dell’incarico, da parte dell’autorità giudiziaria che ha proceduto, anche in assenza di specifica richiesta del professionista” e, qualora “il provvedimento di ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato sia intervenuto successivamente al passaggio in giudicato del provvedimento adottato, il difensore della parte beneficiaria ovvero il consulente di parte può depositare, entro sessanta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento di ammissione, avanti al giudice titolare del giudizio, un’istanza di liquidazione dei propri compensi” e il “giudice deve provvedere entro quarantacinque giorni”.

Oltre a ciò, sempre “in un’ottica acceleratoria, recependo le best practice fissate in molteplici protocolli stipulati tra il Consiglio dell’ordine degli avvocati e gli uffici giudiziari, si prevede la facoltà per il difensore di depositare, contestualmente all’istanza di pagamento, tutta la documentazione necessaria a consentire al magistrato di verificare la sussistenza dei presupposti per procedere al pagamento” disponendosi al contempo che, “anche ove il giudice intendesse attivare un’istruttoria sulla sussistenza dei presupposti per l’ammissione al gratuito patrocinio per i non abbienti, si debba comunque procedere alla liquidazione dei compensi spettanti al difensore per le attività espletate in favore della parte” e ciò “vale anche nelle ipotesi di cui all’articolo 96 del testo unico nelle quali il magistrato trasmette gli atti alla Guardia di finanza per le necessarie verifiche”.

Ciò posto, a sua volta l’articolo 5 “intervenendo sull’articolo 86 del testo unico, al fine di evitare che la non ammissione al gratuito patrocinio o la revoca pregiudichino il diritto del difensore a percepire il compenso per l’attività defensionale prestata, con trasformazione del patrocinio a spese dello Stato in patrocinio a spese o a rischio dell’avvocato, prevede che la non ammissione o la revoca del beneficio non pregiudichino il diritto alla liquidazione dei compensi per le attività svolte dal difensore in favore della parte” mentre l’articolo 6 statuisce che “la trasmissione dell’istanza al magistrato anche tramite tele-fax o PEC, ove esistente”.

Dal canto suo invece l’articolo 7, “modificando l’articolo 96 del testo unico, prevede l’ammissione, in via provvisoria, dell’interessato al patrocinio a spese dello Stato, salva la ripetizione delle somme eventualmente non spettanti” fermo restando che, per un verso, viene “eliminata la disposizione che consentiva al magistrato di congelare la liquidazione dei compensi del difensore fino all’esito degli accertamenti disposti tramite la Guardia di finanza”, per altro verso, è disposto che “in caso di inerzia del magistrato competente alla liquidazione la relativa competenza passi al capo dell’ufficio giudiziario”.

Precisato ciò, a loro volta gli “articoli 8 e 9 recano disposizioni di coordinamento per la liquidazione dei compensi degli avvocati, alla luce dell’introduzione, in seno all’articolo 82 del testo unico, della tabella nazionale di liquidazione standardizzata” mentre l’“articolo 10 dispone che il Ministero della giustizia è tenuto a procedere al pagamento dei compensi dei difensori, degli ausiliari e dei consulenti tecnici che hanno prestato la loro opera professionale in regime di patrocinio a spese dello Stato in via prioritaria rispetto agli eventuali creditori, così come individuati nello stato di previsione del competente dicastero e non oltre il termine di sessanta giorni dalla ricezione del decreto di liquidazione del magistrato competente” e per “tali crediti si applica il secondo comma dell’articolo 1219 del codice civile” (“Non è necessaria la costituzione in mora: 1) quando il debito deriva da fatto illecito; 2) quando il debitore ha dichiarato per iscritto di non volere eseguire l’obbligazione; 3) quando è scaduto il termine, se la prestazione deve essere eseguita al domicilio del creditore. Se il termine scade dopo la morte del debitore, gli eredi non sono costituiti in mora che mediante intimazione o richiesta fatta per iscritto, e decorsi otto giorni dall’intimazione o dalla richiesta”).

“Si prevede, infine, il diritto del creditore all’integrale rimborso dei costi sostenuti per il recupero delle somme non corrisposte, qualunque sia la causa dell’inadempimento” mentre l’“articolo 11 reca una disposizione finale di armonizzazione della legislazione vigente relativa all’onorario spettante al difensore in caso di gratuito patrocinio a spese dello Stato che deve intendersi riferita al compenso spettante al medesimo difensore”.

