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La fattispecie archetipica di Cass., SS.UU., 18 aprile 2019, n. 24906.
La questione di Diritto rimessa, ex Art. 618 Cpp, a Cass., SS.UU., 18 aprile 2019, n. 24906 è la seguente: “ se possa essere ritenuta in sentenza dal giudice la fattispecie aggravata del reato di falso in atto pubblico, ai sensi del comma 2 Art. 476 CP, qualora la natura fidefacente dell’ atto considerato falso non sia stata esplicitamente contestata ed esposta nel capo di imputazione “.
La questione di fondo, anche a prescindere dal caso concreto in esame, relativo al comma 2 Art. 476 CP, consiste nell’ ammissibilità, o meno, della “ contestazione in fatto “, ovverosia implicita, delle aggravanti nel Procedimento Penale. Una contestazione in fatto è definita da Cass., sez. pen. I, 8 febbraio 2017, n. 51260 “ una formulazione dell’ imputazione che non sia espressa nell’ enunciazione letterale della fattispecie circostanziale o nell’ indicazione della specifica norma di legge che la prevede, ma riporti, in maniera sufficientemente chiara e precisa, gli elementi che integrano la fattispecie, consentendo all’ imputato di averne piena cognizione e di espletare adeguatamente la propria difesa sugli stessi “. Si vedano pure, sotto il profilo qualificatorio, nella Giurisprudenza degli Anni Duemila, Cass., sez. pen. VI, 15 dicembre 2016, n. 4461 nonché Cass., sez. pen. VI, 28 settembre 2012, n. 40283. In buona sostanza, la contestazione meramente in fatto di un’ aggravante, dunque non canonicamente all’ interno del capo d’ imputazione, pare ledere il diritto alla difesa ex Art. 24 Cost. ed il diritto ad un giusto processo ex Art. 111 Cost. . Contestare in fatto un’ aggravante potrebbe costituire uno sfavor rei contrario alle supreme Norme in tema di garantismo accusatorio del Procedimento Penale. Inoltre, oltrepassare i limiti contenutistici del capo d’ imputazione primigenio rende oggettivamente più arduo l’ esercizio della difesa, la quale necessita di una stretta tipicità non conforme ad una contestazione in fatto. Quindi, detto con lemmi maggiormente circostanziati, Cass., SS.UU., 18 aprile 2019, n. 24906 è chiamata a pronunciarsi, come asserito nelle Motivazioni al § 2, sulla “ eventuale eccezione di nullità della Sentenza [ … ] [ di merito ] per violazione del principio di correlazione tra l’ imputazione e la condanna “.
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Il primo orientamento ( maggioritario ).
A parere di Cass., sez. pen. III, 8 ottobre 2014, n. 6809 ( preceduto di poco da Cass., sez. pen. V, 13 febbraio 2014, n. 12213 ), “ la contestazione meramente in fatto dell’ aggravante [ … ] non è consentita, occorrendo che l’ addebito dell’ ipotesi aggravata risulti nell’ imputazione dall’ indicazione specifica della violazione [ in questo caso, del comma 2 Art. 476 CP ], o, in mancanza di essa, quantomeno dall’ uso di sinonimi o di formule linguistiche equivalenti al contenuto della previsione normativa “. Come si può notare, Cass., sez. pen. III, 8 ottobre 2014, n. 6809 si dimostra intransigente ed alquanto restrittiva alla luce degli Artt. 24 e 111 Cost., i quali, nell’ ambito delicato della Procedura Penale, escludono la ratio dello sfavore nei confronti del reo. Cass., sez. pen. III, 8 ottobre 2014, n. 6809, quindi, riporta ad un ‘ applicazione stretta e quasi formalistica del Codice di Procedura Penale, in tanto in quanto la difesa processuale è garantita soltanto nella misura in cui “la persona accusata di un reato [ è ] [ … ] informata [ … ] della natura e dei motivi dell’ accusa elevata a suo carico “ ( cpv. 1 comma 3 Art. 111 Cost. ). Dilatare il capo d’ imputazione, secondo Cass., sez. pen. III, 8 ottobre 2014, n. 6809, significa minare le fondamenta del garantismo di matrice accusatoria fondante il Procedimento