Le conseguenze sanzionatorie della mancata partecipazione alla mediazione della pubblica amministrazione

Le Linee Guida: circolare 10.08.2012 n.9 – La mancata partecipazione della P.A. alla procedura di mediazione e le conseguenze sanzionatorie – Ipotesi di danno erariale: cenni- Conclusioni

Le Linee Guida: la circolare 10 agosto 2012 n.9

La partecipazione della Pubblica Amministrazione ai procedimenti ADR e in particolare alle mediazioni, rappresenta un argomento su cui i giuristi si stanno dibattendo da qualche anno. Il 10 agosto 2012 con circolare n.9 [1] il Ministero per la Pubblica Amministrazione ha emanato le Linee Guida in materia di mediazione nelle controversie civili e commerciali.

Sia nel decreto 28/10 che nel D.M. 18.10.2010 n.180[2] non vi sono espresse esclusioni rivolte alle Pubbliche Amministrazioni relative ai procedimenti di mediazione; da ciò discende che la normativa si applica anche al settore pubblico.

Le Linee Guida sottolineano che l’Avvocatura di Stato svolge in mediazione la funzione consultiva di cui all’art.13 del R.D.30.10.1933 n.1611 come “assistenza tecnica complementare alla rappresentanza processuale e difesa in giudizio delle amministrazioni patrocinate” (Art. 5 Linee Guida 10.08.2012). Nel contesto di mediazione resta pertanto esclusa la rappresentanza processuale e la difesa in giudizio delle amministrazioni patrocinate dall’Avvocatura di Stato, pur nel rispetto delle indicazioni fornite dalla circolare stessa la quale ribadisce che le amministrazioni nei confronti delle quali l’Avvocatura dello Stato svolge funzioni di patrocinio obbligatorio, non possono rivolgersi ad avvocati del libero foro per l’attività difensiva.

Quanto alla partecipazione al procedimento, ricevuta la convocazione, la Pubblica Amministrazione ne valuta la convenienza e, laddove non intenda intervenire deve adottare specifico atto contenente le motivazioni che è opportuno comunicare all’Organismo di mediazione. Laddove vi sia mancata partecipazione senza giustificato motivo, il D.Lgs.vo 28/10

prevede specifica sanzione rappresentata dal pagamento di una somma corrispondente al contributo dovuto per il giudizio.

Quanto alla conclusione della procedura, le Linee Guida precisano che sia opportuno che l’amministrazione formuli motivata richiesta di parere all’Avvocatura di Stato esponendo le proprie valutazioni in tutte le controversie che assumono un particolare rilievo o che abbiano un determinato peso finanziario, anche in base al numero di controversie ulteriori che potrebbero derivarne. Al di fuori di tali casi, l’amministrazione formula richiesta di parere all’Avvocatura di Stato solo laddove il dirigente o funzionario abbia effettuato una valutazione favorevole al raggiungimento dell’accordo.

In caso di proposta formulata dal mediatore, il Dirigente o funzionario valuterà se accettare o meno la proposta anche in relazione al parere reso dall’Avvocatura.

Le Linee Guida individuano i funzionari centrali o territoriali con potere di partecipare al procedimento.

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L’obbligatorietà della partecipazione della P.A. alla procedura di mediazione e le conseguenze sanzionatorie

In una recente pronuncia del Tribunale di Roma si evidenzia che non è giustificabile una negativa e generalizzata scelta aprioristica di rifiuto e di non partecipazione al procedimento di mediazione e ad un tentativo serio e fattivo di accordo. Le P.A. hanno gli stessi obblighi di qualunque altro soggetto. Conformemente alle LINEE GUIDA ha senso che il soggetto che partecipi al procedimento di mediazione in rappresentanza della P.A. debba concordare con chi ha il potere dispositivo del diritto parametri precisi ed oggettivi entro i quali poter gestire l’eventuale accordo; il tutto attraverso una procedura ben determinata. Ciò risponde all’esigenza di trasparenza che deve caratterizzare il comportamento e le decisioni di chi amministra denaro pubblico. La pronuncia in questione è stata resa dal Dr.Massimo Moriconi, della Sez.XIII Trib.Roma in data 10.03.2021.