Terminata la disamina di questi progetti di legge, non resta dunque che vedere quali di essi verrà approvato in sede parlamentare.

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Note

[1]Ai sensi del quale: “Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale. L’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona. L’offesa non può altresì essere ritenuta di particolare tenuità quando si procede per delitti, puniti con una pena superiore nel massimo a due anni e sei mesi di reclusione, commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive, ovvero nei casi di cui agli articoli 336, 337 e 341-bis, quando il reato è commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni. Il comportamento è abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate. Ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest’ultimo caso ai fini dell’applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all’articolo 69. La disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante”.

[2]Secondo cui: “L’esecuzione di una pena, che non sia pecuniaria, è differita: 1) se deve aver luogo nei confronti di donna incinta; 2) se deve aver luogo nei confronti di madre di infante di età inferiore ad anni uno; 3) se deve aver luogo nei confronti di persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria accertate ai sensi dell’articolo 286-bis, comma 2, del codice di procedura penale, ovvero da altra malattia particolarmente grave per effetto della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione, quando la persona si trova in una fase della malattia così avanzata da non rispondere più, secondo le certificazioni del servizio sanitario penitenziario o esterno, ai trattamenti disponibili e alle terapie curative. Nei casi previsti dai numeri 1) e 2) del primo comma il differimento non opera o, se concesso, è revocato se la gravidanza si interrompe, se la madre è dichiarata decaduta dalla responsabilità genitoriale sul figlio ai sensi dell’articolo 330 del codice civile, il figlio muore, viene abbandonato ovvero affidato ad altri, sempreché l’interruzione di gravidanza o il parto siano avvenuti da oltre due mesi”.

[3]Alla stregua del quale: “L’esecuzione di una pena può essere differita: 1) se è presentata domanda di grazia, e l’esecuzione della pena non deve esser differita a norma dell’articolo precedente; 2) se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita contro chi si trova in condizioni di grave infermità fisica; 3) se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita nei confronti di madre di prole di età inferiore a tre anni. Nel caso indicato nel n. 1, l’esecuzione della pena non può essere differita per un periodo superiore complessivamente a sei mesi, a decorrere dal giorno in cui la sentenza è divenuta irrevocabile, anche se la domanda di grazia è successivamente rinnovata. Nel caso indicato nel numero 3) del primo comma il provvedimento è revocato, qualora la madre sia dichiarata decaduta dalla responsabilità genitoriale sul figlio ai sensi dell’articolo 330 del codice civile, il figlio muoia, venga abbandonato ovvero affidato ad altri che alla madre. Il provvedimento di cui al primo comma non può essere adottato o, se adottato, è revocato se sussiste il concreto pericolo della commissione di delitti”.

[4]Secondo cui: “1. L’imputato e il pubblico ministero possono chiedere al giudice l’applicazione, nella specie e nella misura indicata, di una sanzione sostitutiva o di una pena pecuniaria, diminuita fino a un terzo, ovvero di una pena detentiva quando questa, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo, non supera cinque anni soli o congiunti a pena pecuniaria. 1‐bis. Sono esclusi dall’applicazione del comma 1 i procedimenti per i delitti di cui all’articolo 51, commi 3‐bis e 3‐quater, i procedimenti per i delitti di cui agli articoli 600‐bis, (2) 600‐ter, primo, secondo, terzo e quinto comma, 600‐quater, secondo comma, 600‐quater.1, relativamente alla condotta di produzione o commercio di materiale pornografico, 600‐quinquies, nonché 609‐bis, 609‐ter, 609‐quater e 609‐octies del codice penale, nonché quelli contro coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali e per tendenza, o recidivi ai sensi dell’articolo 99, quarto comma, del codice penale, qualora la pena superi due anni soli o congiunti a pena pecuniaria.  1-ter. Nei procedimenti per i delitti previsti dagli articoli 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater e 322-bis del codice penale, l’ammissibilità della richiesta di cui al comma 1 è subordinata alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato. 2. Se vi è il consenso anche della parte che non ha formulato la richiesta e non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento a norma dell’articolo 129, il giudice, sulla base degli atti, se ritiene corrette la qualificazione giuridica del fatto, l’applicazione e la comparazione delle circostanze prospettate dalle parti, nonché congrua la pena indicata, ne dispone con sentenza l’applicazione enunciando nel dispositivo che vi è stata la richiesta delle parti. Se vi è costituzione di parte civile, il giudice non decide sulla relativa domanda; l’imputato è tuttavia condannato al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile, salvo che ricorrano giusti motivi per la compensazione totale o parziale. Non si applica la disposizione dell’articolo 75, comma 3. Si applica l’articolo 537-bis. 3. La parte, nel formulare la richiesta, può subordinarne l’efficacia, alla concessione della sospensione condizionale della pena. In questo caso il giudice, se ritiene che la sospensione condizionale non può essere concessa, rigetta la richiesta. 3-bis. Nei procedimenti per i delitti previsti dagli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis e 346-bis del codice penale, la parte, nel formulare la richiesta, può subordinarne l’efficacia all’esenzione dalle pene accessorie previste dall’articolo 317-bis del codice penale ovvero all’estensione degli effetti della sospensione condizionale anche a tali pene accessorie. In questi casi il giudice, se ritiene di applicare le pene accessorie o ritiene che l’estensione della sospensione condizionale non possa essere concessa, rigetta la richiesta”.

