Le diversità tra concorso di persone nel reato e connivenza non punibile. Problematiche interpretative.

Differenza tra il soggetto che agevola e rafforza il proposito criminoso altrui ed il mero spettatore connivente. Casistica giurisprudenziale.

Quando si parla di concorso nel reato? Qual è il contributo partecipativo che può dar vita al concorso e quando chi assiste inerte non è punibile? Per comprendere quali siano i limiti della punibilità[1] per concorso nel reato e quindi in quali casi possa applicarsi la mera connivenza non punibile, è opportuno fare qualche cenno introduttivo alla disciplina generale del concorso, per poi estenderla attraverso l’interpretazione giurisprudenziale.

Quando più soggetti realizzano congiuntamente un reato si ha concorso di persone nel reato, fattispecie in cui ciascuno dei concorrenti soggiace alla pena per il reato stabilita.[1] Il reato concorsuale è la più discussa tra le forme di manifestazione del reato e corrisponde al fenomeno della cooperazione tra più soggetti nel realizzare un illecito penale, c.d. “compartecipazione criminosa”.[2]

Nel sistema penale italiano, se si segue l’orientamento prevalente del concorso di persone come fattispecie plurisoggettiva eventuale[3], i requisiti strutturali sono quattro, i primi tre oggettivi, l’ultimo soggettivo:

1) la pluralità di concorrenti;

2) la realizzazione di un fatto tipico;

3) il contributo di ciascun concorrente alla realizzazione del fatto tipico;

4) l’elemento soggettivo.[4]

Rispetto al quarto punto (il requisito dell’elemento soggettivo), si ritiene che per sussistere concorso di persone nel reato sia necessario altresì un nesso psicologico tra ogni concorrente ed il fatto posto in essere, quindi può parlarsi di concorso doloso e concorso colposo solo in presenza di un contributo psicologico del concorrente.

Anche la condotta omissiva può rilevare ai fini della realizzazione del concorso, distinguendo le categorie del c.d. concorso nel reato omissivo e del c.d. concorso per omissione nel reato commissivo ed è proprio in quest’ultimo che si instaura la c.d. mera connivenza[2].

Affinché l’omissione abbia rilevanza penale, infatti, è indispensabile che sia, in primis, condizione necessaria o almeno agevolatrice della realizzazione del fatto (come il custode che pattuisce con i ladri di non azionare l’allarme); in secondo luogo, è necessario che essa costituisca violazione dell’obbligo giuridico di impedire il reato.[5]

Dunque, quali sono i confini tra l’omissione penalmente rilevante e come tale punibile e la mera connivenza non punibile[3]?

Per mera connivenza si intende “il comportamento di chi assiste alla perpetrazione del reato senza intervenire, non avendo però alcun obbligo giuridico di impedirne la commissione.”[6] Il soggetto inerte non sarà investito di responsabilità alcuna poiché l’ordinamento non prevede alcun obbligo in capo ai cittadini di ostacolare il compimento di reati, eccetto per quelle particolari categorie di persone che appartenendo alla forza pubblica (come guardie giurate, sindaci di società, titolati di poteri di istruzione), che rivestono specifiche qualifiche, c.d. posizioni di garanzia.  Rafforzamento del proposito criminoso, o mera inerzia. Qualora si fosse in presenza di una mera assistenza inerte, si comprende facilmente che questa per il sistema penale non è punibile in quanto il soggetto non apporta alcun contributo causale alla realizzazione della fattispecie criminosa. Qualora invece l’atteggiamento del soggetto, fosse rafforzativo dell’intento criminoso altrui, magari accompagnato dall’adesione psicologica al fatto di reato, si configura concorso di persone nel reato punibile ex art. 110 c.p. Secondo il consolidato orientamento degli Ermellini, in tema di concorso di persone, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da altro soggetto, va individuata nel fatto che la prima postula che l’agente mantiene un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, mentre il secondo richiede un contributo partecipativo positivo – morale o materiale – all’altrui condotta criminosa, che si realizza anche solo assicurando all’altro concorrente lo stimolo all’azione criminosa o un maggiore senso di sicurezza, rendendo in tal modo palese una chiara adesione alla condotta delittuosa[1]. Secondo la giurisprudenza dominante il contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell’evento lesivo, ma anche quando assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioè quando il reato, senza la condotta di agevolazione, sarebbe ugualmente commesso, ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà. Ne deriva che, a tal fine, è sufficiente che la condotta di partecipazione si manifesti in un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera dagli altri concorrenti, e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità̀ della produzione del reato, poiché in forza del rapporto associativo diventano sue anche le condotte degli altri concorrenti.

Cannabis: non punibile la convivente per mera connivenza

Deve essere mandata assolta la compagna del soggetto accusato che coltiva e detiene marijuana per spaccio, che non contribuisce in alcun modo al reato.

La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 6346/2019 respinge le richieste del difensore per quanto riguarda la posizione di uno degli imputati, condannati in primo grado per coltivazione e detenzione di marijuana[4] a fini di spaccio. Accoglie invece la tesi difensiva della mera connivenza riferita alla compagna convivente, condannata per concorso nel reato. Condanna errata considerato che, come osserva la Corte la stessa non ha contribuito in alcun modo alla realizzazione dell’illecito da parte del compagno. La sua condotta passiva e inerte non ha in alcun modo rafforzato o agevolato il proposito criminoso del compagno, per questo deve essere assolta per non aver commesso il fatto.

Furto di giacche durante la permanenza in un albergo

Con la sentenza 11 giugno 2014, n. 24615 la Corte di Nomofilachia si pronuncia sul discrimen tra la connivenza non punibile e il concorso di persone nel reato.

