Le circostanze infatti sono elementi accessori del reato: si aggiungono alla fattispecie incriminatrice, andando ad incidere sulla gravità, modificando le conseguenze nel senso di aggravare o attenuare l’entità della pena.
La funzione politico-criminale che soggiace alla disciplina delle circostanze è quella di permettere un migliore adeguamento della pena rispetto alla gravità del fatto commesso, al suo disvalore, rispondendo ad un’esigenza di individualizzazione e personalizzazione della risposta sanzionatoria e del trattamento penale. Il tutto in ossequio ai principi di proporzionalità e ragionevolezza, nonché della funzione rieducativa che deve assolvere la pena.
La previsione legislativa delle circostanze, nel rispetto del principio di legalità, permette di limitare e circoscrivere la discrezionalità del giudice nella fase dell’applicazione delle stesse e, quindi, nella determinazione della pena. La previa determinazione di limiti extra edittali, definiti tra un minimo ed un massimo, in base ai quali graduare la pena, nonché la predeterminazione del contenuto tipico, costituiscono gli strumenti di supporto del giudice, tali da contemperare esigenze di discrezionalità e di legalità, attraverso la definizione di precisi punti di riferimento.
Lo stesso fenomeno di previsione legislativa non ha luogo per quelle che sono definite, proprio per questo motivo, circostanze improprie. La loro individuazione è infatti rimessa al giudice, laddove l’art. 133 c.p. contiene un elenco generico degli elementi fattuali di cui dovrà tener conto nell’esercizio del proprio potere puramente discrezionale, ai fini dell’adeguamento della pena entro i limiti, questa volta, edittali.
Non sempre l’individuazione della circostanza, quindi la sua distinzione rispetto ad un elemento costitutivo del reato, è agevole: tra i due non sussiste alcuna differenza ontologica e vani sono i tentativi di operare una distinzione fondata su dati di natura strutturale o sostanziale. Il Codice Rocco infatti non fornisce indicazioni in tal senso, se non quella di natura funzionale laddove, all’art 84 c.p., individua gli elementi circostanziali alla luce del regime cui sono assoggettati, diverso e derogatorio rispetto a quello proprio degli elementi costituitivi del reato.
È rimesso pertanto all’interprete il compito di individuare i criteri distintivi tra i due elementi, nel momento in cui gli si prospetta il problema della loro individuazione e distinzione: qualora il reato circostanziato si ponga quale elemento specializzante unilaterale rispetto al reato base, per specificazione o per aggiunta. Diversamente, qualora non si riscontri il presupposto del rapporto di specialità tra i due elementi, non si prospetta il problema della loro distinzione.
Indice:
- Il giudizio di bilanciamento
- Le deroghe ed il principio di proporzionalità
- La deroga generale: le aggravanti privilegiate
- Il concorso tra aggravanti privilegiate, non privilegiate ed attenuanti
- L’ultimo orientamento delle Sezioni Unite 42414/2021
Il giudizio di bilanciamento
La questione dell’individuazione dell’elemento in termini di circostanza rileva ai fini del giudizio di bilanciamento, in presenza di un concorso di aggravanti ed attenuanti, rispetto al quale il giudice è chiamato ad un’attività discrezionale che si sostanzia nel “pesare” le diverse circostanze concorrenti.
La disciplina è contenuta all’art. 69 c.p., il quale traccia tre possibili esiti del giudizio di bilanciamento: un primo, al primo comma, della prevalenza delle aggravanti sulle attenuanti, qualora il giudice le ritenga prevalenti, chiamandolo ad operare un aumento di pena senza tener conto delle attenuanti; un secondo, al secondo comma, della prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti, qualora il giudice le ritenga prevalenti, chiamandolo ad operare una diminuzione di pena senza tener conto delle aggravanti; un terzo, al terzo comma, dell’equivalenza delle aggravanti e delle attenuanti, qualora il giudice le ritenga equivalenti, chiamandolo ad applicare la pena che avrebbe inflitto senza tener conto di alcuna circostanza, come se queste non fossero presenti. In ossequio a tale regola, così come affermato dalla Corte Costituzionale, l’operazione effettuata dal giudice nell’ambito del giudizio di bilanciamento, consente la valutazione del fatto in tutta la sua ampiezza circostanziale, sia eliminando le circostanze dagli effetti sanzionatori, sia tenendo conto esclusivamente di quelle che aggravano o quelle che diminuiscono la quantitas delicti.
