La sezione tributaria della Cassazione civile, con la sentenza in commento fornisce alcune valide precisazioni in tema di:
- valore probatorio delle dichiarazioni del terzo inserite nel processo verbale di contestazione;
- principio di autosufficienza.
Il caso. Ad esito di indagini svolte dalla Guardia di Finanza a carico di una società, l’Ufficio delle Imposte territorialmente competente decide di rettificarne la dichiarazione annuale sulla base delle dichiarazioni di terzi puntualmente inserite nel processo verbale di contestazione. Ciò che l’Ufficio contesta alla società è di avere indebitamente usufruito di costi non deducibili, in quanto connessi ad operazioni inesistenti ed, a supporto di ciò, adduce l’omesso rinvenimento, nel corso delle operazioni di verifica, delle fatture relative ai costi non deducibili. A quanto contestato dall’Ufficio, la società eccepisce la circostanza che le dichiarazioni di terzi siano state specificamente contestate.
La decisione. Con la sentenza in commento, la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione precisa:
- che “in tema di contenzioso tributario le dichiarazioni di terzi raccolte dai verificatori ed inserite nel processo verbale di constatazione non hanno natura di prova testimoniale, bensì di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative (…). Ne consegue che di esse non è possibile avvalersi allorquando, come nel caso di specie, vengono specificamente smentite dalla controparte attraverso la produzione di “documenti contenenti dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale con il medesimo valore probatorio” (Cass. n. 16032/2005; id. n. 2805/2009), in ossequio a quanto previsto dall’art. 111 co. III Cost. . Corollario di tale assunto, è che, pertanto, non solo la persona accusata di un “reato”, ma anche quella alla quale viene contestata una “irregolarità di natura tributaria”, ha la “facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore”, come precisato dalla Corte Cost. con sent. n. 18 del 2000;
- che, tuttavia, elementi oggettivi (come, nel caso di specie, l’omesso rinvenimento, nel corso delle operazioni di verifica, delle fatture relative ai costi non deducibili), in ossequio al principio di autosufficienza, debbono condurre, per la loro decisività ad una soluzione positiva, in punto di sufficienza, ai fini della sussistenza delle presunzioni. Dette considerazioni rappresentano invero una “integrazione” a quanto già affermato dalla Cassazione Tributaria Civile con sent. n 1048 del 17.1.2013, dove si precisa che: “In materia di IVA, in ipotesi di fatture che l’Amministrazione ritenga relative ad operazioni inesistenti, grava su di essa l’onere di provare che le operazioni, oggetto delle fatture, in realtà non sono state mai poste in essere. Ma, se l’amministrazione fornisca validi elementi -alla stregua dell’art. 54, secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 – per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni (anche solo parzialmente) fittizie, passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate”.
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