Le circostanze nel Diritto Penale italiano

Prospettiva codicistica generale

Nel Diritto Penale italiano, la valutazione della gravità del reato non è un’ operazione algebrica avulsa dal contesto psicologico, fattuale e persino etico nel quale l’ infrazione anti-giuridica è stata tentata, parzialmente consumata od interamente consumata. Le garanzie sanzionatorie sono ben codificate ed unite ad un ampio stare decisis della Giurisprudenza, in tanto in quanto il Magistrato è sempre e comunque tenuto ad un’osservazione personologica del reo, che necessita, alla luce del comma 3 Art. 27 Cost., di una pena che tenga conto dell’ intero insieme delle circostanze nell’ ambito delle quali si è compiuto e preparato l’ atto criminoso. Del resto, non circostanziare gli illeciti penalmente rilevanti significherebbe violare quel Garantismo democratico che si fonda, anche in Italia, sul criterio della proporzionalità e della ragionevolezza dell’ azione penale, la quale è e rimane certamente obbligatoria, ancorché non alienata dalla storia personale, familiare, pedagogica, sociale e pure abitativa che ha recato il responsabile ad infrangere la quiete dell’ Ordine normativo costituito. Anzi, per quanto possa apparire paradossale, una valutazione criminologica puramente astratta del reato potrebbe spingere l’ Autorità Giudiziaria verso la fosca riva dell’ eccessiva discrezionalità, giacché non ha senso non prestabilire circostanze esimenti, attenuanti od aggravanti, poiché l’ umanizzazione del giudizio costituisce la base per un successivo trattamento penitenziario personalizzato, che tenga conto dell’ intera criminogenesi che ha recato ad una Sentenza di condanna. Per la verità, il Codice Penale italiano è uno dei più ricchi sotto il profilo della qualificazione delle circostanze, specialmente negli Artt. 61, 62, 62bis e 70 CP:

Art. 61 CP  –  Circostanze aggravanti comuni

Aggravano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti speciali, le circostanze seguenti:

  1. l’ avere agito per motivi abietti o futili
  2. l’ aver commesso il reato per eseguirne od occultarne un altro, ovvero per conseguire o assicurare a sé o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero l’ impunità di un altro reato.
  3. l’ avere, nei delitti colposi, agito nonostante la previsione dell’ evento
  4. l’ avere adoperato sevizie, o l’ aver agito con crudeltà verso le persone
  5. l’ avere approfittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’ età, tali da ostacolare la pubblica o la privata difesa
  6. l’ avere il colpevole commesso il reato durante il tempo in cui si è sottratto volontariamente all’ esecuzione di un mandato o di un ordine di arresto o di cattura o di carcerazione, spedito per un precedente reato
  7. l’ avere, nei delitti contro il patrimonio, ovvero nei delitti determinati da motivi di lucro, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante gravità
  8. l’ avere aggravato o tentato di aggravare le conseguenze del delitto commesso
  9. l’ avere commesso il fatto con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o ad un pubblico servizio, ovvero alla qualità di ministro di culto
  10. l’ avere commesso il fatto contro un pubblico ufficiale o una persona incaricata di un pubblico servizio o rivestita della qualità di ministro del culto cattolico o di un culto ammesso dallo Stato, ovvero contro un agente diplomatico o consolare di uno Stato estero, nell’ atto o a causa dell’ adempimento delle funzioni o del servizio.
  11. l’ aver commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni d’ ufficio, di prestazioni d’ opera, di coabitazione, o di ospitalità

11-bis.             l’ avere il colpevole commesso il fatto mentre si trovava illegalmente sul

 territorio nazionale

11-ter              l’ aver commesso un delitto contro la persona ai danni di un soggetto minore

 all’ interno o nelle adiacenze di istituti di istruzione o di formazione

11-quater        l’ avere il colpevole commesso un delitto non colposo durante il periodo in

 cui era ammesso ad una misura alternativa alla detenzione in carcere

11-quinquies   l’ avere, nei delitti non colposi contro la vita e l’ incolumità individuale,

 contro la libertà personale nonché nel delitto di cui all’ articolo 572, commesso il fatto in presenza o in danno di un minore di anni diciotto ovvero in danno di persona in stato di gravidanza

