1. Le cause che spiegano l’origine delle A.A.I. – 2. La conciliazione della scioltezza amministrativa – 3. La natura giuridica – 4. Le funzioni – 5.1 La responsabilità politica – 5.2 I corollari dell’autonomia – 6. La potestà regolamentare – 7. Le forme di tutela che garantiscono le A.A.I.
1. Le cause che spiegano l’origine delle A.A.I.
La genesi del fenomeno delle AAI va letta alla luce dello sviluppo dell’organizzazione dell’apparato amministrativo statale e del riparto delle competenze da questo operato. In funzione semplificativa, sono identifiabili 4 fasi principali.
Tradizionalmente, seguendo il modello di separazione dei poteri elaborato da Montesquieu, la competenza amministrativa veniva concepita come un apparato centrale ed uno periferico, di tipo piramidale, con il vertice occupato dai singoli ministeri.
La seconda fase coincide con l’aumento delle funzioni e dei compiti dello Stato (i cosiddetti fini secondari di progresso imposti dalla connotazione sociale dello Stato) durante la quale la suddetta struttura iniziò a subire alcune trasformazioni. Divenne necessaria la creazione di strutture amministrative più adatta allo svolgimento dei nuovi compiti, che non fossero vincolate dalle lungaggini burocratiche caratterizzanti i ministeri: gli Enti Pubblici. Definiti anche come “Parastato”, perché operanti in funzione spesso ausiliaria rispetto allo Stato stesso, e soggetti al controllo governativo. Lo sviluppo di questi modelli pluralistici è stato studiato dal Sandulli che ne ha evidenziato le figure principali: decentramento autarchico – proprio degli Enti strumentali o serventi, deputati a perseguire fini propri dello Stato e dunque a questo legati da uno stretto vincolo di soggezione; policentrismo autarchico – proprio di quegli Enti ausiliari che perseguono fini considerati di intenso interesse dello Stato, ponendosi in funzione complementare rispetto a questo; pluralismo autonomistico – proprio degli Enti esponenziali di comunità territoriali o di gruppi titolari di interessi di settore (questo concetto sarà alla base dello sviluppo delle autonomie locali e del decentramento).
Il processo di riforma amministrativa subisce, in una terza fase, una progressiva privatizzazione, ciò al fine di incrementare il potere e l’autonomia amministrativa di quegli enti collocati in posizione più vicina rispetto ai cittadini e quindi maggiormente in grado di coglierne le esigenze. Si sviluppa cioè un “Principio di Sussidiarietà”, in virtù del quale lo Stato dovrebbe intervenire solamente ove il privato risulti incapace di assicurare certi obiettivi, lasciando libera l’iniziativa privata di svilupparsi in un regime di concorrenzialità.
A tal fine rileva soprattutto la legge n. 70 del 1975 di riordino del parastato, che ha distinto 4 categorie di enti pubblici: Enti necessari (parastato) – enti che furono mantenuti in vita perché esercenti funzioni strumentali all’attività statale; Enti a statuto di specie – enti non soggetti alla suddetta legge, che venivano regolati dalle rispettive norme di disciplina (appunto: statuti di specie); altri Enti pubblici – enti non rientranti nelle prime due categorie e come tali pur non essendo soppressi venivano lasciati alla iniziativa privata, senza più alcuna imposizione e finanziamento statale; Enti inutili – soppressi perché non ritenuti meritevoli di sopravvivenza anche senza contribuzioni pubbliche.
Altra legge fondamentale in tal senso è la legge n. 59 del 1997, operante rilevanti modifiche in riferimento alla privatizzazione.
L’ultima fase è quella in cui si afferma un nuovo modello di entità amministrativa, caratterizzato da un alto tasso di imparzialità dal potere politico e dall’apparato ministeriale, in grado dunque di operare in settori pubblici particolarmente delicati, definiti sensibili (es: stampa, privacy, mercato), espletando funzioni di regolamentazione e tutela degli interessi rilevanti.