Il Magistrato, esperita la CTU, aveva rilevato che esistevano margini per il raggiungimento di un accordo ed assegnava alle parti un termine per l’esperimento del tentativo di mediazione (delegata). Sostiene il Dottor Moriconi “E’ diffusa la convinzione di una scarsa propensione della P.A. a partecipare ai percorsi conciliativi in particolare alla mediazione, e ancor di più a conciliare o transigere le liti”.

Il Giudice, richiamando precedente giurisprudenza dello stesso Tribunale (Trib.Roma Moriconi 13630/19 del 27.06.2019) ha evidenziato che in base a quanto dispone il secondo comma dell’art.5 D.Lsg.vo 28/10, modificato dal D.L. 69/13, è richiesta l’effettiva partecipazione al procedimento di mediazione demandata, laddove per effettiva si richiede che le parti non si fermino alla sessione informativa e che oltre agli avvocati difensori siano presenti le parti personalmente.

La mancata partecipazione della parte, senza giustificato motivo, è comportamento valutabile dal Giudice e rischia di non far considerare avverata la condizione di procedibilità. Il Magistrato si è spinto ancora oltre e ha paventato l’applicabilità dell’art.96 cpc terzo comma[3].

In data 25.05.2020 il Tribunale di Roma, in persona del Dr.Massimo Moriconi, aveva già espresso lo stesso principio. Trattavasi di una responsabilità dell’ente pubblico per negligente manutenzione di tombini che, in forza di piogge insistenti, avevano determinato l’allagamento dei locali dell’attore. L’ente contestava ogni addebito ritenendo che fosse riconducibile a caso fortuito. Il Giudice, anche in quel caso, aveva disposto la CTU e la mediazione delegata. Contestualmente il Magistrato formulava proposta ex art 185 bis cpc, qualora le parti non avessero raggiunto un accordo. La P.A. non accettava la proposta né si presentava in mediazione.

Il ragionamento che segue il Magistrato si fonda sul presupposto che il Giudice stesso, prima di demandare le parti alla mediazione, abbia effettuato una valutazione di fattibilità del potenziale accordo sulla scorta delle risultanze processuali. Il Giudice capitolino considera un paradosso ed un  controsenso,  che l’obbligo imposto alla P.A. qualora sia il soggetto che promuove il giudizio in una delle materie obbligatorie di cui all’art.5 D. Lgs.vo 28/10, sia assolto con la consapevolezza della sussistenza di una riserva mentale di promuovere la procedura al fine di non trovare mai un accordo. Si tratterebbe, scrive il Giudice, “di un paradossale non pòssumus nonché di un pessimo esempio da parte dell’amministrazione pubblica di deliberata e pregiudiziale disapplicazione di una legge dello Stato. Del tutto contraria alle apprezzabili finalità della legge”. Il rifiuto opposto da parte dell’ente pubblico è stato giudicato illogico, irragionevole e contrario allo spirito ed alla lettera della legge. La mancata partecipazione al procedimento senza giustificato motivo rappresenta una condotta grave in quanto atta a prolungare una controversia in un sistema giudiziario, quale è quello italiano, saturo e caratterizzato dalla lunga durata delle cause.

Il Giudice, decidendo il merito della causa in punto diritto, anche alla stregua del fatto che la proposta da lui stesso formulata ex art 185 bis fosse stata rifiutata dall’ente pubblico convenuto, prendeva precisa posizione anche sul rifiuto della P.A. a partecipare alla mediazione e la condannava al pagamento di una somma pari al contributo unificato dovuto per il giudizio[4].