11-sexies         l’ avere, nei delitti non colposi, commesso il fatto in danno di persone

 ricoverate presso strutture sanitarie o presso strutture sociosanitarie   residenziali o semiresidenziali, pubbliche o private, ovvero presso strutture socioeducative

Art. 62 CP – circostanze attenuanti comuni

Attenuano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze attenuanti speciali, le circostanze seguenti:

  1. l’avere agito per motivi di particolare valore morale o sociale
  2. l’ aver reagito in stato di ira, determinato da un fatto ingiusto altrui
  3. l’ aver agito per suggestione di una folla in tumulto, quando non si tratta di riunioni o assembramenti vietati dalla legge o dall’ autorità, e il colpevole non è delinquente o contravventore abituale o professionale, o delinquente per tendenza
  4. l’ avere, nei delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità, ovvero, nei delitti determinati da motivi di lucro, l’ avere agito per conseguire o l’ avere comunque conseguito un lucro di speciale tenuità, quando anche l’ evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità
  5. l’ essere concorso a determinare l’ evento, insieme con l’ azione o l’ omissione del colpevole, il fatto doloso della persona offesa
  6. l’ avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno mediante il risarcimento di esso e, quando sia possibile, mediante le restituzioni, o l’ essersi, prima del giudizio e fuori dal caso preveduto nell’ ultimo capoverso dell’ articolo 56, adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato

Art. 62 bis CP – Circostanze attenuanti generiche

            Il giudice, indipendentemente dalle circostanze previste nell’ articolo 62, può prendere in considerazione altre circostanze diverse, qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena. Esse sono considerate in ogni caso, ai fini dell’ applicazioe di questo capo, come una sola circostanza, la quale può anche concorrere con una o più delle circostanze indicate nel predetto articolo 62

            Ai fini dell’ applicazione del primo comma non si tiene conto dei criteri di cui all’ articolo 133 primo comma numero 3) e secondo comma, nei casi previsti dall’ articolo 99, quarto comma, in relazione ai delitti previsti dall’ articolo 407, comma 2 lettera a), del codice di procedura penale, nel caso in cui siano puniti con la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni.

            In ogni caso, l’ assenza di precedenti condanne per altri reati a carico del condannato non può essere, per ciò solo, posta a fondamento della concessione delle circostanze di cui al primo comma

Art. 70 CP – circostanze oggettive e soggettive

            Agli effetti della legge penale

  1. sono circostanze oggettive quelle che concernono la natura, la specie, i mezzi, l’ oggetto, il tempo, il luogo e ogni altra modalità dell’ azione, la gravità del danno o del pericolo, ovvero le condizioni o le qualità personali dell’ offeso
    1. sono circostanze soggettive quelle che concernono l’ intensità del dolo o il grado della colpa, o le condizioni e le qualità personali del colpevole, o i rapporti tra il colpevole e l’ offeso, ovvero che sono inerenti alla persona del colpevole

            Le circostanze inerenti alla persona del colpevole riguardano l’ imputabilità e la recidiva

Le qualificazioni giurisprudenziali dell’ Art. 62 bis CP

Con afferenza all’ Art. 62 bis CP, la giurisprudenza italiana di legittimità ha da sempre affermato che le circostanze attenuanti generiche sono imprescindibili per consentire al Magistrato giudicante di applicare il Principio della proporzionalità e della ragionevolezza della sanzione criminale. Senza un margine discrezionale sufficientemente ampio, il Giudice non potrebbe personalizzare l’ entità qualitativa e quantitativa dell’ infrazione penalistica e tale inutile rigorismo comprometterebbe, specialmente nel Diritto Penale minorile, quella mitigazione e quella personalizzazione del piano rieducativo che stanno alla base del comma 3 Art. 27 Cost.

Anche sotto il profilo criminologico, la contestualizzazione della devianza anti-giuridica è assai importante per preservare l’ AG dall’emanazione di Sentenze di condanna esemplari, le quali si pongono in netto contrasto con le fondamentali garanzie democratico-sociali costituzionalmente sancite e ribadite, a livello internazionalistico, dalla CEDU e dalle Regole penitenziarie europee. In effetti, un’ eccessiva severità sanzionatoria si pone in drastica antinomia nei confronti della linearità equilibrata cui si deve ispirare ogni trattamento pedagogico carcerario. Dunque, il nocciolo giurisprudenziale problematico non consiste tanto nel negare o nel minimizzare la discrezionalità applicativa insita nell’ Art. 62 bis CP, bensì la questione è, più che altro, quella di offrire all’ interprete un catalogo aperto delle più fondamentali e frequenti circostanze attenuanti generiche legittimamente precettive.

Nel contesto dell’ Art. 62 bis CP, il lavoro più difficile assegnato al Magistrato consta nel motivare in maniera idonea e ragionevole la scelta delle circostanze, in tanto in quanto “ il Giudice […] nel motivare il diniego della concessione, deve tenere conto di tutti gli elementi favorevoli e sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che si riferisca a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo gli altri disattesi o superati da detta valutazione “ ( Cass., 22 settembre 2015, n. 38366 ). In buona sostanza, nella Giurisprudenza italiana di legittimità, esiste una costante ed infaticabile ricerca ermeneutica finalizzata a coniugare la non-tipicità dell’ Art. 62 bis CP con la razionalità proporzionata del potere interpretativo integrativo del Giudice.

A tal proposito, pure Cass., n. 7914/2015 rimarca che “ l’ organo giudicante non può considerare scontata la meritevolezza delle circostanze attenuanti generiche “, poiché, viceversa, verrebbe meno l’ obbligo costituzionale di motivare ogni Sentenza in maniera specifica, circostanziata e precisa. Siffatto dovere tassativo e non generico della motivazione è specificato, sempre in Cass., n. 7914/2015, con l’ espressione: “ [ il Giudice ] deve opportunamente [ non genericamente, ndr ] indicare gli elementi dai quali possa trarsi il percorso logico che lo ha condotto al riconoscimento dell’ art. 62 bis cp, precisando quali siano gli elementi decisivi per tale situazione, soprattutto nei casi di fatti di rilevante gravità. Inoltre, il giudice, nel caso sia ritenuta la meritevolezza dell’ attenuazione della pena, deve specificare le ragioni ritenute atte alla mitigazione del trattamento sanzionatorio “. Seppur non in forma esplicita, il Precedente contenuto in Cass., n. 7914/2015 richiama, con decisione e con tassatività, la regola suprema tale per cui “ tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati “, a pena di nullità ( comma 6 Art. 111 Cost. ). Pertanto, anche le circostanze attenuanti generiche ex Art. 62 bis CP vanno, il più possibile, concretizzate e circostanziate nello specifico della singola fattispecie di volta in volta valutata. Quindi, in nessun caso, nell’ ottica dell’ Art. 111 Cost. sul giusto Processo, l’ Art. 62 bis CP si può trasformare in una gentile concessione dell’ AG a-tecnica e non approfonditamente motivata sin nei minimi dettagli legati all’ interpretazione del fatto anti-normativo commesso dal condannato. Basti pensare a certune motivazioni dell’ AG eccesivamente vaghe nel caso di violenze commesse durante eventi sportivi. Anche in tal caso, in effetti, l’ Art. 62 bis CP non può essere ridotto ad una formula astratta, modulisticamente ripetitiva e pre-determinata per tutti i correi.

Giustamente, ancorché non ovviamente, negli Anni Duemila, la Corte di Cassazione ha ribadito il legame quasi ontologico tra l’ Art. 62 bis CP e l’ Art. 133 CP, che giuridifica sette parametri di gravità del reato, ivi compresi quattro profili qualitativi attinenti alla “ capacità di delinquere del colpevole “ ( comma 2 Art. 133 CP ). Sotto il profilo applicativo, numerosi Precedenti di legittimità, tra cui Cass., 14 aprile 2016, n. 15476, affermano che la connessione perenne e necessaria tra gli Artt. 62 bis e 133 CP consente al Magistrato di “ tenere conto [ anche ] di qualsiasi altro elemento del giudizio da cui poter far discendere la meritevolezza della diminuzione della pena “ ( Cass., 14 aprile 2016, n. 15476 ). Come si può notare, l’ Art. 133 CP è utile per contenere la discrezionalità potenzialmente ipertrofica esercitata dall’ organo giudicante durante l’ applicazione dell’ Art. 62 bis CP. Basti pensare alla circostanza volitiva dell’ “ intensità del dolo o del grado della colpa “ ( n. 3 comma 1 Art. 133 CP ). Oppure ancora, si ponga mente al concetto criminologico fondamentale delle “ condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo “ ( n. 4 comma 2 Art. 133 CP ). Si tratta, in buona sostanza, di una gamma di circostanze che impongono al Giudice, alla luce dell’ Art. 62 bis CP, un’ accurata osservazione personologica del reo, soprattutto in contesti di degrado segnati, per esempio, dalla tossicodipendenza, dall’ alcolismo o dalla precarietà abitativa. Pertanto,  il “ carattere del reo “ ( cpv. 2 n. 1 comma 2 Art. 133 ) non deve sfuggire nella concessione, o meno, delle circostanze attenuanti generiche, che umanizzano la pena in conformità alla suprema ratio garantistica ed anti-retribuzionistica consacrata nel comma 3 Art. 27 Cost., nonché nel comma 6 Art. 111 Cost. . In Giurisprudenza, Cass., 14 aprile 2016, n. 15476 non si stanca di rimarcare la necessità del binomio precettivo da instaurarsi tra l’ Art. 62 bis CP e l’ Art. 133 CP, in tanto in quanto “ ai fini della concessione o del diniego delle attenuanti generiche, è sufficiente che si considerino gli elementi di cui all’ Art. 133 cp ritenuti prevalenti e atti a consigliare il tipo di valutazione da effettuare: anche un solo elemento che attenga alla personalità del reo, all’ entità del reato ed alle modalità di esecuzione può essere sufficiente per motivare la concessione o il diniego “. Oltretutto, i due commi dell’ Art. 133 CP non vengono dal caso. Essi, altresì, sintetizzano assai bene quei trecento anni di Garantismo post-illuminista che hanno reso possibile, nel Novecento, la nascita dell’ Abolizionismo europeo. L’ Art. 133 CP è un mirabile compendio di umanizzazione democratica della sanzione penale, la quale va sempre e comunque personalizzata, storicizzata e contestualizzata in raffronto alle regole di cui all’ Art. 62 bis CP