2. La conciliazione della scioltezza amministrativa
Se dunque, come chiarisce lo Scoca, gli enti pubblici assolvevano la funzione di “conciliare la scioltezza dell’azione amministrativa con l’assoggettamento all’indirizzo politico-amministrativo”, con le AAI questa scioltezza d’azione è ulteriormente sviluppata, dacchè sono sottratte all’indirizzo politico amministrativo. Esse nascono sulla base di 3 motivi specifici: cura degli eterogeni interessi costituzionalmente rilevanti (a dimostrazione della cui eterogeneità vi sarebbe l’assenza di una normazione generale sulle AAI, non potendo queste avere una normativa generale di riferimento, vista le notevoli diversità che presentano le une rispetto alle altre); impreparazione tecnico organizzativa degli apparati amministrativi tradizionali di fronte all’emersione di questi nuovi valori costituzionali; correlazione al succitato procedimento di privatizzazione. La legge infatti ha spesso provveduto a creare una AAI proprio in quei settori dove la privatizzazione era più sviluppata, per vigilare contro il possibile formarsi di monopoli privati che potessero creare pericoli per l’utenza sotto il profilo della onerosità delle tariffe e della qualità del servizio.
3. La natura giuridica
Alla luce di queste considerazioni si discute dunque sulla natura giuridica delle AAI, con particolare riferimento alla loro sussumibilità nel novero dei soggetti pubblici amministrativi. Sussistono due orientamenti principali a tale proposito.
Il primo si concretizza nella teoria della natura non amministrativa – che fa leva sul requisito dell’indipendenza che le connota tradizionalmente, e che porterebbe ad escludenrne la natura amministrativa. Ciò anche perché la PA è caratterizzata per definizione da una necessaria forma di collegamento con il Governo (vedi in proposito anche teoria di Morbidelli sul problema del vincolo politico). Pertanto, non essendo concepibile la creazione di una PA svincolata dal Governo, si deve trattare necessariamente di organismi non amministrativi.
Il secondo orientamento di concretizza nella teoria del profilo funzionale – Tale teoria considera essenziale, ai fini della verifica della natura giuridica, la disamina del profilo funzionale di queste. Si sottolinea cioè la necessità di valutare la natura delle funzioni assegnate a ciascuno organismo e stabilire se siano effettivamente deputate allo svolgimento di attività amministrative di cura dell’interesse pubblico o se, piuttosto, svolgano attività di accertamento e qualificazione dei fatti, in cui si ravvisa un’attività assimilabile a quella giurisdizionale, piuttosto che amministrativa.
Da questa distinzione di funzioni nasce l’esigenza di scindere le Autorità Pure, adibite a funzioni paragiurisdizionali e non amministrative e dunque non soggette ad alcun controllo politico, dalle Autorità Classiche, che invece svolgono attività amministrativa e sono dunque responsabili politicamente del proprio operato.
4. Le funzioni
Benchè non sia possibile identificare una struttura ed una disciplina unica per questo tipo di struttura amministrativa, se ne possono individuare alcune funzioni tipiche: funzioni amministrative classiche – Le AAI, pur in posizione di indipendenza rispetto all’apparato amministrativo centrale, possono senz’altro esercitare funzioni autoritative o di amministrazione attiva tipiche delle PA classiche in sintonia con le linee guida imposte dal governo (ad es. l’imposizione e la determinazione delle tariffe).
Attività di accertamento – Una funzione del tutto peculiare è quella di accertamento e qualificazione dei fatti, atti e comportamenti in termini di liceità o illiceità. In ciò si concreta una funzione tutoria di gestione e regolamentazione di interessi sociali generali che assumono rilievo di rango costituzionale.
Funzioni arbitrali – Le AAI possono svolgere attività di arbitro, integrando le tradizionali funzioni giurisdizionali e giustiziali. Rileva in questo senso il concetto di neutralità che le contraddistingue. Esse cioè sono tenute all’imparzialità come ogni PA (devono cioè perseguire l’interesse pubblico senza arbitrio verso i destinatari degli atti e comparando equitativamente gli interessi coinvolti), e, appunto, alla neutralità, ossia all’indifferenza verso gli interessi delle parti in conflitto, potendo così dirimere controversie insorte tra soggetti terzi, non essendo condizionate da alcun vincolo di preferenza nella regolamentazione degli interessi in gioco.
In questo senso si è messa in evidenza il loro ruolo integrativo dell’attività del giudice, parlandosi di attività paragiudiziale (es: il Garante per la Concorrenza ed il Mercato è chiamato a pronunciarsi su situazioni di abuso di posizione dominante, con conseguenti poteri sanzionatori).
Ultime vengono le funzioni di controllo – Si tratta peraltero di poteri più ampi rispetto a quelli che esercitano gli organismi pubblici tradizionali in funzione analoga, perché le AAI hanno poteri e facoltà di indirizzo atipiche.
