“Fatto salvo quanto stabilito dall’articolo 2118 del codice civile, la lettera di dimissioni volontarie, volta a dichiarare l’intenzione di recedere dal contratto di lavoro, è presentata dalla lavoratrice, dal lavoratore, nonché dal prestatore d’opera e dalla prestatrice d’opera, pena la sua nullità, su appositi moduli predisposti e resi disponibili gratuitamente, oltre che con le modalità di cui al comma 5, dalle direzioni provinciali del lavoro e dagli uffici comunali, nonché dai centri per l’impiego” (art. 1, co. 1, L. 188/2007).
La
legge 17 ottobre 2007, n. 188 [
1], introduce nel diritto del lavoro un nuovo requisito formale in materia di recesso volontario dal contratto di lavoro: uno specifico modulo per le dimissioni, approvato con
decreto interministeriale [
2], che entrerà in vigore il prossimo 5 marzo 2008.
La nuova disciplina prevede la "nullità" delle dimissioni in difetto del predetto modulo, stravolgendo così la regola di liberalità di forma in vigore (già attenuata dai CCNL, v. ultra).
A parte per le donne in maternità, e fino ad un anno di età del bambino, nonché entro un anno dalle pubblicazioni del matrimonio, per l’atto delle dimissioni il legislatore non aveva sentito la necessità di porre dei vincoli così forti: le dimissioni, dunque, sono sempre state a forma libera e senza alcuna prerogativa di controllo da parte degli Organi di vigilanza.
L’art. 2118 del Codice civile prevede la possibilità recesso dal contratto a tempo indeterminato dando il preavviso, ovvero pagando, alla parte nei cui confronti è esercitato il recesso, l’indennità sostitutiva del preavviso.
Va precisato che, secondo la Cassazione, mentre non può considerarsi legittima la disposizione di un contratto collettivo che esoneri il recedente dall’obbligo del preavviso, è invece del tutto legittima quella che riconosce la facoltà, per la parte non recedente, di dispensare ex post il recedente dagli obblighi a lui derivanti dal preavviso, in quanto la disciplina degli aspetti economici connessi allo scioglimento del rapporto non è sottratta all’autonoma disponibilità delle parti [3].
Non specificando vincoli di forma, le dimissioni possono essere esercitate anche oralmente (almeno fino al prossimo 5 marzo), considerandole efficaci dal momento in cui giungono al destinatario in quanto atti unilaterali recettizzi ex art. 1326 c.c.; nella prassi, comunque, la forma scritta è stata quella preferita sia dai lavoratori che dai datori di lavoro, per ovvi motivi probatori, tutelativi e a semplice scanso di equivoci. La contrattazione collettiva, inoltre, ha sovente modificato i requisiti formali delle dimissioni stabilendo, nella maggior parte dei CCNL, la forma scritta ad substantiam dell’atto di recesso [4].
Con la legge n. 188/2007 la forma scritta trova una più forte esigenza di tipo legale: infatti, il legislatore non solo dispone l’obbligatorietà del modulo per le dimissioni, ma prevede la “nullità” delle dimissioni in mancanza di tale documento.
Attualmente gli ispettori del lavoro si stanno interrogando sulla applicazione della novella, ritenendo che forse – ma si sperara che ciò non accada, tra l’altro non trovandone alcuna specifica traccia nel testi normativi – dovranno interrogare il dimissionario quando si accingerà a ritirare (o protocollare) il modulo. Bisogna qui segnalare che il modulo per le dimissioni sarà disponibile presso le Direzioni provinciali del lavoro, i Centri per l’impiego e gli uffici comunali (successivamente anche presso gli Istituti di patronato), nonché sul sito internet del Ministero del lavoro: presso le predette strutture il modulo potrà già avere quel “codice alfanumero professivo” previsto dalla legge e collegato alla data di emissione per la sua validità quindicinale [5], ma ciò sarà ottenibile anche per la versione on-line?
Le soluzioni oggi ipotizzate sono due:
a) il modulo sarà scaricabile dal sito internet del Ministero del lavoro mediante accesso riservato (previa registrazione) e sarà conforme ai requisiti ex lege, tra cui il codice alfanumerico progressivo;
b) il modulo scaricabile dal Web sarà privo dei requisiti – ed in particolar modo del codice alfanumerico e della data di emissione – ma tale mancanza sarà sanabile con la validazione presso gli Organi competenti (quindi presentazione agli uffici del modulo di dimissioni).
Anche una terza ipotesi sembra possa essere plausibile, ma tecnicamente più complessa e senza garanzia alcuna contro un eventuale abuso (saranno i programmatori del ministero a confermare o smentire): un’assegnazione automatica di codice e data di emissione ad ogni apertura del modulo in via telematica, apertura che possa prevedere la compilazione diretta dei restanti dati componenti il modulo e cioè quelli relativi al rapporto di lavoro che si intende cessare.
Attualmente nessuno conosce la soluzione che verrà proposta dal ministero: si attendono le istruzioni operative. Certo è che l’interrogatorio (formale) da parte degli ispettori sarebbe solamente un inutile e costoso appesantimento burocratico.
La legge n. 188/07 potrebbe creare, in futuro, nuove pronunce giurisprudenziali a causa della conseguenza di nullità disposta per le dimissioni non conformi al modulo interministeriale. Orbene, la nuova disciplina ha investito, tra l’altro, un ambito di applicazione piuttosto ampio [6]:
“Per contratto di lavoro, ai fini del comma 1, si intendono tutti i contratti inerenti ai rapporti di lavoro subordinato di cui all’articolo 2094 del codice civile, indipendentemente dalle caratteristiche e dalla durata [quindi anche a tempo determinato, telelavoro, a domicilio e persino lavoro domestico], nonché i contratti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, i contratti di collaborazione di natura occasionale, i contratti di associazione in partecipazione di cui all’articolo 2549 del codice civile per cui l’associato fornisca prestazioni lavorative e in cui i suoi redditi derivanti dalla partecipazione agli utili siano qualificati come redditi di lavoro autonomo, e i contratti di lavoro instaurati dalle cooperative con i propri soci” (art. 1, co. 2, L. 188/2007).
La ratio di questa recente legge è, come si legge nella lettera parlamentare che accompagna il testo il fase di promulgazione, quella di contrastare le c.d. “dimissioni firmate in bianco”, cioè senza data e contestualmente all’assunzione, che sono invalide poiché “viziate” ma di difficile dimostrazione in sede di ricorso. A tale proposito viene da chiedersi quanto sia diffusa questa pratica scorretta sul territorio italiano considerando che, a parere di chi scrive, potrebbe essere circoscritto a poche zone o realtà e, quindi, la novella normativa risulterebbe eccessiva (c’è chi la definisce letteralmente “esagerata”).
Se proprio si desiderava introdurre nell’ordinamento giuridico una nuova modalità di recesso, come quello proposto dalla L. 188/2007, si ritiene la regola della “annullabilità” [7] (anziché della nullità) delle dimissioni in difetto del modulo ministeriale poteva risultare sufficiente: ciò avrebbe indotto gli attori del mercato del lavoro ad adottare, man mano, il modulo senza arrecare conseguenze negative alla risoluzione dei rapporti di lavoro operanti in forma libera, in virtù della fiducia tra le parti e del vincolo di buona fede ex art. 1375 c.c. che caratterizzano il contratto.
Unico punto a sfavore riguarda la circostanza per cui l’annullabilità non sarebbe stata idonea a garantire, da sola, la tutela della parte debole del rapporto di lavoro in caso di dimissioni firmate in bianco, poiché, come accennato, di difficile indagine probatoria e, in conclusione, il risultato sarebbe stato complesso tanto quanto le dimissioni viziate da intimidazione o violenza [8].
Per queste ragioni il legislatore ha disciplinato l’obbligatorietà del modulo delle dimissioni a pena di nullità, ma poiché ci vorrà del tempo per abituare datori di lavoro e lavoratori a questa nuova burocrazia, secondo il nostro modesto parere si poteva almeno prevedere un periodo transitorio durante il quale rendere disponibile il modulo ufficiale senza prevedere la nullità immediata delle dimissioni rassegnate con altra forma (nel periodo transitorio, al limite, si sarebbe potuto prevedere l’annullabilità, posticipando la nullità al successivo momento di completa vigenza della disciplina).
Luca Lodi
laureando in Scienze della consulenza del lavoro
e praticante consulente del lavoro in Modena
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[1] Pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 260 del 8 novembre 2007, la cui attuazione è subordinata all’approvazione, entro tre mesi, di decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, con cui venga definito il contenuto (e le caratteristiche tecniche) del modulo per le dimissioni.
[2] Decreto Interministeriale del 21 gennaio 2008, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 42 del 19 febbraio 2008.
[3] Cass., 15 giugno 1987, n. 5279, in Dir. prat. lav., 1987, 3159; in senso conforme: Cass., 10 luglio 1984, n. 4035, in Dir. prat. lav., 1984, 1036.
[4] Vedi, ex multis, Cass. 25 febbraio 1998, n. 2048, in Lav. giur., 1998, 980, secondo cui “le dimissioni costituiscono un atto a forma libera, salvo che per esse non sia stata convenzionalmente pattuita, individualmente, ovvero ad opera delle fonti collettive, la forma ad substantiam”.
[5] L’art. 3, co. 1, della L. 17 ottobre 2007, n. 188 prevede che il modulo abbia una validità di 15 giorni dalla sua emissione, per contrastarne gli abusi, e sia contrassegnato dalla data di rilascio e da un codice alfanumerico progressivo di identificazione.
[
6] Cfr. MASSI,
Dimissioni volontarie: nuova disciplina, in
Dir. prat. lav., 2007, 45, 2701 (disponibile sul
sito web di IPSOA).
[7] Si ricordi, in proposito, che “la sentenza che accoglie l’azione di annullamento del negozio ha efficacia retroattiva e importa il ripristino della situazione di fatto e di diritto preesistente al negozio annullato”: così la Cass., 15 giugno 1995, n. 6756, in Lav. giur., 1996, 345 (fattispecie relativa a dimissioni del lavoratore, annullate ex art. 428 c.p.c., con conseguente declaratoria di ricostruzione del rapporto di lavoro alla data delle dimissioni stesse).
[8] Secondo la giurisprudenza, nella valutazione dell’annullabilità delle dimissioni (viziate) si deve aver tiguardo innanzitutto all’obiettiva natura dell’ “invito” alle dimissioni, valutando le modalità fattuali del comportamento datoriale anche immediatamente successivo alla cessazione del rapporto.
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