Le Commissioni Tributarie Italiane: profili d’incostituzionalità e violazioni Cedu

La procedura di formazione dei Collegi delle Commissioni Tributarie sia provinciali sia regionali, costituite in virtù delle norme previste dal D.Lgs. 545/1992, sembrerebbe costituzionalmente illegittima.

La norma degli anni novanta citata violerebbe innanzitutto il principio del Giusto Processo di cui all’art. 111 Cost. il quale al comma 1 recita “la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge”.

A bene vedere il comma 1 si collega strettamente con il successivo comma 2 con il quale si spiega che “ogni processo di svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale”.

Stando a ciò il Giudice tributario, di primo e di secondo grado, non gode a priori dei requisiti di imparzialità, terzietà, naturalità ed indipendenza che dovrebbero contraddistinguere qualsivoglia giudicante.

Basti pensare a cosa prevedono gli artt. 2, 3, 4, 5, 8, 13, 15, 29-bis, 31, 32, 33, 34 e 35 del D.Lgs. 545/1992 (legge sull’organizzazione della giurisdizione tributaria); questi articoli compongono un insieme normativo in netto contrasto con la legge costituzionale n. 2 del 1999.

L’incostituzionalità di cui si parla è sicuramente figlia anche della successione delle leggi nel tempo.

In particolare, da quanto su esposto, si coglie immediatamente che la legge sull’organizzazione della giurisdizione tributaria del 1992 è precedente alla riforma costituzionale del 1999 e perciò si assisterebbe ad una c.d. “incostituzionalità derivata della norma ordinaria”.

La norma del 1992 parrebbe violare, altresì,  l’art. 6 della CEDU con l’effetto che ciò inficerebbe ed inciderebbe fortemente sulla validità delle norme interne che regolano il processo tributario ed i giudizi stessi resi dagli organi di giustizia interessati.

La Corte Costituzionale, anni fa, non rimase silente rispetto alla questione iniziando ad esprimersi in tale direzione con delicatezza, ma senza entrare profondamente nel merito.

Con le sentenze n. 348, 349 del 24 ottobre 2007 e n. 80 del 11 marzo 2011 affermò che le norme Cedu “sarebbero parametri interposti di legittimità costituzionale, tali che la loro violazione determina la illegittimità costituzionale delle norme interne”.

Successivamente con la sentenza n. 17892 del 12 agosto 2014 sempre il Sommo Collegio di Presidio affermò che “nel contrasto con la Cedu, il giudice italiano potrebbe direttamente disapplicare la norma interna”.

Sulla scorta di quanto innanzi ben potrebbe dubitarsi del fatto che i vigenti Collegi Tributari di primo e secondo grado siano in netto contrasto con la Costituzione nonché composti in violazione della Cedu.

Si pensi ad esempio al fatto che nelle Commissioni Tributarie possono essere nominati magistrati ordinari che esercitano funzioni per l’ufficio del Pubblico Ministero (ad esempio il Procuratore capo della Repubblica, il Sostituto o l’Aggiunto).

Perciò si pone automaticamente una riflessione e cioè come potrebbe garantire imparzialità e terzietà chi ha di per sé (con fatto in re ipsa) una peculiare inclinazione, talvolta anche dovuta ad una formazione pre-costituita all’ufficio, ed approccio processuale di tipo accusatorio.

È chiaro che su queste premesse il processo tributario rischia di essere mal gestito e condotto con parzialità assoluta da parte di chi compone il Collegio giudicante.

Atteso quanto innanzi, le norme processuali che regolano il processo tributario, tanto per la composizione dei collegi provinciali quanto per quelli regionali, non possono considerarsi come rispettosi di quei requisiti di imparzialità e terzietà perfetta che dovrebbero avere ai fini dell’effettivo avverarsi del Giusto Processo.

In tale ottica andrebbe valutato che gli artt. 3, 4 e 5 del D.lgs. 545/1992, afferenti alla formazione e nomina dei Presidenti e dei Collegi delle Commissioni predette, sono tra i primi disposti normativi che peccano di adeguamento costituzionale ai principi garantiti dall’art. 111 Cost. e la nomina di un magistrato inquirente non può ritenersi un fatto di illegittimità costituzionale isolato.

Anche i dipendenti civili dello Stato o di altre amministrazioni pubbliche, gli Ufficiali della Guardia di Finanza e gli ispettori tributari del Servizio Centrale vanno ritenuti meritevoli di attenzione al fine di individuare le figure che per predisposizione ed inclinazione naturale non possono garantire imparzialità e terzietà di giudizio una volta nominati giudici tributari.

Ciò perché vi è una netta e palese formata “mentalità” a favore ed in favore dello Stato o dell’Ente Locale resistente nei giudizi tributari, a prescindere da come effettivamente il processo verrebbe condotto caso per caso.

Quindi il D.lgs. 545/1992 non assicurerebbe un Giusto Processo e perciò non è in grado altresì, per diretta conseguenza, di assicurare un buon andamento dello svolgimento processuale in condizioni di parità delle parti innanzi ai Collegi giudicanti, violando per giunta il principio di eguaglianza ex art. 3 Cost.

