Le circostanze aggravanti ed attenuanti

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Vista l’ insorgenza di un “ grave contrasto giurisprudenziale “ ex Art. 618 Cpp, la II Sezione della Corte Suprema, con Ordinanza del 27/06/2014, ha rimesso gli Atti alle Sezioni Unite, le quali, in Cass., SS.UU., 27 novembre 2014, n. 38518, sono state chiamate a chiarire “ se, ai fini della determinazione della pena agli effetti dell’ applicazione delle misure cautelari e, in particolare, dell’ individuazione dei relativi termini di durata massima, nel caso di concorso di più circostanze aggravanti ad effetto speciale, si debba tenere conto, oltre che della pena stabilita per la circostanza più grave, anche dell’ ulteriore aumento complessivo di un terzo ai sensi dell’ Art. 63 comma 4 CP “. Detto comma 4 Art. 63 CP stabilisce che “ se concorrono più circostanze aggravanti tra quelle indicate nel secondo capoverso di questo articolo, si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave; ma il giudice può aumentarla “.

D’ altronde, più latamente, gli Artt. dal 59 al 70 CP tangono il basilare tema della libertà personale ex Art. 13 Cost. e, pertanto, “ la questione è di indubbia delicatezza, perché si tratta di una tematica estremamente sensibile [ che spesso riguarda ] procedimenti penali per gravi fatti di criminalità, organizzata o non, scanditi da più circostanze concorrenti aggravanti ad effetto speciale, influenti sul computo della pena a fini cautelari “ ( pgg. 10 e 11, Motivazioni, Cass., SS.UU., 27 novembre 2014, n. 38518 ). Anzi, sempre nel testo delle Motivazioni, Cass., SS.UU., 27 novembre 2014, n. 38518 sottolinea, a titolo paradigmatico, il ginepraio ermeneutico scaturito dalle non certo pacifiche interpretazioni giurisprudenziali afferenti all’ Art. 278 Cpp, il quale, sin dagli Anni Novanta del Novecento, ha subito svariate novellazioni non semplici e sovente persino antinomiche tra di loro, a seconda delle mutevoli direttive di base scelte, di volta in volta, dal Legislatore.

Solitamente, l’ Art. 303 Cpp è interpretato alla luce della ratio contenuta in Cass., SS.UU., 8 aprile 1998, n. 16, ovverosia “ per definire [ ex Art. 303 Cpp ] la durata massima dei termini di custodia cautelare per la fase delle indagini preliminari e, in particolare, per quella del giudizio di primo grado, deve aversi riguardo alla pena edittale risultante dal cumulo delle sanzioni derivanti anche dalla compresenza di più circostanze aggravanti ad effetto speciale e non alla pena che, in concreto, potrà essere irrogata all’ esito del giudizio di primo grado, con la sentenza che chiude tale fase processuale “. Inoltre, sotto il profilo codicistico, non va mai dimenticato che, anche nel calcolo dei termini della custodia cautelare, prevale la tradizionale regola penalistica del favor rei, come confermato dal comma 2 Art. 280 Cpp, nonché dal comma 4 Art. 63 CP e dal comma 1 Art. 64 CP. In effetti, come rimarcato da Cass., SS.UU., 27 novembre 2014, n. 38518, il garantismo e la presunzione di innocenza prima della formazione del giudicato valgono anche nelle fattispecie in cui coesistono più circostanze aggravanti ad effetto speciale. P.e., si pensi, a tal proposito, all’ Art. 80 TU 309/90. Nella Giurisprudenza di legittimità degli Anni Duemila, Cassazione n. 29556/2014, n. 7199/2013, n. 41180/2013 e n. 31338/2005 hanno precisato unanimemente che l’ applicazione dell’ Art. 303 Cpp è problematica soltanto in fase di indagini preliminari, nonché prima di un’ eventuale Sentenza di condanna di primo grado. Ciò vale in tanto in quanto, nell’ Art. 303 Cpp, il computo della durata della custodia cautelare è effettuato sulla base del “ delitto per cui si procede “ sino alla conclusione del primo grado di giudizio, mentre, nelle fasi del Processo d’ Appello e di quello di Cassazione, il calcolo della durata della misura cautelare si fonda sul concetto di “ reato ritenuto “ nella Sentenza ( di condanna ) già emessa in primo grado. Ognimmodo, per la verità, la Giurisprudenza della Corte Suprema, in tema di applicazione dell’ Art. 303 Cpp nel caso di concorso di più circostanze aggravanti, è tutt’ oggi fondata sulla ratio granitica del favor rei menzionato in Cass., SS.UU., 8 aprile 1998, n. 16, anche se Cass., SS.UU., 24 febbraio 2011, n. 20798 ha proposto griglie ermeneutiche alternative non del tutto infondate nell’ ottica del rispetto basilare ed incontestabile dell’ Art. 13 Cost.

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La determinazione dei limiti di custodia

Determinare i limiti massimi della custodia cautelare diviene particolarmente complesso qualora, in un determinato Procedimento Penale, entrino in gioco circostanze aggravanti plurime ad effetto speciale. Del resto, la carcerazione preventiva costituisce pure l’ oggetto dell’ estremamente delicato comma 5 Art. 13 Cost., ai sensi del quale “ la legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva “. Dunque, si tratta di una problematica che deve prescindere dai malumori di questa o quella tendenza politica, soprattutto all’ interno di fattispecie conformi al delitto p. e p. ex Art. 416 bis CP. P.e., si ponga mente alla Sentenza n. 64/1970 della Corte Costituzionale, che esortava il Legislatore, de jure condendo, a “ differenziare [ i termini della custodia cautelare ] in relazione ai vari tipi di reato, ma anche alle varie fasi del procedimento [ … ]. Bisogna predeterminare un ragionevole limite di durata della detenzione preventiva [ e necessita ] una nuova individuazione dei criteri di computo della pena a fini cautelari “. Tuttavia, consta che l’ Art. 303 Cpp e la Normativa correlata sono stati eccessivamente condizionati da fasi criminologiche emergenziali, come nel caso del terrorismo politico extra-parlamentare e della criminalità organizzata calabro-sicula. Nel contesto del rispetto della proporzionalità e della ragionevolezza, si colloca, anzitutto, nel nuovo Rito del 1989, l’ Art. 278 Cpp, ai sensi del quale “ agli effetti dell’ applicazione delle misure [ coercitive ed interdittive ], si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato. Non si tiene conto della continuazione, della recidiva e delle circostanze del reato, fatta eccezione per la circostanza aggravante prevista al numero 5) dell’ Articolo 61 CP e della circostanza attenuante prevista dall’ Articolo 62 n. 4) CP, nonché delle circostanze per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale “. Dunque, le uniche circostanze che possono influire sulla determinazione della durata della custodia cautelare sono:

  1. l’ aggravante p. e p. dal n. 5) Art. 61 CP, ovvero “ l’ avere approfittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’ età, tali da ostacolare la pubblica o la privata difesa “
  2. l’ attenuante contemplata dal n. 4) Art. 62 CP, ossia “ l’ avere, nei delitti contro il patrimonio, cagionato, alla persona offesa dal reato, un danno patrimoniale di speciale tenuità, ovvero, nei delitti determinati da motivi di lucro, l’ avere agito per conseguire o l’ avere comunque conseguito un lucro di speciale tenuità, quando anche l’ evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità “
  3. le circostanze, aggravanti o attenuanti, ad effetto speciale, nel senso del comma 3 Art. 63 CP, a norma del quale “ quando, per una circostanza, la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato, o si tratta di una circostanza ad effetto speciale, l’ aumento o la diminuzione per le altre circostanze non opera sulla pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza anzi detta. Sono circostanze ad effetto speciale quelle che comportano un aumento o una diminuzione della pena superiore ad un terzo “.

Il testé menzionato Art. 278 Cpp ha subìto ben tre novellazioni, nel 1991, poi nel 1995 e, infine, nel 2001 ed esso è stato giurisprudenzialmente definito come un capolavoro tecnico di garantismo e di equilibrio giuridico, giacché “ l’ Art. 278 Cpp, mentre definisce la gravità del fatto-reato quale elemento essenziale dell’ applicazione delle misure coercitive, offre anche un simultaneo limite oggettivo di garanzia per l’ indagato o imputato, nel quadro di una razionalizzazione di tutte le situazioni processuali di rilievo penale atte a produrre una privazione o limitazione della libertà personale “ ( Cass., SS.UU., 24 aprile 2002, n. 26350 ). Il profondo rispetto, da parte del nuovo Art. 278 Cpp, nei confronti dell’ Art. 13 Cost. è rimarcato anche da Cass., sez. pen. I, 21 maggio 1996, n. 3470. Del resto, in forma espressa, i criteri-base dell’ Art. 278 Cpp sono applicati pure nelle fattispecie dell’ arresto obbligatorio in flagranza ( Art. 380 Cpp ), dell’ arresto facoltativo in flagranza ( Art. 381 Cpp ) e del fermo di indiziato di delitto ( Art. 384 Cpp ). Quindi, come osservato da Cass., SS.UU., 1 ottobre 1991, n. 19, “ l’ Art. 278 Cpp, per le fasi cautelari precedenti all’ eventuale sentenza di condanna di primo grado, è una norma di carattere generale a cui occorre fare esclusivo riferimento per l’ applicazione delle misure cautelari “. Viceversa, a parere di chi scrive, si tornerebbe al pericolo di contraddire gravemente il comma 5 Art. 13 Cost. e, più latamente, l’ intera ratio del giusto processo ex Art. 111 Cost. . Quindi, pertinentemente, Cass., SS.UU., 27 novembre 2014, n. 38518 asserisce che “ l’ Art. 278 Cpp individua quale regola fondante per l’ adozione di una misura cautelare, il coefficiente di gravità attestato dal fatto-reato principale e non dai suoi eventuali connotati accessori circostanziali, fatta coerente eccezione per le circostanze, aggravanti o attenuanti, che modifichino in modo significativo l’ indice del disvalore complessivo della condotta  criminosa “

A sua volta, l’ Art. 278 Cpp rinviene la propria completa fattualizzazione negli Artt. 303 Cpp e, sotto il profilo penalistico-sostanziale, 63 CP. Garantisticamente e proporzionalmente, l’ Art. 303 Cpp fissa i limiti massimi della carcerazione preventiva a seconda della tradizionale quadripartizione delle fasi processuali, ovvero: indagini preliminari, sentenza ( di condanna ) di primo grado, fase dell’ Appello e fase del Procedimento in Cassazione. Inoltre, un secondo criterio, contenuto sempre nell’ Art. 303 Cpp, consiste nel legame tra la durata della custodia cautelare e la più o meno pesante gravità della forbice edittale connessa al reato delittuoso per cui si procede. In ogni caso, nel pieno rispetto dell’ Art. 13 Cost., l’ Art. 306 Cpp, rubricato “ Provvedimenti conseguenti all’ estinzione delle misure “, dispone che “ nei casi in cui la custodia cautelare perde efficacia secondo le norme del presente titolo, il giudice dispone, con ordinanza, l’ immediata liberazione della persona sottoposta alla misura. Nei casi di perdita di efficacia di altre misure cautelari, il giudice adotta, con ordinanza, i provvedimenti necessari per l’ immediata cessazione delle misure medesime “. Quindi, con afferenza al comma 1 Art. 306 Cpp, la misura della custodia cautelare ( personale ) si estingue nei seguenti sette casi:

  1. estinzione della custodia cautelare ex Art. 300 Cpp
    • perché è emessa una sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento
    • perché il reo non è imputabile e va collocato in una Rems
    • perché la pena comminata è dichiarata estinta o condizionalmente sospesa
    • perché la reclusione comminata nella sentenza di condanna è di durata inferiore o pari alla detenzione già scontata in regime di custodia cautelare
    • perché, nonostante il proscioglimento o il non luogo a procedere, esiste un fondato pericolo di fuga o un fondato pericolo di reiterazione di gravi crimini violenti o di matrice eversiva o mafiosa ( lett. b, c comma 1 Art. 274 Cpp )
  2. estinzione della custodia cautelare disposta per esigenze probatorie ex Art. 301 Cpp
    • perché sono scaduti i termini rituali e non è stata emessa un’ ordinanza di rinnovo delle attività di raccolta delle prove
    • perché la raccolta delle prove non presenta o non presenta più la “ particolare complessità “ prevista dal comma 2 bis Art. 301 Cpp e, quindi, non ha senso prolungare la custodia preventiva
  3. estinzione della custodia cautelare per omesso interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare ex Art. 302 Cpp
  4. estinzione della custodia cautelare per decorrenza dei termini di durata massima della detenzione preventiva ex Art. 303 Cpp
  5. estinzione della custodia cautelare per superamento dei termini eccezionali di durata massima della misura ex comma 6 Art. 304 Cpp
  6. estinzione della custodia cautelare perché non sussistono o non sussistono più gravi esigenze cautelari o accertamenti probatori o investigativi particolarmente complessi ex comma 2 Art. 305 Cpp
  7. estinzione della custodia cautelare perché il Tribunale del riesame non trasmette gli Atti entro i termini ex comma 5 Art. 309 Cpp, oppure perché la decisione del Tribunale del riesame non avviene entro il termine prescritto dall’ Art. 101 disp. att. Cpp ( il tutto come sintetizzato ex comma 10 Art. 309 Cpp )

In ogni caso, è opportuno ricordare, come osservato da Cass., SS.UU., 5 luglio 2000, n. 24, che i predetti Artt. 300, 301, 302, 303, 304 comma 6, 305 comma 2 e 309 comma 10 sono e debbono rimanere vincolati alla ratio fondamentale della misura della gravità anti-sociale ed anti-normativa del delitto per cui si procede. Basti pensare, a tal proposito, alla disciplina delle esigenze cautelari nel caso di reati violenti, eversivi o mafiosi di cui alla lett. c) Art. 274 Cpp.

Il calcolo dei tempi di custodia

Tuttavia, Cass., SS.UU., 27 novembre 2014, n. 38518 è stata chiamata a decidere se, nell’ ambito del calcolo dei termini di custodia cautelare, il limite edittale per il fatto-reato debba o, viceversa, non debba essere influenzato dagli aumenti o, viceversa, dalle diminuzioni di pena previsti dall’ Art. 63 CP. Inoltre, nel Diritto Penale sostanziale e nella Procedura Penale, si distinguono tra le circostanze ordinarie ex commi 1, 2, 4 e 5 Art. 63 CP e quelle ad effetto speciale ex comma 3 Art. 63 CP. La risposta al quesito posto in Cassazione n. 38518/2015 è e rimane codicisticamente e limpidamente contenuta nell’ Art. 278 Cpp, ovverosia “ agli effetti dell’ applicazione delle misure, si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato. Non si tiene conto della continuazione, della recidiva e delle circostanze del reato, fatta eccezione per la circostanza aggravante prevista al numero 5) dell’ Articolo 61 CP e per la circostanza attenuante prevista dall’ Articolo 62 n. 4) nonché per le circostanze per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e per quelle ad effetto speciale “. Dunque, prevale il favor rei, come costantemente affermato nella Giurisprudenza italiana di legittimità, sin dagli Anni Trenta del Novecento; il che non toglie la necessità della valutazione, anche e soprattutto, del livello concreto di anti-socialità e di pericolosità del fatto delittuoso per cui si procede ante judicatum.