Grazie a Cass., 23 luglio 2015, n. 32359, è stata finalmente esclusa la precettività automatica dell’ Art. 62 bis CP. Ovverosia, “ la concessione di circostanze attenuanti generiche presuppone la sussistenza di positivi elementi di giudizio e non costituisce un diritto conseguente alla mancanza di elementi negativi connotanti la personalità del reo “ ( Cass., 23 luglio 2015, n. 32359 ). il testé menzionato Precedente di legittimità del 2015 ha inteso limitare l’ applicazione dell’ Art. 62 bis CP a fattispecie dettagliatamente presenti in Giurisprudenza, nel senso che, specialmente negli Anni Duemila, la Corte di Cassazione ha elaborato un preciso catalogo aperto di attenuanti generiche, prodotto ed aggiornato alla luce di un continuo ed inscindibile nesso ermeneutico tra l’ Art. 62 bis CP e l’ altrettanto basilare Art. 133 CP. P.e., in Cass., 28 dicembre 2015, n. 50565, si asserisce che “la confessione dell’ imputato, tanto più se spontanea, è segno di pentimento e può essere un elemento favorevole per la concessione [ delle attenuanti generiche ] “. Anzi, la ratio del pentimento e del conseguente ravvedimento operoso è reputata come pienamente precettiva nel caso di un comportamento riparatorio e non reticente successivo alla commissione dell’ illecito ( Corte Costituzionale, n. 183 del 10 giugno 2011 ). Come si può notare, anche in questo caso, la Giurisprudenza opera un aggiornamento costante e variegato al fine di allargare il ventaglio applicativo scaturente dall’ Art. 62 bis CP, unito, nel caso della Sentenza della Consulta n. 183/2011, al dispositivo ex n. 3 comma 2 Art. 133 CP. Similmente, l’ Art. 62 bis CP è spesso affiancato dal n. 6 Art. 133 CP, ai sensi del quale la sanzione è attenuata “ dall’ avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso, e, quando possibile, mediante le restituzioni; o l’ essersi, prima del giudizio e fuori dal caso previsto nell’ ultimo capoverso dell’ Art. 56 CP, adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato “. Con altri lemmi, sempre nel contesto dell’ Art. 62 bis CP, il contenuto del n. 6 Art. 62 CP è definito, più latamente, come una “ collaborazione prestata nelle indagini [ e/o ] altre situazioni [ a-tipiche ] di manifesto ravvedimento “. Viceversa, è più difficile conciliare il cpv. 1 n. 2 comma 2 Art. 133 CP con l’ Art. 62 bis CP, nel senso che, come nota Cass., 23 settembre 2014, n. 38378, “ il Giudice, sulla base di una valutazione complessiva del fatto oggetto del giudizio e della personalità del reo [ ex Art. 133 CP ] può escludere che la reiterazione delle condotte denoti la presenza di uno spessore criminologico tale da giustificare l’ applicazione della recidiva “.

Come si può osservare, Cass., 23 settembre 2014, n. 38378 reca una ratio positivamente e lodevolmente anti-retribuzionistica, nemmeno lontanamente immaginabile in un contesto giuspenalistico come quello degli USA, in cui i benefici dell’ Art. 62 bis CP sarebbero assolutamente risibili e completamente rigettati dall’ AG. Ciononostante, Cass., 11 marzo 2014, n. 11539 si manifesta meno garantistica, in tanto in quanto, visto il comma 2 Art. 133 CP, “ le attenuanti generiche [ di cui all’ Art. 62 bis CP ] possono essere negate anche soltanto in base all’ esistenza di un solo precedente penale, perché, in tal modo, viene formulato un giudizio di disvalore sulla personalità [ ex n. 2 comma 2 Art. 133 CP ]“. D’ altronde, per quanto ciò sia discutibile, anche il comma 3 Art. 62 bis CP dispone che “ in ogni caso, l’ assenza di precedenti condanne per altri reati a carico del condannato non può essere, per ciò solo, posta a fondamento della concessione delle circostanze di cui al primo comma “. Quindi, il comma 3 Art. 62 bis CP, novellato dalla L. 125/2008, si pone in sintonia con Cass., 11 marzo 2014, n. 11539. A parere di chi redige, tale comma 3 Art. 62 bis CP mortifica eccessivamente l’ impianto garantistico generale insito nella ratio riduzionistica dell’ intero Art. 62 bis CP. Provvidenzialmente, tuttavia, l’ immaturità del giovane imputato rientra appieno nel comma 2 Art. 133 CP e provoca, quasi sempre, la conseguente applicabilità delle circostanze attenuanti generiche di cui al comma 1 Art. 62 bis CP.

