Come si svolge l’udienza del giudizio abbreviato?
All’udienza del giudizio abbreviato partecipano imputato, difensore e p.m. È possibile la presenza della parte civile che, se già costituita in precedenza, ha la facoltà di ricusare l’accettazione del rito abbreviato, ma non di impedirne lo svolgimento. La non accettazione del rito speciale comporta l’uscita dal processo penale del soggetto e mette in discussione l’effetto vincolante che la sentenza conclusiva del giudizio abbreviato altrimenti avrebbe nel separato giudizio civile di danno. La pretesa risarcitoria potrà esser coltivata in sede propria, senza soluzione di continuità temporale. Per quanto riguarda il danneggiato, questi può costituirsi parte civile anche dopo che è stata accolta la richiesta ex art. 438 c.p.p., ma non può poi rifiutare il rito speciale.
Nel caso in cui il giudizio abbreviato sia scaturito da una richiesta semplice, il giudice verifica in primo luogo se gli atti presenti nel fascicolo a sua disposizione siano sufficienti a risolvere la questione di fatto. Se sussiste qualche incertezza, ha il potere di assumere anche d’ufficio gli elementi necessari ai fini della decisione (cd. integrazione probatoria). L’assunzione della prova segue le regole dell’assunzione in udienza preliminare, per cui eventuali testimoni, coimputati, periti o consulenti tecnici sono interrogati direttamente dal giudice e le parti possono solo proporre al giudice le proprie domande. L’imputato ha il diritto di farsi interrogare.
Nel caso di rito abbreviato scaturito da una richiesta complessa, la cui efficacia è subordinata all’integrazione probatoria, la richiesta deve indicare le circostanze di fatto che esigono di essere chiarite e i mezzi di prova dei quali l’imputato chiede l’assunzione. Il giudice quindi, ammesso il giudizio abbreviato, è vincolato al contenuto di tale richiesta: deve escludere le prove vietate e, se lo ritiene necessario, può assumere d’ufficio le prove indispensabili per emettere la sentenza.
Ammessa la richiesta complessa, il giudice deve assumere tutte le prove indicate dall’imputato, altrimenti verrebbe a mancare una condizione di efficacia della richiesta stessa e il processo dovrebbe regredire alla fase introduttiva del rito speciale.
Il p.m. ha la facoltà di proseguire la sua attività di indagine suppletiva e il diritto di chiedere ed ottenere l’ammissione di prove contrarie a quelle indicate dall’imputato nella richiesta complessa.
Solo la mancata assunzione di una prova ex art. 495 c.p.p. costituisce motivo di annullamento della sentenza di merito.
In concreto, cosa implica il patteggiamento per l’imputato?
Con il patteggiamento l’imputato rinuncia ad esercitare il diritto alla prova, accettando di essere giudicato sulla base degli atti probatori presenti nel fascicolo e compiuti nella fase preliminare del processo, nonché a controvertere sul fatto e sulla relativa qualifica giudica e sulla specie e sulla misura della pena da applicare.
In compenso ottiene dei vantaggi, in primis, uno sconto di pena: la sanzione, che risulterebbe in concreto applicabile all’esito di un normale dibattimento, va in ogni caso diminuita fino a 1/3.
La sentenza che applica la pena concordata, inoltre, non è idonea a irradiare effetti vincolanti nei giudizi civili e amministrativi nei quali sia parte l’imputato che ha chiesto di patteggiare (art. 445 c.p.p.).
Vi è, infine, assenza di pubblicità.
In relazione al solo patteggiamento “tradizionale” (o minus), altri vantaggi sono l’affrancamento dell’imputato dall’obbligo di pagare le spese processuali; l’esenzione da pene accessorie e misure di sicurezza, eccettuata la confisca; la non menzione della sentenza nel certificato generale del casellario giudiziale richiesto dal privato; la sospensione condizionale della pena come condizione per l’efficacia dell’accordo.