Molto importante, nella Prassi penalistica quotidiana, è il calcolo dei limiti cronologici della custodia cautelare nella fase anteriore alla ( eventuale ) sentenza di condanna di primo grado. In effetti, i termini variano, e non di poco, a seconda della forbice edittale prevista per il reato per cui si procede, forbice edittale che, ex Art. 63 CP, può o, viceversa, non può aumentare o diminuire a seconda della possibile o non possibile incidenza di circostanze attenuanti aggravanti o attenuanti. A tal proposito, Cass., sez. pen. VI, 6 marzo 1995, n. 824 ( simile alla di poco successiva Cass., sez. pen. I, 21 maggio 1996 ) sosteneva che “ per calcolare la pena a fini cautelari, in caso di concorso di più circostanze aggravanti ad effetto speciale, non possono trovare applicazione i criteri enunciati dal comma 4 Art. 63 CP, tale disposizione integrando una norma sostanziale attinente, in modo esclusivo, alla concreta entità del trattamento punitivo irrogabile all’ esito del giudizio di merito [ quindi ] il computo della pena edittale funzionale alla durata della custodia cautelare della fase prima del giudizio di primo grado ( Art. 303 Cpp ) va effettuata calcolando tutte le eventuali circostanze ad effetto speciale in modo autonomo, alla stregua di un ordinario criterio di cumulo materiale dei vari segmenti di pena circostanziale “. Senza dubbio, a parere di chi redige, Cass., sez. pen. VI, 6 marzo 1995, n. 824 non brilla per rispetto del favore verso il reo e del Garantismo costituzionale. Diverso è l’ orientamento esegetico contenuto in Cass., sez. pen. I, 27 febbraio 1996, n. 1301, secondo cui “ per determinare la pena ex Art. 278 Cpp, si devono applicare per intero i criteri indicati dal comma 4 Art. 63 CP [ …] poiché la qualificazione speciale ( e [ quindi ] ad effetto speciale ) o comune [ e quindi ad effetto comune ] di un’ aggravante rileva non per la sua natura ontologica, o per la sua funzione finalistica, ma unicamente in base alla misura dell’ aumento di pena che l’ aggravante determina, vale a dire dell’ aumento superiore o non ad un terzo della pena, in base al disposto del comma 3 ult. cpv. Art. 63 CP “ Una terza griglia ermeneutica piacevolmente e indiscutibilmente matematica è stata proposta da Cass., sez. pen. V, 13 marzo 1997, n. 1240, ovverosia “ nel concorso [ simultaneo ] di aggravanti speciali, il giudice deve individuare la pena [ per il computo ex Art. 303 Cpp ] applicando l’ aumento derivante dalla più grave di tali aggravanti e operando obbligatoriamente un ulteriore aumento di un terzo per le altre aggravanti, che ontologicamente non perdono la loro natura di circostanze ad effetto speciale “ ( si veda, su questa medesima linea interpretativa, anche Cass., sez. pen. II, 9 maggio 1996, n. 2036 nonché Cass., sez. pen. I, 2 aprile 1996, n. 2125 ).