A parere, quindi, dello scrivente detti Collegi sarebbero composti in violazione del principio di buona giurisdizione attuata mediante una legge c.d. “Giusta”.

Il D.lgs. 545/1992, non rispettando i principi dati e attuati dalla legge costituzionale n. 2 del 1999, va dichiarata incostituzionale nella parte in cui “non prevede che i magistrati di Commissione Tributaria siano imparziali, terzi e riconosciuti in termini di idoneità da pubblico concorso” così come avviene per i giudici della magistratura civile, amministrativa e penale.

Diversamente il Giudice Tributario non potrebbe e non può formalmente attuare una buona giurisdizione (art. 111, co. 1, Cost.) che deve esserci ab ovo, come in ogni processo (art. 111, co. 2, Cost.).

A cascata l’aspetto sostanziale del processo tributario viene inficiato per la carenza assoluta di un Giusto Processo (e si ribadisce) a prescindere dall’effettiva conduzione od andamento processuale singolo.

Se il Giudice tributario fosse individuato sulla scorta di una valutazione di idoneità derivante da un pubblico concorso allora potrebbe affermarsi che quest’ultimo, realmente, sappia far fronte al ruolo giurisdizionale secondo la Costituzione.

Diversamente risulta anche violato il principio Costituzionale per il quale ogni cittadino deve conoscere il proprio “Giudice naturale e precostituito per legge”.

L’art. 25 della Costituzione afferma che “nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”.

A bene vedere il D.lgs. 545/1992 non rispetta assolutamente il principio della perfetta giurisdizione in ogni processo con l’effetto lesivo di qualsivoglia garanzia posta a tutela del cittadino di conoscere in via precostituita il proprio giudice fisico naturale.

Tale tesi assumerebbe ulteriormente valore e rilevanza nel procedimento tributario, in ogni stato e grado, dal momento che diverse figure previste dagli artt. 3, 4 e 5 del D.lgs. 545/1992 non possono sopperire, per motivi oggettivi di preparazione professionale, alle carenze di conoscenza del codice di procedura civile, al quale la legge sul processo tributario D.lgs. 546/92 espressamente rimanda in caso di lacunosità.

Si pensi ad esempio ai ragionieri, al docente universitario il quale non abbia una minima preparazione od afferenza con le materie trattate, ai dipendenti dello Stato o delle Pubbliche amministrazioni che nel percorso di laurea in economia e commercio non abbiano studiato la procedura civile, ecc.

Inoltre non si comprende come possa il D. lgs. 545/1992 garantire un Giusto Processo caratterizzato da imparzialità, terzietà e naturalità precostituita se, tra l’altro, gli stessi magistrati (ed i segretari) delle Commissioni Tributarie sono alle dipendenze economiche del Ministero dell’Economia e non del Ministero di Grazia e Giustizia.

Al di là della dipendenza economica, i magistrati tributari non afferirebbero, in termini di potere disciplinare e di autonomia, al Consiglio Superiore della Magistratura; questo sarebbe l’emblema dello spregio giuridico fatto in danno del principio di tripartizione dei poteri tra esecutivo, giurisdizionale e legislativo.

Atteso ciò si afferma che i Giudici tributari provinciali e regionali non sarebbero altro che una longa manus del potere esecutivo, il quale per natura non può assicurare alcuna imparzialità e terzietà nei giudizi data la sua obbligatoria partecipazione al processo in qualità di resistente (Enti locali, Ministeri, Agenzie, Enti in genere, ecc.).

L’art. 24, co. 1 lett. c, del D. lgs. 545/1992 non fa altro che confermare l’interferenza del potere esecutivo nella sfera giurisdizionale (magistratuale) poiché il “Consiglio di Presidenza… omissis… delibera sulle nomine e su ogni altro provvedimento riguardante i componenti delle commissioni tributarie”.

Si dà il caso che il suddetto Consiglio di Presidenza sia istituito presso il Ministero dell’economia e delle finanze i cui membri a loro volta vengono eletti politicamente.

Ne deriva che i Giudici tributari, ad oggi, non godono affatto dei requisiti di imparzialità e terzietà che invece il legislatore costituzionale del 1999 vorrebbe come precostituiti ed effettivamente sussistenti.

In conclusione, alla luce di quanto esposto e spiegato, affinché si possa migliorare l’inquadramento normativo del Giudice Tributario in ottica costituzionale e si possa dare una più calzante qualificazione giuridico-processuale di esso, senza che possa sorger più alcun dubbio di sorta in merito all’imparzialità ed alla terzietà, si spera che in futuro il legislatore (direttamente) possa iniziare una discussione politico-legislativa di riforma in merito e che qualche coscienzioso giudice a quo sollevi la questione di illegittimità costituzionale circa la natura, la formazione e la composizione dei collegi tributari giudicanti predetti.

Angelo Lucarella

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