Penale nel Diritto italiano. Del pari, Cass., sez. pen. V, 18 aprile 2018, n. 30435 richiede l’ impiego di “ formule linguistiche chiaramente evocative [ quindi non implicite ] dell’ aggravante contestata “. Perciò, anche secondo Cass., sez. pen. V, 18 aprile 2018, n. 30435, la contestazione meramente in fatto delle aggravanti è inammissibile, giacché essa costituisce un’ accusa implicita, non preventivabile e, quindi, non contestabile per tempo da parte dell’ imputato. D’ altronde, la contestazione in fatto di un’ aggravante potrebbe recare ad un aumento irrazionale della pena, che, senza le debite garanzie, si contrappone alla ragionevolezza della pena ex comma 3 Art. 27 Cost. ( si vedano, a tal proposito, Cass., sez. pen. V, 13 aprile 2018, n. 24643 nonché Cass., sez. pen. V, 5 febbraio 2016, n. 8359 ). Anche, nel Diritto Penale Comunitario, Corte EDU, 11/12/2007, Drassich vs. Italia, nel solco dell’ Art. 111 Cost. comma 3, afferma che “ è diritto dell’ imputato di essere tempestivamente e dettagliatamente informato non solo dei fatti materiali posti a suo carico, ma anche della qualificazione giuridica [ aggravata ] ad essi attribuita [ … ]. E’ necessario esplicitare sempre l’ imputazione, affinché l’ esercizio dei diritti di difesa possa dirsi pienamente garantito “.
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Il secondo orientamento ( minoritario ).
Un secondo orientamento interpretativo della Suprema Corte asserisce l’ ammissibilità delle contestazioni in fatto delle aggravanti, in tanto in quanto “ ai fini del corretto esercizio ed espletamento dei diritti di difesa dell’ imputato, si deve ritenere sufficiente la [ fattuale ] cognizione di quest’ ultimo in ordine agli elementi materiali della circostanza; [ cognizione ] consentita dall’ indicazione dell’ atto in relazione al quale la condotta [ di falso, nel caso in esame ] è contestata ( Cass., sez. pen. V, 16 settembre 2008, n. 38588, ma si veda anche l’ analogo parere di Cass., sez. pen. V, 14 settembre 2016, n. 2712 e di Cass., sez. pen. I, 12 marzo 2015, n. 24870 ). Come si può notare, Cass., sez. pen. V, 16 settembre 2008, n. 38588 afferma che la cognizione concreta delle aggravanti giustifica le contestazioni in fatto, le quali, a parere di tale tendenza ermeneutica, non violerebbero le garanzie accusatorie esplicate negli Artt. 24 e 111 Cost. . Si tratta, pertanto, di un orientamento esegetico meno formale, che legittima, per conseguenza, la dilatazione ufficiosa del capo d’ imputazione. Parimenti, Cass., SS.UU., 26 giugno 2015, n. 31617 ammette la contestazione in fatto di una o più aggravanti “ quando è prevedibile la riqualificazione del capo d’ accusa e ciò è compatibile con le garanzie difensive “, pur se, almeno a parere di chi redige, Cass., SS.UU. 26 giugno 2015, n. 31617 non specifica, nel dettaglio, quando, come ed in che misura una contestazione in fatto sia, o meno, “ compatibile con le garanzie difensive “, dunque con l’ Art. 24 Cost. . Altrettanto nebulosa ed eccessivamente generica è pure Cass., sez. pen. V, 20 settembre 2017, n. 55804, la quale ammette la contestazione meramente fattuale di un’ aggravante “ se è concretamente prevedibile, per la difesa, che il giudice riterrà il fatto implicitamente riconducibile all’ ipotesi aggravata “. Di nuovo, Cass., sez. pen. V, 20 settembre 2017, n. 55804 lascia troppo indeterminati i lemmi “ concretamente prevedibile “. In buona sostanza, a parere di chi commenta, siffatta “ prevedibilità “ si contrappone alla natura strettamente tecnica e rigorosamente rituale del Codice di Procedura Penale e tale irritualità a-tipica lede le garanzie supreme del “ giusto processo “ ex Art. 111 Cost. . Tuttavia, nel Diritto Comunitario, è pur vero che EDU 14/04/2015 ( Contrada vs. Italia ) ha asserito che il difensore del reo è tenuto a preventivare l’ eventuale nonché legittima contestazione in fatto delle aggravanti, ma non è chiaro perché il lassismo a-tecnico dell’ onnipresente Diritto dell’ UE debba recare ad una deminutio xenofila della precettività dell’ ottimo ed incontestabile Art. 24 Cost. . Pure Cass., sez. pen. V, 4 aprile 2018, n. 23609, forse nel nome di una maggiore e malassimilata velocizzazione ed informalità del Procedimento Penale, afferma che la contestazione solo fattuale delle aggravanti è sempre consentita “ quando sussistono, per il difensore, ampie possibilità di previsione di questo esito processuale [ anomalo, ndr ], alla luce delle caratteristiche del fatto indicato [ originariamente ] nella contestazione “. Entro tale ottica di informalità ( rectius: di pura irritualità, ndr ) si colloca anche Cass., sez. pen. V, 4 aprile 2018, n. 33843. Maggiormente cauta è Cass., sez. pen. V, 2 aprile 2015, n. 38931, che consente le contestazioni in fatto solamente alla condizione della sussistenza di un robusto nesso logico tra il capo di imputazione iniziale e l’ aggravante poi contestata fattualmente. A parere di chi scrive, rimane assurdo legittimare una contestazione in forma non rituale, poiché si tratta di una pratica inquisitoria tipica degli Ordinamenti dittatoriali, pericolosamente emancipati dalla ratio occidentale del “ giusto processo “ di cui all’ Art. 111 Cost.
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La posizione ermeneutica di Cass., SS.UU., 18 aprile 2019, n. 24906.
Cass., SS.UU., 18 aprile 2019, n. 24906 si colloca sulla linea del primo orientamento e reputa “ non [ non ] pertinenti taluni degli arresti giurisprudenziali, anche di derivazione comunitaria, invocati a sostegno dell’ orientamento favorevole all’ ammissibilità della contestazione in fatto delle aggravanti [ … ]; e ciò con particolare riguardo alla prevedibilità della riqualificazione [ del capo d’ imputazione ] ed alla rilevanza, in tal senso, dell’ assistenza tecnica garantita all’ imputato “. In effetti, la contestazione dev’ essere tassativamente esplicita, anzitutto, ex lett. b) comma 1 Art. 417 Cpp, ossia “ [ La richiesta di rinvio a giudizio contiene ] [ … ] l’ enunciazione, in forma chiara e precisa, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l’ applicazione di misure di sicurezza, con l’ indicazione [ esplicita ] dei relativi articoli di legge “. Tale regola generale della non- implicità vale pure per il decreto dispositivo del giudizio ( lett. b comma 1 Art. 429 Cpp ), per la citazione a giudizio direttissimo dell’ imputato libero ( comma 3 Art. 450 Cpp ), per il decreto dispositivo del giudizio immediato ( comma 1 Art. 456 Cpp ) e per il decreto di citazione diretta a giudizio dinanzi al tribunale in composizione monocratica ( lett. c comma 1 Art. 552 Cpp ). Quindi, come rimarcato da Cass., SS.UU., 18 aprile 2019, n. 24906, “ l’ enunciazione espressa delle circostanze aggravanti assume, nel nostro sistema processuale, il rilievo di una componente essenziale ed indefettibile della contestazione [ non in fatto ] dell’ accusa “. Del resto, anche la lett. a) comma 3 Art. 6 CEDU dichiara, seppur in forma indiretta, la totale illegittimità della dilatazione successiva del capo d’ accusa e tale è, anzitutto e soprattutto, la ratio del comma 3 Art. 111 Cost. . Analogamente, Cass., SS.UU. 15 luglio 2010, n. 36551 sostiene, giustamente, che la contestazione meramente in fatto delle aggravanti “ non consente la concreta possibilità, per l’ imputato, di difendersi adeguatamente sull’ oggetto dell’ addebito “. L’ Art. 24 Cost. è e rimane una garanzia fondamentale, imprescindibile e marcatamente democratica. Cass., SS.UU., 18 aprile 2019, n. 24906 richiede “ un elevato livello di precisione e di determinatezza di tutte le fattispecie circostanziali del reato “.