Ma il Giudice è andato oltre ed ha ritenuto che, sebbene non espressamente menzionato dall’art.8 bis del D.Lgs.vo 28/10, fosse comunque applicabile anche la conseguenza sanzionatoria di cui all’art.96 terzo comma cpc. Il fondamento di tale decisione è da ricondurre al fatto che l’articolo 96 cpc è norma aperta e cioè di generale applicazione e non è concepibile una interpretazione che ne delimiti l’ambito operativo ad una espressa previsione in casi determinati. Ciò a detta del Tribunale, trova conferma, nell’art.13 del D.Lgs.vo 28/10 che disciplina, in punto spese processuali, le conseguenze della mancata accettazione non giustificata, della proposta del mediatore. Norma che fa salva l’applicazione degli artt.92 e 96 cpc. Le motivazioni espresse dal Tribunale di Roma per giustificare l’applicazione dell’art.96 cpc al caso di specie sono ampie, dettagliate e ben argomentate. Sostiene il Tribunale che l’aver previsto la condizione di procedibilità rappresenti un passaggio graduale da un sistema altamente “conflittuale” ad un sistema maggiormente “conciliativo”. Affinchè possa dirsi compiuto o regolarmente svolto il passaggio “culturale” ha senso, secondo il Tribunale di Roma, che i giudici applichino delle sanzioni che incentivino il ricorso alla mediazione e puniscano i comportamenti dei soggetti che, rifiutando di partecipare senza motivo fondato, sviliscano l’istituto stesso della mediazione, contrastando la ratio della legge stessa.

Il Tribunale condannava l’ente al risarcimento del danno, al pagamento delle spese processuali ed al pagamento di una somma in favore di parte attrice, in forza dell’art.96 terzo comma cpc, oltre che al pagamento in favore dell’Erario di una somma pari al contributo unificato dovuto per il giudizio.

Ipotesi di danno erariale: cenni

Tra i motivi che potrebbero indurre le Pubbliche Amministrazioni a non partecipare al procedimento di mediazione ci potrebbe essere il timore di danno erariale.

L’ordinanza del Tribunale di Roma 29.02.2016 (Giudice Massimo Moriconi) aveva escluso tale ipotesi. Ad avviso del giudicante, una conciliazione raggiunta sulla base di un provvedimento del Giudice (trattandosi di Mediazione Delegata) spesso corredato da specifiche indicazioni motivazionali in nessun caso potrebbe esporre il funzionario pubblico a responsabilità erariale, “..caso mai potendo essa derivare dalle conseguenze sanzionatorie (art.96 III° cpc) che possono conseguire ad una condotta deresponsabilizzata ignava ed agnostica della P.A”[5].

Da ciò pare discendere che la mancata partecipazione alla mediazione dettata dal timore del funzionario di incorrere in danno erariale sia infondata. Qualora la PA partecipi ad un procedimento sulla scorta della ponderata valutazione a monte, sia della controversia che si va a mediare sia della corretta amministrazione del denaro pubblico che verrebbe “impiegato” in una eventuale conciliazione, escluse le ipotesi di dolo o colpa grave, in considerazione del fatto che l’invito a mediare possa derivare addirittura dal Giudice che già ha valutato attentamente la convenienza ad un accordo conciliativo, possa dirsi esclusa la responsabilità erariale. Anzi, parrebbe vero il contrario ossia che la mancata partecipazione (ed eventuale conciliazione) laddove si traduca in una conseguenza sanzionatoria rappresenti essa stessa una eventuale ipotesi di danno erariale.

Conclusioni

La spinta di parte della Magistratura in favore della mediazione non è solo finalizzata a raggiungere il c.d. effetto deflattivo ma ha anche lo scopo di cambiare il punto di vista sulla gestione del conflitto genericamente inteso. Sarà interessante conoscere l’esito della lite per capire se il monito rivolto alle P.A. questa volta venga seguito e l’amministrazione accolga l’invito a presentarsi in mediazione e, magari, trovi l’accordo. Diversamente, come è accaduto nel maggio del 2020, il Giudice dovrà nuovamente pronunciarsi con provvedimento sanzionatorio. Restiamo in attesa di conoscere gli sviluppi della controversia.

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Note

[1] Registrata dalla Corte dei Conti il 24.08.2012 n.2561

[2] Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione nonché l’approvazione delle indennità spettanti agli organismi ai sensi dell’art.16 del decreto legislativo 4.02.2010 n.28

[3] In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’art.91, il Giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata.

[4] Art. 8 comma quarto bis D.Lgs.vo 28/10

[5] Trib. Roma ordinanza 29.02.2016 – Dr.Massimo Moriconi

Avv. Scarsi Mara

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