La pena concordata che non superi 2 anni di detenzione può inoltre essere sospesa sotto condizione e la relativa condanna può sfociare in una declaratoria di estinzione del reato se nei 5 anni successivi alla sentenza l’imputato non commette un altro delitto o se nei 2 anni successivi non si rende responsabile di una contravvenzione della stessa indole di quella che aveva costituito oggetto di accordo.
Quali sono i termini e le formalità della richiesta di patteggiamento?
La richiesta può essere avanzata sia nel corso dell’indagine preliminare sia nell’udienza preliminare, fino a quando le parti non abbiano concluso la relativa discussione. Nel procedimento monitorio, privo di udienza preliminare, la richiesta va proposta dall’imputato contestualmente con l’opposizione contro il decreto di condanna ex art. 463 c.p.p.
Negli altri procedimenti privi di udienza preliminare, la richiesta deve essere presentata entro 15 giorni dalla notificazione del decreto di citazione quando si procede con giudizio immediato (art. 458 c.p.p.), oppure, nel giudizio direttissimo e in quello conseguente a citazione diretta davanti al tribunale monocratico, prima che sia dichiarato aperto il dibattimento (art. 492 c.p.p.).
Entro questi termini la parte che ha formulato la richiesta può prestare il proprio consenso, anche se in precedenza tale consenso fosse stato espressamente negato.
Nel caso di richiesta presentata dal p.m. durante l’indagine preliminare, l’introduzione del rito coincide sempre con l’esercizio dell’azione penale, quindi la richiesta o il
consenso devono contenere l’atto di imputazione. Il p.m. non può presentare una richiesta di patteggiamento o prestare il proprio consenso quando l’indagine è incompleta o l’esito investigativo sia insufficiente per sostenere l’accusa in giudizio.
La richiesta di patteggiamento è revocabile o modificabile dal proponente fino a quando non sia intervenuto il consenso dall’altra parte.
Vi sono casi nei quali il patteggiamento è condizionato?
Vi sono ipotesi in cui il patteggiamento è subordinato al verificarsi di determinate condizioni.
L’art. 13 bis, comma 2, d.lgs. n. 74/2000, inserito dal d.lgs. n. 158/2015, prevede che nei procedimenti per alcuni reati tributari riguardanti la dichiarazione dei redditi (in particolare, la dichiarazione fraudolenta della documentazione contabile; artt. 2 e 3 d.lgs. 74/2000) la richiesta ex art. 444 sia subordinata al ricorrere della circostanza attenuante del c.d. pagamento del debito tributario: si richiede, quindi, che prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei medesimi delitti siano stati estinti.
L’art. 444, comma 1 ter, c.p.p., inserito dalla l. n. 69/2015, in relazione ai procedimenti per i più gravi delitti contro la pubblica amministrazione (ad esempio, peculato, concussione e corruzione) subordina l’ammissibilità della richiesta ex art. 444 c.p.p. alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato da parte dell’imputato.
Come si instaura e si svolge il giudizio direttissimo?
Le forme che il p.m. deve seguire per avanzare istanza di giudizio direttissimo sono diverse a seconda che il soggetto si trovi in stato d’arresto o di custodia cautelare, ovvero sia libero o sottoposto a cautelari non custodiali. Nella prima ipotesi, fa condurre la persona direttamente in udienza, ove gli contesta oralmente l’imputazione, ai sensi dell’art. 451, comma 4, c.p.p. Nel secondo caso, fa notificare all’imputato una citazione a comparire, nella quale deve essere enunciato il fatto addebitato, ai sensi dell’art. 450, commi 2 e 3, c.p.p.
In ogni caso la pubblica accusa provvede a formare il fascicolo per il dibattimento e a trasmetterlo alla cancelleria competente. Gli atti di indagine restano invece depositati presso la segreteria del p.m., per consentire alla difesa di prenderne visione.
La caratteristica del giudizio direttissimo risiede nel fatto che non vi sono atti preliminari al dibattimento – in quanto devono essere osservate le disposizioni degli artt. 470 e ss. – pertanto la citazione dei testimoni avverrà direttamente in udienza, oralmente.