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L’ eccezione delle aggravanti già “ materialmente “ ed “ algebricamente “ circostanziate.
Il divieto di contestazioni in fatto, in Cass., SS.UU., 18 aprile 2019, n. 24906 non è assoluto, in tanto in quanto “ esistono delle circostanze aggravanti le cui fattispecie [ … ] si esauriscono in comportamenti descritti nella loro materialità, ovvero riferiti a mezzi od oggetti determinati nelle loro caratteristiche oggettive “. In questo caso, secondo Cass., SS.UU., 18 aprile 2019, n. 24906, è ammissibile la contestazione meramente fattuale di tali aggravanti, la cui interpretazione non richiede grandi sforzi ermeneutici, con la conseguenza, dunque, che l’ imputato, unitamente al proprio difensore, può difendersi anche se la contestazione dell’ aggravante “ oggettiva “ è solo fattuale. Viceversa, sempre in Cass., SS.UU., 18 aprile 2019, n. 24906, sono tassativamente proibite le contestazioni in fatto delle aggravanti “ nelle quali, in luogo dei fatti materiali, [ … ] la previsione normativa include anche componenti valutative [ … ] [ e a tali aggravanti ] saranno attribuibili particolari connotazioni qualitative o quantitative. In tal caso, dette connotazioni sono ritenute, o meno, ricorrenti nei singoli casi, in base ad una specifica valutazione [… ] . Ove il risultato di questa valutazione non sia esplicitato nell’ imputazione, con la precisazione della ritenuta esistenza delle connotazioni di cui sopra, la contestazione risulterà priva di una compiuta indicazione degli elementi costitutivi della fattispecie circostanziale “. In effetti, come dimostra l’ esempio degli stati emotivi giuridicamente rilevanti o il caso del grado di volizione dolosa, esistono molte circostanze aggravanti che non sono “ materialmente “ misurabili o pre-definite. Molte volte, la presenza o la non presenza di talune aggravanti dipende dai criteri interpretativi manifestatisi nel corso del Procedimento Penale. In tal caso, non avrebbe senso una contestazione in fatto della circostanza, giacché non tutte le aggravanti sono pre-determinabili e pre-misurabili con criteri matematici. P.e., si ponga mente al concetto immateriale e più che soggettivo del “ consenso “ nella fattispecie della violenza sessuale. Oppure ancora, si pensi alla nozione di “grado di maturità “ della presunta vittima di uno stupro. In tutti questi casi, la circostanza aggravante va discussa ed approfondita, il che presuppone la menzione della circostanza nel capo d’ imputazione. All’ opposto, esistono particolari circostanziali talmente “ materializzati “ da non richiedere ulteriori approfondimenti interpretativi espliciti. Cass., SS.UU., 18 aprile 2019, n. 24906 vieta la contestazione in fatto “ quando l’ ipotesi aggravata è [ o non è ] tale, in base ad un autonomo compimento di un percorso valutativo dell’ autorità giudiziaria [ … ], perché si tratta, per l’ appunto, di una valutazione potenzialmente destinata a condurre a conclusioni diverse “. P.e., i futili motivi o la crudeltà corporale in un omicidio volontario costituiscono aggravanti altamente e materialmente “ oggettive “, mentre, ad esempio, la circostanza dell’ odio razziale è un’ eventuale circostanza assai “ soggettiva “, da approfondire, non algebrica e, per conseguenza, non compatibile con una contestazione fattuale, dunque implicita. Con attinenza alle aggravanti non materialmente oggettive e misurabili, Cass., SS.UU., 18 aprile 2019, n. 24906 asserisce che “ la necessità dell’ enunciazione in forma chiara e precisa del contenuto dell’ imputazione, prevista dalla legge processuale [ all’ Art. 417 Cpp ], impone che la scelta operata dalla pubblica accusa fra tali possibili conclusioni sia portata a conoscenza della difesa; non potendosi, pertanto, ravvisare una valida contestazione della circostanza aggravante nella mera prospettazione in fatto degli elementi [im]materiali della relativa fattispecie “. In buona sostanza, la sussistenza di uno o più dubbi esegetici chiude la strada alle contestazioni in fatto.