Le qualificazioni giurisprudenziali della circostanza aggravante del metodo mafioso

L’ Art. 7 L. 201/1991 dispone l’ aumento della pena, da un terzo alla metà, nel caso di attività delittuose aggravate da metodi conformi al paradigma normativo di cui all’ Art. 416 bis CP ( Associazione per delinquere di stampo mafioso ). Giustamente, Cass., sez. VI, 1 marzo 2017, n. 14249 ha rimarcato che l’ aggravante del metodo mafioso “ è una circostanza che continua a risultare intrisa di ambiguità [ poiché ] è necessario un solido impianto motivazionale alla base della contestazione di tale aggravante “. A parere di Cass., sez. VI, 2 aprile 2017, n. 21342, il riferimento all’ art. 416 bis CP non è necessariamente e tassativamente imprescindibile, giacché “ la circostanza [ del metodo mafioso ] è configurabile anche a carico di un soggetto estraneo all’ associazione di tipo mafioso, purché costui delinqua ponendo in essere un comportamento [ … ] con gli stessi caratteri propri dell’ intimidazione derivante dall’ organizzazione criminale evocata “. Il pensiero corre, dunque, a circostanze fattuali come la minaccia di morte, gli incendi dolosi, l’ uso di armi da fuoco e le intimidazioni violente in danno di persone o cose.

Tuttavia, Cass., sez. VI, 1 marzo 2017, n. 14249 reputa che la minaccia è aggravata dal metodo mafioso soltanto in casi di estrema violenza, mentre, nei casi ordinari, è semplicemente precettivo l’ Art. 612 CP, indipendentemente da ulteriori aggravanti. Anche nella fattispecie dell’ estorsione p. e p. ex Art. 629 CP, l’ aggravante del metodo mafioso non è applicabile con eccessiva leggerezza e, nella maggior parte dei casi, l’ atto estorsivo è estraneo al modulo precettivo aggravato di cui all’ Art. 416 bis CP. In effetti, Cass., sez. VI, 1 marzo 2017, n. 14249 precisa che gli Artt. 612 e 629 CP vanno reputati come aggravati dal metodo mafioso “ solo se è posto in essere un comportamento oggettivamente idoneo ad esercitare una particolare coartazione psicologica sulle persone, con i caratteri propri dell’ intimidazione [ mafiosa ] “. Similmente, Cass. Pen., sez. II, 9 febbraio 2017, n. 20197 riduce assai il campo della precettività della L. 201/1991, in tanto in quanto “ la condotta intimidatoria mafiosa è tale solo se essa è oggettivamente idonea ad ingenerare nella vittima la percezione che il soggetto agente goda di legami con la criminalità organizzata di tipo mafioso “. Dunque, l’ Art. 416 bis CP non va applicato con un qualunquismo facile o populista. Sempre Cass. Pen., sez. II, 9 febbraio 2017, n. 20197 qualifica come mafiose, nel senso tecnico, soltanto “ quelle minacce che presentano un elevato grado di offensività, perché idonee ad esercitare una più forte pressione psicologica sulla vittima [ … ], poiché la minaccia proviene da un soggetto che gravita nella sfera delle associazioni di tipo mafioso [ ed esiste quindi ] la possibilità di una ritorsione da parte di tale associazione mafiosa, che è in grado di attivarsi in danno della persona offesa “