[5]Per il quale: “1. Quando deve essere eseguita una sentenza di condanna a pena detentiva, il pubblico ministero emette ordine di esecuzione con il quale, se il condannato non è detenuto, ne dispone la carcerazione. Copia dell’ordine è consegnata all’interessato. 2. Se il condannato è già detenuto, l’ordine di esecuzione è comunicato al Ministro di grazia e giustizia e notificato all’interessato. 3. L’ordine di esecuzione contiene le generalità della persona nei cui confronti deve essere eseguito e quant’altro valga a identificarla, l’imputazione, il dispositivo del provvedimento e le disposizioni necessarie all’esecuzione. L’ordine è notificato al difensore del condannato. 3-bis. L’ordine di esecuzione della sentenza di condanna a pena detentiva nei confronti di madre di prole di minore età è comunicato al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo di esecuzione della sentenza. 4. L’ordine che dispone la carcerazione è eseguito secondo le modalità previste dall’articolo 277. 4-bis. Al di fuori dei casi previsti dal comma 9, lett. b), quando la residua pena da espiare, computando le detrazioni previste dall’articolo 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354, non supera i limiti indicati dal comma 5, il pubblico ministero, prima di emettere l’ordine di esecuzione, previa verifica dell’esistenza di periodi di custodia cautelare o di pena dichiarata fungibile relativi al titolo esecutivo da eseguire, trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza affinché provveda all’eventuale applicazione della liberazione anticipata. Il magistrato di sorveglianza provvede senza ritardo con ordinanza adottata ai sensi dell’articolo 69-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354. La presente disposizione non si applica nei confronti dei condannati per i delitti di cui all’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354. 4-ter. Quando il condannato si trova in stato di custodia cautelare in carcere il pubblico ministero emette l’ordine di esecuzione e, se ricorrono i presupposti di cui al comma 4-bis, trasmette senza ritardo gli atti al magistrato di sorveglianza per la decisione sulla liberazione anticipata. 4-quater. Nei casi previsti dal comma 4-bis, il pubblico ministero emette i provvedimenti previsti dai commi 1, 5 e 10 dopo la decisione del magistrato di sorveglianza. 5. Se la pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non è superiore a tre anni, quattro anni nei casi previsti dall’articolo 47-ter, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, o sei anni nei casi di cui agli articoli 90 e 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, il pubblico ministero, salvo quanto previsto dai commi 7 e 9, ne sospende l’esecuzione. L’ordine di esecuzione e il decreto di sospensione sono notificati al condannato e al difensore nominato per la fase dell’esecuzione o, in difetto, al difensore che lo ha assistito nella fase del giudizio, con l’avviso che entro trenta giorni può essere presentata istanza, corredata dalle indicazioni e dalla documentazione necessarie, volta ad ottenere la concessione di una delle misure alternative alla detenzione di cui agli articoli 47, 47-ter e 50, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, e di cui all’articolo 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, ovvero la sospensione dell’esecuzione della pena di cui all’articolo 90 dello stesso testo unico. L’avviso informa altresì che, ove non sia presentata l’istanza o la stessa sia inammissibile ai sensi degli articoli 90 e seguenti del citato testo unico, l’esecuzione della pena avrà corso immediato. 6. L’istanza deve essere presentata dal condannato o dal difensore di cui al comma 5 ovvero allo scopo nominato al pubblico ministero, il quale la trasmette, unitamente alla documentazione, al tribunale di sorveglianza competente in relazione al luogo in cui ha sede l’ufficio del pubblico ministero. Se l’istanza non è corredata dalla documentazione utile, questa, salvi i casi di inammissibilità, può essere depositata nella cancelleria del tribunale di sorveglianza fino a cinque giorni prima dell’udienza fissata a norma dell’articolo 666, comma 3. Resta salva, in ogni caso, la facoltà del tribunale di sorveglianza di procedere anche d’ufficio alla richiesta di documenti o di informazioni, o all’assunzione di prove a norma dell’articolo 666, comma 5. Il tribunale di sorveglianza decide non prima del trentesimo e non oltre il quarantacinquesimo giorno dalla ricezione della richiesta. 7. La sospensione dell’esecuzione per la stessa condanna non può essere disposta più di una volta, anche se il condannato ripropone nuova istanza sia in ordine a diversa misura alternativa, sia in ordine alla medesima, diversamente motivata, sia in ordine alla sospensione dell’esecuzione della pena di cui all’articolo 90 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni. 8. Salva la disposizione del comma 8-bis, qualora l’istanza non sia tempestivamente presentata, o il tribunale di sorveglianza la dichiari inammissibile o la respinga, il pubblico ministero revoca immediatamente il decreto di sospensione dell’esecuzione. Il pubblico ministero provvede analogamente quando l’istanza presentata è inammissibile ai sensi degli articoli 90 e seguenti del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, nonché, nelle more della decisione del tribunale di sorveglianza, quando il programma di recupero di cui all’articolo 94 del medesimo testo unico non risulta iniziato entro cinque giorni dalla data di presentazione della relativa istanza o risulta interrotto. A tal fine il pubblico ministero, nel trasmettere l’istanza al tribunale di sorveglianza, dispone gli opportuni accertamenti. 8-bis. Quando è provato o appare probabile che il condannato non abbia avuto effettiva conoscenza dell’avviso di cui al comma 5, il pubblico ministero può assumere, anche presso il difensore, le opportune informazioni, all’esito delle quali può disporre la rinnovazione della notifica. 9. La sospensione dell’esecuzione di cui al comma 5 non può essere disposta: a)  nei confronti dei condannati per i delitti di cui all’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, nonché di cui agli articoli 423-bis, 572, secondo comma, 612-bis, terzo comma, 624-bis del codice penale, fatta eccezione per coloro che si trovano agli arresti domiciliari disposti ai sensi dell’articolo 89 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni; b) nei confronti di coloro che, per il fatto oggetto della condanna da eseguire, si trovano in stato di custodia cautelare in carcere nel momento in cui la sentenza diviene definitiva. 10. Nella situazione considerata dal comma 5, se il condannato si trova agli arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna da eseguire, e se la residua pena da espiare determinata ai sensi del comma 4-bis non supera i limiti indicati dal comma 5, il pubblico ministero sospende l’esecuzione dell’ordine di carcerazione e trasmette gli atti senza ritardo al tribunale di sorveglianza perché provveda alla eventuale applicazione di una delle misure alternative di cui al comma 5. Fino alla decisione del tribunale di sorveglianza, il condannato permane nello stato detentivo nel quale si trova e il tempo corrispondente è considerato come pena espiata a tutti gli effetti. Agli adempimenti previsti dall’articolo 47-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, provvede in ogni caso il magistrato di sorveglianza”.