Il presidente verifica la regolare costituzione delle parti. Svolte le questioni preliminari, egli avvisa l’imputato della facoltà di chiedere il rito abbreviato o il patteggiamento e una proroga – non superiore a 10 giorni – per preparare la difesa. Prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, l’imputato può altresì chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova.
Una volta dichiarato aperto il dibattimento, il giudizio direttissimo prosegue secondo le cadenze ordinarie con la richiesta di ammissione delle prove, ai sensi degli artt. 492-495 c.p.p.
Come si comporta il giudice di fronte alla richiesta di giudizio immediato avanzata dal p.m.?
Sulla richiesta del pubblico ministero di procedere con giudizio immediato decide autonomamente il giudice per le indagini preliminari sulla base del fascicolo delle indagini, senza sentire la difesa.
Se non sussistono i presupposti ex art. 453 c.p.p., il giudice rigetta la richiesta con decreto motivato e restituisce gli atti al p.m.; viceversa, qualora ritenga che sussistano, dispone con decreto il giudizio e procede a formare il fascicolo per il dibattimento.
Il decreto viene quindi notificato almeno trenta giorni prima dell’udienza a p.m., imputato e persona offesa, ai sensi dell’art. 456 c.p.p. L’imputato ha un termine di quindici giorni per la richiesta del rito semplificato, decorrente dall’ultima notifica. Trascorso il termine per la richiesta di abbreviato o patteggiamento, il gip trasmette il decreto e il fascicolo al giudice competente (art. 457 c.p.p.).
Il giudice del dibattimento non potrà poi contestare l’evidenza della prova e restituire gli atti al p.m., in quanto il provvedimento sarebbe abnorme.
Come si svolge il procedimento per decreto?
L’atto introduttivo del procedimento per decreto è la richiesta motivata di applicazione della sola pena pecuniaria – anche in sostituzione della detentiva – che il p.m. presenta al gip entro 6 mesi dalla registrazione della notizia di reato, allegandovi il fascicolo con gli esiti delle sue investigazioni.
La richiesta è atto di esercizio dell’azione penale e deve quindi contenere i dati idonei a identificare l’imputato, la correlativa imputazione, nonché la pena da applicare, che il p.m. può quantificare con una diminuzione che può arrivare fino alla metà del minimo della pena edittale.
Il gip è tenuto a vagliare preliminarmente l’ammissibilità della richiesta di decreto penale.
La richiesta va rigettata se la pena proposta dal p.m. non è congrua, posto che, ai sensi dell’art. 460, comma 2, c.p.p., il giudice non può modificare l’entità della pena quantificata dall’accusa nella sua richiesta di condanna. Sul punto, tuttavia, si precisa che il nuovo comma 1 bis dell’art. 459 c.p.p., inserito dalla legge Orlando, riconosce al giudice la possibilità di modificare la quantità della pena pecuniaria proposta dal p.m. in ragione delle condizioni economiche dell’imputato;
Si giunge al rigetto della richiesta anche quando risulti che l’imputato deve essere prosciolto con una delle formule ex art. 129 c.p.p., perché vi è la prova evidente dell’innocenza o per improcedibilità; negli altri casi di rigetto della richiesta si ha la restituzione degli atti al p.m., con atto insindacabile del giudice.
La richiesta dovrà essere respinta anche nel caso in cui la stessa sia presentata oltre 6 mesi dalla registrazione della notizia di reato soggettivamente qualificata o quando il giudice ritenga che vada applicata una misura di sicurezza personale.
Quali sono i termini e le caratteristiche dell’opposizione al decreto penale di condanna?
L’eventuale opposizione al decreto da parte dell’imputato deve essere presentata entro 15 giorni dalla notifica dello stesso, a pena di inammissibilità. Tramite l’opposizione l’imputato sospende l’esecuzione della condanna e impone che l’accertamento del fatto avvenga in forme diverse dal procedimento per decreto.