Sempre in tema di circostanza aggravante del metodo mafioso, la Corte di Cassazione è stata chiamata a risolvere il controverso problema del contenuto qualificatorio concreto di tale “ metodo mafioso “ che è tale solo se conforme al paradigma giuridico statuito nell’ Art. 416 bis CP. A scanso di equivoci esegetici, Cass. Pen., sez. II, 25 marzo 2015, n. 16053 ha precisato che “ non si può certo dare rilievo unico o principale all percezione dell’ offeso “, pur se rimane importante, nella Parte Lesa, il grado di auto-percezione del legame tra il minacciante e una o più cosche malavitose organizzate e stabilmente presenti sul territorio. Nel Precedente summenzionato, ovvero in Cass. Pen., sez. II, 25 marzo 2015, n. 16053 si analizzano almeno tre elementi costitutivi della minaccia:

  1. il contenuto materiale e verbale del messaggio,
  2. la modalità della comunicazione minacciosa
  3. il contesto generale in cui avviene l’ evento minaccioso.

Molto pertinentemente, Cass. Pen., sez. V, 19 giugno 2014, n. 42818 ha precisato che, nella minaccia aggravata dal metodo mafioso, “ in primo luogo vengono in rilievo le qualità soggettive del reo: l’ atteggiamento e la gestualità dell’ agente durante la consumazione del reato “. Molto importante, come fa notare Cass. Pen., sez. II, 11 giugno 2013, n. 37516, è pure “ il coinvolgimento [ del minacciante ] in un Procedimento per fatti di criminalità organizzata “, ferma restando, in ogni caso, la presunzione d’ innocenza sino a Sentenza di condanna passata in giudicato. Inoltre, la summenzionata Sentenza del 2013 esorta a valutare anche “ la vicinanza del reo ad ambienti criminali ed in particolare i rapporti con esponenti della consorteria criminale “, ma, di nuovo, chi scrive teme improprie valutazioni avulse da condanne già definitive. Specularmente e vittimologicamente, una minaccia è aggravata dal metodo mafioso quando la Parte Lesa “ sia a conoscenza della vicinanza dell’ agente a clan mafiosi locali, o ne abbia solo il sentore “ ( Cass. Pen., sez. II, 10 febbraio 2016, n. 10467 ). Analogamente, Cass. Pen., sez. II, 30 novembre 2016, n. 32 parla di un “ contesto ambientale di intimidazione “. Ognimmodo, Cass. Pen., sez. II, 24 maggio 2013, n. 24992 nonché Cass. Pen., sez. VI, 4 luglio 2011, n. 27666 ribadiscono, garantisticamente, che l’ aggravante del metodo mafioso costituisce una circostanza giuridica e tecnica ed essa non è mai frutto di suggestioni giornalistiche o di sospetti non penalmente rilevanti o non sufficientemente provati.

La circostanza attenuante del ravvedimento operoso nel Diritto Penale Tributario

L’ Art. 13 bis D.LVO 74/2000, novellato nel 2015, dispone che “ fuori dai casi di non punibilità, le pene per i delitti di cui al presente decreto sono diminuite fino alla metà e non si applicano le pene accessorie indicate nell’ Art. 12, se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative [ con l’ Agenzia delle Entrate, ndr ] e di adesione all’ accertamento previste dalle norme tributarie. Per i delitti di cui al presente decreto, l’ applicazione della pena ai sensi dell’ Art. 444 Cpp può essere richiesta dalle parti solo quando ricorra la circostanza di cui al comma 1 nonché il ravvedimento operoso, fatte salve le ipotesi di cui all’ Art. 13 commi 1 e 2 “.