Da ciò si evince la regola di fondo, per cui circostanze eterogenee non possono mai essere applicate congiuntamente.
Una disciplina così delineata permette di assolvere la funzione propria dell’elemento circostanziale: determinare il disvalore complessivo del fatto, in modo da individualizzare la sanzione, adeguando la pena al caso concreto, attraverso un giudizio complessivo che tenga conto della personalità del reo e della gravità del reato.
Oggetto del giudizio di bilanciamento è rappresentato, di regola, da tutte le aggravanti ed attenuanti, comuni e speciali, definendone il suo carattere unitario.
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Le deroghe ed il principio di proporzionalità
L’art. 69 comma 4 c.p. prevede al contempo deroghe alla regola generale, escludendo dal giudizio le circostanze inerenti alla persona del colpevole, nonché qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa o determini la misura della pena in maniera indipendente da quella ordinaria del reato. A questa si aggiungono ulteriori deroghe previste dalla legge in relazione a specifiche circostanze. Ai sensi dell’art 81 c.p., sono escluse dal bilanciamento gli aumenti derivanti dal concorso formale di reati o dal reato continuato. Allo stesso modo sono esclusi gli aumenti di pena conseguenti all’aberratio ictus plurilesiva, così come disciplinata dall’art. 82 comma 2 c.p., nonché quelli conseguenti alle condizioni economiche del reo per il caso di pena pecuniaria, ai sensi dell’art. 133-bis comma 2 c.c., ed infine le diminuzioni di pena conseguenti al tentativo, in funzione della sua qualità di autonoma figura di reato, e non di circostanza attenuante. Difatti, le ipotesi derogatorie sono tali in quanto non inquadrabili nella categoria delle circostanze di reato.
Se il giudizio di bilanciamento è funzionale a garantire il rispetto dei principi generali, in primis quello della proporzionalità della pena, l’introduzione di deroghe preclude nei fatti al giudice di operare la propria attività discrezionale, in considerazione del fatto che l’esito stesso del giudizio è predeterminato dal legislatore. Il rischio di pericolosi automatismi sanzionatori ha determinato diversi interventi della Corte Costituzionale. Questa ha ritenuto possibili e di competenza del legislatore tali deroghe, in ossequio al principio di legalità, che abbraccia le scelte relative all’an ed al quantum del trattamento sanzionatorio, ad integrazione del principio di determinatezza della pena.
Ma tale principio va contemperato con le esigenze di salvaguardia dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, che rendono sindacabili le deroghe al giudizio di bilanciamento da parte della Corte Costituzionale, nei casi in cui siano espressione di manifesta irragionevolezza o arbitrio. Muovendo da esigenze di proporzionalità della pena, il trattamento sanzionatorio va adattato ed individualizzato, rispetto alle caratteristiche del caso concreto, in modo da applicare una pena proporzionata, nonché pene difformi rispetto a situazioni difformi. Inoltre vanno considerati gli elementi del fatto del reato, la sua concreta gravità e le caratteristiche dell’autore, in modo da offrire una risposta sanzionatoria in linea con la funzione rieducativa della pena, tale che questa sia proporzionata all’offesa.
Il principio di proporzionalità collide pertanto con gli automatismi sanzionatori, riflesso delle deroghe al giudizio di bilanciamento. Alla luce di ciò, diverse pronunce di illegittimità costituzionale rispetto a previsioni di divieto di prevalenza di circostanze attenuanti particolarmente significative rispetto alla determinazione della gravità del reato, spesso espressive di una minore offensività del fatto, quali la lieve entità, la minore gravità, la particolare tenuità.
Sulla base degli stessi presupposti si è determinata la Corte Costituzionale in relazione all’ulteriore deroga prevista per la recidiva reiterata, all’art. 99 comma 4 c.p., richiamato dall’art. 69 comma 4 c.p.: la disciplina determina un automatismo laddove esclude dal giudizio di bilanciamento la circostanza aggravante in questione, per effetto del quale il recidivo reiterato non potrà mai beneficiare delle riduzioni di pena conseguenti alle attenuanti. Secondo la Corte la differenza di trattamento riservata al recidivo si fonda su una presunzione assoluta, irragionevole, che viola il principio di proporzionalità, determinando l’automatica esclusione dello sconto di pena, frutto dell’applicazione delle attenuanti, con il risultato di una pena sproporzionata, legata alla mera condizione personale del reo.
La deroga generale: le aggravanti privilegiate
Ipotesi generale di deroga al giudizio di bilanciamento è quella prevista al quarto comma dell’art. 69 c.p., attraverso il quale il legislatore introduce aggravanti privilegiate, menzionate nello stesso comma, escluse dal giudizio comparativo del bilanciamento, con un risultato di inasprimento sanzionatorio a fronte del divieto di prevalenza delle attenuanti. Attraverso il meccanismo delineato la norma, precludendo la prevalenza delle attenuanti, evoca una predeterminazione legale del risultato del giudizio di bilanciamento. Tale predeterminazione è solo parziale, in quanto non è preclusa al giudice la dichiarazione di equivalenza tra circostanza concorrenti.
Ma la predeterminazione può anche essere totale, qualora preclude anche l’equivalenza, imponendo la sola prevalenza dell’aggravante.
La ratio sottesa alla creazione della figura della circostanza privilegiata si spiega alla luce dell’esigenza di protezione di un determinato bene giuridico che, di volta in volta, la norma che introduce la circostanza intende tutelare.
Il concorso tra aggravanti privilegiate, non privilegiate ed attenuanti
Discorso più complicato è quando l’aggravante privilegiata concorra non solo con l’attenuante non privilegiata, ma anche con un’altra aggravante non privilegiata.
Alla luce della disciplina generale, l’aggravante privilegiata, in quanto tale, esclude dal giudizio di bilanciamento l’attenuante. Il problema è stabilire la sorte delle altre due.
Secondo l’orientamento emerso dalla sent. 19083/2020, andando ad esaminare l’art 624 bis comma 4 c.p., questa esclude l’applicazione delle attenuanti dal giudizio di bilanciamento con le aggravanti, ma non esclude l’applicazione delle attenuanti sulla pena aumentata. Anzi, tale orientamento si fa promotore dell’applicazione dell’attenuante, imponendone l’applicazione nonostante la presenza di un’aggravante non privilegiata, e nonostante l’esito del giudizio di bilanciamento tra le due sia di equivalenza. Precisamente, anche qualora il risultato del giudizio tra le due circostanze fosse l’equivalenza, andrebbe applicata l’attenuante. Ciò nel rispetto del principio di proporzionalità.
L’ultimo orientamento delle Sezioni Unite 42414/2021
Tale impostazione ha determinato l’intervento delle Sezioni Unite 42414/2021, esprimendosi nel senso opposto: imporre l’applicazione dell’attenuante non privilegiata nell’ambito del giudizio di bilanciamento con l’aggravante non privilegiata, rende quell’attenuante, un’attenuante privilegiata. Un risultato del genere sarebbe idoneo a vanificare e neutralizzare il giudizio di bilanciamento, effettuando una duplice applicazione della medesima attenuante: una prima volta nel giudizio di bilanciamento, ed una seconda volta fuori da questo. Il risultato è l’equiparazione del trattamento sanzionatorio nel caso di attenuante equivalente, al caso di attenuante prevalente, risultato non ragionevole, tale da stravolgere la disciplina delle circostanze.
Il rispetto del principio di proporzionalità richiamato nell’orientamento contestato, può essere garantito facendo applicazione dei criteri di commisurazione della pena previsti dall’art. 113 c.p., che permette in ogni caso di tenere conto dell’effetto di mitigazione della pena, alla base dell’attenuante.
Pertanto, alla luce dell’orientamento delle Sezioni Unite, la regola generale è il bilanciamento delle circostanze, alla quale sfugge, in deroga, l’aggravante privilegiata. Dunque, l’attenuante non privilegiata, insieme all’aggravante non privilegiata, rientrano nel giudizio di bilanciamento.
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