Cass., SS.UU., 8 aprile 1998, n. 16 ha richiamato da vicino Cass., sez. pen. I, 22 gennaio 1992, n. 291, ovverosia “ va negata in radice l’ applicabilità del comma 4 Art. 63 CP per stabilire ex Art. 278 Cpp la pena corrispondente al termine di custodia cautelare per la fase del giudizio di primo grado [ … ] il comma 4 Art. 63 CP confligge con i principi di legalità e di tassatività dei casi di limitazione della libertà personale espressi negli Artt. 13 Cost. e 272 Cpp. In assenza di apposite regole del codice penale per il computo delle circostanze aggravanti speciali concorrenti di cui occorre tenere conto secondo l’ Art. 278 Cpp, non è altrimenti indicato in quale modo debba operarsi la sommatoria di tali circostanze, stante la loro autonomia sanzionatoria, che impedisce di identificare una base di pena su cui apportare gli aumenti successivi per le ulteriori [ e simultanee ] aggravanti speciali. Di tal che, non può che soccorrere, a tal fine, il disposto dell’ Art. 63 comma 4 CP “. Inoltre, Cass., SS.UU., 8 aprile 1998, n. 16 demolisce anche l’ ermeneutica di Cass., sez. pen. I, 27 febbraio 1996, n. 1301, in tanto in quanto non si può degradare al rango di aggravante ordinaria una circostanza che è palesemente speciale, poiché “ ogni circostanza conserva la sua natura [ … ] La regola dell’ aumento fino ad un terzo ( comma 4 Art. 63 CP ), oltre a costituire un cumulo giuridico ( figurato ) delle pene per le ulteriori aggravanti, costituisce anche un limite legale della pena nella specifica ipotesi considerata, in luogo del limite ordinario previsto per il concorso delle circostanze comuni dagli Artt. 66 e 67 CP “. Pertanto, Cass., SS.UU., 8 aprile 1998, n. 16 ha ribadito che, nel calcolo ex Art. 278 Cpp, non è corretto, dal punto di vista di una normale logica giuridica, negare o meno la specialità ontologica di una circostanza aggravante ad effetto speciale, che è o non è sempre e comunque tale per la volontà originaria e suprema del Legislatore. Quindi, nel computo ex Art. 278 Cpp, il Magistrato deve limitarsi ad una sommatoria di tipo algebrico, mentre, dopo l’ eventuale sentenza di condanna di primo grado, “ se concorrono più circostanze aggravanti tra quelle indicate nel secondo capoverso [ dell’ Art. 63 CP ], si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave; ma il giudice può aumentarla “ ( comma 4 Art. 63 CP ). Detto in altri termini, il computo della durata della custodia cautelare ex Art. 278 Cpp costituisce una pura operazione matematica, ma ciò non vale poi nei due gradi del giudizio di merito, nei quali si può e si deve esprimere integralmente la discrezionalità del Magistrato, che liberamente, ancorché garantisticamente, fattualizza e contestualizza, per ciascuna singola fattispecie giudicata, gli Artt. 63, 64, 65, 66 e 67 CP, senza preoccuparsi del problema, non più prioritario, dell’ applicazione degli Artt. 278 e 303 Cpp, giacché il calcolo della durata della custodia cautelare rappresenta un problema serio, ma senz’ altro secondario rispetto alla questione del giudizio di merito vero e proprio. Non ha senso, d’ altronde, degradare o meno una circostanza aggravante speciale nel nome dell’ Art. 278 Cpp, dimenticando che il fine essenziale di un Processo è la qualificazione del reato per cui si procede ex comma 3 Art. 27 Cost. . Dunque, la problematica del computo ex Art. 303 Cpp passa dopo in secondo piano, purché essa rimanga nel solco del rispetto tecnico-giuridico degli Artt. 13 e 111 Cost. . Pochi mesi prima di Cass., SS.UU., 8 aprile 1998, n. 16, anche Cass., sez. pen. I, 30 maggio 1997, n. 1240 aveva mirabilmente distinto il computo ex Artt. 278 e 303 Cpp dalla fase del giudizio di merito finale, nel senso che “ non bisogna discriminare le aggravanti [ nell’ Art. 278 Cpp ] sulla base di un semplice criterio aritmetico, calibrato sulla mera consistenza degli aumenti, ma secondo un criterio di incidenza sulla maggiore gravità del fatto reato per cui si procede “. Anche a parere di chi scrive, una volta risolta la questione algebrica imposta dagli Artt. 278 e 303 Cpp, ciò che conta è sanzionare il reo, più o meno pesantemente, a seconda, anzitutto e soprattutto, dei diversi gradi di pericolosità anti-sociale del delitto per cui si procede. All’ opposto, la Giurisprudenza italiana dei primi Anni Novanta del Novecento ipotecava e condizionava la discrezione del Magistrato di merito nel nome e sulla base del calcolo dei termini della custodia cautelare. Anche Cass., SS.UU., 8 aprile 1998, n. 16 afferma che il “ criterio contabile “ di cui all’ Art. 303 Cpp non deve essere connesso al diverso e successivo giudizio delle aggravanti in sede di valutazione circostanziata del reato. Il Magistrato di merito, eccezion fatta nella fase automatistica del calcolo della durata massima della custodia cautelare, non è un ragioniere impegnato a risolvere equazioni con la calcolatrice alla mano. Viceversa, l’ apprezzamento del giudice non sarebbe più né ( prudentemente ) libero né proporzionato alla luce dell’ Art. 111 Cost. . Pure negli Anni Duemila, Cass., sez. pen. II, 12 luglio 2004, n. 44389 nonché Cass., sez. pen. I, 31 marzo 2005, n. 19841 distinguono tra la precettività dell’ Art. 63 CP nel Processo Penale di merito e, dall’ altro lato, la valenza del medesimo Art. 63 CP nell’ ambito dei computi algebrici di cui agli Artt. 278 e 303 Cpp, in tanto in quanto il Magistrato non è riducibile ad un calcolatore elettronico che non circostanzia e non concretizza. In effetti, Cass., sez. pen. I, 29 maggio 2012, n. 37465 e, prima ancora, Cass., sez. pen. VI, 24 ottobre 2007, n. 41233 specificano che, nel caso dei delitti aggravati pp. e pp. ex Artt. 416 bis CP e 80 TU 309/90, le regole generali mutano radicalmente, in tanto in quanto si tratta di circostanze e/o reati estremamente e gravemente anti-normativi nonché socialmente destabilizzanti.