Grazie alla nuova organizzazione dell’ Agenzia delle Entrate, il ravvedimento operoso ha acquisito un’ importanza fondamentale, pur se la conciliazione con l’ AGE è disciplinata anche attraverso altre procedure di pacificazione fiscale stragiudiziale. A tal proposito, l’ Art. 13 D.LVO 74/2000 parla di “ integrale pagamento degli importi “ contestati dall’ Agenzia delle Entrate, (anche) per il tramite della Guardia di Finanza. Dunque, il ravvedimento operoso, pur rivestendo un ruolo attenuativo fondamentale, non costituisce l’ unico istituto tributario conciliativo previsto nell’ Ordinamento fiscale italiano. Anzi, in Dottrina, alcuni Autori hanno negato che il ravvedimento operoso sia sempre e comunque una circostanza attenuante. In effetti, nei casi di delitti tributari non di calibro bagatellare, il D.LVO 74/2000 non menziona la circostanza attenuante del ravvedimento operoso, in tanto in quanto non avrebbe senso, anche sotto il profilo costituzionale, ammettere l’ “integrale pagamento delle somme dovute “ come causa di estinzione del Procedimento Penale per reati finanziari gravi o gravissimi come la Bancarotta ed il riciclaggio. Secondo altri Autori e secondo la più recente Giurisprudenza della Corte di Cassazione, il ravvedimento operoso ex comma 2 Art. 13 D.LVO 74/2000 è un presupposto per l’ ammissione al patteggiamento, ma, in sede processuale, gli eventuali benefici sanzionatori dipendono dalle Norme penali sostanziali ordinarie, ovverosia da quanto comunemente disposto dagli Artt. 62, 62 bis nonché 133 CP. Infatti, come precisato in una Circolare congiunta del 2018, l’ Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza sostengono che il ravvedimento operoso non è utilizzabile per regolarizzare la registrazione di fatture per operazioni inesistenti. Viceversa, la Giurisprudenza degli Anni Novanta del Novecento reputava che il ravvedimento operoso è sempre una circostanza attenuante, esattamente come l’ istituto delle restituzioni nella Bancarotta documentale. Molto utile e non del tutto superata è pure la Circolare del Ministero delle Finanze n. 180 del 10/07/1998, ai sensi della quale “ l’ istituto del ravvedimento operoso non può trovare applicazione per la regolarizzazione di condotte fraudolente [ … ] quali l’ emissione di fatture per operazioni inesistenti, e ciò in quanto l’ Art. 13 D.LVO 472/97, norma che disciplina il ravvedimento operoso, fa riferimento esclusivamente ad errori od omissioni e tali non possono essere certamente qualificati gli esiti di condotte fraudolente “. Dunque, alla luce del predetto D.LVO 472/97, il ravvedimento operoso è una circostanza attenuante e non scriminante e, inoltre, il ravvedimento operoso non è precettivo nel caso grave o gravissimo di infrazioni fraudolente in danno dell’ Ordinamento tributario, e non solo, poiché un illecito fiscale penalmente rilevante non è riparabile ed estinguibile a mezzo del solo ravvedimento operoso. Anche la summenzionata Circolare della Guardia di Finanza e del MEF del 2018 “ [ … ] esclude espressamente l’ utilizzo del ravvedimento operoso in caso di emissione di fatture per operazioni inesistenti, così come in tutti i casi in cui vengano poste in essere condotte fraudolente penal-tributarie “. Il pensiero corre senza dubbio alcuno al delitto di Bancarotta Fraudolenta ed a quello di riciclaggio. In buona sostanza, il ravvedimento operoso non è una circostanza attenuante qualora l’ evasore abbia già emesso fature mendaci e/o abbia ribadito l’ atto fraudolento inserendolo nel Bilancio annuale e nei Libri contabili. Ovverosia, il dolo, specialmente quello eventuale, toglie al ravvedimento operoso la possibilità di essere una circostanza attenuante, mentre, nell’ ambito degli illeciti civilistici o delle infrazioni meramente amministrative, il ravvedimento operoso è equipollente a quanto disposto dagli Artt. 62, 62 bis e 133 CP. Viceversa, Cass., 13 aprile 2007, n. 15052 ha affermato che il ravvedimento operoso è sempre circostanza attenuante nei reati tributari e ciò in considerazione della sua natura riparatoria dal punto di vista quantitativo-contabile ( v. anche Cass., 19 maggio 2017, n. 25227 ).

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Dott. Andrea Baiguera Altieri

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