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Il caso specifico giudicato in Cass., SS.UU., 18 aprile 2019, n. 24906.
Nel caso specifico di Cass., SS.UU., 18 aprile 2019, n. 24906, la circostanza aggravante contestata è quella ex comma 2 Art. 476 CP: “ se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione è da tre a dieci anni “. Secondo Cass., SS.UU., 18 aprile 2019, n. 24906, al circostanza aggravante ex comma 2 Art. 476 CP non è materialmente ed oggettivamente pre-valutabile o evidente, in tanto in quanto “ detta fattispecie [ aggravata ] include l’ elemento valutativo dato dalla possibilità [ o meno ] di qualificare l’ atto come facente fede [ oppure no ] fino a querela di falso “. Quindi, come pocanzi rimarcato, non si può contestare in fatto un’ aggravante “ immateriale “, che richiede pertanto un “ percorso valutativo “ durante lo svolgimento del Processo. Il comma 2 Art. 476 CP sussiste o, viceversa, non sussiste se sono, o meno, precettivi gli Artt. 2699 e 2700 CC in tema di efficacia fidefacente degli atti pubblici. In effetti, anche Cass., sez. pen. III, 13 dicembre 2017, n. 15764 nega la contestabilità in fatto dell’ aggravante ex comma 2 Art. 476 CP, giacché tale circostanza è legata alla valutazione dell’ essere l’ atto considerabile come “ pubblico “ oppure come una semplice scrittura privata. Contestare fattualmente il comma 2 Art. 476 CP significherebbe dare per scontata una conclusione che si deve formare all’ interno del Procedimento Penale. Anche Cass., sez. pen. V, 4 maggio 2016, n. 39682 asserisce che “ la qualificazione dell’ atto come fidefacente costituisce il risultato di numerose valutazioni [ alla luce degli Artt. 2699 e 2700 CC ] e, per conseguenza, essa non può ritenersi debitamente contestata con la mera indicazione dell’ atto stesso nell’ imputazione “ Gli Artt. 2699 e 2700 CC sono elementi relativi, non materialmente oggettivi, misurabili o fattualizzabili. Parimenti, Cass., sez. pen. VI, 12 marzo 2015, n. 25258 collega il comma 2 Art. 476 CP a “ connotazioni qualitative delll’ autorità giudiziaria “ che sono e rimangono incompatibili con una contestazione implicita. Similmente, Cass., sez. pen. V, 14 ottobre 2014, n. 48738 parla, con attinenza all’ interpretazione del comma 2 Art. 476 CP di “ una componente valutativa dell’ aggravante particolarmente articolata “, la quale impone, dunque, una menzione espressa della fattispecie aggravata nel capo d’ accusa. In conclusione, Cass., SS.UU. 18 aprile 2019, n. 24906 sostiene che “non può essere ritenuta in sentenza dal giudice [ di merito ] la fattispecie aggravata del reato di falso in atto pubblico, ai sensi del comma 2 Art. 476 CP, qualora la natura fidefacente dell’ atto considerato falso non sia stata esplicitamente contestata ed esposta nel capo d’ imputazione con la precisazione di tale natura o con formule alla stessa equivalenti, ovvero con l’ indicazione della norma di legge di cui sopra “
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