L’opponente non deve necessariamente indicare i motivi della sua doglianza, essendo sufficiente che nella relativa dichiarazione indichi gli estremi e la data del provvedimento di condanna, il giudice che ha emesso il decreto e la contestuale richiesta di giudizio abbreviato, patteggiamento, giudizio immediato, oblazione o sospensione del procedimento con messa alla prova. Tale richiesta risulta infatti preclusa nel giudizio successivo all’opposizione.
L’opposizione ha effetto completamente devolutivo, similmente alla richiesta di riesame della misura cautelare, ed è quindi idonea ad attribuire al giudice piena cognizione su tutti i punti della decisione impugnata, non solo quelli indicati nei motivi d’opposizione.
Aspetto caratteristico di tale procedimento è che il giudice non è assoggettato al divieto di reformatio in peius, di conseguenza l’opponente deve essere messo al corrente del rischio di incorrere in una condanna più grave di quella irrogata mediante il decreto impugnato – non esclusa la reclusione o l’arresto.
Quali sono le formalità della richiesta di sospensione con messa alla prova?
Introdotta con la l. 67/2014, la sospensione del procedimento con messa alla prova ha finalità deflativa del carico giudiziario e di reinserimento sociale “anticipato” degli imputati di reati di minore gravità ed è caratterizzata dalla prestazione di un lavoro di pubblica utilità dietro consenso dell’imputato.
Sotto un profilo sostanziale è causa di estinzione – degli effetti penali – del reato (art. 186 bis c.p.), mentre sotto un profilo processuale si tratta di un procedimento speciale (art. 464 bis c.p.p.). La richiesta di sospensione è formulata dall’imputato personalmente o a mezzo di procuratore speciale e può essere presentata, oralmente o per iscritto, fino alla formulazione delle conclusioni dell’udienza preliminare e, in caso di rigetto, prima dell’apertura del dibattimento.
La richiesta può altresì essere presentata nel corso delle indagini con una procedura di interpello modellata su quella per il patteggiamento. Il procedimento si differenzia poiché vi deve essere il consenso del p.m., risultante da atto scritto e motivato, accompagnato dalla formulazione dell’imputazione, espresso entro cinque giorni dalla trasmissione degli atti da parte del giudice (art. 464 ter c.p.p.).
Alla richiesta deve essere allegato un programma di trattamento elaborato d’intesa con l’ufficio di esecuzione penale esterna, ma qualora l’elaborazione non sia stata possibile, è sufficiente la mera richiesta.
Nel programma devono essere indicate le modalità di coinvolgimento dell’imputato, del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita nel processo di reinserimento sociale, ove ciò risulti necessario e possibile; le prescrizioni comportamentali e gli altri specifici impegni che l’imputato assume anche al fine di elidere o attenuare le conseguenze del reato, considerando a tal fine il risarcimento del danno, le condotte riparatorie e le restituzioni, nonché le prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità o all’attività di volontariato di rilievo sociale; infine, le condotte volte alla mediazione con la persona offesa, ove possibile.
Quali sono i termini della messa alla prova?
Nell’ordinanza con la quale accoglie la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice deve indicare il termine entro il quale le prescrizioni e gli obblighi devono essere adempiuti.
Tale termine può essere prorogato su istanza dell’imputato ex art. 464 quinquies, comma 1, c.p.p.
In ogni caso il procedimento non può essere sospeso per un periodo superiore a due anni, quando si procede per i reati per i quali è prevista una pena detentiva, sola o congiunta o alternativa alla pecuniaria; superiore ad un anno, quando si procede per i reati per i quali è prevista la sola pena pecuniaria.
I predetti termini decorrono dal momento di sottoscrizione del verbale di messa alla prova.
Durante il periodo di sospensione, inoltre, il giudice ha la possibilità di assumere, a richiesta di parte, le prove non rinviabili e quelle che possono condurre al proscioglimento dell’imputato ex art. 464 sexies c.p.p.