Pure, in tempi recenti, Cass., SS.UU., 27 novembre 2014, n. 38518 insiste nel sottolineare che l’ Art. 278 Cpp non deve condizionare le successive valutazioni relative alla pena comminata, “ perché le circostanze aggravanti ad effetto speciale, anche quando concorrono, in più d’ una, nel circostanziare il reato, non vedono mutare la loro natura da speciale in comune, mantenendo inalterata la loro specificità ontologica, indicativa di un più elevato e particolare coefficiente di gravità del reato a cui sono connesse. La specialità di tali aggravanti, espressione di disvalore ed offensività più elevati del fatto reato, è data appunto dalla previsione di incrementi della pena prevista per il reato-base cui accedono in misura superiore a quella ordinaria di un terzo “. Di nuovo, il pensiero corre spontaneamente e pertinentemente all’ Art. 416 bis CP nonché all’ Art. 80 TU 309/90. Siffatta contestualizzazione e fattualizzazione fisiologica e necessaria ha addirittura spinto Cass., SS.UU. 24 febbraio 2011, n. 20798, ma si tratta di un caso isolato ed a-tipico, ad asserire che “ [ anche ] la recidiva, che può determinare un aumento di pena superiore ad un  terzo, è una circostanza aggravante ad effetto speciale e pertanto soggiace, ove ricorrano altre circostanze aggravanti ad effetto speciale, alla regola dell’ applicazione della pena stabilita per la circostanza più grave, con la possibilità, per il giudice, di un ulteriore aumento, conformemente a quanto previsto dal comma 4 Art. 63 CP “. Tale riflessione sulla recidiva di cui all’ Art. 99 CP, è formalmente affascinante ancorché tecnicamente inutilizzabile, nell’ ottica del favor rei ex cpv. 2 Art. 278 Cpp ( “ non si tiene conto [ … ] della recidiva “ ). La recidiva “ si trasforma da circostanza ad effetto speciale in circostanza facoltativa comune, non avendo il legislatore predefinito l’ entità della variazione di pena che il giudice può apportare “ ( pg. 22, Motivazioni, Cass., SS.UU., 27 novembre 2014, n. 38518 ). Naturalmente, come sopra precisato, un conto è l’ applicazione dell’ Art. 99 CP nel giudizio di merito, un altro conto è la non applicabilità dell’ Art. 99 CP ai fini del computo di cui all’ Art. 303 Cpp . Inoltre, almeno a parere di chi redige, la precettività dell’ Art. 99 CP all’ interno dell’ Art. 303 Cpp genererebbe un eccessivo appesantimento sanzionatorio neo-retribuzionista e contrario al garantismo costituzionale ex Art. 13 Cost. .

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Dott. Andrea Baiguera Altieri

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