[6]Alla stregua del quale: “1. La domanda di riparazione deve essere proposta, a pena di inammissibilità, entro due anni dal giorno in cui la sentenza di proscioglimento o di condanna è divenuta irrevocabile, la sentenza di non luogo a procedere è divenuta inoppugnabile o è stata effettuata la notificazione del provvedimento di archiviazione alla persona nei cui confronti è stato pronunciato a norma del comma 3 dell’articolo 314. 2. L’entità della riparazione non può comunque eccedere 516.456,90 euro. 3. Si applicano, in quanto compatibili, le norme sulla riparazione dell’errore giudiziario”.

[7]Per cui: “1. Alla documentazione degli atti si procede mediante verbale. 2. Il verbale è redatto, in forma integrale o riassuntiva, con la stenotipia o altro strumento meccanico ovvero, in caso di impossibilità di ricorso a tali mezzi, con la scrittura manuale. 3. Quando il verbale è redatto in forma riassuntiva è effettuata anche la riproduzione fonografica. 4. Quando le modalità di documentazione indicate nei commi 2 e 3 sono ritenute insufficienti, può essere aggiunta la riproduzione audiovisiva se assolutamente indispensabile. La riproduzione audiovisiva delle dichiarazioni della persona offesa in condizione di particolare vulnerabilità è in ogni caso consentita, anche al di fuori delle ipotesi di assoluta indispensabilità”.

[8]In virtù del quale: “1. La riproduzione fonografica o audiovisiva è effettuata da personale tecnico, anche estraneo all’amministrazione dello Stato, sotto la direzione dell’ausiliario che assiste il giudice. 2. Quando si effettua la riproduzione fonografica, nel verbale è indicato il momento di inizio e di cessazione delle operazioni di riproduzione. 3. Per la parte in cui la riproduzione fonografica, per qualsiasi motivo, non ha avuto effetto o non è chiaramente intelligibile, fa prova il verbale redatto in forma riassuntiva. 4. La trascrizione della riproduzione è effettuata da personale tecnico giudiziario. Il giudice può disporre che essa sia affidata a persona idonea estranea all’amministrazione dello Stato. 5. Quando le parti vi consentono, il giudice può disporre che non sia effettuata la trascrizione. 6. Le registrazioni fonografiche o audiovisive e le trascrizioni, se effettuate, sono unite agli atti del procedimento”.

[9]Secondo cui: “Ogni interrogatorio  di persona che si trovi, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione, e che non si svolga in udienza, deve essere documentato integralmente, a pena di inutilizzabilità, con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva. Quando si verifica una indisponibilità di strumenti di riproduzione o di personale tecnico, si provvede con le forme della perizia, ovvero della consulenza tecnica. Dell’interrogatorio è anche redatto verbale in forma riassuntiva. La trascrizione della riproduzione è disposta solo se richiesta dalle parti”.

[10]Per il quale: “1. L’imputato detenuto o internato in un istituto per l’esecuzione di misure di sicurezza ha facoltà di presentare impugnazioni, dichiarazioni e richieste con atto ricevuto dal direttore. Esse sono iscritte in apposito registro, sono immediatamente comunicate all’autorità competente e hanno efficacia come se fossero ricevute direttamente dall’autorità giudiziaria. 2. Quando l’imputato è in stato di arresto o di detenzione domiciliare ovvero è custodito in un luogo di cura, ha facoltà di presentare impugnazioni, dichiarazioni e richieste con atto ricevuto da un ufficiale di polizia giudiziaria, il quale ne cura l’immediata trasmissione all’autorità competente. Le impugnazioni, le dichiarazioni e le richieste hanno efficacia come se fossero ricevute direttamente dall’autorità giudiziaria. 3. Le disposizioni del comma 1 si applicano alle denunce, impugnazioni, dichiarazioni e richieste presentate dalle altre parti private o dalla persona offesa”.

[11]Per cui: “1. Il giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati. 2. L’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti.  3. Le dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso a norma dell’articolo 12 sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità. 4. La disposizione del comma 3 si applica anche alle dichiarazioni rese da persona imputata di un reato collegato a quello per cui si procede, nel caso previsto dall’articolo 371, comma 2, lettera b)”, c.p.p..

[12]Alla stregua del quale: “01. La pena della reclusione per qualunque reato, ad eccezione di quelli previsti dal libro II, titolo XII, capo III, sezione I, e dagli articoli 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice penale, dall’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e dall’articolo 4-bis della presente legge, puo’ essere espiata nella propria abitazione o in altro luogo pubblico di cura, assistenza ed accoglienza, quando trattasi di persona che, al momento dell’inizio dell’esecuzione della pena, o dopo l’inizio della stessa, abbia compiuto i settanta anni di eta’ purche’ non sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ne’ sia stato mai condannato con l’aggravante di cui all’articolo 99 del codice penale. 1. La pena della reclusione non superiore a quattro anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, nonche’ la pena dell’arresto, possono essere espiate nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza ovvero, nell’ipotesi di cui alla lettera a), in case famiglia protette, quando trattasi di: a) donna incinta o madre di prole di eta’ inferiore ad anni dieci con lei convivente; b) padre, esercente la potesta’, di prole di eta’ inferiore ad anni dieci con lui convivente, quando la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole; c) persona in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedano costanti contatti con i presidi sanitari territoriali; d) persona di eta’ superiore a sessanta anni, se inabile anche parzialmente; e) persona minore di anni ventuno per comprovate esigenze di salute, di studio, di lavoro e di famiglia. 1-bis. La detenzione domiciliare puo’ essere applicata per l’espiazione della pena detentiva inflitta in misura non superiore a due anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, indipendentemente dalle condizioni di cui al comma 1 quando non ricorrono i presupposti per l’affidamento in prova al servizio sociale e sempre che tale misura sia idonea ad evitare il pericolo che il condannato commetta altri reati. La presente disposizione non si applica ai condannati per i reati di cui all’articolo 4-bis. 1-ter. Quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo della esecuzione della pena ai sensi degli articoli 146 e 147 del codice penale, il tribunale di sorveglianza, anche se la pena supera il limite di cui al comma 1, puo’ disporre la applicazione della detenzione domiciliare, stabilendo un termine di durata di tale applicazione, termine che puo’ essere prorogato. L’esecuzione della pena prosegue durante la esecuzione della detenzione domiciliare. 1-quater. L’istanza di applicazione della detenzione domiciliare e’ rivolta, dopo che ha avuto inizio l’esecuzione della pena, al tribunale di sorveglianza competente in relazione al luogo di esecuzione. Nei casi in cui vi sia un grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione, l’istanza di detenzione domiciliare di cui ai precedenti commi 01, 1, 1-bis e 1-ter e’ rivolta al magistrato di sorveglianza che puo’ disporre l’applicazione provvisoria della misura. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 47, comma 4. 1-quinquies. Nei confronti dei detenuti per uno dei delitti previsti dall’articolo 51, comma 3-bis e 3-quater del codice di procedura penale o sottoposti al regime previsto dall’articolo 41-bis, il tribunale o il magistrato di sorveglianza, prima di provvedere in ordine al rinvio dell’esecuzione della pena ai sensi degli articoli 146 o 147 del codice penale con applicazione della detenzione domiciliare, ai sensi del comma 1-ter, o alla sua proroga, chiede il parere del procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto ove e’ stata pronunciata la sentenza di condanna e, nel caso di detenuti sottoposti al regime previsto dall’articolo 41-bis, anche quello del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo in ordine all’attualita’ dei collegamenti con la criminalita’ organizzata ed alla pericolosita’ del soggetto. I pareri sono resi al magistrato di sorveglianza e al tribunale di sorveglianza nel termine, rispettivamente, di due giorni e di quindici giorni dalla richiesta. Salvo che ricorrano esigenze di motivata eccezionale urgenza, il tribunale o il magistrato di sorveglianza non possono provvedere prima del decorso dei predetti termini.  4. Il tribunale di sorveglianza, nel disporre la detenzione domiciliare, ne fissa le modalita’ secondo quanto stabilito dall’articolo 284 del codice di procedura penale. Si applica il quinto comma del medesimo articolo. Determina e impartisce altresi’ le disposizioni per gli interventi del servizio sociale. Tali prescrizioni e disposizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza competente per il luogo in cui si svolge la detenzione domiciliare. 5. Il condannato nei confronti del quale e’ disposta la detenzione domiciliare non e’ sottoposto al regime penitenziario previsto dalla presente legge e dal relativo regolamento di esecuzione. Nessun onere grava sull’amministrazione penitenziaria per il mantenimento, la cura e l’assistenza medica del condannato che trovasi in detenzione domiciliare. 6. La detenzione domiciliare e’ revocata se il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appare incompatibile con la prosecuzione delle misure. 7. Deve essere inoltre revocata quando vengono a cessare le condizioni previste nei commi 1, 1-bis e 1-ter. 8. Il condannato che, essendo in stato di detenzione nella propria abitazione o in un altro dei luoghi indicati nel comma 1, se ne allontana, e’ punito ai sensi dell’articolo 385 del codice penale. Si applica la disposizione dell’ultimo comma dello stesso articolo. 9. La condanna per il delitto di cui al comma 8, salvo che il fatto non sia di lieve entita’, importa la revoca del beneficio. 9-bis. Se la misura di cui al comma 1-bis e’ revocata ai sensi dei commi precedenti la pena residua non puo’ essere sostituita con altra misura”.

[13]Per cui: “1. È assicurato il patrocinio nel processo penale per la difesa del cittadino non abbiente, indagato, imputato, condannato, persona offesa da reato, danneggiato che intenda costituirsi parte civile, responsabile civile ovvero civilmente obbligato per la pena pecuniaria. 2. È, altresì, assicurato il patrocinio nel processo civile, amministrativo, contabile, tributario e negli affari di volontaria giurisdizione, per la difesa del cittadino non abbiente quando le sue ragioni risultino non manifestamente infondate”.

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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