5.1 La responsabilità politica
Altro elemento di rilievo è quello riguardante la responsabilità politica delle Autorità Indipendenti. A tale proposito sono state elaborate due principali scuole di pensiero. La prima è la teoria del vincolo politico (Morbidelli) – Secondo questo autore le AAI sarebbero comunque tenute a giustificare al governo la propria azione, non essendo ammissibile una piena libertà dal controllo politico. Il Governo dunque non eserciterebbe un potere gerarchico sulle Autorità ma potrebbe incorrere in una ipotesi di culpa in eligendo nella scelta dei suoi dirigenti, con possibilità di rimuoverli nei casi più gravi.
A fondamento di questa influenza politica vi sarebbe il dato per cui la Costituzione garantisce l’assenza di qualsiasi controllo politico solamente in riferimento ai giudici.
La seconda è la teoria dell’assenza di responsabilità politica (Giannini) – Si rileva in senso contrario che non sussisterebbe un rapporto organizzativo che leghi le Autorità ad altri organi dello Stato, pertanto i loro componenti sarebbero inamovibili e non vi sarebbe alcuna responsabilità politica ex ART. 95 COST.
Il primo orientamento dunque peccherebbe di incapacità di concepire il nuovo modello amminisrtativo di cui queste Autorità costituiscono massima espressione, venendo ad operare non tanto nell’esercizio della classica comparazione di interessi al fine di perseguire un fine di rilevanza pubblica, ma piuttosto in una dimensione paragiurisdizionale e neutrale, esercitando un controllo di legalità, anticipatore di quello giurisdizionale.
Il modello amministrativo non servente, rileva ancora questa dottrina, sarebbe necessario ove il legislatore voglia assicurare appieno determinate libertà pubbliche. Ciò in particolare in quei settori, osserva Gemma, come la radiodiffusione o l’editoria, in cui l’esigenza di tutela delle libertà civili è massima.
5.2 I corollari dell’autonomia
In sostanza dunque questa Autonomia viene garantita attraverso una serie di importanti corollari: autonomia – che è sia 1) organizzatoria, ossia il potere di darsi regole per il funzionamento dei propri organi e le piante di dipendenti ; 2) finanziaria, ossia la possibilità di disporre di entrate proprie (sebbene, a parte l’ISVAP che si finanzia autonomamente tassando le imprese assicurative che operano a livello nazionale, le altre AAI vengono finanziate mediante finanziamenti statali oppure, per i difensori civici, dalle Regioni) ; 3) contabile, ossia il potere di adottare regole proprie nella gestione del bilancio (potestà non riconosciuta ai difensori civici).
Un secondo corollario riguarda le garanzie, che attengono 1) nomina dei titolari, ossia una serie di limitazioni al potere del Governo di nominarne i rispettivi titolari (ad es. limitandola a presone qualificate e di specchiata moralità ed indipendenza) ; 2) requisiti soggettivi ed incompatibilità, ossia una serie di regole di incompatibilità tra cariche (fino all’incompatibilità assoluta del presidente dell’ISVAP) ; 3) durata della carica, organizzata in modo tale che i titolari possano esercitare il mandato in modo stabile e professionale ma al tempo stesso non vanificando il criterio della giusta alternanza.
Rilevano, infine, i rapporti con il governo – 1) La giurisprudenza ha ritenuto ammissibile il potere di annullamento governativo straordinario previsto nell’ ART. 2, COMMA 3, Lett. b, legge n. 400 del 1988; 2) Esiste poi un limitato potere di revoca del mandato degli organi di vertice in caso di ripetute e gravi violazioni di legge e per impossibilità di funzionamento (ad eccezione delle Autorità nominate dai Presidenti delle Camere, nei cui confronti non è esercitabile il relativo potere); 3) Il Governo non disponde di un potere di ordine, perché non è gerarchicamente sovraordinato alle AAI, e, inoltre, non dispone nemmeno di un potere di direzione; 4) Infine il Governo ha diritto ad essere relazionato annualmente sull’attività delle Autorità, con una relazione redatta da queste.
6. La potestà regolamentare
Altro problema di rilievo è la ammissibilità di una potestà regolamentare delle AAI. Alcune di queste (in particolare quelle volte a controllare specifici settori, specifica lo Ielo) si vedono riconosciuta la potestà di determinare autonomamente le modalità di espletamento dell’attività di regolamentazione e controllo dei settori alla cui salvaguardia sonoi preposte, sia con regolamenti che abbiano ad oggetto la propria autoregolamentazione, sia con regolamenti che disciplinino all’esterno i singoli atti di operatività.
In particolare riferimento a questi ultimi sorge però il problema del controllo sui relativi procedimenti di adozione. Ciò perché tali autorità non sono politicamente responsabili di fronte alla collettività. Il CdS ha dunque specificato che per questa ragione le Autorithies non possono emanare regolamenti delegati, ma la dottrina ritiene sia possibile estendere tale considerazione anche ai regolamenti indipendenti, per le stesse ragioni.
In merito è interessante la proposta di Cassese che ritiene rimediabile questa carenza di rappresentatività attraverso la promozione di strumenti partecipativi a favore dei privati nella formazione delle norme. In tal modo la loro attività risponderebbe ai bisogni e agli interessi della collettività.
Altro aspetto del problema attiene la vincolatività del potere di regolazione riconosciuto alla AAI. Ossia il potere di adottare atti di indirizzo verso gli operatori del settore. L’opinione prevalente le ritiene raccomandazioni prive di efficacia precettiva giuridicamente sanzionata.
7. Le forme di tutela che garantiscono le A.A.I.
Resta da chiarire la questione della tutela delle Autorità Indipendenti. Bisogna distinguere tra due forme di tutela. La prima è la tutela giustiziale. Si debbono senz’altro escludere, a tale proposito, l’esperibilità sia del ricorso gerarchico che di quello per opposizione. Il primo infatti non può esperirsi perché le AAI rispondono al principio del superiores non recognoscentes ed il secondo perché non è previsto nell’elencazione tassativa fatta dalla legge.
Il problema invece sorge per il Ricorso Straordinario al Capo dello Stato. Secondo la dottrina prevalente si dovrebbe pervenire ad una soluzione negativa, posto che in questa forma di ricorso il Governo esercita comunque un potere rilevante, potendo il Consiglio dei Ministri disattendere le indicazioni fornite dal Consiglio di Stato in sede consultiva ed addivenire dunque ad esercitare un controllo politico penetrante sull’attività delle Autorità.
Il CDS si è tuttavia pronunciato in senso opposto, ritenendo questo ricorso ammissibile avverso il Garante per la concorrenza, sulla base di due considerazioni. Anzitutto l’attività espletata sarebbe stata di natura amministrativa e dunque non sottraibile ai controlli per esse previsti. In secondo luogo perché il ricorso in questione si ispirerebbe ad un controllo indipendente ed obiettivo, vicino a quello giurisdizionale, e come tale compatibile con il margine di indipendenza attribuito agli organismi di cui si tratta.
La seconda forma di tutela è quella Giurisdizionale – Sebbene alcuni autori, come Cassese, ritengono cbe la neutrlità di queste autorità le porrebbe in posizione alternativa alle forme di giustizia classica, e pertanto non sindacabili ad opera di quegli organi giurisdizionali che intendono sostituire, la dottrina prevalente è di avviso contrario.
Infatti, si specifica, 1) non solo sottrarre al controllo giurisdizionale gli atti delle AAI contrasterebbe con le norme costituzionali che rimettono al giudice l’ultima parola su tutti gli atti che possono incidere negativamente sulle sfere giuridiche soggettive, 2) ma si finirebbe per creare un giudice speciale insindacabile e quindi incostituzionale.
Quanto al riparto di giurisdizione il legislatore è propenso a scegliere il metodo della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (o, più di rado, di quello ordinario), ciò in virtù dell’oggettiva difficoltà di individuare la consistenza della posizione soggettiva a fronte degli atti adottati. A conferma di ciò vi sarebbe il D.Lgvo n. 80 del 1998 (così come modificato dalla Legge n. 205 del 2000) che, sancendo la giurisdizione esclusiva del GA in tema di servizi pubblici, annovera settori di sicuro interesse per le AAI come l’energia elettrica e le telecomunicazioni.
In particolare L’art. 4 della Legge n. 205 del 2000 ha introdotto un nuovo articolo (23bis) nella normativa regolatrice dei TAR, al fine di dar vita ad un processo amministrativo accellerato in alcuni settori, tra cui quelli in cui operano gli atti delle AAI.
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