La sospensione, una volta concessa, è revocata qualora l’imputato commetta una grave o reiterata trasgressione al programma o alle prescrizioni, ovvero rifiuti il lavoro di pubblica utilità, o qualora commetta un nuovo delitto non colposo ovvero un reato della stessa indole.
In tali ipotesi la revoca è disposta d’ufficio dal giudice con ordinanza a seguito di camera di consiglio con contraddittorio facoltativo ex art. 127 c.p.p.
Quali sono le formalità della richiesta di oblazione?
La domanda di oblazione può essere presentata nel corso delle indagini preliminari, ex art. 141 disp. att., al pubblico ministero, che la inoltra al giudice con il fascicolo dell’indagine. Inoltre, possono attivarsi sia l’imputato sia il difensore, senza bisogno di procura speciale.
Dopo l’esercizio dell’azione penale la richiesta va presentata direttamente al giudice prima che sia aperto il dibattimento o prima che sia emesso decreto penale di condanna.
Il pubblico ministero, all’atto di chiedere il decreto penale, informa l’imputato della possibilità di essere ammesso all’oblazione e dei numerosi effetti conseguibili tramite l’oblazione.
Se il pm non adempie, l’avviso deve essere dato dal giudice contestualmente all’emissione del decreto penale per il fatto oblazionabile, reintegrando l’imputato nel suo diritto di chiedere l’oblazione.
Il termine per la richiesta di oblazione è perentorio, ma se nel dibattimento è contestato un fatto diverso o un reato concorrente suscettibile di oblazione, i termini per la richiesta si riaprono.
Accolta la richiesta, il giudice dichiara non doversi procedere per estinzione del reato, con sentenza appellabile entro i limiti ex art. 593 c.p.p.
In caso di rigetto il rito è destinato a procedere nella forma ordinaria o secondo le regole del procedimento per decreto, ma imputato o difensore possono rinnovare la richiesta di oblazione anche nel corso del dibattimento di primo grado, fino all’inizio della discussione finale.
Entro quale termine si può presentare la richiesta di giudizio abbreviato nell’udienza preliminare?
L’istanza può essere presentata anche dopo la formulazione delle conclusioni da parte del pubblico ministero e deve essere formulata da ciascun imputato entro e non oltre il momento in cui il proprio difensore formula le conclusioni. (Così sez. un., n. 20214 del 2014).
Il pubblico ministero può modificare il capo d’imputazione a seguito della scelta di rito abbreviato condizionato, fondando la sua scelta su atti di indagine da presenti nel fascicolo delle indagini?
Nel corso del giudizio abbreviato condizionato all’integrazione probatoria, ex art. 438, comma 5, c.p.p., o nel quale l’integrazione sia stata disposta dal giudice ai sensi dell’art. 441, comma 5, c.p.p., è possibile la modifica dell’imputazione, allorché il fatto risulti diverso o emerga una circostanza aggravante o un reato connesso, anche nel caso in cui i fatti oggetto di contestazione suppletiva già si desumessero dagli atti delle indagini preliminari, e non siano collegati ai predetti esiti istruttori? L’ordinanza n. 2883 del 2019 della Suprema Corte di Cassazione – prima sezione penale, ha messo in luce i due orientamenti giurisprudenziali:
I – Orientamento maggioritario: Cass. pen. sez. IV n. 48280 del 26.09.2017.
Secondo la giurisprudenza maggioritaria e così come consacrato nella sentenza n. 48280 del 2017, troverebbe applicazione il principio secondo il quale è legittima la modifica dell’imputazione da parte del pubblico ministero mediante contestazioni suppletive, anche quando i fatti oggetto della nuova contestazione siano già emersi nel corso delle indagini preliminari. Secondo la giurisprudenza maggioritaria, tale principio troverebbe applicazione in ragione del correlato principio secondo il quale il legislatore ha assegnato al pubblico ministero il potere di modificare l’imputazione e procedere a nuove contestazioni nel corso dell’udienza preliminare, fase processuale nella quale si svolgerebbe naturalmente il rito abbreviato (assimilazione inesatta secondo la prima sezione penale, nell’ambito della modificazione dell’imputazione).
II – Orientamento minoritario: C. cost. sentenza n. 140 del 2010, C. cost. n. 237 del 2012, C. cost. n. 273 del 2014, C. cost. n. 139 del 2015 e C. cost. n. 206 del 2017. Esclude che il pubblico ministero possa effettuare contestazioni suppletive, anche in assenza di integrazioni probatorie sulla base di atti e circostanze già noti all’imputato. l’introduzione della l. 479 del 1999 e la possibilità di richiedere un’integrazione probatoria, tanto su iniziativa dell’imputato che del giudice, è emersa altresì l’esigenza di prevedere meccanismi di adeguamento dell’imputazione sulla base delle nuove acquisizioni. Di talché, è stato consentito al pubblico ministero di procedere a nuove contestazioni, fermo restando il diritto dell’imputato di richiedere che il procedimento prosegua con il rito ordinario o in alternativa, l’ammissione di nuove prove ai sensi dell’art. 441 bis c.p.p. tale possibilità di ampliamento e di adattamento del capo di imputazione sia legittima solo a fronte di nuove risultanze processuali. Viceversa, rimarrebbe escluso che dette iniziative possano rappresentare l’opportunità di rivalutare elementi già acquisiti nel corso delle indagini preliminari e, fino a quel momento, non posti a base dell’azione penale.
In seguito alla riforma della disciplina del processo in absentia, deve essere notificato all’imputato assente l’estratto della sentenza ai sensi degli artt. 442 comma 3 c.p.p. e 134 disp. att. c.p.p.?
Dopo la riforma della disciplina del processo in absentia (ex contumacia) – si legge nell’ordinanza – l’avviso previsto dagli artt. 442 comma 3 c.p.p. e 134 d.a. c.p.p. per una parte della giurisprudenza di questa Corte di Cassazione non risulta più dovuto, in quanto l’imputato è rappresentato dal difensore; questa tesi propende per l’abrogazione implicita degli artt. 442, c.p.p. e 134, d.a., del c.p.p. in quanto «con la nuova disciplina dell’assenza, volta a garantire l’effettiva conoscenza del processo ed a ricondurre la mancata partecipazione dell’imputato ad una determinazione consapevole e volontaria, presupposto dell’eliminazione dell’obbligo di notifica della sentenza, è venuta meno anche la ragione giustificatrice della disposizione di cui all’art. 442 c.p.p., comma 3, tanto più che nel giudizio abbreviato l’imputato non comparso resta rappresentato da un difensore investito dei poteri conferitigli da procura speciale, necessaria per accedere al rito alternativo. Per tale ragione il difensore è certamente in contatto con il proprio assistito e può fornirgli tutte le informazioni necessarie sulla definizione del procedimento e sugli adempimenti da porre in essere per potere contestare la decisione sfavorevole mediante proposizione dell’impugnazione». Al contrario, per altra giurisprudenza, «la specifica regola dettata dall’art. 442 c.p.p., comma 3, è rimasta inalterata anche a seguito delle (e nonostante le) successive modifiche dell’art. 442 c.p.p.» risultando «oltremodo inconsueto che il legislatore abbia dimenticato di abrogare due norme importanti, come gli artt. 442 comma 3 c.p.p. e 134 d.a. c.p.p., con la legge di riforma (legge 28 aprile 2014, n. 67), pur con l’intervento in maniera organica e completa sul codice di rito». Peraltro, «far dipendere una sanzione, produttiva di effetti negativi per l’imputato (che vedrebbe, infatti, dichiarato inammissibile un atto di impugnazione, con passaggio in giudicato della decisione di condanna), da un’interpretazione che ritiene abrogata tacitamente una norma di favore, per un diritto ad una impugnazione della sentenza di condanna, violerebbe il principio CEDU del giusto processo, che richiede sempre, per le norme penali e processuali penali, una interpretazione restrittiva, e in favor rei».
Il presente contributo è tratto dal “Compendio di procedura penale” di Giorgio Spangher e Marco Zincani.
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