Il caso di specie concerne due soggetti che, durante la permanenza in un albergo, accedevano ad una privata dimora a questo annesso, nella quale commettevano il furto di alcune giacche[5] per il valore di 2.000 euro. Dopo aver subìto la condanna nei gradi di merito per il reato previsto e punito ex artt. 110-624 bis c.p., i due imputati proponevano separatamente ricorso per cassazione, uno dei due denunciando – per quanto qui di interesse – l’errore della Corte d’Appello in ordine al mancato riscontro, in suo favore, della connivenza non punibile.

Questi asseriva infatti che l’essere stato presente in camera durante il ritrovamento della prima giacca non poteva valere a configurare una propria responsabilità ex art. 110 c.p. ma tutt’al più una connivenza non punibile, sicché la sentenza impugnata doveva ritenersi carente in punto di motivazione.

Si è reso allora necessario l’intervento della Corte di Legittimità con riferimento alla corretta delimitazione dell’ambito di punibilità per concorso nel reato, così che al di fuori dei delineati confini possa situarsi il fenomeno penalmente irrilevante della mera connivenza.

I Supremi Giudici, accogliendo la censura del ricorrente, ribadiscono il granitico orientamento secondo il quale, mentre il concorso nel reato si verifica quando un soggetto apporta un contributo partecipativo materiale/morale alla condotta criminosa altrui cui si abbinano (sotto il profilo psicologico) la coscienza e la volontà di cooperare nell’illecito, la connivenza non punibile prescinde da tale contributo e si atteggia come contegno passivo limitato ad un’adesione psichica (o ad una mera presenza sul luogo) non trascendente il foro interiore.

 

Delitto di Perugia: i confini tra la connivenza non punibile e il concorso di persone nel reato

La sentenza n. 36080/2015[6] della Corte di Cassazione sul caso Meredith disegna la fine di una vicenda processuale che ha avuto ampio risalto sui mass-media e tratta di questioni di diritto processuale, ma sfiora altresì il tema della compartecipazione criminosa, tracciandone il limen discriminationis rispetto alla connivenza non punibile. La sentenza che ci impegna si riferisce alla tragica vicenda dell’uccisione di una giovane studentessa inglese ad opera di più soggetti. Uno degli imputati aveva scelto il rito abbreviato e la condanna nei suoi confronti, al tempo della pronuncia di legittimità da cui prende le mosse il presente contributo, risultava già passata in cosa giudicata. Per quanto concerne gli altri due imputati, giudicati a seguito di dibattimento, la sentenza definitiva della Suprema Corte ha disposto l’annullamento senza rinvio della pronuncia condemnatoria della Corte di Assise d’Appello Firenze. Si è visto come la Suprema Corte abbia annullato senza rinvio la sentenza di condanna prolata dalla Corte d’Assise d’Appello di Firenze nei confronti degli imputati ricorrenti, escludendo che agli atti siano stati acquisiti elementi indiziari gravi, precisi e concordanti circa la loro presenza sul luogo del delitto ed in ordine alla loro partecipazione al fatto di reato.

Violenza sessuale di gruppo anche per chi ha solo filmato lo stupro

Per la Cassazione non è necessaria la commissione di atti di violenza sessuale, essendo sufficiente il contributo causale fornito dal compartecipe alla commissione del reato.

Risponde del reato di violenza sessuale di gruppo anche colui che non ha commesso atti di violenza sessuale, ma si sia limita a filmare i crimini commessi dagli altri[7]. Ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 609-octies c.p., è sufficiente che il compartecipe abbia fornito un contributo causale, materiale o morale, alla commissione del reato.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, terza sezione penale, nella sentenza n. 29096/2020confermano nei confronti dell’imputato quindicenne, accusato di sequestro di persona e di violenza penale di gruppo, la misura cautelare della custodia in un istituto penitenziario minorile. Inutile per la difesa sottolineare una connivenza dell’imputato non punibile stante la “presenza inerte” del giovane sul luogo della perpetrata violenza sessuale di gruppo.

Volume consigliato

Note

[1] Ius in itinere, “La line sottile tra concorso nel reato e connivenza”, 21/04/2020, Valeria D’Aliesio

[2] Cass. Pen., Sez. V, sentenza 2 marzo 2013 n. 2805, Cass. Pen., Sez. VI, sentenza 22 maggio 2012 n. 36818,Cass. Pen., Sez. III, sentenza 2 maggio 2019, n.18015, Cass. Pen., Sez. III, sentenza 23 gennaio 2019 n. 22060, “Presenza inerte” ed abusi sessuali: tra connivenza non punibile, concorso in violenza sessuale e violenza sessuale di gruppo, A.C. Tombesi in Diritto Penale Contemporaneo.it, Cass. Pen., Sez. III, sentenza 01 luglio 1997, n. 2951

[3] Rivista Cammino diritto, “Concorso di persone nel reato o connivenza non punibile: una questione pratica in materia di stupefacenti”, 27/11/2019, Francesco Martin

[4] Leggioggi.it, “Cassazione, non punibile la mera connivenza sulla coltivazione di marjuana”, 20/06/2012, Redazione

[5] Altalex, “Concorso di persone nel reato e mera connivenza non punibile: la linea di confine”, 12/12/2014, Filippo Lombardi

[6] Cedam.com, “Delitto di Perugia: i confini tra la connivenza non punibile e il concorso di persone nel reato”, 13/12/2020, Salvatore Crimi

[7] Studio Cataldi, “Violenza sessuale di gruppo anche per chi ha solo filmato lo stupro”, 24/10/2020, Lucia Izzo

Valerio Carlesimo

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento